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Trouvez l’artiste caché dans ce texte mystérieux.
C’était un bonhomme grand et fou, tant qu’il ressemblait fort à un gorille.
Avec son petit cheval il était arrivé de la marine et il habitait dans un
bistrot qui se trouvait entre la rue Didot et la rue de Vanves. La patronne,
une brave Margot de Montélimar, lui offrait tout le vin dont il avait besoin.
Mais un jour, lorsqu’elle lui a fait une non demande en mariage, il s’est
enfui comme les oiseaux de passage, dans le vent. Il allait bien d’accord
avec ses voisins, une marquise, un certain don Juan et mademoiselle
Fernande.
Il suppliquait pour être enterré sur une plage et il avait comme ami
un fossoyeur, mais il aimait tellement la vie qu’il lui suffisait de passer le
pont pour être heureux comme Ulysse. Il refusa la légion d’honneur pour
ne pas partir à la guerre de 14-18 et tomba amoureux d’une maîtresse
d’école qui s’appelait Mélanie. Enfin un jour qu’il y avait un orage et qu’il
avait oublié son parapluie, comme dans un cauchemar, il est mort pour ses
idées sans laisser de testament, et les passantes lui ont jeté des bouquets de
lilas.
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Georges Brassens, Fabrizio De André e altri “poeti” Quella che lega Fabrizio De André e Georges Brassens è una relazione estremamente intensa
ed unica, caratterizzata da innumerevoli punti di contatto e dalla condivisione di ideali affini
che sfociarono in un fruttuoso rapporto simbiotico, i cui risultati vanno di gran lunga al di là
delle traduzioni, ispirate dai testi del cantautore francese, che De André ci ha lasciato.
Troppe erano le affinità che accomunavano i due cantautori: una fra tutte il fascino esercitato
da entrambi dal poeta maledetto medievale François Villon che influenzò in maniera più o
meno massiccia la loro opera o ancora la passione irrefrenabile per la libertà. Risulta quindi
naturale comprendere quella sorta di vero e proprio colpo di fulmine che De André ebbe per le
canzoni del cantautore di Sète quando le ascoltò per la prima volta, in esse si rifletteva quello
spirito libertario che sentiva assai vicino al suo animo e quella lotta continua contro ogni forma
di intolleranza e di violenza, soprattutto nei confronti dei più deboli, che anche lui condivideva,
quella tendenza a stare dalla parte dei diseredati, dei disadattati, degli emarginati, quella
voglia di dare loro una voce, attraverso le canzoni, di gridare a squarciagola il peso della
dignità umana contro false ideologie e falsi valori che altro non fanno che generare fanatismi e
violenza.
Tutti e due inoltre sono stati capaci di realizzare un fondamentale connubio tra poesia,
letteratura e musica; un connubio di rilevante importanza come sottolinea lo stesso Brassens
che, un giorno, rispondendo ad un intervistatore che gli aveva criticato il fatto che la villoniana
“Ballade de Dames du temps jadis”, da lui messa in musica e trasformata in una stupenda
canzone, non aveva alcun bisogno di essere accompagnata dalla sua melodia , rispose dicendo
“ Si. E’vero. Ma grazie alla mia canzone molta gente ha conosciuto ed amato Villon. Alcuni
operai mi hanno confessato di averlo scoperto proprio grazie a me”
(Brassens par René Fallet - 1967 – Editions Denoel)
E’ proprio questo é stato uno dei principali aspetti positivi della produzione artistica di questi
due grandi cantautori e cioè il fatto che le loro canzoni sono sempre state capaci di essere
foriere di conoscenza, di trasmettere concetti e messaggi finalizzati fondamentalmente ad una
presa di coscienza da parte degli uomini, tutti gli uomini, della dignità umana e dell’ assoluta
uguaglianza di tutti gli esseri. E dato che la poesia e le immagini che essa sa dipingere è
dotata della capacità di portare con se, fra i versi e le rime, messaggi in grado di aprire gli
occhi agli uomini e di far loro comprendere il valore della vita e della giustizia si intuisce perché
sia De André che Brassens non disdegnarono attingere al ricchissimo patrimonio poetico del
passato per rimodellarlo e plasmarlo, adattarlo alle proprie melodie utilizzandolo come
moderno strumento di conoscenza.De André, tanto per citare un esempio, trasformò in
canzone il famoso sonetto di Cecco Angiolieri "S'io fossi foco" che mostrava tutta la sua rabbia
e il suo furore, imprecava e gridava contro i potenti (Papa e imperatori), esprimendo con le
sue violente espressioni i pensieri e le idee, di tutti coloro che erano costretti al silenzio;
vengono così rivelate, con cupa ironia e brutale umorismo, molte delle sensazioni di un uomo
qualunque, vissuto in quel periodo, insofferente e incapace di tenere chiusa la propria bocca,
scalpitante e nervoso per la propria situazione sociale, inviperito e adirato con tutto e con tutti.
S'i' fosse foco arderéi 'l mondo
s' i' fosse vento lo tempesterei
s'i' fosse acqua i' l'annegherei
s'i' fosse Dio mandereil'en profondo
S'i' fosse papa, sare' allor giocondo
tutti i cristïani imbrigherei
s'i' fosse 'mperator sa' che farei
a tutti mozzarei lo capo a tondo
S'i fosse morte, andarei da mio padre
s'i' fosse vita fuggirei da lui
similemente farìa da mi' madre
s'i' fosse Cecco com'i' sono e fui
torrei le donne giovani e leggiadre
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e vecchie e laide lasserei altrui
S'i' fosse foco arderéi 'l mondo
s' i' fosse vento lo tempesterei
s'i' fosse acqua i' l'annegherei
s'i' fosse Dio mandereil'en profondo
Rabbia, impeto, disillusione, umorismo, disperazione, mancanza di fede nel potere temporale e
soprattutto in quello spirituale dei Papi: tutto questo in pochi, incisivi versi troppo spesso
erroneamente considerati solo un'alternativa, volgare e triviale, all'eleganza del "dolce Stil
novo", ma che in realtà si rivelano una delle testimonianze più attendibili della reale situazione
e dell'atmosfera che si respirava in quell'epoca ormai lontana.
Sembra esserci un antico e saldo patto, fra Cecco Angiolieri e Fabrizio De Andrè, un'intesa
profonda tra due artisti così distanti nel tempo, ma così simili e rassomiglianti sotto alcuni
aspetti. Una poesia toccante e intensa ripresa e musicata, secoli e secoli dopo, da Fabrizio De
André che ha così fatto diventare Cecco Angiolieri un contemporaneo riproponendo la
integralmente, con un semplice accompagnamento di chitarra, e permettendo a tutti di
comprenderne la straordinaria e dolorosa modernità.
Questa tendenza ad attingere ed a prendere ispirazione dall'immensa fonte costituita dal
patrimonio poetico del passato è uno dei tanti fili che contribuiscono a rafforzare il legame
indissolubile tra De André e Brassens.
Quest'ultimo, innamorato dell' uso della parola, affascinato ed ammaliato dall' universo poetico
fu a sua volta un grande poeta e versificatore, inimitabile cesellatore della lingua capace di
mettere in musica la poesia di un vastissimo numero di rappresentanti del panorama poetico e
letterario francese.
Ma esaminiamo nel dettaglio tali influenze poetiche sulla produzione brassensiana.
16 poesie vennero messe in musica da Georges Brassens nei suoi primi 12 dischi, in
particolare :
- 4 di Paul Fort: Le petit cheval, La marine, Comme hier, Si le bon Dieu l'avait voulu
- 2 di Victor Hugo: La légende de la nonne, Gastilbelza - 2 di Jean Richepin: Philistins, Oiseaux
de passage
- 1 di Louis Argon: Il n'y a pas d'amour heureux
- 1 di François Villon: Ballade des dames du temps jadis
- 1 di Paul Verlaine: Colombine
- 1 di Francis Jammes: La prière
- 1 di Théodore de Banville: Le verger du roi Louis
- 1 di Corneille per le strofe e Tristan Bernard per la conclusione: Marquise
- 1 di Alphonse de Lamartine: Pensée des morts
- 1 di Antoine Pol: Les passantes
- 10 poesie o riferimenti a poesie, figurano invece nell' ambito del disco documento numero
13, di cui:
- 4 di Aristide Bruant, Belleville-Ménilmontant, Place de Paris, A la place Maubert, A la Goutte
d'Or
- 2 di Gustave Nadaud, Carcassonne, Le roi boiteux
- 2 di Alfred de Musset, Ballade à la lune, A mon frère revenant d'Italie
- 1 di Norge et Jacques.Ivart, Jehan l'advenu
- 1 di H.Colpi per le parole e G.Delerue pour la musique, Heureux qui comme Ulysse
E' importante avere chiaro quanto sia stata rilevante l' influenza della tradizione poetica sull'
opera di Brassens poiché questa ebbe innumerevoli riflessi sulla produzione di De André.
Brassens, infatti, ha esercitato su De André una grande influenza, un influsso che spesso viene
identificato soprattutto nel primo periodo della produzione del cantautore genovese, gli inizi
della sua carriera, quando De André ha voluto rendere omaggio a quello che lui considerava il
suo maestro traducendo alcuni dei suoi testi più celebri e facendo propri temi o addirittura titoli
di Brassens; tuttavia nel considerare questa influenza diretta ed immediata di Brassens su De
André si corre il rischio di non tenere a giusta considerazione o di sottovalutare l' importanza
dell' influsso indiretto esercitato dal cantautore transalpino e rappresentato dal succitato
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bagaglio poetico che Brassens cantava e portava con se e che necessariamente ha accarezzato
la sensibilità ed influenzato la formazione di De André lasciando chiare e stupende tracce nella
sua opera.
Per quanto riguarda la "poesia in musica, ovvero il mettere in musica ed il cantare testi di poeti
più o meno famosi, questa è una tradizione assolutamente esclusiva della canzone francese
dove vengono tranquillamente musicati e cantati tutti i principali poeti del passato e
contemporanei, dal già più volte citato François Villon a Victor Hugo, da Alphonse de Lamartine
a Pierre Corneille, da Paul Fort a Paul Verlaine, da Théodore de Banville a Francis Jammes ecc.
ecc. In questo si distingue, va detto, Georges Brassens, che ha addirittura contribuito a
scuotere dall'oblio un paio di poeti, Antoine Pol e Jean Richepin, che senza le sue canzoni vi
sarebbero probabilmente rimasti. Per dare l' idea di quanto la musica francese fosse pregna di
poesia e letteratura non possiamo non nominare anche il Louis Aragon di Jean Ferrat nelle
canzoni sempre di Brassens o la vasta presenza di poesia baudelairiana in Léo Ferré. Per
comprendere meglio come questo sposalizio tra musica e poesia sia una tradizione
assolutamente esclusiva della canzone francese, si consideri il fatto che i poeti francesi non
disdegnavano affatto la canzone, non la considerano affatto una forma poetica minore e
dunque rappresentava un passaggio naturale quello di mettere in musica i propri versi più
belli. A tale riguardo, il caso più conosciuto e celebre è quello di Jacques Prévert, che
addirittura disponeva di un suo compositore di fiducia (Pierre Kosma) passando poi le sue
canzoni ad interpreti vari di quel periodo e cioè grandi artisti del calibro di Juliette Gréco,
Barbara e Boris Vian per citarne alcuni; lo stesso Boris Vian fu uno scrittore e poeta affermato, ma al tempo stesso musicista di buon livello e fama.
De André parlando di quello che considerò essere il suo maestro diceva: "Mi ha sconvolto la
vita. Se ho iniziato a fare questo mestiere è solo merito suo".
Una stima infinita, dunque,era quella che il cantautore genovese nutriva nei confronti del suo
collega transalpino che per lui rappresentava un vero e proprio mito.
A tale proposito é utile citare un episodio: De André che considerava Brassens , come più volte
detto, come il suo maestro ed il suo mito, ebbe la possibilità di conoscerlo personalmente.
Ma non volle incontrarlo. Girava voce, infatti che Brassens avesse un carattere scontroso e
difficile e De André, dunque, non volle rischiare di rovinare quel mito, per lui così importante,
con una conoscenza personale che forse lo avrebbe deluso.
E' lo stesso De André a sottolineare la rilevanza ed il peso che l' influenza di Brassens ha
giocato sulla sua produzione e le motivazioni del mancato incontro:
"In Brassens si intrecciavano tre culture: quella mitteleuropea, col valzer, quella francese, con
la giava, e quella napoletana, con la tarantella (sua madre Elvira Dragosa, tra l' altro, aveva
origini napoletane).
Ecco perché le mie prime canzoni vivevano su quei ritmi e su quella atmosfera.
Poi mi intrigava il fatto che trattasse temi scabrosi, di grande rilevanza sociale, buttandoli via,
cantandoli con una nonchalance da teatrante inglese, più che francese: perché il teatrante
francese è enfatico, declamatorio, quello inglese dice cose terrificanti con una specie di
indifferenza glaciale.
Brassens, insomma, fu il mio grande modello ance se, avendone avuta l' occasione, ho sempre
evitato di conoscerlo di persona: mi serviva troppo tenermelo come mito; se questo mito,
conoscendolo, fosse crollato mi sarebbe crollato il mondo. Sicché ho preferito immaginarmelo
soltanto attraverso le sue canzoni."
(Fabrizio De André - Amico Fragile - Cesare Romana - 2000)
Anche chi ha conosciuto bene De André come Fernanda Pivano, non si stupisce del mancato
incontro Brassens-De André come afferma parlando di un altro mancato incontro quello con
Bob Dylan al quale il cantautore genovese si ispirò: "Una volta Dylan ha chiesto a Fabrizio di
suonare con lui e Fabrizio non ha voluto farlo, forse per la stessa ragione per cui a suo tempo
non ha voluto incontrare Brassens; sarebbe bello credere che si incontrino un giorno negli
enormi spazi profumati dell'eternità e conoscano finalmente la realtà inafferrabile che hanno
inseguito, forse sfiorandola appena, giusto abbastanza da illudersi di poter continuare a
inseguirla.
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La loro è una realtà fatta di cose semplici, di tutti i giorni, di rispetto per l'amore e la morte, di
orrore per l'ipocrisia e la violenza."
(De andre' il corsaro di Fernanda Pivano, Cesare G. Romana, Michele Serra - interlinea edizioni
- Novara)
La stessa Pivano sottolinea l' importanza rivestita dall' influsso di Brassens sulla formazione e
sulla produzione di De André "...l' influenza francese è venuta poco dopo, quando il padreggi
ha portato i dischi di Brassens.
Brassens è diventato un suo maestro di vita già a quattordici anni, e ha confermato scelte già
maturate. (...) Così aveva cominciato a cantare le canzoni di Brassens, ma anche quelle di
Aznavour, di Gilbert Bécaud, di Moulodji: solo a diciotto anni ne ha cantato una sua.(...) Già da
adolescente era turbato dai problemi sociali suggeriti da Brassens, ma anche da quelli morali
che a volte contrastavano con quelli sociali(...). Brassens è stato per lui un esempio musicale
che gli ha dato aperture e tecniche sull' uso della chitarra. Si è ritrovato a inventare tarantelle
non prendendo spunto dalla musica napoletana ma dalle canzoni di Brassens, scoprendo solo
molto più tardi, che lo stesso Brassens aveva avuto la nonna e la mamma napoletana: cioè
imitando Brassens imitava in realtà gli italiani."
(Prefazione di Fernanda Pivano a - Fabrizio De André - Amico Fragile - Cesare G. Romana -
2000).
Come accenna la Pivano in questa Prefazione al libro di Romana fu grazie a suo padre,
Giuseppe De André, che Fabrizio ebbe modo di conoscere per la prima volta le canzoni di
Brassens. Il padre dai suoi frequenti viaggi in Francia era solito riportare un' abbondante
quantità di libri e dischi e fu lui che fece conoscere Brassens a Fabrizio De André intorno al
1954 cioè a soli due anni dall' esordio discografico dello chansonnier francese.
Dunque, con grande probabilità Fabrizio De André è stato davvero tra i primissimi in Italia ad
aver conosciuto Georges Brassens e le sue canzoni.
Bisogna dare il giusto peso a quella che era l' attitudine culturalmente aperta della famiglia De
André (in particolare il padre) dove la scoperta del nuovo, proveniente non solo dalla Francia e
l' abitudine di commentarlo come anche la grande passione per la musica in genere furono
fattori fondamentali nella formazione musicale e culturale di De André.
Le sue traduzioni ed interpretazioni non sono passate attraverso un intermediario fisico o
indiretto ma sono assolutamente il risultato del suo meticoloso lavoro e si consideri come il
francese utilizzato da Brassens, ricco di riferimenti letterari e simbologie, presupponeva una
profonda conoscenza della lingua e della letteratura francese.
Lo stesso Brassens (che capiva l' italiano) riconobbe come le sue canzoni erano state tradotte
magistralmente da De André. E se c' è una qualità che va riconosciuta alle traduzioni di De
André è proprio il fatto di essere delle fedeli trasposizioni degli originali.
Georges Brassens è poco conosciuto in Italia, dove è stimatissimo dagli intellettuali ma
scarsamente noto al grande pubblico.
Al contrario in Francia è sempre stato popolarissimo e sono innumerevoli le scuole, strade,
piazze, parchi e istituzioni culturali a lui dedicate; un' incredibile celebrazione della sua
memoria che non è avvenuta per nessun altro dei pur grandi esponenti della canzone francese.
A quasi venticinque anni dalla sua scomparsa, il suo ricordo è più che mai vivo: la maggior
parte dei francesi, che lo chiama affettuosamente Tonton Georges o (le Bon Maitre) il Buon
Maestro, conosce buona parte delle sue canzoni e la maggior parte dei critici ha riconosciuto il
valore indiscusso di un grande artista capace di rendere popolare e fruibile una vasta porzione
della poesia francese mettendola in musica.
La semplicità di Brassens ne ha fatto uno degli artisti più amati del patrimonio culturale
francese.
Il suo vasto repertorio dotato di invenzioni linguistiche uniche, immagini poetiche geniali e una
grande vivacità ironica dipinge in maniera cinica ma tenera al tempo stesso un affresco della
condizione umana. Ancora oggi, le sue canzoni vengono interpretate da artisti di tutto il mondo
e i suoi testi vengono studiati e commentati nelle scuole.
Grande è il numero di artisti che si sono cimentati nell' interpretare le canzoni di Brassens tra i
tanti citiamo Graeme Allwright in inglese, Paco Ibanez en espagnol e naturalmente Fabrizio de
André (senza dimenticare il lavoro di un altro artista italiano, Nanni Svampa, che hatradotto e
cantato in italiano l' intera discografia di Brassens); per quanto concerne gli artisti francesi, la
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lista di quanti hanno cantato o continuano a cantare Brassens è lunga, trai tanti ricordiamo:
Maxime le Forestier, Renaud e Barbara.
In Francia, le radio continuano a trasmettere le sue canzoni, la gente le ama, perché
ascoltandolo continua a divertirsi e a commuoversi, a pensare.
Del resto Brassens ha avuto i suoi estimatori anche di immenso prestigio. Basti dire che lo
scrittore spagnolo Garcia Màrquez lo riteneva il maggior poeta francese contemporaneo, e che
ad un esame di maturità, venne assegnato un tema su versi di una sua canzone, quella del
"Pauvre Martin".
Brassens è, senza dubbio, uno dei più grandi cantautori che la Francia abbia conosciuto e resta
un punto di riferimento fondamentale nel panorama musicale e poetico francese, largamente
apprezzato e celebrato in tutto il mondo francofono. I suoi personaggi sono conosciuti dal
pubblico quanto quelli di La Fontane. In materia poetica Brassens opera una vera e propria
sintesi creativa.
Il punto focale nell' ambito della sua produzione è artistica lo raggiunge quando capisce che
poesia e musica potevano viaggiare sullo stesso binario
"mi sono detto: non vale la pena insistere, non sarai mai un grande poeta, non sarai un
Rimbaud, un Mallarmé, un Villon (…) Perché non provare ad abbinare le poesie alla mia
musica?"
Fu un personaggio molto discreto, ma capace di scrivere il suo nome nel patrimonio artistico
francese, creando uno stile unico caratterizzato da melodie semplici e testi che sono dei veri e
propri capolavori poetici. Lavora alle sue canzoni fino al raggiungimento della perfezione, per
alcune se ne ritroveranno fino a 50 versioni provvisorie; le parole delle sue canzoni sono il
risultato di una ricerca estenuante, di mesi di lavoro, di correzioni e revisioni continue.
Brassens è stato, fin da subito, padrone di un vasto vocabolario poetico che gli venne
trasmesso soprattutto dalle sue numerose letture giovanili.
Tuttavia, nonostante questa grande passione per il campo letterario e la poesia il linguaggio
utilizzato da Brassens è al tempo stesso capace di restare saldamente legato al linguaggio d'
uso comune ancorato nella tradizione a volte irriverente dell' arte popolare.
Brassens nasce a Sète, la città del poeta Paul Valery, nell' ottobre del 1921.
Da suo padre, riceve i valori di un uomo semplice, l'odio verso tutte le ipocrisie e un bagaglio
fatto della gran parte delle idee laiche dell' epoca.
Al contrario, sua madre, di origine napoletana, era una convinta credente.
Tracce di questa grande devozione della madre sono riscontrabili nell' ambito dell' opera di
Brassens in cui spesso compaiono gli archetipi religiosi.
E' inoltre utile ricordare come in svariate canzone del primo periodo sia proprio l' evocazione
della madre che fa calare un velo pudico sulle espressioni più crude o scurrili, così ne "Le
Gorille":
" senza pudore, queste comari contemplavano l'animale in un posto ben preciso che, mia
madre mi ha rigorosamente impedito di citare…."
Frequentò il collegio di Sète, abbandonandolo quando aveva 15 anni e conservando il ricordo di
un professore in particolare, Alphonse Bonnafe, divenuto poi il suo primo biografo,che gli
trasmise l' amore per la poesia declamando i versi con grande partecipazione e seppe iniziarlo
con passione alla poesia di Verlaine, Baudelaire, Valery e Mallarmé . Nel 1939 lascia il suo
paese natale per trasferirsi a Parigi, aveva 18 anni come cita lui stesso nella canzone "Le
ricochets" Avevo appena 18 anni E lasciando il mio paese natale Un bel giorno arrivai a Parigi
Non sono entrato al grido A noi due Parigi Che il tuo Rastignac, o Balzac non si preoccupi della
mia concorrenza Arrivato nella capitale, Brassens vive da una parente e passa le sue giornate
nelle biblioteche, leggendo i più grandi poeti; ma il giovane Brassens arriva a Parigi in un
periodo particolarmente difficile, è il periodo della guerra e dell' occupazione e così nel 1943 fu
costretto a partire in Germania per svolgere il servizio di lavoro obbligatorio (S.T.O. - Service
Travail Obligatoire).
Tornato a Parigi si stabilirà in un pensionato, presso Jeanne e Marcel, una coppia tanto
generosa quanto povera, la cui atmosfera compare spesso nelle sue canzoni. Il successo arrivò
quando Brassens aveva superato i 31 anni, cioè intorno al 1952 e fu un successo immediato,
nonostante la radio di stato non trasmetteva buona parte delle sue canzoni considerate troppo
sovversive o scandalose. In quell' anno Brassens incontra il grande chansonnier Jacques Grello
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che, sedotto dalle sue canzoni, lo invita a continuare a scrivere ed a cantare.
Grello apprezza molto le canzoni di Brassens e così prova ad organizzare i primi spettacoli per
farlo conoscere al grande pubblico; ma il vero successo arrivò quando Grello lo presentò a
Patachou che affascinata dalle sue canzoni, decise di interpretarle nel suo famoso cabaret-
ristorante di Montmartre. Brassens aveva così raggiunto il successo come autore di canzoni.
Ma canzoni come "Le gorille" o "La mavaise réputation" di certo non erano state scritte per
essere interpretate da una voce femminile come quella di Patachou; e così fu lei stessa ad
incitare e convincere Brassens ad interpretare le proprie canzoni esibendosi in pubblico.
Brassens passò il resto della sua vita a studiare, leggere e comporre, apparendo in pubblico
solo in occasione di concerti; nel 1967 gli fu attribuito il Grande Premio della poesia della prestigiosa "Académie Française". Morì a 61 anni stroncato da un male incurabile.
Come più volte ribadito, De André era rimasto positivamente colpito dalla musica di
Leo Ferré , Charles Aznavour, Jacques Brél e i principali chansonnier francesi di quel
periodo ma è per che Brassens ebbe una vera e propria folgorazione.
La comunione intellettuale con Brassens non è casuale ma legata a tutta una serie di
affinità e condivisione d' ideali, lo spirito libertario primo tra tutti.
L' influsso di Brassens ha lasciato evidenti tracce sulla produzione di De André, tracce
talvolta evidenti come nel caso delle più famose traduzioni del cantautore genovese in
particolare: Il gorilla (Le gorille - 1952), Marcia Nuziale (Marche nuptial - 1955), Nell'
acqua della chiara fontana (Dans l' eau de la claire fontane - 1962), Delitto di paese
(L' assassinat - 1963), Le passanti (Les passantes - 1972, che in realtà è una poesia
di Antoine Pol), Morire per delle idee (Mourir pour des idées - 1972).
Altre volte poi l' influsso brassensiano sulla produzione di De André non è
immediatamente evidente, non è percettibile ad un primo ascolto ma è pur sempre
presente e può essere carpito grazie ad un' analisi più attenta.
Si pensi, solo per citare alcuni esempi al caso di "Leggenda di Natale", la canzone di
De André non è una traduzione ma la canzone ispiratrice può abbastanza chiaramente
essere identificata ne "Le père Noel et la pètite fille" del 1958; l' influenza diretta di
Brassens su De André è non solo testuale, ma anche musicale.
Il più tipico esempio è "La morte", nella quale De André utilizzo la partitura musicale
di "Le Verzier du roi Louis", registrata da Brassens nel 1960, inserendovi un testo di
sua composizione autonoma. Stesso discorso può farsi anche per "La città vecchia"
che riprende il tema musicale di "Le bistrot" di Brassens.
Volendo allungare ancora la lista di esempi, possiamo citare anche "Preghiera in
Gennaio" che presenta delle reminiscenze precise di un' altra canzone di Brassens "La
Prière" ispirata al testo di una poesia di Francis Jammes.
Ma esaminiamo in modo più preciso e dettagliato quelli che sono i risultati dell'
influenza di Brassens sulla produzione di De André partendo da quella che con tutta
probabilità fu la prima traduzione nella quale si cimentò De Andrè e cioè il Gorilla (Le
Gorille). Si tratta della canzone più famosa di Brassens, quella che l' orchestra
intonava ogni volta che si presentava sulla scena, il "Gare au Gorille" di Brassens ed il
pubblico presente in sala, all'alzarsi del sipario lo accoglieva intonando il famoso
ritornello; è un grido di denuncia e di netta lotta contro le ingiustizie ed in particolare
contro la pena di morte che si concreta dal punto di vista figurativo nella scelta del
gorilla di violentare il giudice, che il giorno prima aveva fatto tagliare il collo ad alcuni
condannati giudicandoli colpevoli, piuttosto che l' anziana signora.
La traduzione di De André è abbastanza fedele all'originale di Brassens riuscendo a
mantenere il valore e la simbologia delle vivide immagini cantate dal collega francese.
Pochi sono i punti in cui De André si discosta dal testo di Brassens per cimentarsi in
una traduzione più libera, in particolare:
Sulla piazza d'una città la gente guardava con ammirazione
un gorilla portato là dagli zingari d'un baraccone
con poco senso del pudore le comari di quel rione
contemplavano l'animale non dico come non dico dove
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Attenti al gorilla (De André)
In De André viene introdotta la figura degli "zingari di un baraccone", che non
troviamo in Brassens, a voler colorare e rendere ancor più originale il contesto in cui si
svolge la scena.
E' attraverso le larghe sbarre che le donne del quartiere,
contemplavano un potente gorilla, senza preoccuparsi della morale;
quelle comari, senza pudore fissavano un punto preciso che,
mia madre mi ha impedito rigorosamente di citare
Attenti al gorilla ! (Brassens)
Inoltre mentre De André nel censurare ironicamente alcuni elementi
eccessivamentescabrosi del testo lo fa attraverso "non dico come non dico dove"
Brassens lo fa citando sua madre, quasi come simbolo della moralità e della
morigeratezza, valori che la madre di Brassens molto devota e credente di certo
possedeva.
Per il resto il testo di De André segue in maniera abbastanza aderente la versione
originale di Brassens.
Si tratta di una canzone che risente dell' influsso che Rabelais esercitò sulla poetica di
Brassens e la cui genesi affonda le sue radici al 1948, anno in cui Brassens si trovava
in Germania, a Basdorf, obbligato dal S.T.O., il servizio di lavoro forzato: costretto a
stare in un campo di lavoro fatto di baracche, Brassens aveva composto tutta una
serie di canzoni ironiche e orecchiabili con le quali improvvisava degli spettacoli
finalizzati a distrarre i suoi compagni lavoratori dalla monotona vita del campo di
lavoro.
Una di queste canzoni che portava il titolo di "La linea spezzata" aveva riscosso
parecchio successo tra gli altri lavoratori e ciò spinse Brassens a qualche anno di
distanza di riprendere quella canzone e rimodellarla e renderla più accessibile al
pubblico. Ma le innumerevoli correzioni e revisioni del testo originale fecero si che
venne conservato soltanto il ritornello "Gare au Gorille" come anche la musica che è
rimasta la stessa della prima versione e che viene ripresa interamente da De André.
Sono queste dunque le origini lontane de "Il gorilla" ma l' ispirazione immediata di
Brassens è facilmente individuabile nel desiderio di comunicare non in maniera diretta
ed aperta, ma attraverso metafore e colorate immagini, il suo disaccordo contro l'
autorità, contro la macchina del potere, contro la pena di morte.
Il messaggio che scorre tra le righe della canzone, dunque, non è diretto ma mediato
da quel linguaggio figurato e metaforico tanto utilizzato da Brassens, tuttavia quando
la canzone fece la sua apparizione venne boicottata dalle principali radio e soltanto
con la nascita della radio "Europe 1" venne diffusa apertamente.
Addirittura, come rivela Brassens, la canzone comprendeva una strofa, non conosciuta
dal grande pubblico, che è stata eliminata poiché giudicata troppo aggressivo; anche il
titolo originario che Brassens aveva scelto per la sua canzone "Gorille vendetta" è
stato modificato dallo chansonnier per le stesse ragioni.
(André Sève, dans une biographie intitulée "Brassens, toute une vie pour la chanson -
Ed. du Centurion - 1975)
Troviamo un equivalente fedeltà nella traduzione di "la marcia nuziale", inclusa nell'
album Volume I del 1967 (Marche Nuptiale); si tratta di un altro omaggio che De
André volle fare a quello che riteneva il suo maestro.
Pochissimi sono i punti in cui De André si discosta da una traduzione quasi letterale
attraverso cui traspone i ventotto alessandrini con cui Brassens dipinge un affresco di
rara bellezza nel quale viene descritto l' originale e molto umile matrimonio dei
genitori del poeta e cantautore.
Ma pure se vivrò fino alla fine del tempo io
sempre conserverò il ricordo contento del giorno
delle povere nozze di mio padre e mia madre
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che andarono a sposarsi dinanzi al sindaco (Brassens)
Ma pure se vivrò fino alla fine del tempo
io sempre serberò il ricordo contento
delle povere nozze di mio padre e mia madre decisi a regolare il loro amore sull'altare.
(De André)
Se Brassens cita il sindaco come la figura istituzionale che sancirà il matrimonio fra i
due sposi De André canta invece di un altare. Anche per quanto riguarda Morire per
delle idee, contenuta nell' album Canzoni del 1974 (Mourir pour des idées) si riscontra
un' assoluta fedeltà nella traduzione di De André a parte il fatto che nell' originale di
Brassens compare una strofa in più che il cantautore genovese ha preferito non
tradurre. Se bastasse qualche ecatombe perché alla fine tutto cambi,tutto si sistemi
dopo " grandi serate " e teste cadute avremmo già il paradiso sulla terra ma l'età
d'oro sfugge incessantemente Gli dei hanno sempre sete, non ne hanno mai
abbastanza ed è la morte, la morte che ricomincia sempre, moriamo per delle idee,
ma di morte lenta, ma di morte lenta Si tratta di una canzone contro tutte le guerre e
soprattutto quelle generate da falsi ideali o valori dettati da gente senza scrupoli,
pronta a far partire gli altri a rischiare la vita ma non a mettere in gioco la propria.
Risulta naturale comprendere perché De André, profondamente antimilitarista, sia
stato attirato dal testo di questa canzone fino al punto di tradurla e di farne una
canzone propria: ne condivideva il messaggio pacifista ed antiviolento che aveva già
manifestato in canzoni come "Girotondo" e "la Guerra di piero" dove il soldato
protagonista della canzone sceglieva di morire piuttosto che uccidere: "E se gli sparo
in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire ma il tempo a me resterà per
vedere vedere gli occhi di un uomo che muore". In Morire per delle idee si sentono
anche gli echi dell' opera di un altro grande chansonnier francese, Boris Vian,
dichiaratamente pacifista che ne "Il disertore" invitava, inviandogli un a lettera, il
Presidente della Repubblica a partire in guerra (la guerra in questione è quella d'
Algeria) ed a mettere in gioco la propria vita .
Si tratta di una canzone che Brassens scrisse in funzione antimilitarista per
stigmatizzare ed enfatizzare l' inutilità di tutte le guerre, capaci solo di creare morte,
distruzione e vantaggiose esclusivamente ai fabbricanti di armi ed agli interessi politici
dei potenti.
Tuttavia il messaggio che Brassens voleva divulgare non venne facilmente carpito da
tutti e contraddittoriamente il suo pezzo venne accusato di gettare un' ombra d'
indifferenza e di dispregio nei confronti di tutti coloro i quali hanno perso la vita in
guerra, combattendo fino in fondo per gli ideali nei quali credevano.
In realtà il testo di Brassens vuole invitare gli uomini a riflettere lucidamente e
razionalmente su come tutte le guerre, tutti i conflitti bellici che vedono uccidersi tra
di loro migliaia di uomini, ogni volta per cause ed ideali diversi, sarebbero evitabili se
soltanto si facesse tutto il possibile per cercare di trovare un accordo, una soluzione
che scongiuri il ricorso alla violenza.
Si tratta sicuramente di una riflessione quasi utopica ma che vuole porre l' attenzione
sull' insensatezza della guerra, sul fatto che spesso gli ideali che spingono migliaia di
vite umane al sacrificio sono frutto delle manipolazioni da parte di "sputafuoco e nuovi
santi" in grado di cambiare bandiera repentinamente e di predicare valori ed ideali che
hanno perso il loro effimero significato il giorno dopo.
Ed è così che quando una guerra termina, quando viene raggiunto l' armistizio, un'
intesa tra le parti in lotta si riflette sul senso del prezzo di vite umane che quel
conflitto ha comportato.
Tanto per citare un esempio, si pensi alla guerra del Vietnam, durante la quale decine
di migliaia di giovani americani pieni di forza e di speranze nel futuro persero la vita e
quelli che rifiutarono di partire e dare il loro apporto al conflitto vennero imprigionati
insieme a tutti coloro i quali avevano tacciato di assurdità questa guerra.
Ebbene, a più di quarant'anni di distanza da quel tragico avvenimento, lo stesso
governo americano ha riconosciuto che quel conflitto bellico rappresentò un tremendo
errore ingiustificabile e chi, all' epoca, aveva gridato contro l' assurdità di quella
11
guerra e lottato affinché si facesse di tutto per fermarla è stato giudicato
positivamente ed apprezzato per la sua lucidità lungimirante con la quale si era reso
conto dell' insensato massacro in atto; ma nulla potrà ridare giustizia e vita ai milioni
di americani e vietnamiti morti durante il conflitto, a causa di idee sbagliate, di valori
errati perseguiti al caro prezzo della vita.
Al di là delle splendide e fedeli traduzioni realizzate da De André si considerino inoltre i
numerosi riferimenti indiretti a Brassens disseminati nel corso della sua opera e delle sue
canzoni. Per citare qualche esempio l’ intero testo de “Il fannullone”
Senza pretesa di voler strafare
io dormo al giorno quattordici ore
anche per questo nel mio rione
godo la fama di fannullone
ma non si sdegni la brava gente
se nella vita non riesco a far niente
Tu vaghi per le strade quasi tutta la notte
sognando mille favole di gloria
e di vendetta racconti le sue storie
a pochi uomini ormai stanchi
che ridono fissandoti
con vuoti sguardi bianchi
tu reciti una parte fastidiosa alla gente facendo della vita una commedia divertente
Ho anche provato a lavorare
senza risparmio mi diedi da fare
ma il sol risultato dell'esperimento
fu della fame un tragico aumento
non si risenta la gente per bene se non mi adatto a portar le catene
richiama chiaramente “La mauvaise réputation” dove Brassens canta
Nel mio paese senza pretese
ho una cattiva reputazione,
faccia quello che faccia è la stessa cosa
tutti lo considerano male,
io non penso arrecare nessun danno
volendo vivere fuori della massa,
no, alla gente non gli piace che
ognuno abbia una propria fede,
tutti, tutti mi guardano male,
escluso i ciechi, è naturale.
Il giorno del quattordici luglio
io rimango nel letto allo stesso modo,
e la musica militare
non è mai riuscita a farmi alzare,
e poi nel mondo non c'è maggior peccato
che quello di non seguire chi porta la bandiera,
no, alla gente non gli piace che
ognuno abbia una propria fede,
tutti m'indicano con il dito, escluso i "monchi", voglio e non posso
12
Dove al di la della chiara convergenza a livello dei contenuti e della tematica trattata si trovano
anche tutta una serie di rimandi dove il “senza pretesa” di De Andrè richiama in modo palese il
“sans pretention” del ritornello brassensiana o ancora è sintomatico il fatto che il fannullone di
De André dorma quattordici ore al giorno un numero che rimanda direttamente al quattordici
luglio, la festa nazionale francese, che viene citata nel testo di Brassens.
http://www.nakataimpastato.com/inner/fda/fda/inside/french/pages/brassens_4.htm
13
ANALYSE ET APPRÉCIATION D’UNE CHANSON DATE:____/____/____
Titre de la chanson (chanteur, auteurs de la musique et des paroles, date de production):
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Signification du titre:
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Concepts/idées/messages fondamentaux véhiculés par la chanson:
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Observations sur le texte de la chanson (forme et contenu):
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Observations sur la musique de la chanson:
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Appréciation personnelle
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Notes sur l’auteur/chanteur
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I testi di tutte le canzoni di
Georges Brassens (1921-1981)
work in progress
LA LISTA IPERTESTUALE (ORDINE ALFABETICO)
I testi sono raccolti seguendo i programmi dei CD della raccolta Georges Brassens – La mauvaise réputation
(coffret 13 CD Philips, 2001). I collegamenti multimediali con i brani musicali presuppongono che il lettore CD
corrisponda all’unità D:
CD 1: LA MAUVAISE RÉPUTATION
CD 2: LES AMOUREUX DES BANCS PUBLICS
CD 3: CHANSON POUR L’AUVERGNAT
1. A l’ombre des maris
2. A l’ombre du coeur de ma mie
3. A Mireille dit “Petit verglas”
4. A mon frère revenant d’Italie
5. Au bois de mon coeur
6. Auprès de mon arbre
7. Ballade à la lune
8. Ballade des dames du temps jadis
9. Bécassine
10. Bonhomme
11. (Le) Boulevard du temps qui passe
12. Brave Margot
13. Carcassonne
14. Ce n’est pas tout d’être mon père
15. Celui qui a mal tourné
16. C’était un peu leste
17. Ceux qui ne pensent pas comme nous
18. Chanson pour l’Auvergnat
19. Chansonnette à celle qui reste pucelle
20. Charlotte ou Sarah?
21. Clairette et la fourmi
22. Colombine
23. Comme hier
24. Comme une soeur
25. Concurrence déloyale
26. Corne d’Aurochs
27. Cupidon s’en fout
28. Dans l’eau de la claire fontaine
29. Dieu, s’il existe
30. Discours des Fleurs
31. Don Juan
32. Elégie à un rat de cave
33. Embrasse-les tous
34. Entre la rue Didot et la rue de Vanves
35. Entre l’Espagne et l’Italie
16
36. Fernande
37. Gastibelza (L’homme à la carabine)
38. Germaine Tourangelle
39. Grand-pére
40. Hécatombe
41. Heureux qui comme Ulysse
42. Histoire de(s) faussaire(s)
43. Honte à qui peut chanter
44. Il n’y a pas d’amour heureux
45. Il suffit de passer le pont
46. J’ai rendez-vous avec vous
47. Je bivouaque au pays de Cocagne
48. Je me suis fait tout petit
49. Je rejoindrai ma belle
50. Je suis un voyou
51. Jean rentre au village
52. Jeanne
53. Jeanne Martin
54. Jehan l’advenu
55. L’amandier
56. L’ancêtre
57. L’andropause
58. L’Antéchrist
59. L’arc-en-ciel d’un quart d’heure
60. L’assassinat
61. L’enterrement de Paul Fort
62. L’enterrement de Verlaine
63. L’épave
64. L’inestimable sceau
65. L’orage
66. L’orphelin
67. La ballade des cimetières
68. La ballade des gens qui sont nés quelque part
69. La cane de Jeanne
70. La chasse aux papillons
71. La complainte des filles de joie
72. La femme d’Hector
73. La fessée
74. La file indienne
75. La fille à cent sous
76. La guerre
77. La guerre de 14-18
78. La légende de la nonne
79. La légion d’honneur
80. La maîtresse d’école
81. La marche nuptiale
82. La marguerite
83. La marine
84. La mauvaise herbe
85. La mauvaise réputation
86. La messe au pendu
17
87. La non demande en mariage
88. La nymphomane
89. La passéiste
90. La première fille
91. La prière
92. La princesse et le croque-note
93. La religieuse
94. La ronde des jurons
95. La rose, la bouteille et la poignée de main
96. La route aux quatres chansons
97. La tondue
98. La traîtresse
99. La visite
100. Le bistrot
101. Le blason
102. Le bricoleur
103. Le bulletin de santé
104. Le cauchemar
105. Le chapeau de Mireille
106. Le cocu
107. Le coeur à l’automne
108. Le fantôme
109. Le fidèle absolu
110. Le fossoyeur
111. Le gorille
112. Le grand chêne
113. Le grand Pan
114. Le mauvais sujet repenti
115. Le mécréant
116. Le mérinos
117. Le modeste
118. Le mouton de Panurge
119. Le moyenâgeux
120. Le myosotis
121. Le nombril
122. Le parapluie
123. Le pêcheur
124. Le Père Noël et la petite fille
125. Le petit cheval
126. Le petit joueur de flûteau
127. Le petit-fils d’Oedipe
128. Le pince-fesse
129. Le pluriel
130. Le pornographe
131. Le progrès
132. Le revenant
133. Le roi
134. Le roi boiteux
135. Le sceptique
136. Le sein de chair et le sein de bois
137. Le temps ne fait rien à l’affaire
18
138. Le temps passé
139. Le testament
140. Le vent
141. Le verger du roi Louis
142. Le vieux fossile
143. Le vieux Léon
144. Le vieux Normand
145. Le vin
146. Le vingt-deux septembre
147. Lèche-cocu
148. Les amoureux des bancs publics
149. Les amours d’antan
150. Les casseuses
151. Les châteaux de sable
152. Les copains d’abord
153. Les croquants
154. Les croques-morts améliorés
155. Les deux oncles
156. Les funérailles d’antan
157. Les illusions perdues
158. Les lilas
159. Les oiseaux de passage
160. Les passantes
161. Les patriotes
162. Les philistins
163. Les quat’z’arts
164. Les quatre bacheliers
165. Les radis
166. Les ricochets
167. Les sabots d’Helène
168. Les trompettes de la renommée
169. Les voisins
170. Maman, Papa
171. Marinette (J’avais l’air d’un con)
172. Marquise
173. Méchante avec de jolies seins
174. Mélanie
175. Misogynie à part
176. Montélimar
177. Mourir pour des idées
178. Oncle Archibald
179. P... de toi
180. Pauvre Martin
181. Pénélope
182. Pensée des morts
183. Quand les cons sont braves
184. Quatre-vingt-quinze pour cent
185. Retouche à un roman d’amour de quatre sous
186. Rien à jeter
187. Sale petit bonhomme
188. Saturne
19
189. Sauf le respect que je vous dois
190. S’faire enculer
191. Si le bon Dieu l’avait voulu
192. Si seulement elle était jolie
193. Stances à un cambrioleur
194. Supplique pour être enterré à la plage de Sète
195. Sur la mort d’une cousine de sept ans
196. Tant qu’il y a des Pyrénées
197. Tempête dans un bénitier
198. Tonton Nestor (la noce de Jeannette)
199. Trompe la mort
200. Une jolie fleur (dans une peau d’vache)
201. Une ombre au tableau
202. Une petite Eve en trop
203. Vendetta
204. Vénus callipyge
APPROFONDIMENTI – ANALISI TESTUALE
***
20
I TESTI
***
CD 1: LA MAUVAISE RÉPUTATION
La mauvaise réputation CD 1 TRACK 01
Au village, sans prétention,
J’ai mauvaise réputation:
Qu’ je m’ démène ou qu’ je reste coi,
Je pass’ pour un je ne sais quoi!
Je ne fais pourtant de tort à personne,
En suivant mon ch’min de petit bonhomme;
Mais les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Non, les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Tout le monde médit de moi,
Sauf les muets, ça va de soi.
Le jour du quatorze juillet
Je reste dans mon lit douillet.
La musique qui marche au pas,
Cela ne me regarde pas.
Je ne fais pourtant de tort à personne,
En n’écoutant pas le clairon qui sonne;
Mais les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Non, les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Tout le monde me montre au doigt,
Sauf les manchots, ça va de soi.
Quand j’ crois’ un voleur malchanceux,
Poursuivi par un cul-terreux,
j’ lanc’ la patte et, pourquoi le tair’,
Le cul-terreux s’ retrouv’ par terr’.
Je ne fais pourtant de tort à personne,
En laissant courir les voleurs de pommes;
Mais les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Non, les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Tout le monde se rue sur moi,
Sauf les culs-d’jatt’, ça va de soi.
Pas besoin d’être Jérémie
Pour d’viner l’sort qui m’est promis:
s’ils trouv’nt une corde à leur goût,
Ils me la passeront au cou.
Je ne fais pourtant de tort à personne,
La cattiva reputazione
Al mio paese, senza presunzione,
ho una cattiva reputazione:
che io mi agiti o rimanga cheto,
passo per uno che non so dirvi!
Eppure non faccio torto a nessuno,
se tiro dritto per la mia strada;
ma alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
No, alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
Tutti parlano male di me
(salvo i muti, ben inteso).
Il giorno del quattordici luglio
rimango a letto spaparanzato:
la musica della fanfara militare
proprio non mi interessa.
Eppure non faccio torto a nessuno,
se non ascolto lo squillar di trombe;
ma alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
No, alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
Tutti mi segnano a dito
(salvo i monchi, ben inteso).
Quando incrocio un ladruncolo sfortunato
inseguito da un “terrone”,
allungo uno sgambetto e, perché negarlo,
il “terrone” vola per terra.
Eppure non faccio torto a nessuno,
se lascio scappare i ladri di mele;
ma alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
No, alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
Tutti mi si scagliano addosso
(salvo gli storpi, ben inteso).
Non c’è bisogno di essere Geremia
per indovinare la sorte che mi è promessa:
se troveranno una corda di loro gusto,
me la passeranno al collo.
Eppure non faccio torto a nessuno,
21
En suivant les ch’mins qui n’ mèn’t pas à Rome;
Mais les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Non, les brav’s gens n’aiment pas que
L’on suive une autre route qu’eux.
Tout l’ mond’ viendra me voir pendu,
Sauf les aveugl’s, bien entendu.
1952
se scelgo delle strade che non portano a Roma;
ma alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
No, alle persone per bene non piace che
si scelga una strada diversa dalla loro.
Tutti verranno a vedermi impiccato
(salvo i ciechi, ben inteso).
2010
Vedi approfondimento
Le fossoyeur CD1 TRACK02
Dieu sait qu’ je n’ai pas le fond méchant,
Je ne souhait’ jamais la mort des gens;
Mais si l’on ne mourait plus,
J’ crèverais d’faim sur mon talus...
J’suis un pauvre fossoyeur.
Les vivants croient qu’ je n’ai pas d’ remords
A gagner mon pain sur l’ dos des morts;
Mais ça m’ tracasse et, d’ailleurs,
J’ les enterre à contrecoeur...
J’suis un pauvre fossoyeur.
Et plus j’ lâch’ la bride à mon émoi,
Et plus les copains s’amus’nt de moi;
I’ m’ dis’nt: “Mon vieux, par moments,
T’as un’ figur’ d’enterrement...”
J’suis un pauvre fossoyeur.
J’ai beau m’ dir’ que rien n’est éternel,
J’ peux pas trouver ça tout naturel;
Et jamais je ne parviens
A prendr’ la mort comme ell’ vient...
J’ suis un pauvre fossoyeur.
Ni vu ni connu, brav’ mort, adieu!
Si du fond d’ la terre on voit l’ Bon Dieu,
Dis-lui l’mal que m’a coûté
La dernière pelletée...
J’suis un pauvre fossoyeur.
J’suis un pauvre fossoyeur.
1952
Il becchino
Dio sa che non ho l’animo cattivo,
non mi auguro mai la morte della gente,
ma se non si morisse più
io creperei di fame tra le mie fosse:
sono un povero becchino.
I vivi credono che io non abbia rimorsi
nel guadagnarmi il pane alle spalle dei morti,
e invece mi secca e, per di più,
li seppellisco controvoglia...
sono un povero becchino.
E più lascio andare il turbamento
e più gli amici mi prendono in giro:
mi dicono: “Vecchio mio, certe volte
hai proprio una faccia da funerale...”
Sono un povero becchino.
Non serve ch’io mi dica che niente è eterno,
non ce la faccio a trovar la cosa naturale;
e non riesco mai
a prendere la morte come viene...
sono un povero becchino.
Mai visto né conosciuto, caro morto, addio!
Se dal profondo della terra si vede il buon Dio,
digli la pena che mi è costata
l’ultima palata...
sono un povero becchino.
Sono un povero becchino.
2010
Le gorille CD1 TRACK03
C’est à travers de larges grilles,
Que les femelles du canton,
Contemplaient un puissant gorille,
Sans souci du qu’en-dira-t-on;
Il gorilla
Attraverso una grande inferriata
le femmine del paese
contemplavano un possente gorilla,
senza preoccuparsi delle malelingue.
22
Avec impudeur, ces commères
Lorgnaient même un endroit précis
Que, rigoureusement ma mère
M’a défendu d’nommer ici...
Gare au gorille!...
Tout à coup, la prison bien close,
Où vivait le bel animal,
S’ouvre on n’sait pourquoi (je suppose
Qu’on avait du la fermer mal);
Le singe, en sortant de sa cage
Dit: “C’est aujourd’hui que j’le perds!”
Il parlait de son pucelage,
Vous avez deviné, j’espère!
Gare au gorille!...
L’patron de la ménagerie
Criait, éperdu: “Nom de nom!
C’est assomant car le gorille
N’a jamais connu de guenon!”
Dès que la féminine engeance
Sut que le singe était puceau,
Au lieu de profiter de la chance
Elle fit feu des deux fuseaux!
Gare au gorille!...
Celles-là même qui, naguère,
Le couvaient d’un oeil décidé,
Fuirent, prouvant qu’ell’s n’avaient guère
De la suite dans les idées;
D’autant plus vaine était leur crainte,
Que le gorille est un luron
Supérieur à l’homme dans l’étreinte,
Bien des femmes vous le diront!
Gare au gorille!...
Tout le monde se précipite
Hors d’atteinte du singe en rut,
Sauf une vieille décrépite
Et un jeune juge en bois brut;
Voyant que toutes se dérobent,
Le quadrumane accéléra
Son dandinement vers les robes
De la vieille et du magistrat!
Gare au gorille!...
“Bah! soupirait la centenaire,
Qu’on puisse encore me désirer,
Ce serait extraordinaire,
Et, pour tout dire, inespéré!”
Le juge pensait, impassible,
Senza pudore, quelle comari
fissavano tutte una stessa cosa,
che mia madre mi ha proibito
assolutamente di dire qui...
Occhio al gorilla!
Tutto ad un tratto, la sicura prigione
in cui viveva il bell’animale,
s’apre – non si sa perché (suppongo
che l’avessero chiusa male).
La scimmia, uscendo dalla gabbia
disse: “Oggi è il giorno che la perdo!”.
Parlava della verginità,
spero che abbiate indovinato!
Occhio al gorilla!
Il padrone del serraglio
gridava, sconvolto: “In nome del Cielo!
Questo è un bel guaio, poiché il gorilla
non ha mai conosciuto una femmina!”
Non appena le donne
seppero che lo scimmione era vergine,
invece di approfittare dell’occasione,
se la dettero a gambe levate!
Occhio al gorilla!
Anche quelle che poco prima
lo concupivano con uno sguardo deciso
fuggirono dimostrando di non essere
molto coerenti;
e tanto più sciocco era il loro timore
in quanto il gorilla è un giocherellone
ben superiore all’uomo, nella presa
(parecchie donne possono confermarlo!).
Occhio al gorilla!
Tutti si precipitano
fuori della portata dello scimmione in fregola,
tranne una vecchia decrepita
e un giovane giudice tutto d’un pezzo.
Vedendo che tutte se la svignano,
il quadrumane accelerò,
con l’andatura ondeggiante, verso i vestiti
della vecchia e del magistrato!
Occhio al gorilla!
“Mah! sospirava la centenaria,
che mi si possa ancora desiderare,
sarebbe davvero straordinario
e, a dirla tutta, insperato!”
Il giudice pensava impassibile:
23
“Qu’on me prenne pour une guenon,
C’est complètement impossible...”
La suite lui prouva que non!
Gare au gorille!...
Supposez que l’un de vous puisse être,
Comme le singe, obligé de
Violer un juge ou une ancètre,
Lequel choisirait-il des deux?
Qu’une alternative pareille,
Un de ces quatres jours, m’échoie,
C’est, j’en suis convaicu, la vieille
Qui sera l’objet de mon choix!
Gare au gorille!...
Mais, par malheur, si le gorille
Aux jeux de l’amour vaut son prix,
On sait qu’en revanche il ne brille
Ni par le goût, ni par l’esprit.
Lors, au lieu d’opter pour la vieille,
Comme aurait fait n’importe qui,
Il saisit le juge à l’oreille
Et l’entraîna dans un maquis!
Gare au gorille!...
La suite serait délectable,
Malheureusement, je ne peux
Pas la dire, et c’est regrettable,
Ca nous aurait fait rire un peu;
Car le juge, au moment suprême,
Criait: “Maman!”, pleurait beaucoup,
Comme l’homme auquel, le jour même,
Il avait fait trancher le cou.
Gare au gorille!...
1952
“Che mi si prenda per una scimmia,
è completamente impossibile...”
Il seguito gli dimostrò di no!
Occhio al gorilla!
Immaginate che uno di voi sia obbligato,
come lo scimmione, a
violentare un giudice o una vecchietta,
quale dei due sceglierebbe?
Se uno di questi giorni
mi capitasse un dilemma simile,
sarebbe la vecchia – ne sono convinto,
l’oggetto della mia scelta!
Occhio al gorilla!
Ma, sfortunatamente, se il gorilla
agli occhi dell’amore vale il suo prezzo,
si sa che al contrario non è che brilli
né per il buon gusto, né per lo spirito.
E allora, invece di optare per la vecchia,
come avrebbe fatto chiunque,
afferrò il giudice per un orecchio
e lo strascinò dentro un cespuglio.
Occhio al gorilla!
Il seguito sarebbe dilettevole,
sfortunatamente non posso
raccontarlo, ed è un vero peccato
perché ci avrebbe fatto ridere un po’,
infatti il giudice, nel momento supremo,
gridava: “Mamma!” e piangeva parecchio,
come l’uomo al quale, quello stesso giorno,
aveva fatto tagliare la testa.
Occhio al gorilla!
2010
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Le petit cheval CD1 TRACK04
(Poème de Paul Fort)
Le p’tit ch’val dans le mauvais temps
Qu’il avait donc du courrage!
C’était un petit cheval blanc
Tous derrière, tous derrière
C’était un petit cheval blanc
Tous derrière et lui devant!
Il n’y avait jamais d’ beau temps
Dans ce pauvre paysage!
Il n’y avait jamais d’ printemps
Il cavallino
(Poesia di Paul Fort)
testo
2010
24
Ni derrière, ni derrière,
Il n’y avait jamais d’ printemps
Ni derrière ni devant!
Mais toujours il était content
Menant les gars du village
A travers la pluie noire des champs
Tous derrière, tous derrière
A travers la pluie noire des champs
Tous derrière et lui devant!
Sa voiture allait poursuivant
Sa bell’ petit’ queue sauvage
C’est alors qu’il était content
Tous derrière, tous derrière
C’est alors qu’il était content
Tous derrière et lui devant!
Mais un jour dans le mauvais temps,
Un jour qu’il était sage
Il est mort par un éclair blanc
Tous derrière, tous derrière
Il est mort par un éclair blanc
Tous derrière et lui devant!
Il est mort sans voir le beau temps
Qu’il avait donc du courrage!
Il est mort sans voir le printemps
Ni derrière, ni derrière
Il est mort sans voir le printemps
Ni derrière, ni devant!
1952
Ballade des dames
du temps jadis (Poème de François Villon)
texte original Dictes moy ou, n'en quel pays, Est Flora, la belle Rommaine,
Archipiada, ne Thaïs, Qui fut sa cousine germaine;
Echo, parlant quand bruyt on maine Dessus rivière ou sus estan,
Qui beaulté ot trop plus qu'humaine? Mais ou sont les neiges d'antan?
Ou est la très sage Helloïs, Pour qui fut chastré, puis moyne Pierre Esbaillart a Saint Denis? Pour son amour ot cest essoyne. Semblablement ou est la royne
Qui commanda que Buridan Fust gecté en ung sac en Saine?
CD1 TRACK05
texte chanté par Brassens Dites-moi où, n’1en quel pays,
Est Flora la belle Romaine, Archipiada né Thaïs,
Qui fut sa cousine germaine, Écho parlant quand bruit on mène
Dessus rivière ou sur étang, Qui beauté eut trop plus qu’humaine.
Mais où sont les neiges d’antan? Qui beauté eut trop plus qu’humaine.
Mais où sont les neiges d’antan?
Où est la très sage Hélois, Pour qui châtré fut et puis moine
Pierre Esbaillart à Saint Denis? Pour son amour eut cette essoyne.
Semblablement où est la reine
Ballata delle dame
dei tempi antichi (Poesia di François Villon)
traduzione Ditemi dove, e in quale paese,
è Flora, la bella Romana,
e Alcibiade, e Thais,
che fu sua gemella nella bellezza;
ed Eco, che parla quando si fan rumori
sui fiumi o presso gli stagni,
e che ebbe bellezza sovrumana....
Ma dove sono le nevi dell’anno passato?
... che ebbe bellezza sovrumana....
Ma dove sono le nevi dell’anno passato?
Dov’è la virtuosissima Eloisa,
per la quale Pietro Abelardo fu evirato
e poi divenne monaco a Saint Denis?
A causa del suo amore ebbe questa sventura.
E allo stesso modo, dov’è la regina
1 Antica congiunzione “ne” (pronuncia: [né]), utilizzata come sinonimo di “et”. Vedi anche, più sotto, “né Thaïs” e “né
de cet an”.
25
Mais ou sont les neiges d'antan?
La royne blanche comme lis, Qui chantoit a voix de seraine;
Berte au grant pié, Bietris, Alis; Haremburgis qui tint le Maine, Et Jehanne, la bonne Lorraine, Qu'Englois brulerent a Rouan;
Ou sont ilz, ou, Vierge souvraine? Mais ou sont les neiges d'antan?
Prince, n’enquérez de sepmaine
Ou elles sont, ne de cest an,
Qu’a ce reffrain [je] ne vous remaine:
Mais ou sont les neiges d’antan?
Qui commanda que Buridan Fut jeté en un sac en Seine?
Mais où sont les neiges d’antan?
Fut jeté en un sac en Seine? Mais où sont les neiges d’antan?
La reine Blanche comme lys Qui chantait à voix de sirène,
Berthe au grand pied, Biétris, Alis, Haremburgis qui tint le Maine,
Et Jeanne la bonne Lorraine Qu’Anglais brulèrent à Rouen;
Où sont-ils, Vierge souveraine? Mais où sont les neiges d’antan?
Où sont-ils, Vierge souveraine? Mais où sont les neiges d’antan?
Prince, n'enquerrez de semaine Où elles sont, né de cet an,
Que ce refrain [je] ne vous ramène : Mais où sont les neiges d'antan?
1953
che ordinò che Buridano
fosse buttato in un sacco nella Senna?
Ma dove sono le nevi dell’anno passato?
... fosse buttato in un sacco nella Senna?
Ma dove sono le nevi dell’anno passato?
La regina Bianca come un giglio
che cantava con voce di sirena,
Berta dai grandi piedi, Beatrice, Alice,
Haremburgis che possedeva il Maine,
e Giovanna, la buona Lorenese,
che gli Inglesi bruciarono a Rouen...
dove sono, Vergine Sovrana?
Ma dove sono le nevi dell’anno passato?
Dove sono, Vergine Sovrana?
Ma dove sono le nevi dell’anno passato? Principe, non domandatemi per questa settimana, e neppure per quest’anno, dove esse siano, affinché non abbia a ripetervi questo ritornello: “Ma dove sono le nevi dell’anno passato?”
2010
Hécatombe CD1 TRACK06
Au marché de Briv’-la-Gaillarde
À propos de bottes d’oignons,
Quelques douzaines de gaillardes
Se crêpaient un jour le chignon.
À pied, a cheval, en voiture,
Les gendarmes mal inspirés
Vinrent pour tenter l’aventure
D’interrompre l’échauffourée.
Or, sous tous les cieux sans vergogne,
C’est un usag’ bien établi,
Dès qu’il s’agit d’rosser les cognes
Tout le monde se réconcilie.
Ces furies perdant tout’ mesure
Se ruèrent sur les guignols,
Et donnèrent je vous l’assure
Un spectacle assez croquignol.
En voyant ces braves pendores
Être à deux doigts de succomber,
Moi, j’ bichais car je les adore
Sous la forme de macchabées,
De la mansarde où je réside
J’exitais les farouches bras
Des mégères gendarmicides
En criant: «Hip, hip, hip, hourra!»
Frénétiqu’ l’un’ d’elles attache
Le vieux maréchal des logis
Et lui fait crier: «Mort aux vaches,
Mort aux lois, vive l’anarchie!»
Une autre fourre avec rudesse
Le crâne d’un de ces lourdauds
Ecatombe
Al mercato di Brive-la-Gaillarde,
per via di qualche mazzo di cipolle,
alcune dozzine di donnone
si accapigliavano un giorno.
A piedi, a cavallo, in macchina,
i gendarmi ebbero la cattiva idea
di accorrere per tentare l’avventura
d’interrompere il tafferuglio.
Ora, sotto tutti i cieli, e senza vergogna,
è un costume ben stabilito:
quando si tratta di menare qualcuno
tutti quanti fanno la pace.
Quelle furie, perdendo ogni controllo,
si avventarono sui fantoccini
e dettero, ve l’assicuro,
uno spettacolo assai grazioso.
Vedendo che quella brava sbirraglia
era sul punto di soccombere,
io ero contento poiché gli sbirri mi piacciono
sotto forma di cadaveri:
dalla mansarda in cui abito
eccitavo le feroci braccia
delle megere gendarmicide
gridando: «Hip, hip, hurrà!».
Una di loro attacca con frenesia
il vecchio maresciallo di quartiere
e gli fa gridare: «Abbasso la polizia,
abbasso le leggi, viva l’anarchia!».
Un’altra ficca violentemente
il cranio di uno di quei tangheri
26
Entre ses gigantesques fesses
Qu’elles serre comme un étau.
La plus grasse de ces femelles
Ouvrant son corsage dilaté
Matraque à grand coup de mamelles
Ceux qui passent à sa portée.
Ils tombent, tombent, tombent, tombent,
Et s’lon les avis compétents
Il paraît que cette hécatombe
Fut la plus bell’ de tous les temps.
Jugeant enfin que leurs victimes
Avaient eu leur content de gnons,
Ces furies comme outrage ultime
En retournant à leurs oignons,
Ces furies à peine si j’ose
Le dire tellement c’est bas,
Leur auraient mêm’ coupé les choses,
Par bonheur ils n’en avait pas.
Leur auraient mêm’ coupé les choses,
Par bonheur ils n’en avait pas.
1952
tra le sue gigantesche natiche
e poi le stringe come una morsa.
La più grassa di quelle femmine,
aprendo la camicetta deformata
randella con gran colpi di mammelle
quelli che passano alla sua portata:
e cadono, cadono, cadono, cadono...
Secondo il giudizio degli esperti
sembra che quella ecatombe
fu la più bella di tutti i tempi.
Giudicando infine che le loro vittime
avevano avuto le botte che meritivano,
quelle furie, come estremo oltraggio,
ritornando alle loro cipolle,
quelle furie (quasi non oso
dirlo per quanto è volgare)
avrebbero loro perfino tagliato i “ cosi”:
meno male che non ce li avevano!
Avrebbero loro perfino tagliato i “cosi”:
meno male che non ce li avevano!
2010
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La chasse aux papillons CD1 TRACK07
Un bon petit diable à la fleur de l’âge,
La jambe légère et l’oeil polisson,
Et la bouche plein’ de joyeux ramages,
Allait à la chasse aux papillons.
Comme il atteignait l’oré du village,
Filant sa quenouille, il vit Cendrillon,
Il lui dit: « Bonjour, que Dieu te ménage,
J’ t’emmène à la chasse aux papillons. »
Cendrillon, ravi’ de quitter sa cage,
Met sa robe neuve et ses botillons;
Et bras d’ssus bras d’ssous vers les frais bocages
Ils vont à la chasse aux papillons.
Ils ne savaient pas que, sous les ombrages,
Se cachait l’amour et son aiguillon,
Et qu’il transperçait les coeurs de leur âge,
Les coeurs des chasseurs de papillons.
Quand il se fit tendre, ell’ lui dit: « J’ présage
Qu’ c’est pas dans les plis de mon cotillon,
Ni dans l’échancrure de mon corsage,
Qu’on va-t-à la chasse aux papillons. »
La caccia alle farfalle
testo
2010
27
Sur sa bouche en feu qui criait: « Sois sage! »
Il posa sa bouche en guis’ de bâillon,
Et c’ fut l’ plus charmant des remu’-ménage
Qu’on ait vu d’ mémoire de papillon.
Un volcan dans l’âme, i’ r’vinr’nt au village,
En se promettant d’aller des millions,
Des milliards de fois, et mêm’ d’avantage,
Ensemble à la chasse aux papillons.
Mais tant qu’ils s’aim’ront, tant que les nuages
Porteurs de chagrins, les épargneront,
I’ f’ra bon voler dans les frais bocages,
I f’ront pas la chasse aux papillons.
1952
Le parapluie CD1 TRACK08
Il pleuvait fort sur la grand-route,
Ell’ cheminait sans parapluie,
J’en avait un, volé sans doute
Le matin meme à un ami.
Courant alors à sa rescousse,
Je lui propose un peu d’abri
En séchant l’eau de sa frimousse,
D’un air très doux ell’ m’a dit oui.
Refrain
Un p’tit coin d’ parapluie,
Contre un coin d’ Paradis.
Elle avait quelque chos’ d’un ange,
Un p’tit coin d’ Paradis,
Contre un coin d’ parapluie.
Je n’ perdait pas au change,
Pardi!
Chemin faisant que se fut tendre
D’ouir à deux le chant joli
Que l’eau du ciel faisait entendre
Sur le toit de mon parapluie.
J’aurais voulu comme au déluge,
voir sans arret tomber la pluie,
Pour la garder sous mon refuge,
Quarante jours, Quarante nuits.
(au refrain)
Mais betement, meme en orage,
Les routes vont vers des pays.
L’ombrello
testo
2010
28
Bientot le sien fit un barrage
A l’horizon de ma foli.
Il a fallut qu’elle me quitte,
Après m’avoir dit grand merci.
Et je l’ai vue toute petite
Partir gaiement vers mon oubli.
(au refrain)
1952
La marine CD1 TRACK09
(Poème de Paul Fort)
On les r’trouve en raccourci
Dans nos p’tits amours d’un jour,
Tout’s les joies, tous les soucis,
Des amours qui dur’nt toujours
C’est là l’sort de la marine
Et de tout’s nos petit’s chéries.
On accoste, vite un bec,
Pour nos baisers, l’corps avec!
Et les joies et les boud’ries,
Les fâcheries, les bons retours,
On les r’trouve en raccourci
Dans nos p’tits amours d’un jour.
On a ri, on s’est baisé,
sur les neunœils, sur les nénés,
Dans les ch’veux à pleins bécots
Pondus comm’ des œufs, tout chauds!
Tout c’qu’on fait dans un seul jour
Et comme on allong’ le temps,
Plus d’trois fois dans un seul jour,
Contents, pas contents, contents!
Y a dans la chambre une odeur
D’amour tendre et de goudron.
Ça vous met la joie au cœur
La peine aussi et c’est bon.
On n’est pas là pour causer,
Mais on pens’ mêm’ dans l’amour
On pens’ que d’main y f’ra jour
Et qu’c’est un’ calamité.
C’est là l’sort de la marine,
Et de tout’s nos petit’s chéries,
On accost’ mais on devine
Qu’ça s’ra pas le paradis!
On aura beau s’dépêcher
Paese di mare
(Poesia di Paul Fort)
Si ritrovano concentrate
nei nostri amoretti di un giorno,
tutte le gioie, tutte le pene
degli amori che durano per sempre.
E’ questa, la sorte dei paesi di mare,
e di tutte le nostre veloci conquiste d’amore:
ci si accosta e poi... presto, una bocca,
e pure un corpo, per i nostri baci!
E le gioie, i volti imbronciati,
i litigi, l’intesa ritrovata...
tutto si ritrova, concentrato,
nei nostri amoretti di un giorno.
Abbiamo riso, ci siamo baciati,
sugli occhietti belli e sulle tettine,
in mezzo ai capelli con infiniti baciotti
caldi caldi, come uova di giornata!
Tutto quello che si fa in un solo giorno
e (poiché si rallenta il tempo)
più di tre volte in un solo giorno:
felici, infelici, felici!
Nella stanza c’è odore
di amor tenero e di catrame,
e quanta gioia vi mette in cuore,
assieme ad un cruccio, ma va bene così.
Non si è venuti fin là per parlare,
ma perfino nell’amore, si pensa...
si pensa che domani si farà giorno,
ed è una vera sciagura.
E’ questa, la sorte dei paesi di mare,
e di tutte le nostre veloci conquiste d’amore:
ci si accosta, ma già si sa
che non sarà questo, il paradiso!
Non servirà a nulla fare presto,
29
Fair’ bon dieu, la pige au temps,
Et l’bourrer d’tous nos pêchés
Ça n’s’ra pas ça et pourtant...
Tout’s les joies, tous les soucis,
Des amours qui dur’nt toujours,
On les r’trouvent en raccourci
Dans nos p’tits amours d’un jour.
1953
buon Dio, e sorpassare il tempo nella corsa,
e caricarlo di tutti i nostri peccati.
Non funzionerà, e tuttavia...
tutte le gioie, tutte le pene
degli amori che durano per sempre,
le ritroviamo, concentrate,
nei nostri amoretti di un giorno.
2010
Corne d’Aurochs CD1 TRACK10
Il avait nom Corne d’Aurochs, au gué, au gué
Tout l’ mond’ peut pas s’app’ler Durand, au gué,
au gué
En le regardant avec un oeil de poète,
On aurait pu croire à son frontal de prophète,
Qu’il avait les grand’s eaux de Versaill’s dans la
tête
Corne d’Aurochs.
Mais que le bon dieu lui pardonne, au gué, au
gué
C’étaient celles du robinet; au gué, au gué
On aurait pu croire en l’ voyant penché sur
l’onde
Qu’il se plongeait dans des méditations
profondes,
Sur l’aspect fugitif des choses de se monde
Corne d’Aurochs.
C’étaient hélas pour s’assurer, au gué, au gué
Qu’ le vent n’ l’avait pas décoiffé, au gué, au gué
Il proclamait à son de trompe à tous les
carrefours
"Il n’y a qu’ les imbéciles qui sachent bien faire
l’amour,
La virtuosité c’est une affaire de balourds!"
Corne d’Aurochs.
Il potassait à la chandelle, au gué, au gué
Des traités de maitien sexuel, au gué, au gué
Et sur les femm’s nues des musées, au gué, au
gué
Faisait l’ brouillon de ses baisers, au gué, au gué
Et bientôt petit à petit, au gué, au gué
On a tout su, tout su de lui, au gué, au gué
Corne d’Auroch
testo
2010
30
On a su qu’il était enfant de la Patrie
Qu’il était incapable de risquer sa vie
Pour cueillir un myosotis à une fille
Corne d’Aurochs.
Qu’il avait un p’tit cousin, au gué, au gué
Haut placé chez les argousins, au gué, au gué
Et que les jours de pénurie, au gué, au gué
Il prenait ses repas chez lui, au gué, au gué
C’est même en revenant d’ chez cet antipathique
Qu’il tomba victime d’une indigestion critique
Et refusa l’ secours de la thérapeutique
Corne d’Aurochs.
Parce que c’était un All’mand, au gué, au gué
Qu’on devait le médicament, au gué, au gué
Il rendit comm’ il put son âme machinale
Et sa vie n’ayant pas été originale
L’Etat lui fit des funérailles nationales
Corne d’Aurochs.
Alors sa veuve en gémissant, au gué, au gué
Coucha avec son remplaçant, au gué, au gué.
1952
Il suffit de passer le pont CD1 TRACK11
Il suffit de passer le pont,
C’est tout de suite l’aventure!
Laisse-moi tenir ton jupon,
J’ t’emmèn’ visiter la nature!
L’herbe est douce à Pâques fleuri’s...
Jetons mes sabots, tes galoches,
Et, légers comme des cabris,
Courons après les sons de cloches!
Dinn din don! les matines sonnent
En l’honneur de notre bonheur,
Ding ding dong! faut l’ dire à personne:
J’ai graissé la patte au sonneur.
Laisse-moi tenir ton jupon,
Courons, guilleret, guillerette,
Il suffit de passer le pont,
Et c’est le royaum’ des fleurettes...
Entre tout’s les bell’s que voici,
Je devin’ cell’ que tu préfères...
C’est pas l’ coquelicot, Dieu merci!
Basta passare il ponte
testo
2010
31
Ni l’ coucou, mais la primevère.
J’en vois un’ blotti’ sous les feuilles,
Elle est en velours comm’ tes jou’s.
Fais le guet pendant qu’ je la cueille:
" Je n’ai jamais aimé que vous! "
Il suffit de trois petits bonds,
C’est tout de suit’ la tarantelle,
Laisse-moi tenir ton jupon,
J’saurai ménager tes dentelles...
J’ai graissé la patte au berger
Pour lui fair’ jouer une aubade.
Lors, ma mi’, sans croire au danger,
Faisons mille et une gambades,
Ton pied frappe et frappe la mousse...
Si l’ chardon s’y pique dedans,
Ne pleure pas, ma mi’ qui souffre:
Je te l’enlève avec les dents!
On n’a plus rien à se cacher,
On peut s’aimer comm’ bon nous semble,
Et tant mieux si c’est un péché:
Nous irons en enfer ensemble!
Il suffit de passer le pont,
Laisse-moi tenir ton jupon.
Il suffit de passer le pont,
Laisse-moi tenir ton jupon.
1953
Comme hier CD1 TRACK12
Hé! donn’ moi ta bouche, hé! ma jolie fraise!
L’aube a mis des frais’s plein notr’ horizon.
Garde tes dindons, moi mes porcs, Thérèse.
Ne r’pouss’ pas du pied mes p’tits cochons.
Va, comme hier! comme hier! comme hier!
Si tu ne m’aimes point, c’est moi qui t’aim’rons.
L’un tient le couteau, l’autre la cuiller:
La vie, c’est toujours les mêmes chansons.
Pour sauter l’ gros sourceau de pierre en pierre,
Comme tous les jours mes bras t’enlèv’ront.
Nos dindes, nos truies nous suivront légères.
Ne r’pouss’ pas du pied mes p’tits cochons.
Va, comme hier! comme hier! comme hier!
Si tu ne m’aimes point, c’est moi qui t’aimerons.
La vie, c’est toujours amour et misère.
Come ieri
testo
2010
32
La vie, c’est toujours les mêmes chansons.
J’ai tant de respect pour ton coeur, Thérèse.
Et pour tes dindons, quand nous nous aimons.
Quand nous nous fâchons, hé! ma jolie fraise,
Ne r’pouss’ pas du pied mes p’tits cochons.
Va, comme hier! comme hier! comme hier!
Si tu ne m’aimes point, c’est moi qui t’aim’rons.
L’un tient le couteau, l’autre la cuiller:
La vie, c’est toujours la même chanson.
1953
Maman, Papa CD1 TRACK13
(en duo avec Patachou)
Maman, maman, en faisant cette chanson,
Maman, maman, je redeviens petit garçon,
Alors je suis sage en classe
Et, pour te fair’ plaisir,
J’obtiens les meilleures places,
Ton désir.
Maman, maman, je préfère à mes jeux fous,
Maman, maman, demeurer sur tes genoux,
Et, sans un mot dire, entendre tes refrains
charmants,
Maman, maman, maman, maman.
Papa, papa, en faisant cette chanson,
Papa, papa, je r’deviens petit garçon,
Et je t’entends sous l’orage
User tout ton humour
Pour redonner du courage
A nos coeurs lourds.
Papa, papa, il n’y eut pas entre nous,
Papa, papa, de tendresse ou de mots doux,
Pourtant on s’aimait, bien qu’on ne se l’avouât
pas,
Papa, papa, papa, papa.
Maman, papa, en faisant cette chanson,
Maman, papa, je r’deviens petit garçon,
Et, grâce à cet artifice,
Soudain je comprends
Le prix de vos sacrifices,
Mes parents.
Maman, papa, toujours je regretterai,
Maman, papa, de vous avoir fait pleurer
Au temps où nos coeurs ne se comprenaient
encor’ pas,
Mamma, papà
(in duo con Patachou)
testo
2010
33
Maman, papa, maman, papa.
1953
Le mauvais sujet repenti CD1 TRACK14
Elle avait la taill’ faite au tour,
Les hanches pleines, Et chassait l’ mâle aux
alentours
De la Mad’leine...
A sa façon d’ me dir’: "Mon rat,
Est-c’ que j’ te tente?"
Je vis que j’avais affaire à
Un’ débutante...
L’avait l’ don, c’est vrai, j’en conviens,
L’avait l’ génie,
Mais sans technique, un don n’est rien
Qu’un’ sal’ manie...
Certes, on ne se fait pas putain
Comme on s’ fait nonne.
C’est du moins c’ qu’on prêche, en latin,
A la Sorbonne...
Me sentant rempli de pitié
Pour la donzelle,
J’ lui enseignai, de son métier,
Les p’tit’s ficelles...
J’ lui enseignai l’ moyen d’ bientôt
Faire fortune,
En bougeant l’endroit où le dos
R’ssemble à la lune...
Car, dans l’art de fair’ le trottoir,
Je le confesse,
Le difficile est d’ bien savoir
Jouer des fesses...
On n’ tortill’ pas son popotin
D’ la mêm’ manière,
Pour un droguiste, un sacristain,
Un fonctionnaire...
Rapidement instruite par
Mes bons offices,
Elle m’investit d’une part
D’ ses bénéfices...
On s’aida mutuellement,
Comm’ dit l’ poète.
Ell’ était l’ corps, naturell’ment,
Puis moi la tête...
Il cattivo soggetto pentito
testo
2010
34
Un soir, à la suite de
Manoeuvres douteuses,
Ell’ tomba victim’ d’une
Maladie honteuses...
Lors, en tout bien, toute amitié,
En fille probe,
Elle me passa la moitié
De ses microbes...
Après des injections aiguës
D’antiseptique,
J’abandonnai l’ métier d’ cocu
Systématique...
Elle eut beau pousser des sanglots,
Braire à tu’-tête,
Comme je n’étais qu’un salaud,
J’ me fis honnête...
Sitôt privé’ de ma tutell’,
Ma pauvre amie
Courrut essuyer du bordel
Les infamies...
Paraît qu’ell’ s’ vend même à des flics,
Quell’ décadence!
Y’a plus d’ moralité publiqu’
Dans notre France...
1952
35
***
CD 2: LES AMOUREUX DES BANCS PUBLICS
Les amoureux des bancs publics CD2 TRACK01
texte
1953
Gli innamorati delle panchine pubbliche
testo
2010
Les gens qui voient de travers
Pensent que les bancs verts
Qu’on voit sur les trottoirs
Sont faits pour les impotents ou les ventripotents
Mais c’est une absurdité
Car à la vérité
Ils sont là c’est notoir’
Pour accueillir quelque temps les amours débutants
Les amoureux qui s’ bécott’nt sur les bancs publics,
Bancs publics, bancs publics,
En s’ fouttant pas mal du regard oblique
Des passants honnetes
Les amoureux qui s’ bécott’nt sur les bancs publics,
Bancs publics, bancs publics,
En s’ disant des " Je t’aim’ " pathétiqu’s
Ont des p’tit’s gueul’ bien sympatiqu’s.
Ils se tiennent par la main
Parlent du lendemain
Du papier bleu d’azur
Que revetiront les murs de leur chambre à coucher.
Ils se voient déjà doucement
Ell’ cousant, lui fumant,
Dans un bien-etre sur
Et choisissant les prénoms de leur premier bébé
Quand les mois auront passé
Quand seront apaisés
Leurs beaux reves flambants
Quand leur ciel se couvrira de gros nuages lourds
Ils s’apercevront émus
Qu’ c’est au hasard des rues
Sur un d’ ces fameux bancs
Qu’ils ont vécu le meilleur morceau de leur amour.
Quand la saint’ famill’ machin
Croise sur son chemin
Deux de ces malappris
Ell’ leur déoche en passant des propos venimeux
N’empech’ que tout’ la famille
Le pér’ la mér’ la fille
Le fils le saint esprit
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Voudrait bien de temps en temps pouvoir s’ conduir’ comme eux.
Brave Margot CD2 TRACK02
texte
1953
Brava Margot
testo
2010
Margoton la jeune bergère
Trouvant dans l’herbe un petit chat
Qui venait de perdre sa mère
L’adopta
Elle entrouvre sa collerette
Et le couche contre son sein
c’était tout c’ quelle avait pauvrette
Comm’ coussin
Le chat la prenant pour sa mère
Se mit à téter tout de go
Emue, Margot le laissa faire
Brav’ margot
Un croquant passan à la ronde
Trouvant le tableau peu commun
S’en alla le dire à tout l’ monde
Et le lendemain
Refrain
Quand Margot dégrafait son corsage
Pour donner la gougoutte à son chat
Tous les gars , tous les gars du village
Etaient là, la la la la la la
Etaient là, la la la la la
Et Margot qu’était simple et très sage
Présumait qu’ c’était pour voir son chat
qu’les gars , tous les gars du village
Etaient là, la la la la la la
Etaient là, la la la la la.
L’ maitre d’école et ses potaches
Le mair’, le bedeau, le bougnat
Négligeaient carrément leur tache
Pour voir ça
Le facteur d’ordinair’ si preste
Pour voir ça, n’ distribuait plus
Les lettre que personne au reste
N’aurait lues.
Pour voir ça, Dieu le pardonne,
Les enfants de coeur au milieu
Du Saint Sacrifice abondonnent
Le Saint lieu.
Les gendarmes, mem’ mes gendarmes
Qui sont par natur’ si ballots
37
Se laissaient toucher par les charmes
Du joli tableau.
(au refrain)
Mais les autr’s femm’s de la commune
Privé’s d’leurs époux, d’leurs galants,
Accumulèrent la rancune
Patiemment…
Puis un jour, ivres de colère,
Elles s’armèrent de bâtons
Et, farouch’s, elles immolèrent
Le chaton…
La bergère, après bien des larmes
Pour s’consoler prit un mari
Et ne dévoila plus ses charmes
Que pour lui…
Le temps passa sur les mémoires,
On oublia l’événement,
Seuls des vieux racontent encore
A leurs p’tits enfants…
(au refrain)
Pauvre Martin CD2 TRACK03
texte
1953
Povero Martino
testo
2010
Avec une bêche à l’épaule,
Avec, à la lèvre, un doux chant,
Avec, à la lèvre, un doux chant,
Avec, à l’âme, un grand courage,
Il s’en allait trimer aux champs
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terr’, creuse le temps
Pour gagner le pain de sa vie,
De l’aurore jusqu’au couchant,
De l’aurore jusqu’au couchant,
Il s’en allait bêcher la terre
En tous les lieux, par tous les temps!
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terr’, creuse le temps
Sans laisser voir, sur son visage,
Ni l’air jaloux ni l’air méchant,
Ni l’air jaloux ni l’air méchant,
Il retournait le champ des autres,
38
Toujours bêchant, toujours bêchant!
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terr’, creuse le temps
Et quand la mort lui a fait signe
De labourer son dernier champ,
De labourer son dernier champ,
Il creusa lui-même sa tombe
En faisant vite, en se cachant...
Pauvre Martin, pauvre misère,
Creuse la terr’, creuse le temps
Il creusa lui-même sa tombe
En faisant vite, en se cachant,
En faisant vite, en se cachant,
Et s’y étendit sans rien dire
Pour ne pas déranger les gens...
Pauvre Martin, pauvre misère,
Dors sous la terr’, dors sous le temps!
La première fille CD2 TRACK04
texte
1954
La prima ragazza
testo
2010
J’ai tout oublié des campagnes
D’Austerlitz et de Waterloo
D’Itali’, de Prusse et d’Espagne,
De Pontoise et de Landerneau
Jamais de la vie
On ne l’oubliera,
La première fill’
Qu’on a pris’ dans ses bras,
La première étrangère
A qui l’on a dit "tu "
Mon coeur, t’en souviens-tu?
Comme ell’ nous était chère...
Qu’ell’ soit fille honnête
Ou fille de rien,
Qu’elle soit pucelle
Ou qu’elle soit putain,
On se souvient d’elle,
On s’en souviendra,
D’la première fill’
Qu’on a pris’ dans ses bras.
Ils sont partis à tire-d’aile
39
Mes souvenirs de la Suzon,
Et ma mémoire est infidèle
A Juli’, Rosette ou Lison
Jamais de la vie
On ne l’oubliera,
La première fill’
Qu’on a pris’ dans ses bras,
C’était un’ bonne affaire
Mon coeur, t’en souviens-tu?
J’ai changé ma vertu
Contre une primevère...
Qu’ ce soit en grand’ pompe
Comme les gens "bien",
Ou bien dans la ru’,
Comm’ les pauvre’ et les chiens,
On se souvient d’elle,
On s’en souviendra,
D’la première fill’
Qu’on a pris’ dans ses bras.
Toi, qui m’as donné le baptême
D’amour et de septième ciel,
Moi, je te garde et, moi, je t’aime,
Dernier cadeau du Pèr’ Noël!
Jamais de la vie
On ne l’oubliera,
La première fill’
Qu’on a pris’ dans ses bras,
On a beau fait’ le brave,
Quand ell’ s’est mise nue
Mon coeur, t’en souviens-tu?
On n’en menait pas large...
Bien d’autres, sans doute,
Depuis, sont venues,
Oui, mais, entre tout’s
Celles qu’on a connues,
Elle est la dernière
Que l’on oubliera,
La première fill’
Qu’on a pris’ dans ses bras.
La cane de Jeanne CD2 TRACK05
La cane
De Jeanne
Est morte au gui l’an neuf,
Elle avait fait, la veille,
Merveille!
L’anatra di Jeanne
L’anatra
di Jeanne
è morta sotto il vischio del nuovo anno:
aveva fatto, la sera prima,
meraviglia!
40
Un oeuf!
La cane
De Jeanne
Est morte d’avoir fait,
Du moins on le présume,
Un rhume,
Mauvais!
La cane
De Jeanne
Est morte sur son oeuf
Et dans son beau costume
De plumes,
Tout neuf!
La cane
De Jeanne,
Ne laissant pas de veuf,
C’est nous autres qui eumes
Les plumes,
Et l’oeuf!
Tous, toutes,
Sans doute,
Garderons longtemps le
Souvenir de la cane
De Jeanne
Morbleu!
1953
un uovo.
L’anatra
di Jeanne
è morta per aver preso
(almeno così si crede)
un raffreddore
cattivo!
L’anatra
di Jeanne
è morta sul suo uovo,
e con il suo bel vestito
di piume,
tutto nuovo!
L’anatra
di Jeanne
non lasciando un vedovo,
siamo noi che avemmo
le piume
e l’uovo.
Tutti, tutte,
forse,
conserveremo a lungo il
ricordo dell’anatra
di Jeanne.
Perbacco!
2010
Vedi approfondimento
Je suis un voyou CD2 TRACK06
Ci-gît au fond de mon coeur
Une histoire ancienne,
Un fantôme, un souvenir
D’une que j’aimais.
Le temps, à grands coups de faux,
Peut faire des siennes,
Mon bel amour dure encore,
Et c’est à jamais.
J’ai perdu la tramontane
En trouvant Margot,
Princesse vêtu’ de laine,
Déesse en sabots.
Si les fleurs, le long des routes,
S’mettaient à marcher,
C’est à la Margot, sans doute,
Sono un mascalzone
Qui giace, in fondo al mio cuore,
una vecchia storia,
un fantasma, il ricordo
di una che amavo.
Il tempo, a gran colpi di falce,
può farne delle belle,
ma il mio grande amore dura ancora,
ed è per sempre.
Ho perso la tramontana
quando ho incontrato Margot,
una principessa vestita di lana,
una dea con gli zoccoletti.
Se i fiori lungo le strade
si mettessero a camminare,
forse a Margot
41
Qu’ell’s feraient songer.
J’lui ai dit: « De la Madone,
Tu es le portrait! »
Le Bon Dieu me le pardonne,
C’était un peu vrai.
Qu’il me pardonne ou non,
D’ailleurs, je m’en fous,
J’ai déjà mon âme en peine:
Je suis un voyou.
La mignonne allait aux vêpres
Se mettre à genoux,
Alors j’ai mordu ses lèvres
Pour savoir leur goût.
Ell’ m’a dit, d’un ton sévère:
« Qu’est-ce que tu fais là? »
Mais elle m’a laissé faire,
Les fill’s, c’est comm’ ça...
J’ lui ai dit: « Par la Madone,
Reste auprès de moi! »
Le Bon Dieu me le pardonne,
Mais chacun pour soi.
Qu’il me pardonne ou non,
D’ailleurs, je m’en fous,
J’ai déjà mon âme en peine:
Je suis un voyou.
C’était une fille sage,
A bouch’, que veux-tu
J’ai croqué dans son corsage
Les fruits défendus.
Ell’ m’a dit d’un ton sévère:
« Qu’est-ce que tu fais là? »
Mais elle m’a laissé faire,
Les fill’s, c’est comm’ ça...
Puis, j’ai déchiré sa robe,
Sans l’avoir voulu...
Le Bon Dieu me le pardonne,
Je n’y tenais plus!
Qu’il me pardonne ou non,
D’ailleurs, je m’en fous,
J’ai déjà mon âme en peine:
Je suis un voyou.
J’ai perdu la tramontane
En perdant Margot,
Qui épousa, contre son âme,
Un triste bigot.
Elle doit avoir à l’heure,
A l’heure qu’il est,
Deux ou trois marmots qui pleurent
farebbero pensare.
Le ho detto: “Sei il ritratto
della Madonna!”
Che il Buon Dio mi perdoni,
era proprio vero.
Che mi perdoni o no,
del resto, me ne frego,
ho già l’anima in pena:
sono un mascalzone.
La piccola se ne andava ai vespri
per inginocchiarsi,
allora ho morso le sue labbra
per coglierne il sapore.
Lei mi ha detto, con un tono severo:
“Ma che fai?”
Però mi ha lasciato fare,
le ragazze sono così...
Le ho detto: “Per la Madonna,
rimani con me!”
Il Buon Dio mi perdoni,
ma ciascun per sé!
Che mi perdoni o no,
del resto, me ne frego,
ho già l’anima in pena:
sono un mascalzone.
Era una ragazza virtuosa,
da veri intenditori;
le ho mordicchiato nella camicetta
i frutti proibiti.
Lei mi ha detto, con un tono severo:
“Ma che fai?”
Però mi ha lasciato fare,
le ragazze sono così...
Poi, ho strappato il suo vestito,
senza farlo apposta...
Il Buon Dio mi perdoni,
non ne potevo più!
Che mi perdoni o no,
del resto, me ne frego,
ho già l’anima in pena:
sono un mascalzone.
Ho perso la tramontana
quando ho perduto Margot,
quando ha sposato, controvoglia,
un triste bigotto.
A quest’ora deve avere,
proprio in questo momento,
due o tre marmocchi che frignano
42
Pour avoir leur lait.
Et, moi, j’ai tété leur mère
Longtemps avant eux...
Le Bon Dieu me le pardonne,
J’étais amoureux!
Qu’il me pardonne ou non,
D’ailleurs, je m’en fous,
J’ai déjà mon âme en peine:
Je suis un voyou.
1954
per avere il loro latte.
Ed io, che ho succhiato la loro mamma
ben prima di loro...
Il Buon Dio mi perdoni,
ero innamorato!
Che mi perdoni o no,
del resto, me ne frego,
ho già l’anima in pena:
sono un mascalzone.
2010
J’ai rendez-vous avec vous CD2 TRACK07
texte
1953
Ho un appuntamento con voi
testo
2010
Monseigneur l’astre solaire,
Comm’ je n’ l’admir’ pas beaucoup,
M’enlèv’ son feu, oui mais, d’ son feu, moi j’ m’en
fous,
J’ai rendez-vous avec vous!
La lumièr’ que je préfère,
C’est cell’ de vos yeux jaloux,
Tout le restant m’indiffère,
J’ai rendez-vous avec vous!
Monsieur mon propriétaire,
Comm’ je lui dévaste tout,
M’ chass’ de son toit, oui mais, d’ son toit, moi je m’en fous
J’ai rendez-vous avec vous!
La demeur’ que je préfère,
C’est votre robe à froufrous,
Tout le restant m’indiffère,
J’ai rendez-vous avec vous!
Madame ma gargotière,
Comm’ je lui dois trop de sous,
M’ chass’ de sa tabl’, oui mais, d’ sa tabl’, moi j’m’en fous,
J’ai rendez-vous avec vous!
Le menu que je préfère,
C’est la chair de votre cou,
Tout le restant m’indiffère,
J’ai rendez-vous avec vous!
Sa majesté financière,
Comm’ je n’ fais rien à son goût,
Garde son or, or, de son or, moi j’ m’en fous,
J’ai rendez-vous avec vous!
La fortun’ que je préfère,
C’est votre cœur d’amadou,
43
Tout le restant m’indiffère,
J’ai rendez-vous avec vous!
Le vent CD2 TRACK08
texte
1953
Il vento
testo
2010
Refrain
Si, par hasard,
Sur l’ pont des Arts,
Tu crois’s le vent, le vent fripon,
Prudenc’, prends garde à ton jupon!
Si, par hasard,
Sur l’ pont des Arts,
Tu crois’s le vent, le vent maraud,
Prudent, prends garde à ton chapeau!
Les jean-foutre et les gens probes
Médis’nt du vent furibond
Qui rebrousse les bois,
Détrouss’ les toits,
Retrouss’ les robes...
Des jean-foutre et des gens probes,
Le vent, je vous en réponds,
S’en soucie, et c’est justic’, comm’ de colin-tampon
Bien sûr, si l’on ne se fonde
Que sur ce qui saute aux yeux,
Le vent semble une brut’ raffolant de nuire à tout l’ monde
Mais une attention profonde
Prouv’ que c’est chez les fâcheux
Qu’il préfèr’ choisir les victim’s de ses petits jeux
Il n’y a pas d’amour heureux CD2 TRACK09
(Poème de Louis Aragon)
texte
1953
Non esistono amori felici
(Poesia di Louis Aragon)
testo
2010
Rien n’est jamais acquis à l’homme Ni sa force
Ni sa faiblesse ni son coeur. Et quand il croit
Ouvrir ses bras son ombre est celle d’une croix.
Et quand il croit serrer son bonheur il le broie
Sa vie est un étrange et douloureux divorce
Il n’y a pas d’amour heureux.
Sa vie Elle ressemble à ces soldats sans armes
Qu’on avait habillés pour un autre destin
A quoi peut leur servir de se lever matin
44
Eux qu’on retrouve au soir désoeuvrés incertains,
Dites ces mots Ma vie Et retenez vos larmes
Il n’y a pas d’amour heureux.
Mon bel amour mon cher amour ma déchirure
Je te porte dans moi comme un oiseau bléssé
Et ceux-là sans savoir nous regarde passer
Répétant après moi les mots que j’ai tressés
Et qui pour tes grands yeux tout aussitôt moururent
Il n’y a pas d’amour heureux.
Le temps d’apprendre à vivre il est déjà trop tard
Que pleurent dans la nuit nos coeurs à l’unisson
Ce qu’il faut de malheur pour la moindre chanson
Ce qu’il faut de regrets pour payer un frisson
Ce qu’il faut de sanglots pour un air de guitare
Il n’y a pas d’amour heureux.
La mauvaise herbe CD2 TRACK10
Quand l’ jour de gloire est arrivé,
Comm’ tous les autr’s étaient crevés,
Moi seul connus le déshonneur
De n’ pas êtr’ mort au champ d’honneur.
Je suis d’la mauvaise herbe,
Braves gens, braves gens,
C’est pas moi qu’on rumine
Et c’est pas moi qu’on met en gerbe.
La mort faucha les autres,
Braves gens, braves gens,
Et me fit grâce à moi,
C’est immoral et c’est comm’ ça!
La la la la la la la la
La la la la la la la la
Et je m’ demand’
Pourquoi, Bon Dieu,
Ça vous dérange
Que j’ vive un peu...
Et je m’ demand’
Pourquoi, Bon Dieu,
Ça vous dérange
Que j’ vive un peu...
La fille à tout l’ monde a bon coeur,
Ell’ me donne, au petit bonheur,
Les p’tits bouts d’ sa peau, bien cachés,
Que les autres n’ont pas touchés.
Je suis d’ la mauvaise herbe,
Braves gens, braves gens,
L’erba cattiva
Quando il giorno della gloria è arrivato,
poiché tutti gli altri erano crepati,
solo io conobbi il disonore
di non esser morto in battaglia.
Io sono l’erba cattiva,
brava gente, brava gente,
non sono un tipo che si può ruminare,
e neppure uno che s’infila nei bouquets.
La morte ha falciato gli altri,
brava gente, brava gente,
e mi ha fatto grazia, proprio a me!
E’ immorale ma è così!
La la la la la la la la
La la la la la la la la
E mi domando
perché, Buon Dio,
vi disturba tanto
che io viva un po’...
E mi domando
perché, Buon Dio,
vi disturba tanto
che io viva un po’...
La pubblica ragazza ha del buon cuore,
mi dona, a casaccio,
i pezzetti della sua pelle, ben nascosti,
che gli altri non hanno mai toccato.
Io sono l’erba cattiva,
brava gente, brava gente,
45
C’est pas moi qu’on rumine
Et c’est pas moi qu’on met en gerbe.
Elle se vend aux autres,
Braves gens, braves gens,
Elle se donne à moi,
C’est immoral et c’est comme ça!
La la la la la la la la
La la la la la la la la
Et je m’ demand’
Pourquoi, Bon Dieu,
Ça vous dérange
Qu’on m’aime un peu...
Et je m’ demand’
Pourquoi, Bon Dieu,
Ça vous dérange
Qu’on m’aime un peu...
Les hommes sont faits, nous dit-on,
Pour vivre en band’, comm’ les moutons.
Moi, j’ vis seul, et c’est pas demain
Que je suivrai leur droit chemin.
Je suis d’ la mauvaise herbe,
Braves gens, braves gens,
C’est pas moi qu’on rumine
Et c’est pas moi qu’on met en gerbe.
Je suis d’ la mauvaise herbe,
Braves gens, braves gens,
Je pousse en liberté
Dans les jardins mal fréquentés!
La la la la la la la la
La la la la la la la la
Et je m’ demand’
Pourquoi, Bon Dieu,
Ça vous dérange
Que j’ vive un peu...
Et je m’ demand’
Pourquoi, Bon Dieu,
Ça vous dérange
Que j’ vive un peu...
1954
non sono un tipo che si può ruminare,
e neppure uno che s’infila nei bouquets.
Lei si vende agli altri,
brava gente, brava gente,
però si concede proprio a me!
E’ immorale ma è così!
La la la la la la la la
La la la la la la la la
E mi domando
perché, Buon Dio,
vi disturba tanto
che mi si ami un po’...
E mi domando
perché, Buon Dio,
vi disturba tanto
che mi si ami un po’...
Gli uomini, ci dicono, son fatti
per vivere insieme, come le pecore.
Io vivo solo, e non sarà domani
che seguirò la loro strada maestra.
Io sono l’erba cattiva,
brava gente, brava gente,
non sono un tipo che si può ruminare,
e neppure uno che s’infila nei bouquets.
Io sono l’erba cattiva,
brava gente, brava gente,
e cresco in libertà
nei giardini mal frequentati!
La la la la la la la la
La la la la la la la la
E mi domando
perché, Buon Dio,
vi disturba tanto
che io viva un po’...
E mi domando
perché, Buon Dio,
vi disturba tanto
che io viva un po’...
2010
Vedi approfondimento
P... de toi CD2 TRACK12
texte
1954
Sei una p...
testo
2010
En ce temps-là, je vivais dans la lune
Les bonheurs d’ici-bas m’étaient tous défendus
46
Je semais des violettes et chantais pour des prunes
Et tendais la patte aux chats perdus.
Refrain
Ah ah ah ah putain de toi
Ah ah ah ah ah ah pauvre de moi...
Un soir de pluie v’là qu’on gratte à ma porte
Je m’empresse d’ouvrir, sans doute un nouveau chat!
Nom de dieu l’ beau félin que l’orage m’apporte
C’était toi, c’était toi, c’était toi.
Les yeux fendus et couleur pistache
T’as posé sur mon coeur ta patte de velours
Fort heureus’ment pour moi t’avais pas de moustache
Et ta vertu ne pesait pas trop lourd.
Au quatre coins de ma vie de bohème
T’as prom’né, t’as prom’né le feu de tes vingt ans.
Et pour moi, pour mes chats, pour mes fleurs, mes poèmes
C’était toi la pluie et le beau temps...
Mais le temps passe et fauche à l’aveuglette.
Notre amour mûrissait à peine que déjà,
Tu brûlais mes chansons, crachais sur mes viollettes,
Et faisais des misaires à mes chats.
Le comble enfin, misérable salope.
Comme il n’ restait plus rien dans le garde-manger,
T’as couru sans vergogne, et pour une escalope,
Te jeter dans le lit du boucher.
C’était fini, t’avais passé les bornes.
Et, r’nonçant aux amours frivoles d’ici-bas,
J’ suis r’monté dans la lune en emportant mes cornes,
Mes chansons, et mes fleurs, et mes chats.
47
***
CD 3: CHANSON POUR L’AUVERGNAT
Chanson pour l’Auvergnat CD3 TRACK01
Elle est à toi cette chanson,
Toi, l’Auvergnat qui, sans façon,
M’as donné quatre bouts de bois
Quand, dans ma vie, il faisait froid,
Toi qui m’as donné du feu quand
Les croquantes et les croquants,
Tous les gens bien intentionnés,
M’avaient fermé la porte au nez...
Ce n’était rien qu’un feu de bois,
Mais il m’avait chauffé le corps,
Et dans mon âme il brûle encor’
A la manièr’ d’un feu de joi’.
Toi, l’Auvergnat, quand tu mourras,
Quand le croqu’-mort t’emportera,
Qu’il te conduise, à travers ciel,
Au Père éternel.
Elle est à toi cette chanson
Toi l’hôtesse qui sans façon
M’as donné quatre bouts de pain
Quand dans ma vie il faisait faim
Toi qui m’ouvris ta huche quand
Les croquantes et les croquants
Tous les gens bien intentionnés
S’amusaient a me voir jeûner
Ce n’était rien qu’un peu de pain
Mais il m’avait chauffé le corps
Et dans mon âme il brûle encore
A la manièr’ d’un grand festin.
Toi, l’hôtesse, quand tu mourras,
Quand le croqu’-mort t’emportera,
Qu’il te conduise, à travers ciel,
Au Père éternel.
Elle est à toi cette chanson
Toi l’étranger qui sans façon
D’un air malheureux m’as souri
Lorsque les gendarmes m’ont pris
Toi qui n’as pas applaudi quand
Les croquantes et les croquants
Tous les gens bien intentionnés
Riaient de me voir emmener
Ce n’était rien qu’un peu de miel
Mais il m’avait chauffé le corps
Canzone per l’Alverniate
Questa canzone è per te,
Alviernate che senza tante cerimonie
mi hai dato quattro pezzi di legna
quando nella mia vita faceva freddo.
Per te, che mi hai dato del fuoco quando
le becere e i beceri
e tutta la gente ben intenzionata
m’avevan sbattuto la porta in faccia.
Non era nulla, giusto un fuoco di legna,
ma aveva scaldato il mio corpo,
e nella mia anima brucia ancora
come se fosse il fuoco della gioia.
E tu, Alverniate, quando morrai,
quando il becchino ti porterà,
possa egli condurti attraverso il cielo
lassù fino al Padreterno.
Questa canzone è per te,
buona signora che senza tante cerimonie
mi hai dato quattro pezzi di pane
quando nella mia vita c’era la fame.
Per te che apristi la credenza quando
le becere e i beceri
e tutta la gente ben intenzionata
si divertivano a vedermi digiunare.
Non era nulla, giusto un poco di pane,
ma aveva scaldato il mio corpo,
e nella mia anima brucia ancora
come se fosse un grande banchetto.
E tu, buona signora, quando morrai,
quando il becchino ti porterà,
possa egli condurti attraverso il cielo
lassù fino al Padreterno.
Questa canzone è per te,
forestiero che senza tante cerimonie
mi hai sorriso con il volto infelice
quando i gendarmi mi han preso.
Per te, che non hai applaudito quando
le becere e i beceri
e tutta la gente ben intenzionata
ridevano mentre mi portavano via.
Non era nulla, giusto un poco di miele,
ma aveva scaldato il mio corpo,
48
Et dans mon âme il brûle encore
A la manièr’ d’un grand soleil.
Toi, l’étranger, quand tu mourras,
Quand le croqu’-mort t’emportera,
Qu’il te conduise, à travers ciel,
Au Père éternel.
1954
e nella mia anima brucia ancora
come se fosse un gran sole.
E tu, forestiero, quando morrai,
quando il becchino ti porterà,
possa egli condurti attraverso il cielo
lassù fino al Padreterno.
2009
Vedi approfondimento
Les sabots d’Hélène CD3 TRACK02
Les sabots d’Hélène
Etaient tout crottés,
Les trois capitaines
L’auraient appelé’ vilaine,
Et la pauvre Hélène
Etait comme une âme en peine...
Ne cherche plus longtemps de fontaine,
Toi qui as besoin d’eau,
Ne cherche plus: aux larmes d’Hélène,
Va-t-en remplir ton seau.
Moi j’ai pris la peine
De les déchausser,
Les sabots d’Hélène,
Moi qui ne suis pas capitaine,
Et j’ai vu ma peine
Bien récompensée...
Dans les sabots de la pauvre Hélène,
Dans ses sabots crottés
Moi j’ai trouvé les pieds d’une reine
Et je les ai gardés.
Son jupon de laine
Etait tout mité,
Les trois capitaines
L’auraient appelé’ vilaine,
Et la pauvre Hélène
Etait comme une âme en peine...
Ne cherche plus longtemps de fontaine,
Toi qui as besoin d’eau,
Ne cherche plus: aux larmes d’Hélène,
Va-t-en remplir ton seau.
Moi j’ai pris la peine
De le retrousser,
Le jupon d’Hélène
Moi qui ne suis pas capitaine,
Et j’ai vu ma peine
Gli zoccoli d’Hélène
Gli zoccoli d’Hélène
erano tutti infangati,
i tre capitani
l’avrebbero chiamata “zoticona”,
e la povera Hélène
era come un’anima in pena...
“Non cercare più la fontana,
tu che hai bisogno d’acqua,
non cercare più: con le lacrime d’Hélène,
vai a riempire il secchio.”
Io mi sono preso la pena
di sfilarli,
gli zoccoli d’Hélène,
io che non sono capitano,
ed ho visto la mia pena
ben ricompensata...
Negli zoccoli della povera Hélène,
nei suoi zoccoli infangati,
io ci ho trovato i piedi di una regina,
e me li sono tenuti!
La sua sottana di lana
era tutta tarmata,
i tre capitani
l’avrebbero chiamata “zoticona”,
e la povera Hélène
era come un’anima in pena...
“Non cercare più la fontana,
tu che hai bisogno d’acqua,
non cercare più: con le lacrime d’Hélène,
vai a riempire il secchio.”
Io mi sono preso la pena
di sollevarla,
la sottana d’Hélène,
io che non sono capitano,
ed ho visto la mia pena
49
Bien récompensée...
Sous le jupon de la pauvre Hélène,
Sous son jupon mité
Moi j’ai trouvé des jambes de reine
Et je les ai gardées.
Et le coeur d’Hélène
N’savait pas chanter,
Les trois capitaines
L’auraient appelé’ vilaine,
Et la pauvre Hélène
Etait comme une âme en peine...
Ne cherche plus longtemps de fontaine,
Toi qui as besoin d’eau,
Ne cherche plus: aux larmes d’Hélène,
Va-t-en remplir ton seau.
Moi j’ai pris la peine
De m’y arrêter,
Dans le coeur d’Hélène,
Moi qui ne suis pas capitaine,
Et j’ai vu ma peine
Bien récompensée...
Et dans le coeur de la pauvre Hélène,
Qui avait jamais chanté,
Moi j’ai trouvé l’amour d’une reine
Et je l’ai gardé.
1954
ben ricompensata...
Sotto la gonna della povera Hélène,
sotto la sua gonna tarmata,
io ci ho trovato le gambe di una regina,
e me le sono tenute!
Ed il cuore d’Hélène
non sapeva cantare,
i tre capitani
l’avrebbero chiamata “zoticona”,
e la povera Hélène
era come un’anima in pena...
“Non cercare più la fontana,
tu che hai bisogno d’acqua,
non cercare più: con le lacrime d’Hélène,
vai a riempire il secchio.”
Io mi sono preso la pena
di indugiarvi,
nel cuore d’Hélène,
io che non sono capitano,
ed ho visto la mia pena
ben ricompensata...
E dentro al cuore della povera Hélène,
che non aveva mai cantato,
io ci ho trovato l’amore di una regina,
e me lo sono tenuto!
2009
Marinette (J’avais l’air d’un con)CD3 TRACK03
texte
1956
Marinetta (Avevo l’aria di un coglione)
testo
2010
Quand j’ai couru chanter ma p’tite chanson pour Marinette
La belle, la traîtresse était allée à l’opéra
Avec ma p’tit chanson, j’avais l’air d’un con ma mère,
Avec ma p’tit chanson, j’avais l’air d’un con.
Quand j’ai couru porte mon pot d’ moutarde à Marinette
La belle, la traîtresse avait déjà fini d’ dîner
Avec mon petit pot, j’avais l’air d’un con ma mère,
Avec mon petit pot, j’avais l’air d’un con.
Quand j’offris pour étrennes un’ bicyclette à Marinette
La belle, la traîtresse avait acheté une auto,
Avec mon p’tit vélo, j’avais l’air d’un con ma mère,
Avec mon p’tit vélo, j’avais l’air d’un con.
Quand j’ai couru tout chose au rendez-vous de Marinette
50
La bell’ disait: "J’ t’adore" à un sal’ typ’ qui l’embrassait
Avec mon bouquet d’ fleurs, j’avais l’air d’un con ma mère,
Avec mon bouquet d’ fleurs, j’avais l’air d’un con.
Quand j’ai couru brûler la p’tit’ cervelle à Marinette
La belle etait déjà morte d’un rhume mal placé,
Avec mon révolver, j’avais l’air d’un con ma mère,
Avec mon révolver, j’avais l’air 6
Quand j’ai couru lugubre à l’enterr’ment de Marinette
La belle, la traîtresse était déjà réssuscitée
Avec ma p’tit couronn’, j’avais l’air d’un con ma mère,
Avec ma p’tit couronn’, j’avais l’air d’un con.
Une jolie fleur CD3 TRACK04
texte
1954
Un grazioso fiore
testo
2010
Jamais sur terre il n’y eut d’amoureux
Plus aveugle que moi dans tous les âges
Mais faut dir’ qu’ je m’était creuvé les yeux
En regardant de trop près son corsage.
Refrain
Un’ jolie fleur dans une peau d’ vache
Un’ jolie vach’ déguisée en fleur
Qui fait la belle et qui vous attache
Puis, qui vous mèn’ par le bout du coeur.
Le ciel l’avait pourvue des mille appas
Qui vous font prendre feu dès qu’on y touche
L’en avait tant que je ne savais pas
Ne savais plus où donner de la bouche.
Ell’ n’avait pas de tête, ell’ n’avait pas
L’esprit beaucoup plus grand qu’un dé à coudre
Mais pour l’amour on ne demande pas
Aux fille d’avoir inventé la poudre.
Puis un jour elle a pris la clef des champs
En me laissant à l’âme un mal funeste
Et toutes les herbes de la Saint-Jean
N’ont pas pu me guérir de cette peste.
J’ lui en ai bien voulu mais à présent
J’ai plus d’ rancune et mon coeur lui pardonne
D’avoir mis mon coeur à feu et à sang
Pour qu’il ne puisse plus servir à personne.
La légende de la nonne CD3 TRACK05 La leggenda della monaca
51
(Poème de Victor Hugo)
texte
1956
(Poesia di Victor Hugo)
testo
2010
Venez, vous dont l’oeil étincelle,
Pour entendre une histoire encor,
Approchez: je vous dirai celle
De doña Padilla del Flor.
Elle était d’Alanje, où s’entassent
Les collines et les halliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Il est des filles à Grenade,
Il en est à Séville aussi,
Qui, pour la moindre sérénade,
A l’amour demandent merci;
Il en est que parfois embrassent,
Le soir, de hardis cavaliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Ce n’est pas sur ce ton frivole
Qu’il faut parler de Padilla,
Car jamais prunelle espagnole
D’un feu plus chaste ne brilla;
Elle fuyait ceux qui pourchassent
Les filles sous les peupliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Elle prit le voile à Tolède,
Au grand soupir des gens du lieu,
Comme si, quand on n’est pas laide,
On avait droit d’épouser Dieu.
Peu s’en fallut que ne pleurassent
Les soudards et les écoliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Or, la belle à peine cloitrée,
Amour en son coeur s’installa.
Un fier brigand de la contrée
Vint alors et dit: Me voilà!
Quelquefois les brigands surpassent
En audace les chevaliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Il était laid: les traits austères,
52
La main plus rude que le gant;
Mais l’amour a bien des mystères,
Et la nonne aima le brigand.
On voit des biches qui remplacent
Leurs beaux cerfs par des sangliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
La nonne osa, dit la chronique,
Au brigand par l’enfer conduit,
Aux pieds de Sainte Véronique
Donner un rendez-vous la nuit,
A l’heure où les corbeaux croassent,
Volant dans l’ombre par milliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Or quand, dans la nef descendue,
La nonne appela le bandit,
Au lieu de la voix attendue,
C’est la foudre qui répondit.
Dieu voulu que ses coups frappassent
Les amants par Satan liés. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Cette histoire de la novice,
Saint Ildefonse, abbé, voulut
Qu’afin de préservé du vice
Les vierges qui font leur salut,
Les prieurs la racontassent
Dans tous les couvents réguliers. --
Enfants, voici des boeufs qui passent,
Cachez vos rouges tabliers.
Colombine CD3 TRACK06
(Poème de Paul Verlaine)
texte
1956
Colombina
(Poesia di Paul Verlaine)
testo
2010
Léandre le sot,
Pierrot qui d’un saut
De puce
Franchit le buisson,
Cassandre sous son
Capuce,
Arlequin aussi,
Cet aigrefin si
Fantasque,
53
Aux costumes fous,
Les yeux luisant sous
Son masque,
Do, mi, sol, mi, fa,
Tout ce monde va,
Rit, chante
Et danse devant
Une frêle enfant
Méchante
Dont les yeux pervers
Comme les yeux verts
Des chattes
Gardent ses appas
Et disent:
"A bas Les pattes! "
L’implacable enfant,
Preste et relevant
Ses jupes,
La rose au chapeau,
Conduit son troupeau
De dupes!
Auprès de mon arbre CD3 TRACK07
Auprès de mon arbre,
Je vivais heureux,
J’aurais jamais dû m’éloigner d’ mon arbre...
Auprès de mon arbre,
Je vivais heureux,
J’aurais jamais dû le quitter des yeux...
J’ai plaqué mon chêne
Comme un saligaud,
Mon copain le chêne,
Mon alter ego,
On était du même bois
Un peu rustique un peu brut,
Dont on fait n’importe quoi
Sauf, naturell’ment, les flûtes...
J’ai maint’nant des frênes,
Des arbr’s de Judée,
Tous de bonne graine,
De haute futaie...
Mais, toi, tu manque’ à l’appel,
Ma vieill’ branche de campagne,
Mon seul arbre de Noël,
Mon mât de cocagne!
Presso il mio albero
Presso il mio albero,
vivevo felice,
non avrei mai dovuto lasciare il mio albero.
Presso il mio albero,
vivevo felice,
non avrei mai dovuto neppure perderlo di vista.
Ho piantato in asso la mia quercia
come una carogna,
il mio amico la quercia,
il mio alter ego;
eravamo fatti con lo stesso legno,
un po’ rustico un po’ rozzo,
con cui si costruisce qualunque cosa
tranne, naturalmente, i flauti.
Adesso ho dei frassini,
alberi di Giudea,
tutti di buon seme,
di alto fusto...
ma tu, tu manchi all’appello,
vecchio amico mio di campagna,
mio solo albero di Natale,
mio palo della cuccagna.
54
(refrain)
Je suis un pauv’ type,
J’aurai plus de joie:
J’ai jeté ma pipe,
Ma vieill’ pipe en bois,
Qui avait fumé sans s’ fâcher,
Sans jamais m’ brûlé la lippe,
L’ tabac d’ la vache enragée
Dans sa bonn’ vieill’ têt’ de pipe...
J’ai des pip’s d’écume
Orné’s de fleurons,
De ces pip’s qu’on fume
En levant le front,
Mais j’ retrouv’rai plus, ma foi,
Dans mon coeur ni sur ma lippe,
Le goût d’ ma vieill’ pip’ en bois,
Sacré nom d’un’ pipe!
(refrain)
Le surnom d’infâme
Me va comme un gant!
D’avecque ma femme
J’ai foutu le camp,
Parc’ que, depuis tant d’anné’s,
C’était pas un’ sinécure
De lui voir tout l’ temps le nez
Au milieu de la figure...
Je bats la campagne
Pour dénicher la
Nouvelle compagne
Valant celle-là,
Qui, bien sûr, laissait beaucoup
Trop de pierr’s dans les lentilles,
Mais se pendait à mon cou
Quand j’ perdais mes billes.
(refrain)
J’avais un’ mansarde
Pour tout logement,
Avec des lézardes
Sur le firmament,
Je l’savais par coeur depuis
Et, pour un baiser la course,
J’emmenais mes bell’s de nuits
Faire un tour sur la grande Ourse...
J’habit’ plus d’ mansarde,
Il peut désormais
Tomber des hall’bardes,
(ritornello)
Sono un povero diavolo,
non avrò più pace:
ho buttato la mia pipa,
la mia vecchia pipa di legno,
che aveva fumato senza mai arrabbiarsi,
senza mai bruciarmi il labbro,
il tabacco di chi tira la cinghia
nella sua buona, vecchia testa di pipa.
Adesso ho delle pipe di schiuma,
decorate con fregi,
di quelle pipe che si fumano
a testa alta,
ma di certo non ritroverò più,
dentro al cuore o sulle labbra,
il gusto della mia vecchia pipa di legno,
porca miseria!
(ritornello)
Il nomignolo d’infame
mi calza come un guanto!
Da mia moglie
ho preso il volo
perché, dopo tanti anni,
non era un affare da poco
vederle tutto il tempo il naso
in mezzo alla faccia.
Adesso batto la campagna
per snidare una
nuova compagna
che valga quell’altra:
certo, forse lasciava
troppe pietruzze tra le lenticchie,
ma mi si attaccava al collo
quando perdevo le staffe.
(ritornello)
Avevo una soffitta
per unica dimora,
con qualche crepa
sul firmamento:
lo conoscevo a memoria
e, per un bacio ad ogni corsa,
accompagnavo le mie belle di notte
a fare un giro sull’Orsa Maggiore.
Adesso non abito più in un solaio,
ormai può anche
piovere a catinelle,
55
Je m’en bats l’oeil mais,
Mais si quelqu’un monte aux cieux
Moins que moi j’y pai’ des prunes:
Y a cent sept ans, qui dit mieux,
Qu’ j’ai pas vu la lune!
(au refrain)
1956
non me ne può fregar di meno ma...
ma, se qualcuno vola al settimo cielo
meno di me, gli pago da bere:
sono centosette anni (chi offre di più?)
che non vedo la luna!
(ritornello)
2010
Vedi approfondimento
Gastibelza (L’homme à la carabine)
CD3 TRACK 08
(Poème de Victor Hugo)
texte
1954
Gastibelza (L’uomo con la carabina)
(Poesia di Victor Hugo)
testo
2010
Gastibelza, l’homme à la carabine,
Chantait ainsi:
« Quelqu’un a-t-il connu doña Sabine?
Quelqu’un d’ici?
Chantez, dansez, villageois! la nuit gagne
Le mont Falu... --
Le vent qui vient à travers la montagne
Me rendra fou.
« Quelqu’un de vous a-t-il connu Sabine,
Ma señora?
Sa mère était la vieille maugrabine
D’Antequera,
Qui chaque nuit criait dans la tour Magne
Comme un hibou... --
Le vent qui vient à travers la montagne
Me rendra fou.
« Vraiment, la reine eût près d’elle été laide
Quand, vers le soir,
Elle passait sur le pont de Tolède
En corset noir.
Un chapelet du temps de Charlemagne
Ornait son cou... --
Le vent qui vient à travers la montagne
Me rendra fou.
Le roi disait, en la voyant si belle,
A son neveu:
« Pour un baiser, pour un sourire d’elle,
Pour un cheveu,
Infant don Ruy, je donnerai l’Espagne
Et le Pérou!
56
Le vent qui vient à travers la montagne
Me rendra fou.
« Je ne sais pas si j’aimais cette dame,
Mais je sais bien
Que, pour avoir un regard de son âme,
Moi, pauvre chien,
J’aurai gaîment passé dix ans au bagne
Sous les verrous... --
Le vent qui vient à travers la montagne
Me rendra fou.
« Quand je voyais cette enfant, moi le pâtre
De ce canton,
Je croyais voir la belle Cléopâtre,
Qui, nous dit-on,
Menait César, empereur d’Allemagne,
Par le licou... --
Le vent qui vient à travers la montagne
Me rendra fou.
« Dansez, chantez, villageois, la nuit tombe
Sabine, un jour,
A tout vendu, sa beauté de colombe,
Tout son amour,
Pour l’anneau d’or du comte de Saldagne,
Pour un bijou... --
Le vent qui vient à travers la montagne
M’a rendu fou.
Le testament CD3 TRACK09
texte
1956
Il testamento
testo
2010
Je serai triste comme un saule
Quand le Dieu qui partout me suit
Me dira, la main sur l’épaule:
"Va-t’en voir là-haut si j’y suis. "
Alors, du ciel et de la terre
Il me faudra faire mon deuil...
Est-il encor debout le chêne
Ou le sapin de mon cercueil?
Est-il encor debout le chêne
Ou le sapin de mon cercueil?
S’il faut aller au cimetière,
J’ prendrai le chemin le plus long,
J’ ferai la tombe buissonnière,
J’ quitterai la vie à reculons...
Tant pis si les croque-morts me grondent,
57
Tant pis s’ils me croient fou à lier,
Je veux partir pour l’autre monde
Par le chemin des écoliers.
Je veux partir pour l’autre monde
Par le chemin des écoliers.
Avant d’aller conter fleurette
Aux belles âmes des damné’s,
Je rêv’ d’encore une amourette,
Je rêv’ d’encor’ m’enjuponner...
Encore un’ fois dire: "je t’aime"...
Encore un’ fois perdre le nord
En effeuillant le chrysanthème
Qui’est la marguerite des morts.
En effeuillant le chrysanthème
Qui’est la marguerite des morts.
Dieu veuill’ que ma veuve s’alarme
En enterrant son compagnon,
Et qu’ pour lui fair’ verser des larmes
Il n’y ait pas besoin d’oignon...
Qu’elle prenne en secondes noces
Un époux de mon acabit:
Il pourra profiter d’ mes bottes,
Et d’ mes pantoufle’ et d’ mes habits.
Il pourra profiter d’ mes bottes,
Et d’ mes pantoufle’ et d’ mes habits.
Qu’il boiv’ mon vin, qu’il aim’ ma femme,
Qu’il fum’ ma pipe et mon tabac,
Mais que jamais - mort de mon âme!
Jamais il ne fouette mes chats...
Quoique je n’ai’ pas un atome,
Une ombre de méchanceté,
S’il fouett’ mes chats, y’a un fantôme
Qui viendra le persécuter.
S’il fouett’ mes chats, y’a un fantôme
Qui viendra le persécuter.
Ici-gît une feuille morte,
Ici finit mon testament...
On a marqué dessus ma porte:
"Fermé pour caus’ d’enterrement. "
J’ai quitté la vi’ sans rancune,
J’aurai plus jamais mal aux dents:
Me v’là dans la fosse commune,
La fosse commune du temps.
Me v’là dans la fosse commune,
La fosse commune du temps.
La prière CD3 TRACK10 La preghiera
58
(Poème de Francis Jammes)
texte
1954
(Poesia di Francis Jammes)
testo
2010
Par le petit garçon qui meurt près de sa mère
Tandis que des enfants s’amusent au parterre ;
Et par l’oiseau blessé qui ne sait pas comment
Son aile tout à coup s’ensanglante et descend
Par la soif et la faim et le délire ardent
Je vous salue, Marie.
Par les gosses battus par l’ivrogne qui rentre,
Par l’âne qui reçoit des coups de pied au ventre
Et par l’humiliation de l’innocent châtié,
Par la vierge vendue qu’on a déshabillée,
Par le fils dont la mère a été insultée
Je vous salue, Marie.
Par la vieille qui, trébuchant sous trop de poids,
S’écrie: "Mon Dieu! " Par le malheureux dont les bras
Ne purent s’appuyer sur une amour humaine
Comme la Croix du Fils sur Simon de Cyrène
Par le cheval tombé sous le chariot qu’il traîne
Je vous salue, Marie.
Par les quatre horizons qui crucifient le Monde,
Par tous ceux dont la chair se déchire ou succombe,
Par ceux qui sont sans pieds, par ceux qui sont sans mains,
Par le malade que l’on opère et qui geint
Et par le juste mis au rang des assassins
Je vous salue, Marie.
Par la mère apprenant que son fils est guéri,
Par l’oiseau rappelant l’oiseau tombé du nid,
Par l’herbe qui a soif et recueille l’ondée,
Par le baiser perdu par l’amour redonné,
Et par le mendiant retrouvant sa monnaie:
Je vous salue, Marie.
Le nombril CD3 TRACK11
texte
1956
L’ombelico
testo
2010
Voir le nombril d’la femm’ d’un flic
N’est certainement pas un spectacle
Qui, du point d’vu’ de l’esthétique,
Puiss’ vous élever au pinacle...
Il y eut pourtant, dans l’vieux Paris,
Un honnête homme sans malice
59
Brûlant d’contempler le nombril
D’la femm’ d’un agent de police...
"Je me fais vieux, gémissait-il,
Et, durant le cours de ma vie,
J’ai vu bon nombre de nombrils
De toutes les catégories:
Nombrils d’femm’s de croque-morts, nombrils
D’femm’s de bougnats, d’ femm’s de jocrisses,
Mais je n’ai jamais vu celui
D’la femm’ d’un agent de police...
"Mon père a vu, comm’ je vous vois,
Des nombrils de femm’s de gendarmes,
Mon frère a goûté plus d’un’ fois
D’ceux des femm’s d’inspecteurs, les charmes...
Mon fils vit le nombril d’la souris
D’un ministre de la justice...
Et moi, j’n’ai même pas vu l’ nombril
D’ la femm’ d’un agent de police... "
Ainsi gémissait en public
Cet honnête homme vénérable,
Quand la légitime d’un flic,
Tendant son nombril secourable,
Lui dit: "Je m’en vais mettre fin
A votre pénible supplice,
Vous fair’ voir le nombril enfin
D’la femrn’ d’un agent de police... "
"Alléluia!" fit le bon vieux,
De mes tourments voici la trêve!
Grâces soient rendu’s au Bon Dieu,
Je vais réaliser mon rêve! "
Il s’engagea, tout attendri,
Sous les jupons d’sa bienfaitrice,
Braquer ses yeux, sur le nombril
D’la femm’ d’un agent de police...
Mais, hélas! il était rompu
Par les effets de sa hantise,
Et comme il atteignait le but
De cinquante ans de convoitise,
La mort, la mort, la mort le prit
Sur l’abdomen de sa complice
Il n’a jamais vu le nombril
D’la femm’ d’un agent de police...
Les croquants CD3 TRACK12
Gli zoticoni
60
texte
1956
testo
2010
Les croquants vont en ville, à cheval sur leurs sous,
Acheter des pucelle’ aux saintes bonnes gens,
Les croquants leur mett’nt à prix d’argent
La main dessus, la main dessous...
Mais la chair de Lisa, la chair fraîch’ de Lison
(Que les culs cousus d’or se fass’nt une raison!)
C’est pour la bouch’ du premier venu
Qui’ a les yeux tendre’ et les mains nues...
Refrain
Les croquants, ça les attriste, ça
Les étonne, les étonne,
Qu’une fille, une fill’ bell’ comm’ ça,
S’abandonne, s’abandonne
Au premier ostrogoth venu:
Les croquants, ça tombe des nues.
Les fill’s de bonnes moeurs, les fill’s de bonne vie,
Qui’ ont vendu leur fleurette à la foire à l’encan,
Vont s’ vautrer dans la couch’ des croquants,
Quand les croquants en ont envie...
Mais la chair de Lisa, la chair fraîch’ de Lison
(Que les culs cousus d’or se fass’nt une raison!)
N’a jamais accordé ses faveurs
A contre-sous, à contrecoeur...
Les fill’s de bonne vie ont le coeur consistant
Et la fleur qu’on y trouve est garanti’ longtemps,
Comm’ les fleurs en papier des chapeux,
Les fleurs en pierre des tombeaux...
Mais le coeur de Lisa, le grand coeur de Lison
Aime faire peau neuve avec chaque saison:
Jamais deux fois la même couleur,
Jamais deux fois la même fleur...
***
CD 4: JE ME SUIS FAIT TOUT PETIT
***
CD 5: LE PORNOGRAPHE
***
CD 6: LE MÉCREANT
***
CD 7: LES TROMPETTES DE LA RENOMMÉE
61
***
CD 8: LES COPAINS D’ABORD
***
CD 9: SUPPLIQUE POUR ÊTRE ENTERRÉ À LA PLAGE DE SÈTE
***
CD 10: LA RELIGIEUSE
***
CD 11: FERNANDE
***
CD 12: DON JUAN
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Les Passantes
(Poème de Antoine Pol)
Je veux dédier ce poème
A toutes les femmes qu’on aime
Pendant quelques instants secrets
A celles qu’on connait à peine
Qu’un destin différent entraîne
Et qu’on ne retrouve jamais
A celle qu’on voit apparaître
Une seconde à sa fenêtre
Et qui, preste, s’évanouit
Mais dont la svelte silhouette
Est si gracieuse et fluette
Qu’on en demeure épanoui
A la compagne de voyage
Dont les yeux, charmant paysage
Font paraître court le chemin
Qu’on est seul, peut-être, à comprendre
Et qu’on laisse pourtant descendre
Sans avoir effleuré sa main
A celles qui sont déjà prises
Et qui, vivant des heures grises
Près d’un être trop différent
Vous ont, inutile folie,
62
Laissé voir la mélancolie
D’un avenir désespérant
Chères images aperçues
Espérances d’un jour déçues
Vous serez dans l’oubli demain
Pour peu que le bonheur survienne
Il est rare qu’on se souvienne
Des épisodes du chemin
Mais si l’on a manqué sa vie
on songe avec un peu d’envie
A tous ces bonheurs entrevus
Aux baisers qu’on n’osa pas prendre
Aux coeurs qui doivent vous attendre
Aux yeux qu’on n’a jamais revus
Alors, aux soirs de lassitude
Tout en peuplant sa solitude
Des fantômes du souvenir
On pleure les lêvres absentes
De toutes ces belles passantes
Que l’on n’a pas su retenir
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Stances aù un cambrioleur
Prince des monte-en-l’air et de la cambriole,
Toi qui eus le bon gout de choisir ma maison
Cependant que je colportais mes godrioles
En ton honneur j’ai compose cette chanson
Sache que j’apprecie aù sa valeur le geste
Qui te fit bien fermer la porte en repartant
De peur que des rodeurs n’emportassent le reste
Des voleurs comme il faut c’est rare de ce temps,
Tu ne m’as derobe que le stricte necessaire,
Delaissant dedaigneux l’execrable portrait
Que l’on m’avait offert aù mon anniversaire
Quel bon critique d’art mon salaud tu ferais!
Autre signe indiquant toute absence de tare,
Respectueux du brave travailleur tu n’as
Pas cru decent de me priver de ma guitare,
Solidarite sainte de l’artisanat.
63
Pour toutes ces raisons vois-tu, je te pardonne
Sans arriere pensee apres mur examen
Ce que tu m’as vole, mon vieux, je te le donne,
Ca pouvait pas tomber en de meilleures mains.
D’ailleurs mi qui te parle, avec mes chansonnettes,
Si je n’avais pas du rencontrer le succes,
J’aurais tout comme toi, pu virer malhonete,
Je serais devenu ton complice, qui sait?
En vendant ton butin, prends garde au marchandage,
Ne vas pas tout lacher en solde au receleurs,
Tiens leur la dragee haute en evoquant l’adage
Qui dit que ces gens-laù sont pis que les voleurs.
Fort de ce que je n’ai pas sonne les gendarmes,
Ne te crois pas du tout tenu de revenir,
Ta moindre recidive abolirait le charme,
Laisse moi je t’en pri’, sur un bon souvenir.
Monte-en-l’ai mon ami,que mon bien te profite,
Que Mercure te preserve de la prison,
Et pas trop de remors, d’ailleurs nous sommes quittes,
Apres tout ne te dois-je pas une chanson?
Post-Scriptum,Si le vol est l’art que tu preferes,
Ta seule vocation,ton unique talent,
Prends donc pigon sur ru’,mets-toi dans les affaires,
Et tu auras les flics meme comme chalands.
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Mourir pour des idées
Mourir pour des idées, l’idée est excellente .
Moi j’ai failli mourir de ne l’avoir pas eu .
car tous ceux qui l’avaient, multitude accablante,
En hurlant à la mort me sont tombés dessus .
Ils ont su me convaicre et ma muse insolente,
Abjurant ses erreurs, se rallie à leur foi
Avec un soupçon de réserve toutefois:
Mourrons pour des idées d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente .
Jugeant qu’il n’y a pas péril en la demeure,
Allons vers l’autre monde en flânant en chemin
Car, à forcer l’allure, il arrive qu’on meure
Pour des idées n’ayant plus cours le lendemain .
64
Or, s’il est une chose amère, désolante,
En rendant l’âme à Dieu c’est bien de constater
Qu’on a fait fausse rout’, qu’on s’est trompé d’idée,
Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente .
Les saint jean bouche d’or qui prêchent le martyre,
Le plus souvent, d’ailleurs, s’attardent ici-bas .
Mourir pour des idées, c’est le cas de le dire,
C’est leur raison de vivre, ils ne s’en privent pas .
Dans presque tous les camps on en voit qui supplantent
Bientôt Mathusalem dans la longévité .
J’en conclus qu’ils doivent se dire, en aparté:
"Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente ."
Des idé’s réclamant le fameux sacrifice,
Les sectes de tout poil en offrent des séquelles,
Et la question se pose aux victimes novices:
Mourir pour des idé’s, c’est bien beau mais lesquelles?
Et comme toutes sont entre elles ressemblantes,
Quand il les voit venir, avec leur gros drapeau,
Le sage, en hésitant, tourne autour du tombeau .
Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente .
Encor s’il suffisait de quelques hécatombes
Pour qu’enfin tout changeât, qu’enfin tout s’arrangeât!
Depuis tant de "grands soirs" que tant de têtes tombent,
Au paradis sur terre on y serait déjà .
Mais l’âge d’or sans cesse est remis aux calendes,
Les dieux ont toujours soif, n’en ont jamais assez,
Et c’est la mort, la mort toujours recommencé’ ...
Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente .
O vous, les boutefeux, ô vous les bons apôtres,
Mourez donc les premiers, nous vous cédons le pas .
Mais de grâce, morbleu! laissez vivre les autres!
La vie est &agrace; peu près leur seul luxe ici bas ;
Car, enfin, la Camarde est assez vigilante,
Elle n’a pas besoin qu’on lui tienne la faux .
Plus de danse macabre autour des échafeauds!
Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente .
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
65
La Princesse et le Croque-notes
Jadis, au lieu du jardin que voici,
C’etait la zone et tout ce qui s’ensuit,
Des masures des taudis insolites,
Des ruines pas romaines pour un sou.
Quant aù la faune habitant la dessous
C’etait la fine fleur c’etait l’élite.
La fine fleur, l’élite du pavé.
Des besogneux des gueux des réprouvés,
Des mendiants rivalisant de tares,
Des chevaux de retour des propres aù rien,
Ainsi qu’un croque-note, un musicien,
Une épave accrochée aù sa guitare.
Adoptée par ce beau monde attendri,
Une petite fée avait fleuri
Au milieu de toute cette bassesse.
Comme on l’avait trouvée pres du ruisseau,
Abandonnée en un somptueux berceau,
A tout hasard on l’appelait "princesse".
Or, un soir, Dieu du ciel, protégez nous!
La voila qui monte sur les genoux
Du croque-note et doucement soupire,
En rougissant quand meme un petit peu:
"C’est toi que j’aime et si tu veux tu peux
M’embrasser sur la bouche et meme pire ..."
"-Tout beau, princesse arrete un peu ton tir,
J’ai pas tellement l’étoffe du sayr’,
Tu a treize ans,j’en ai trente qui sonnent,
Gross différence et je ne suis pas chaud
Pour tater d’la paille humide du cachot ...
-Mais croque-not’,j’dirais rien aù personne ..."
-N’insiste pas fit-il d’un ton railleur,
D’abord tu n’es pas mon genre et d’ailleurs
Mon coeur est dejaù pris par une grande ..."
Alors princesse est partie en courant,
Alors princesse est partie en pleurant,
Chagrine qu’on ait boudé son offrande.
Y a pas eu détournement de mineure,
Le croque-note au matin, de bonne heure,
A l’anglaise a filé dans la charette
Des chiffonniers en grattant sa guitare.
Passant par laù quelques vingt ans plus tard,
Il a le sentiment qu’il le regrette.
66
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le Roi
Non certe’,elle n’est pas bâtie,
Non certe’,elle n’est pas bâtie
Sur du sable,sa dynastie,
Sur du sable,sa dynastie.
Il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Il peut dormir,ce souverain,
Il peut dormir,ce souverain,
Sur ses deux oreilles,serein,
Sur ses deux oreilles,serein.
Il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Je,tu,il,elle,nous,vous,ils,
Je,tu,il,elle,nous,vous,ils,
Tout le monde le suit,docil’,
Tout le monde le suit,docil’.
Il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Il est possible,au demeurant,
Il est possible,au demeurant,
Qu’on déloge le shah d’Iran,
Qu’on déloge le shah d’Iran,
Mais il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Qu’un jour on dise:"C’est fini",
Qu’un jour on dise:"C’est fini"
Au petit roi de Jordani’,
Au petit roi de Jordani’,
Mais il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Qu’en Abyssinie on récus’,
Qu’en Abyssinie on récus’,
Le roi des rois,le bon Négus,
Le roi des rois,le bon Négus,
67
Mais il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Que,sur un air de fandango,
Que,sur un air de fandango,
On congédi’ le vieux Franco,
On congédi’ le vieux Franco,
Mais il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Que la couronne d’Angleterre,
Que la couronne d’Angleterre,
Ce soir,demain,roule par terre,
Ce soir,demain,roule par terre,
Mais il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Que, ça c’est vu dans le passé,
Que,ça c’est vu dans le passé,
Marianne soit renversé’
Marianne soit renversé’
Mais il y a peu de chances qu’on
Détrône le roi des cons.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le Roi boiteux
(Poème de Gustave Nadaud)
Un roi d’Espagne, ou bien de France,
Avait un cor, un cor au pied;
C’etait au pied gauche, je pense;
Il boitait aù faire pitie.
Les courtisans, espace adroite,
S’appliquerent aù limiter,
Et qui de gauche, qui de droite,
Il apprirent tous aù boiter.
On vit bientot le bénéfice
Que cette mode rapportait;
Et de l’antichambre aù l’office,
Tout le monde boitait,boitait.
68
Un jour, un seigneur de province,
Oubliant son nouveau métier,
Vint aù passer devant le prince,
Ferme et droit comme un peuplier.
Tout le monde se mit aù rire,
Excepté le roi qui, tout bas,
Murmura:"Monsieur,qu’est-ce aù dire?
Je crois que vous ne boitez pas."
"Sire, quelle erreur est la votre!
Je suis crible de cors; voyez:
Si je marche plus droit qu’un autre,
C’est que je boite des deux pieds."
Titre CD(?)
texte
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Titolo
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2010
Quatre-vingt-quinze pour cent
La femme qui possède tout en elle
Pour donner le goût des fêtes charnelles,
La femme qui suscite en nous tant de passion brutale,
La femme est avant tout sentimentale .
Mais dans la main les longues promenades,
Les fleurs, les billets doux, les sèrènades,
Les crimes, les foli’s que pour ses beaux yeux l’on commet,
La transporte, mais...
Refrain
Quatre-vingt-quinze fois sur cent,
La femme s’emmerde en baisant .
Qu’elle le taise ou le confesse
C’est pas tous les jours qu’on lui déride les fesses .
Les pauvres bougres convaincus
Du contraire sont des cocus .
A l’heure de l’oeuvre de chair
Elle est souvent triste, peuchèr!
S’il n’entend le coeur qui bat,
Le corps non plus ne bronche pas .
Sauf quand elle aime un homme avec tendresse,
Toujours sensible alors à ses caresses,
Toujour bien disposé’, toujours encline à s’émouvoir,
Ell’ s’emmerd’ sans s’en apercevoir .
Ou quand elle a des besoins tyranniques,
Qu’elle souffre de nymphmani’ chronique,
C’est ell’ qui fait alors passer à ses adorateurs
69
De fichus quart d’heure .
Les "encore", les "c’est bon", les "continue"
Qu’ell’ cri’ pour simuler qu’ell’ monte aux nues,
C’est pure charité, les soupir des anges ne sont
En général que de pieux menson(ges) .
C’est à seule fin que sont partenaire
Se croie un amant extraordinaire,
Que le coq imbécile et prétentieux perché dessus
Ne soit pas déçu .
J’entends aller de bon train les commentaires
De ceux qui font des châteaux à Cyth&egrace;re:
"C’est parce que tu n’es qu’un malhabile, un maladroit,
Qu’elle conserve toujours son sang-froid ."
Peut-être, mais les assauts vous pèsent
De ces petits m’as-tu-vu-quand-je-baise,
Mesdam’s, en vous laissant manger le plaisir sur le dos,
Chantez in petto...
A l’ombre des maris CD2
Les dragons de vertu n’en prennent pas ombrage,
Si j’avais eu l’honneur de commander à bord,
A bord du Titanic quand il a fait naufrage,
J’aurais crié: “Les femm’s adultères d’abord!”
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Car, pour combler les voeux, calmer la fievre
[ardente
Du pauvre solitaire et qui n’est pas de bois,
Nulle n’est comparable à l’épouse inconstante.
Femmes de chefs de gar’, c’est vous la fleur des
[pois.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Quant à vous, messeigneurs, aimez à votre guise,
En ce qui me concerne, ayant un jour compris
Qu’une femme adultère est plus qu’une autre
[exquise,
Je cherche mon bonheur à l’ombre des maris.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
A l’ombre des maris mais, cela va sans dire,
Pas n’importe lesquels, je les tri’, les choisis.
All’ombra dei mariti
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70
Si madame Dupont, d’aventure, m’attire,
Il faut que, par surcroit, Dupont me plaise aussi!
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Il convient que le bougre ait une bonne poire
Sinon, me ravisant, je détale à grands pas,
Car je suis difficile et me refuse à boire
Dans le verr’ d’un monsieur qui ne me revient
[pas.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Ils sont loins mes débuts ou, manquant de
[pratique,
Sur des femmes de flics je mis mon dévolu.
Je n’étais pas encore ouvert à l’esthétique.
Cette faute de goût je ne la commets plus.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Oui, je suis tatillon, pointilleux, mais j’estime
Que le mari doit être un gentleman complet,
Car on finit tous deux par devenir intimes
A force, à force de se passer le relais.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Mais si l’on tombe, hélas! sur des maris infâmes,
Certains sont si courtois, si bons, si chaleureux,
Que, même après avoir cessé d’aimer leur
[femme,
On fait encor’ semblant uniquement pour eux.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
C’est mon cas ces temps-ci, je suis triste,
[malade,
Quand je dois faire honneur à certaine pécore.
Mais, son mari et moi, c’est Oreste et Pylade,
Et, pour garder l’ami, je la cajole encore.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Non contente de me déplaire, elle me trompe,
71
Et les jours ou, furieux, voulant tout mettre à bas,
Je cri’: “La coupe est pleine, il est temps que je
[rompe!”
Le mari me suppli’: “Non ne me quittez pas!”
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Et je reste, et, tous deux, ensemble on se
[flagorne.
Moi, je lui dis: “C’est vous mon cocu préféré”.
Il me réplique alors: “Entre toutes mes cornes,
Celles que je vous dois, mon cher, me sont
[sacré’s.”
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,
Je suis derrière...
Et je reste et, parfois, lorsque cette pimbêche
S’attarde en compagni’ de son nouvel amant,
Que la nurse est sorti’, le mari à la pêche,
C’est moi, pauvre de moi! qui garde les enfants.
Ne jetez pas la pierre à la femme adultère.
Le mécréant CD(?)
Est-il en notre temps rien de plus odieux,
De plus désespérant,
que de n’ pas croire en Dieu?
J’ voudrais avoir la foi,
la foi d’ mon charbonnier,
Qui est heureux comme un pape
et con comme un panier.
Mon voisin du dessus,
un certain Blaise Pascal,
M’a gentiment donné
ce conseil amical:
Mettez-vous à genoux, priez et implorez,
Faites semblant de croire, et bientôt vous croirez.
J’ me mis à débiter,
les rotules à terr’,
Tous les Ave Maria, tous les Pater Noster,
Dans les rues, les cafés, les trains, les autobus,
Tous les De Profundis, tous les Morpionibus...
Il miscredente
Ai nostri giorni c’è niente di più odioso,
di più sconfortante,
che non credere in Dio?
Vorrei avere la fede,
la fede del mio spazzacamino,
il quale è felice come un re
e stupido come un’oca.
Il mio vicino del piano di sopra,
un certo Blaise Pascal,
gentilmente mi ha dato
questo consiglio d’amico:
«Si metta in ginocchio, preghi, supplichi,
faccia finta di credere, e presto crederà!»
Mi sono messo a produrre,
con le rotule per terra,
tutti gli Avemaria, tutti i Pater Noster,
per le vie, nei caffè, sui treni e gli autobus,
tutti i De Profundis, tutti i “morpionibus”...
72
Sur ces entrefaites là, trouvant dans les orties
Un’ soutane à ma taill’, je m’en suis travesti
Et, tonsuré de frais, ma guitarre à la main,
Vers la foi salvatrice
je me mis en chemin.
J’ tombai sur un boisseau
d’ punaises de sacristie,
Me prenant pour un autre,
en choeur, elles m’ont dit:
Mon père, chantez-nous donc
quelque refrain sacré,
Quelque sainte chanson dont vous avez l’ secret!
Grattant avec ferveur les cordes sous mes doigts,
J’entonnai le Gorille avec Putain de Toi.
Criant à l’imposteur, au traître, au papelard,
Elles veul’nt me fair subir
le supplice d’Abélard,
Je vais grossir les rangs
des muets du sérail,
Les belles ne viendront plus
se pendre à mon poitrail,
Grâce à ma voix coupé
j’aurai la plac’ de choix
Au milieu des Petits Chanteurs à la croix d’ bois.
Attirée par le bruit, un’ dam’ de Charité,
Leur dit: Que faites-vous?
Malheureuses arrêtez!
‘Y a tant d’hommes aujourd’hui
qui ont un penchant pervers
À prendre obstinément Cupidon à l’envers,
Tant d’hommes dépourvus de leurs virils appas,
À ceux qui en ont encor’
ne les enlevons pas!
Ces arguments massue firent
un’ grosse impression,
On me laissa partir avec des ovations.
Mais, su l’ chemin du ciel,
je n’ ferai plus un pas,
In quel mentre, trovando fra le ortiche
una tonaca della mia misura, mi sono travestito
e, con la tonsura fresca e la chitarra in mano,
verso la fede salvatrice
mi sono messo in cammino.
Mi imbattei in un gruppetto
di bigotte.
Prendendomi per un altro,
queste, in coro, mi dicono:
«Padre, ci canti dunque
qualche sacro ritornello,
qualche santa canzone che solo lei conosca!»
Grattando con fervore le corde sotto le dita
intonai “Il gorilla” e “Sei una puttana”.
Gridando all’impostore, al traditore, all’ipocrita
le signore vogliono farmi subire
il supplizio di Abelardo:
andrò a ingrossare le fila
degli eunuchi del serraglio,
le belle donne non verranno più
ad attaccarsi al mio davanzale,
grazie alla mia voce bianca
avrò il posto d’onore
in mezzo ai Piccoli coristi della Croce di legno.
Attirata dalla confusione, una Dama di Carità
parla loro così: «Ma che fate, disgraziate?
Smettetela!
Ci sono talmente tanti uomini, oggigiorno,
che hanno la tendenza pervertita
di prendere Cupido sempre al contrario,
tanti uomini sprovvisti degli attributi virili...
A quelli che ancora ce li hanno,
non togliamoglieli!»
Questi argomenti schiaccianti fecero
una grossa impressione:
mi lasciarono andare tra le ovazioni.
Ma, sul cammino del Cielo,
io non farò più un passo:
73
La foi viendra d’elle même
ou ell’ ne viendra pas.
Je n’ai jamais tué, jamais violé non plus,
‘Y a déjà quelque temps que je vole plus,
Si l’Éternel existe, en fin de compte, il voit
Qu je m’ conduis guèr’ plus mal
que si j’avais la foi.
?
la fede verrà da sola,
oppure non verrà.
Non ho mai ucciso, e neppure violentato,
ed è già un po’ di tempo che non rubo più:
se il Padreterno esiste, in fin dei conti, vede
che non mi comporto molto peggio
che se avessi la fede.
2010
Vedi approfondimento
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Les Copains d’abord
Non ce n’était pas le radeau
De la méduse ce bateau
Qu’on se le dise au fond des ports
Dise au fond des ports
Il navigait en père peinard
Sur la grand’mare des canards
Et s’app’lait "Les copains d’abord"
Les copains d’abord
Non, ce n’était pas le radeau
De la Méduse, ce bateau,
Qu’on se le dis’ au fond des ports,
Dis’ au fond des ports,
Il naviguait en pèr’ peinard
Sur la grand-mare des canards,
Et s’app’lait les Copains d’abord
Les Copains d’abord.
Ses fluctuat nec mergitur
C’était pas d’la litteratur’,
N’en déplaise aux jeteurs de sort,
Aux jeteurs de sort,
Son capitaine et ses mat’lots
N’étaient pas des enfants d’salauds,
Mais des amis franco de port,
Des copains d’abord.
C’étaient pas des amis de lux’,
Des petits Castor et Pollux,
Des gens de Sodome et Gomorrh’,
74
Sodome et Gomorrh’,
C’étaient pas des amis choisis
Par Montaigne et La Boeti’,
Sur le ventre ils se tapaient fort,
Les copains d’abord.
C’étaient pas des anges non plus,
L’Evangile, ils l’avaient pas lu,
Mais ils s’aimaient tout’s voil’s dehors,
Tout’s voil’s dehors,
Jean, Pierre, Paul et compagnie,
C’était leur seule litanie
Leur Credo, leur Confitéor,
Aux copains d’abord.
Au moindre coup de Trafalgar,
C’est l’amitié qui prenait l’quart,
C’est elle qui leur montrait le nord,
Leur montrait le nord.
Et quand ils étaient en détresse,
Qu’leur bras lancaient des S.O.S.,
On aurait dit les sémaphores,
Les copains d’abord.
Au rendez-vous des bons copains,
Y’avait pas souvent de lapins,
Quand l’un d’entre eux manquait a bord,
C’est qu’il était mort.
Oui, mais jamais, au grand jamais,
Son trou dans l’eau n’se refermait,
Cent ans après, coquin de sort!
Il manquait encor.
Des bateaux j’en ai pris beaucoup,
Mais le seul qui’ait tenu le coup,
Qui n’ai jamais viré de bord,
Mais viré de bord,
Naviguait en père peinard
Sur la grand-mare des canards,
Et s’app’lait les Copains d’abord
Les Copains d’abord.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Cupidon s’en fout
Pour changer en amour notre amourette,
75
Il s’en serait pas fallu de beaucoup,
Mais, ce jour là, Vénus était distraite,
Il est des jours où Cupidon s’en fout.
Des jours où il joue les mouches du coche.
Où, elles sont émoussées dans le bout,
Les flèches courtoises qu’il nous décoche,
Il est des jours où Cupidon s’en fout.
Se consacrant à d’autres imbéciles,
Il n’eu pas l’heur de s’occuper de nous,
Avec son arc et tous ses ustensiles,
Il est des jours où Cupidon s’en fout.
On tenté sans lui d’ouvrir la fête,
Sur l’herbe tendre, on s’est roulés, mais vous
Avez perdu la vertu, pas la tête,
Il est des jours où Cupidon s’en fout.
Si vous m’avez donné toute licence,
Le coeur, hélas, n’était pas dans le coup;
Le feu sacré brillait par son abscence,
Il est des jours où Cupidon s’en fout.
On effeuilla vingt fois la marguerite,
Elle tomba vingt fois sur «pas du tout».
Et notre pauvre idylle a fait faillite,
Il est des jours où Cupidon s’en fout.
Quand vous irez au bois conter fleurette,
Jeunes galants, le ciel soit avec vous.
Je n’eus pas cette chance et le regrette,
Il est des jours où Cupidon s’en fout.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Tonton Nestor
Tonton Nestor,
Vous eûtes tort,
Je vous le dis tout net.
Vous avez mis
La zizani’
Aux noces de Jeannett’.
Je vous l’avou’,
Tonton, vous vous
76
Comportâtes comme un
Mufle achevé,
Rustre fiéffé,
Un homme du commun.
Quand la fiancé’,
Les yeux baissés,
Des larmes pleins les cils,
S’apprêtait à
Dire " Oui da! "
A l’officier civil,
Qu’est-c’ qui vous prit,
Vieux malappris,
D’aller, sans retenue,
Faire un pinçon
Cruel en son
Eminence charnue?
Se retournant
Incontinent,
Ell’ souffleta, flic-flac!
L’ garçon d’honneur
Qui, par bonheur,
Avait un’ tête à claqu’,
Mais au lieu du
" Oui " attendu,
Ell’ s’écria: " Maman "
Et l’ mair’ lui dit:
" Non, mon petit,
Ce n’est pas le moment. "
Quand la fiancé’,
Les yeux baissés,
D’une voix solennell’
S’apprêtait à
Dire " Oui da! "
Par-devant l’Eternel,
Voila mechef
Que, derechef,
Vous osâtes porter
Votre fichue
Patte crochue
Sur sa rotondité.
Se retournant
Incontinent,
Elle moucha le nez
D’un enfant d’choeur
Qui, par bonheur,
Etait enchifrené,
Mais au lieu du
77
" Oui " attendu,
De sa pauvre voix lass’,
Au tonsuré
Désemparé
Elle a dit " Merde ", hélas!
Quoiqu’elle usât,
Qu’elle abusât
Du droit d’être fessu’,
En la pinçant,
Mauvais plaisant,
Vous nous avez déçus.
Aussi, ma foi,
La prochain’ fois
Qu’on mariera Jeannett’,
On s’ pass’ra d’vous.
Tonton, je vous,
Je vous le dit tout net.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La ballade des cimetières
J’ai des tombeaux en abondance,
Des sépultur’ à discrétion,
Dans tout cim’tièr’ d’ quelque importance
J’ai ma petite concession.
De l’humble tertre au mausolée,
Avec toujours quelqu’un dedans,
J’ai des p’tit’s boss’s plein les allées,
Et je suis triste, cependant...
Car je n’en ai pas, et ça m’agace,
Et ça défrise mon blason,
Au cimetièr’ du Montparnasse,
A quatre pas de ma maison.
J’en possède au Père-Lachaise,
A Bagneux, à Thiais, à Pantin,
Et jusque, ne vous en déplaise,
Au fond du cimetièr’ marin,
A la vill’ comm’ à la campagne,
Partout où l’on peut faire un trou,
J’ai mêm’ des tombeaux en Espagne
Qu’on me jalouse peu ou prou...
Mais j’ n’en ai pas la moindre trace,
78
Le plus humble petit soupçon,
Au cimetièr’ du Montparnasse,
A quatre pas de ma maison.
Le jour des morts, je cours, le vole,
Je vais infatigablement,
De nécropole en nécropole,
De pierr’ tombale en monument.
On m’entrevoit sous un’ couronne
D’immortelles à Champerret,
Un peu plus tard, c’est à Charonne
Qu’on m’aperçoit sous un cyprès...
Mais, seul, un fourbe aura l’audace,
De dir’: " J’ l’ai vu à l’horizon,
Du cimetièr’ du Montparnasse,
A quatre pas de sa maison ".
Devant l’ château d’ ma grand-tante
La marquise de Carabas,
Ma saint’ famille languit d’attente:
Mourra-t-ell’, mourra-t-elle pas?
L’un veut son or, l’autre veut ses meubles,
Qui ses bijoux, qui ses bib’lots,
Qui ses forêts, qui ses immeubles,
Qui ses tapis, qui ses tableaux...
Moi je n’implore qu’une grâce,
C’est qu’ell’ pass’ la morte-saison
Au cimetièr’ du Montparnasse,
A quatre pas de ma maison.
Ainsi chantait, la mort dans l’âme,
Un jeun’ homm’ de bonne tenue,
En train de ranimer la flamme
Du soldat qui lui était connu,
Or, il advint qu’le ciel eut marr’ de
L’entendre parler d’ ses caveaux.
Et Dieu fit signe à la camarde
De l’expédier ru’ Froidevaux...
Mais les croqu’-morts, qui étaient de Chartre’,
Funeste erreur de livraison,
Menèr’nt sa dépouille à Montmartre,
De l’autr’ côté de sa maison.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
L’enterrement de Verlaine
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(Poème de Paul fort)
Le revois-tu mon âme, ce Boul’ Mich’ d’autrefois
Et dont le plus beau jour fut un jour de beau froid:
Dieu: s’ouvrit-il jamais une voie aussi pure
Au convoi d’un grand mort suivi de miniatures?
Tous les grognards - petits - de Verlaine étaient là,
Toussotant, Frissonnant, Glissant sur le verglas,
Mais qui suivaient ce mort et la désespérance,
Morte enfin, du Premier Rossignol de la France.
Ou plutôt du second (François de Montcorbier,
Voici belle lurette en fut le vrai premier)
N’importe! Lélian, je vous suivrai toujours!
Premier? Second? vous seul. En ce plus froid des jours.
N’importe! Je suivrai toujours, l’âme enivrée
Ah! Folle d’une espérance désespérée
Montesquiou-Fezensac et Bibi-la-Purée
Vos deux gardes du corps, - entre tous moi dernier.
Titre CD(?)
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?
Titolo
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2010
Germaine Tourangelle
(Poème de Paul Fort)
Cette gerbe est pour vous Manon des jours heureux,
Pour vous cette autre, eh! oui, Jeanne des soirs troublants.
Plus souple vers l’azur et déchiré des Sylphes,
Voilà tout un bouquet de roses pour Thérèse.
Où donc est-il son fin petit nez qui renifle?
Au paradis? eh! non, cendre au Père-Lachaise.
Plus haut, cet arbre d’eau qui rechute pleureur,
En saule d’Orphélie, est pour vous, Amélie.
Et pour vous ma douceur, ma douleur, ma folie!
Germaine Tourangelle, ô vous la plus jolie.
Le fluide arc-en-ciel s’égrenant sur mon coeur.
Titre CD(?)
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Titolo
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80
? 2010
A Mireille
dit “Petit verglas”
(Poème de Paul Fort)
Ne tremblez pas, mais je dois le dire elle fut assassinée au couteau par
un fichu mauvais garçon, dans sa chambre, là-bas derrière le Panthéon,
rue Descartes, où mourut Paul Verlaine.
O! oui, je l’ai bien aimée ma petite " Petit Verglas " à moi si bonne
et si douce et si triste. Pourquoi sa tristesse? Je ne l’avais pas
deviné, je ne pouvais pas le deviner.
Non, je l’ai su après tu me l’avais caché que ton père était mort
sur
l’échafaud, Petit Verglas! J’aurais bien dû le comprendre à tes
sourires.
J’aurais dû le deviner à tes petits yeux, battus de sang, à ton bleu
regard indéfinissable, papillotant et plein de retenue.
Et moi qui avais toujours l’air de te dire " Mademoiselle, voulez-vous
partager ma statue? " Ah! J’aurais dû comprendre à tes sourires, tes
yeux bleus battus et plein de retenue.
Et je t’appelais comme ça, le Petit Verglas, que c’est bête un poète!
O
petite chair transie! Moi, je l’ai su après que ton père était mort
ainsi...
Pardonne-moi, Petit Verglas. Volez, les anges!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le temps passé
Dans les comptes d’apothicaire,
Vingt ans, c’est un’ somm’ de bonheur.
Mes vingt ans sont morts à la guerre,
De l’autr’ côté du champ d’honneur.
Si j’ connus un temps de chien, certes,
C’est bien le temps de mes vingt ans!
Cependant, je pleure sa perte,
Il est mort, c’était le bon temps!
Refrain
81
Il est toujours joli, le temps passé.
Un’ fois qu’ils ont cassé leur pipe,
On pardonne à tous ceux qui nous ont offensés:
Les morts sont tous des braves types.
Dans ta petit’ mémoire de lièvre,
Bécassine, il t’est souvenu
De notre amour du coin des lèvres,
Amour nul et non avenu,
Amour d’un sou qui n’allait, certes,
Guèr’ plus loin que le bout d’ son lit.
Cependant, nous pleurons sa perte,
Il est mort, il est embelli!
J’ai mis ma tenu’ la plus sombre
Et mon masque d’enterrement,
Pour conduire au royaum’ des ombres
Un paquet de vieux ossements.
La terr’ n’a jamais produit, certes,
De canaille plus consommée.
Cependant, nous pleurons sa perte,
Elle est morte, elle est embaumée!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La fille à cent sous
Du temps que je vivais dans le troisièm’ dessous,
Ivrogne, immonde, infâme,
Un plus soûlaud que moi, contre un’ pièc’ de cent sous,
M’avait vendu sa femme.
Quand je l’eus mise au lit, quand j’ voulus l’étrenner,
Quand j’ fis voler sa jupe,
Il m’apparut alors qu’j’avais été berné
Dans un marché de dupe.
" Remball’ tes os, ma mie, et garde tes appas,
Tu es bien trop maigrelette,
Je suis un bon vivant, ça n’me concerne pas
D’étreindre des squelettes.
Retourne à ton mari, qu’il garde les cent sous,
J’ n’en fais pas une affaire. "
Mais ell’ me répondit, le regard en dessous:
" C’est vous que je préfère...
82
J’ suis pas bien gross’, fit-ell’, d’une voix qui se nou’,
Mais ce n’est pas ma faute... "
Alors, moi, tout ému, j’ la pris sur mes genoux
Pour lui compter les côtes.
" Toi qu’ j’ai payé cent sous, dis-moi quel est ton nom,
Ton p’tit nom de baptême?
- Je m’appelle Ninette. - Eh bien, pauvre Ninon,
Console-toi, je t’aime. "
Et ce brave sac d’os dont j’ n’avais pas voulu,
Même pour une thune,
M’est entré dans le coeur et n’en sortirait plus
Pour toute une fortune.
Du temps que je vivais dans le troisièm’ dessous,
Ivrogne, immonde, infâme,
Un plus soûlaud que moi, contre un’ pièc’ de cent sous,
M’avait vendu sa femme.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Dans l’eau de la claire fontaine
Dans l’eau de la claire fontaine
Elle se baignait toute nue.
Une saute de vent soudaine
Jeta ses habits dans les nues.
En détresse, elle me fit signe,
Pour la vêtir, d’aller chercher
Des morceaux de feuilles de vigne,
Fleurs de lis ou fleurs d’oranger.
Avec des pétales de roses,
Un bout de corsage lui fis.
Mais la belle n’était pas bien grosse:
Une seule rose a suffi
Qu’une seule feuille a suffi.
Avec le pampre de la vigne,
Un bout de cotillon lui fis.
Mais la belle était si petite
Qu’une seule feuille a suffi.
Elle me tendit ses bras, ses lèvres,
Comme pour me remercier...
83
Je les pris avec tant de fièvre
Qu’ell’ fut toute déshabillée.
Le jeu dut plaire à l’ingénue,
Car, à la fontaine souvent,
Ell’ s’alla baigner toute nue
En priant qu’il fit du vent,
Qu’il fit du vent...
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Je rejoindrai ma belle
* A l’heure du berger,
Au mépris du danger,
J’ prendrai la passerelle
Pour rejoindre ma belle,
A l’heure du berger,
Au mépris du danger,
Et nul n’y pourra rien changer.
* Tombant du haut des nues,
La bourrasque est venue
Souffler dessus la passerelle,
Tombant du haut des nues,
La bourrasque est venue,
La passerelle’, il y en a plus.
* Si les vents ont cru bon
De me couper les ponts,
J’ prendrai la balancelle
Pour rejoindre ma belle,
Si les vents ont cru bon,
De me couper les ponts,
J’embarquerai dans l’entrepont.
* Tombant du haut des nu’s,
Les marins sont venus
Lever l’ancre à la balancelle,
Tombant du haut des nu’s,
Les marins sont venus,
Des balancelle’, il y en a plus.
* Si les forbans des eaux
Ont volé mes vaisseaux,
Y me pouss’ra des ailes
Pour rejoindre ma belle,
84
Si les forbans des eaux
Ont volé mes vaisseaux,
J’ prendrai le chemin des oiseaux.
* Les chasseurs à l’affût
Te tireront dessus,
Adieu les plumes! adieu les ailes!
Les chasseurs à l’affût
Te tireront dessus,
De tes amours, y en aura plus.
* Si c’est mon triste lot
De faire un trou dans l’eau,
Racontez à la belle
Que je suis mort fidèle,
Et qu’ell’ daigne à son tour
Attendre quelques jours
Pour filer de nouvell’s amours.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Si le bon Dieu l’avait voulu
(Poème de Paul Fort)
Si le Bon Dieu l’avait voulu - lanturette, lanturlu, - j’aurais connu la
Cléopâtre, et je t’aurais pas connue. J’aurais connu la Cléopâtre,
et je
ne t’aurais pas connue. Sans ton amour que j’idolâtre, las! que fussé-
je devenu?
Si le Bon Dieu l’avait voulu, j’aurais connu la Messaline, Agnès, Odette
et Mélusine, et je ne t’aurais pas connue. J’aurais connu la Pompadour,
Noémi, Sarah, Rebecca, la Fille du Royal Tambour, et la Mogador et
Clara.
Mais le Bon Dieu n’a pas voulu que je connaisse leurs amours, je t’ai
connue, tu m’as connu - gloire à Dieu au plus haut des nues! - Las!
que fussé-je devenu sans toi la nuit, sans toi le jour? Je t’ai connue,
tu m’as connu - gloire à Dieu au plus haut des nues!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le temps ne fait rien à l’affaire
Quand ils sont tout neufs,
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Qu’ils sortent de l’oeuf,
Du cocon,
Tous les jeunes blancs-becs
Prennent les vieux mecs
Pour des cons.
Quand ils sont d’venus
Des têtes chenu’s,
Des grisons,
Tous les vieux fourneaux
Prennent les jeunots
Pour des cons.
Moi, qui balance entre deux âges,
J’ leur adresse à tous un message:
Le temps ne fait rien à l’affaire,
Quand on est con, on est con.
Qu’on ait vingt ans, qu’on soit grand-père,
Quand on est con, on est con.
Entre vous, plus de controverses,
Cons caducs ou cons débutants,
Petits cons d’ la dernière averse,
Vieux cons des neiges d’antan.
Vous, les cons naissants,
Les cons innocents,
Les jeun’s cons
Qui n’ le niez pas,
Prenez les papas
Pour des cons,
Vous, les cons âgés,
Les cons usagés,
Les vieux cons
Qui, confessez-le,
Prenez les p’tits bleus
Pour des cons,
Méditez l’impartial message
D’un qui balance entre deux âges:
La complainte des filles de joie CD(?)
Bien que ces vaches de bourgeois
Les appell’nt des filles de joi’
C’est pas tous les jours qu’ell’s rigolent,
Parole, parole,
C’est pas tous les jours qu’elles rigolent.
Car, même avec des pieds de grues,
Fair’ les cent pas le long des rues
C’est fatigant pour les guibolles,
La nenia delle ragazze di gioia
Benché quegli stronzi di borghesi
le chiamino “ragazze di gioia”,
non càpita tutti i giorni che si divertano:
parola mia!
Non càpita tutti i giorni che si divertano.
Poiché, anche con i piedi di gru2,
camminare avanti e indietro lungo le vie
è faticoso per le gambe:
2 Faire le pied de grue = aspettare a lungo in piedi.
86
Parole, parole,
C’est fatigant pour les guibolles.
Non seulement ell’s ont des cors,
Des oeils-de-perdrix, mais encor
C’est fou ce qu’ell’s usent de grolles,
Parole, parole,
C’est fou ce qu’ell’s usent de grolles.
’Y a des clients, ’y a des salauds
Qui se trempent jamais dans l’eau.
Faut pourtant qu’elles les cajolent,
Parole, parole,
Faut pourtant qu’elles les cajolent,
Qu’ell’s leur fassent (?) la courte échell’
Pour monter au septième ciel.
Les sous, croyez pas qu’ell’s les volent,
Parole, parole,
Les sous, croyez pas qu’ell’s les volent.
Ell’s sont méprisé’s du public,
Ell’s sont bousculé’s par les flics,
Et menacé’s de la vérole,
Parole, parole,
Et menacé’s de la vérole.
Bien qu’ tout’ la vie ell’s fass’nt l’amour,
Qu’ell’s se marient vingt fois par jour,
La noce est jamais pour leur fiole,
Parole, parole,
La noce est jamais pour leur fiole.
Fils de pécore et de minus,
Ris par de la pauvre Vénus,
La pauvre vieille casserole,
Parole, parole,
La pauvre vieille casserole.
Il s’en fallait de peu, mon cher,
Que cett’ putain ne fût ta mère,
Cette putain dont tu rigoles,
Parole, parole,
Cette putain dont tu rigoles.
?
parola mia!
E’ faticoso per le gambe.
Non solo loro hanno dei calli
e occhi di pernice, ma anche
è pazzesco quanto consumano le scarpe:
parola mia!
E’ pazzesco quanto consumano le scarpe.
Ci sono dei clienti, ci sono delle carogne
che non s’immergono mai nell’acqua.
Bisogna tuttavia che loro li carezzino:
parola mia!
Bisogna tuttavia che loro li carezzino,
che li aiutino
a salire al settimo cielo.
I soldi, non crediate che li rubino:
parola mia!
I soldi, non crediate che li rubino.
Loro sono disprezzate dalla gente,
sono spintonate dalla polizia,
e minacciate dal vaiolo:
parola mia!
E minacciate dal vaiolo.
Benché tutta la vita facciano l’amore,
e che si sposino venti volte al giorno,
le nozze non fanno mai per loro:
parola mia!
Le nozze non fanno per loro.
Figlio di madre petulante e di padre deficiente,
ridi pure della povera Venere,
della povera, vecchia pentola:
parola mia!
Della povera, vecchia pentola.
C’è mancato poco, mio caro,
che questa puttana non fosse tua madre,
questa puttana di cui ti prendi gioco:
parola mia!
Questa puttana di cui ti prendi gioco.
2010
Vedi approfondimento
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Titolo
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2010
Les trompettes de la renommée
Je vivais à l’écart de la place publique,
Serein, contemplatif, ténébreux, bucolique...
Refusant d’acquitter la rançon de la gloir’,
Sur mon brin de laurier je dormais comme un loir.
Les gens de bon conseil ont su me fair’ comprendre
Qu’à l’homme de la ru’ j’avais des compt’s à rendre
Et que, sous peine de choir dans un oubli complet,
J’ devais mettre au grand jour tous mes petits secrets.
Refrain
Trompettes
De la Renommée,
Vous êtes
Bien mal embouchées!
Manquant à la pudeur la plus élémentaire,
Dois-je, pour les besoins d’ la caus’ publicitaire,
Divulguer avec qui, et dans quell’ position
Je plonge dans le stupre et la fornication?
Si je publi’ des noms, combien de Pénélopes
Passeront illico pour de fieffé’s salopes,
Combien de bons amis me r’gard’ront de travers,
Combien je recevrai de coups de revolver!
A toute exhibition, ma nature est rétive,
Souffrant d’un’ modesti’ quasiment maladive,
Je ne fais voir mes organes procréateurs
A personne, excepté mes femm’s et mes docteurs.
Dois-je, pour défrayer la chroniqu’ des scandales,
Battre l’ tambour avec mes parti’s génitales,
Dois-je les arborer plus ostensiblement,
Comme un enfant de choeur porte un saint sacrement?
Une femme du monde, et qui souvent me laisse
Fair’ mes quat’ voluptés dans ses quartiers d’ noblesse,
M’a sournois’ment passé, sur son divan de soi’,
Des parasit’s du plus bas étage qui soit...
Sous prétexte de bruit, sous couleur de réclame,
Ai-j’ le droit de ternir l’honneur de cette dame
En criant sur les toits, et sur l’air des lampions:
" Madame la marquis’ m’a foutu des morpions! "?
Le ciel en soit loué, je vis en bonne entente
Avec le Pèr’ Duval, la calotte chantante,
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Lui, le catéchumène, et moi, l’énergumèn’,
Il me laisse dire merd’, je lui laiss’ dire amen,
En accord avec lui, dois-je écrir’ dans la presse
Qu’un soir je l’ai surpris aux genoux d’ ma maîtresse,
Chantant la mélopé’ d’une voix qui susurre,
Tandis qu’ell’ lui cherchait des poux dans la tonsure?
Avec qui, ventrebleu! faut-il que je couche
Pour fair’ parler un peu la déesse aux cent bouches?
Faut-il qu’un’ femme célèbre, une étoile, une star,
Vienn’ prendre entre mes bras la plac’ de ma guitar’?
Pour exciter le peuple et les folliculaires,
Qui’est-c’ qui veut me prêter sa croupe populaire,
Qui’est-c’ qui veut m’ laisser faire, in naturalibus,
Un p’tit peu d’alpinism’ sur son mont de Vénus?
Sonneraient-ell’s plus fort, ces divines trompettes,
Si, comm’ tout un chacun, j’étais un peu tapette,
Si je me déhanchais comme une demoiselle
Et prenais tout à coup des allur’s de gazelle?
Mais je ne sache pas qu’ça profite à ces drôles
De jouer le jeu d’ l’amour en inversant les rôles,
Qu’ça confère à leur gloire un’ onc’ de plus-valu’,
Le crim’ pédérastique, aujourd’hui, ne pai’ plus.
Après c’tour d’horizon des mille et un’ recettes
Qui vous val’nt à coup sûr les honneurs des gazettes,
J’aime mieux m’en tenir à ma premièr’ façon
Et me gratter le ventre en chantant des chansons.
Si le public en veut, je les sors dare-dare,
S’il n’en veut pas je les remets dans ma guitare.
Refusant d’acquitter la rançon de la gloir’,
Sur mon brin de laurier je m’endors comme un loir.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La guerre de 14-18
Depuis que l’homme écrit l’Histoire,
Depuis qu’il bataille à coeur joie
Entre mille et une guerr’ notoires,
Si j’étais t’nu de faire un choix,
A l’encontre du vieil Homère,
Je déclarais tout de suit’:
" Moi, mon colon, cell’ que j’ préfère,
C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit! "
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Est-ce à dire que je méprise
Les nobles guerres de jadis,
Que je m’ souci’ comm’ d’un’ cerise
De celle de soixante-dix?
Au contrair’, je la révère
Et lui donne un satisfecit
Mais, mon colon, celle que j’ préfère,
C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!
Je sais que les guerriers de Sparte
Plantaient pas leurs epé’s dans l’eau,
Que les grognards de Bonaparte
Tiraient pas leur poudre aux moineaux...
Leurs faits d’armes sont légendaires,
Au garde-à-vous, je les félicit’,
Mais, mon colon, celle que j’ préfère,
C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!
Bien sûr, celle de l’an quarante
Ne m’as pas tout a fait déçu,
Elle fut longue et massacrante
Et je ne crache pas dessus,
Mais à mon sens, elle ne vaut guère,
Guèr’ plus qu’un premier accessit,
Moi, mon colon, celle que j’ préfère,
C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!
Mon but n’est pas de chercher noise
Au guérillas, non, fichtre! non,
Guerres saintes, guerres sournoises,
Qui n’osent pas dire leur nom,
Chacune a quelque chos’ pour plaire,
Chacune a son petit mérit’,
Mais, mon colon, celle que j’ préfère,
C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!
Du fond de son sac à malices,
Mars va sans doute, à l’occasion,
En sortir une - un vrai délice! -
Qui me fera grosse impression...
En attendant je persévère
A dir’ que ma guerr’ favorit’,
Cell’, mon colon, que j’ voudrais faire,
C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La marguerite
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La petite
Marguerite
Est tombé’,
Singulière,
Du bréviaire
De l’abbé.
Trois pétales
De scandale
Sur l’autel,
Indiscrète
Pâquerette,
D’où vient-ell’?
Dans l’enceinte
Sacro-sainte,
Quel émoi!
Quelle affaire,
Oui, ma chère,
Croyez-moi!
La frivole
Fleur qui vole,
Arrive en
Contrebande
Des plat’s-bandes
Du couvent.
Notre Père
Qui, j’espère,
Etes aux cieux,
N’ayez cure
Des murmures
Malicieux.
La légère
Fleur, peuchère!
Ne vient pas
De nonnettes,
De cornettes
En sabbat.
Sachez, diantre!
Qu’un jour, entre
Deux ave,
Sur la pierre
D’un calvaire
Il l’a trouvé’.
Et l’a mise,
91
Chose admise
Par le ciel,
Sans ambages,
Dans les pages
Du missel.
Que ces messes
Basses cessent,
Je vous en prie.
Non, le prête
N’est pas traître
A Marie.
Que personne
Ne soupçonne,
Puis jamais,
La petite
Marguerite,
Ah! ça mais...
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Jeanne
Chez Jeanne, la Jeanne,
Son auberge est ouverte aux gens sans feu ni lieu,
On pourrait l’appeler l’auberge de Bon Dieu
S’il n’en existait pas une,
La dernière où l’on peut entrer
Sans frapper, sans montrer patte blanche...
Chez Jeanne, la Jeanne,
On est n’importe qui, on vient n’importe quand,
On est n’importe qui, on vient n’importe quand,
Et, comme par miracle, par enchantement,
On fait parti’ de la famille,
Dans son coeur, en s’ poussant un peu,
Reste encore une petite place...
La Jeanne, la Jeanne,
Elle est pauvre et sa table est souvent mal servie,
Mais le peu qu’on y trouve assouvit pour la vie,
Par la façon qu’elle le donne,
Son pain ressemble à du gâteau
Et son eau à du vin comm’ deux gouttes d’eau...
La Jeanne, la Jeanne,
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On la pai’ quand on peut des prix mirobolants
Un baiser sur son front ou sur ses cheveux blancs,
Un semblant d’accord de guitare,
L’adresse d’un chat échaudé
Ou d’un chien tout crotté comm’ pourboire...
La Jeanne, la Jeanne,
Dans ses rose’ et ses choux n’a pas trouvé d’enfant,
Qu’on aime et qu’on défend contre les quatre vents,
Et qu’on accroche à son corsage,
Et qu’on arrose avec son lait...
D’autres qu’elle en seraient tout’ chagrines...
Mais Jeanne, la Jeanne,
Ne s’en souci’ pas plus que de colin-tampon,
Etre mère de trois poulpiquets, à quoi bon
Quand elle est mère universelle,
Quand tous les enfants de la terre,
De la mer et du ciel sont à elle...
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le grand Pan
Du temps que régnait le Grand Pan,
Les dieux protégaient les ivrognes
Des tas de génies titubants
Au nez rouge, à la rouge trogne.
Dès qu’un homme vidait les cruchons,
Qu’un sac à vin faisait carousse
Ils venaient en bande à ses trousses
Compter les bouchons.
La plus humble piquette était alors bénie,
Distillée par Noé, Silène, et compagnie.
Le vin donnait un lustre au pire des minus,
Et le moindre pochard avait tout de Bacchus.
Refrain.
Mais en se touchant le crâne, en criant " J’ai trouvé "
La bande au professeur Nimbus est arrivée
Qui s’est mise à frapper les cieux d’alignement,
Chasser les Dieux du Firmament.
Aujourd’hui ça et là, les gens boivent encore,
Et le feu du nectar fait toujours luire les trognes.
Mais les dieux ne répondent plus pour les ivrognes.
Bacchus est alcoolique, et le grand Pan est mort.
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Quand deux imbéciles heureux
S’amusaient à des bagatelles,
Un tas de génies amoureux
Venaient leur tenir la chandelle.
Du fin fond du champs élysées
Dès qu’ils entendaient un " Je t’aime ",
Ils accouraient à l’instant même
Compter les baisers.
La plus humble amourette
Etait alors bénie
Sacrée par Aphrodite, Eros, et compagnie.
L’amour donnait un lustre au pire des minus,
Et la moindre amoureuse avait tout de Vénus.
Au refrain.
Aujourd’hui ça et là, les coeurs battent encore,
Et la règle du jeu de l’amour est la même.
Mais les dieux ne répondent plus de ceux qui s’aiment.
Vénus s’est faite femme, et le grand Pan est mort.
Et quand fatale sonnait l’heure
De prendre un linceul pour costume
Un tas de génies l’oeil en pleurs
Vous offraient des honneurs posthumes.
Et pour aller au céleste empire,
Dans leur barque ils venaient vous prendre.
C’était presque un plaisir de rendre
Le dernier soupir.
La plus humble dépouille était alors bénie,
Embarquée par Caron, Pluton et compagnie.
Au pire des minus, l’âme était accordée,
Et le moindre mortel avait l’éternité.
Au refrain.
Aujourd’hui ça et là, les gens passent encore,
Mais la tombe est hélas la dernière demeure
Les dieux ne répondent plus de ceux qui meurent.
La mort est naturelle, et le grand Pan est mort.
Et l’un des dernier dieux, l’un des derniers suprêmes,
Ne doit plus se sentir tellement bien lui-même
Un beau jour on va voir le Christ
Descendre du calvaire en disant dans sa lippe
" Merde je ne joue plus pour tous ces pauvres types.
J’ai bien peur que la fin du monde soit bien triste. "
Titre CD(?) Titolo
94
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2010
Le blason
Ayant avecques lui toujours fait bon ménage
J’eusse aimé célébrer sans être inconvenant
Tendre corps féminin ton plus bel apanage
Que tous ceux qui l’ont vu disent hallucinant.
Ceût été mon ultime chant mon chant du cygne
Mon dernier billet doux mon message d’adieu
Or malheureusement les mots qui le désignent
Le disputent à l’exécrable à l’odieux.
C’est la grande pitié de la langue française
C’est son talon d’Achille et c’est son déshonneur
De n’offrir que des mots entachés de bassesse
A cette incomparable instrument de bonheur.
Alors que tant de fleurs ont des noms poétiques
Tendre corps féminin’ c’est fort malencontreux
Que la fleur la plus douce la plus érotique
Et la plus enivrante en ait de plus scabreux.
Mais le pire de tous est un petit vocable
De trois lettres pas plus familier coutumier
Il est inexplicable il est irrévocable
Honte à celui-là qui l’employa le premier
Honte à celui-là qui par dépit par gageure
Dota de même terme en son fiel venimeux
Ce grand ami de l’homme et la cinglante injure
Celui-là c’est probable en était un fameux.
Misogyne à coup sûr asexué sans doute
Au charmes de Vénus absolument rétif
Etait ce bougre qui toute honte bue toute
Fit ce rapprochement d’ailleurs intempestif.
La malpeste soit de cette homonymie
C’est injuste madame et c’est désobligeant
Que ce morceau de roi de votre anatomie
Porte le même nom qu’une foule de gens.
Fasse le ciel dans un trait de génie
Un poète inspiré que Pégase soutient
Donne en effaçant d’un coup des siècles d’avanie
A cette vraie merveille un joli nom chrétien
95
En attendant madame il semblerait dommage
Et vos adorateurs en seraient tous peinés
D’aller perdre de vue que pour lui rendre hommage
Il est d’autre moyen et que je les connais
Et que je les connais.
La non-demande en mariage CD(?)
Ma mi’, de grâce, ne mettons
Pas sous la gorge à Cupidon
Sa propre flèche,
Tant d’amoureux l’ont essayé
Qui, de leur bonheur, ont payé
Ce sacrilège.
(Refrain:)
J’ai l’honneur de
Ne pas te demander ta main,
Ne gravons pas
Nos noms au bas
D’un parchemin.
Laissons le champs libre à l’oiseaux,
Nous seront tous les deux priso-
nniers sur parole,
Au diable, les maîtresses queux
Qui attachent les coeurs aux queu’s
Des casseroles!
(Refrain)
Vénus se fait vielle souvent
elle perd son latin devant
La lèchefrite
À aucun prix, moi je ne veux
Effeuiller dans le pot-au-feu
La marguerite.
(Refrain)
On leur ôte bien des attraits,
En dévoilant trop les secrets
De Mélusine.
L’encre des billets doux pâlit
Vite entre les feuillets des li-
vres de cuisine.
(Refrain)
Il peut sembler de tout repos
De mettre à l’ombre, au fond d’un pot
La non domanda di matrimonio
Piccola mia, di grazia, non mettiamo
sotto la gola di Cupido
la sua stessa freccia:
tanti innamorati ci hanno provato,
i quali con la loro felicità hanno pagato
questo sacrilegio.
(Ritornello:)
Ho l’onore di
non chiederti la mano:
non incidiamo
i nostri nomi in fondo
ad una pergamena.
Lasciamo il campo libero all’uccello,
saremo tutti e due prigio-
nieri sulla parola,
e al diavolo le cuoche esperte
che attaccano i cuori ai manici
delle pentole!
(Ritornello)
Venere diventa vecchia spesso,
e si rincoglionisce davanti
alla leccarda:
in nessun modo io voglio
sfogliare nel bollito
la margherita.
(Ritornello)
Si tolgono loro molte attrattive
svelando troppo i segreti
di Melusina.
L’inchiostro dei messaggi d’amore impallidisce
velocemente tra i foglietti dei li-
bri di cucina.
(Ritornello)
Può sembrare di tutto riposo
mettere all’ombra, in fondo ad un vasetto
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De confiture,
La joli’ pomme défendu’,
Mais elle est cuite, elle a perdu
Son goût “nature”.
(Refrain)
De servante n’ai pas besoin,
Et du ménage et de ses soins
Je t’en dispense.
Qu’en éternelle fiancée,
A la dame de mes pensée’
Toujours je pense.
(Refrain)
?
di marmellata,
la bella mela proibita:
ma essa si è cotta, essa ha perduto
il suo gusto naturale.
(Ritornello)
Di una domestica non ne ho bisogno,
la vita di coppia e le sue responsabilità
io te le risparmio:
che, come ad un’eterna fidanzata,
alla donna dei miei pensieri
sempre io pensi.
(Ritornello)
2010
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Titolo
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2010
Je me suis fait tout petit
Je n’avait jamais ôté mon chapeau
Devant personne
Maintenant je rampe et je fait le beau
Quand ell’ me sonne
J’étais chien méchant ell’ me fait manger
Dans sa menotte
J’avais des dents d’ loup, je les ai changées
Pour des quenottes!
Refrain
Je m’ suis fait tout p’tit devant un’ poupée
Qui ferm’ les yeux quand on la couche
Je m’ suis fait tout p’tit devant un’ poupée
Qui fait Maman quand on la touche.
J’était dur à cuire ell’ m’a converti
La fine mouche
Et je suis tombé tout chaud, tout rôti
Contre sa bouche
Qui a des dents de lait quand elle sourit
Quand elle chante
Et des dents de loup, quand elle est furie
Qu’elle est méchante.
97
(refrain)
Je subis sa loi, je file tout doux
Sous son empire
Bien qu’ell’ soit jalouse au-delà de tout
Et même pire
Un’ jolie pervench’ qui m’avait paru
Plus joli’ qu’elle
Un’ jolie pervench’ un jour en mourut
A coup d’ombrelle.
(refrain)
Tous les somnambules, tous les mages m’ont
Dit sans malice
Qu’en ses bras croix, je subirais mon
Dernier supplice
Il en est de pir’s li en est d’ meilleur’s
Mais à tout prendre
Qu’on se pende ici, qu’on se pende ailleurs
S’il faut se pendre.
(refrain)
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La ballade des gens qui sont nés quelque part
C’est vrai qu’ils sont plaisant tous ces petits villages
Tous ces bourg ces hameaux ces lieux-dits ces cités
Avec leurs château forts leurs églises leurs plages
Ils n’ont qu’un seul point faible et c’est d’être habités
Et c’est d’être habités par des gens qui regardent
Le reste avec mépris du haut de leurs remparts
La race des chauvins des porteurs de cocardes
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.
Maudits soient ces enfants de leur mère patrie
Empalés une fois pour toute sur leur clocher
Qui vous montrent leurs tours leurs musées leur mairie
Vous font voir du pays natal jusqu’à loucher
Qu’ils sortent de Paris ou de Rome ou de Sète
Ou du diable vauvert ou de Zanzibar
Ou même de Montcuq il s’en flattent mazette
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.
98
Le sable dans lequel douillettes leurs autruches
Enfouissent la tête on trouve pas plus fin
Quand à l’air qu’ils emploient pour gonfler leurs baudruches
Leurs bulles de savon c’est du soufle divin
Et petit à petit les voilà qui se montent
Le cou jusqu’à penser que le crottin fait par
Leurs chevaux même en bois rend jaloux tout le monde
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.
C’est pas un lieu commun celui de leur connaissance
Ils plaignent de tout coeur les pauvres malchanceux
Les petis maladroits qui n’eurent pas la présence
La présence d’esprit de voir le jour chez eux
Quand sonne le tocsin sur leur bonheur précaire
Contre les étrangers tous plus ou moins barbares
Ils sortent de leur trou pour mourir à la guerre
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.
Mon dieu qu’il ferait bon sur la terre des hommes
Si on y rencontrait cette race incongrue
Cette race importune et qui partout foisonne
La race des gens du terroir des gens du cru
Que la vie serait belle en toutes circonstances
Si vous n’aviez tiré du néant tous ces jobards
Preuve peut-être bien de votre inexistance
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part
Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Fernande
Une manie de vieux garçon
Moi j’ai pris l’habitude
D’agrémnter ma sollitude
Aux accents de cette chanson
Refrain
Quand je pense à Fernande
Je bande, je bande
Quand j’ pense à Felicie
Je bande aussi
quand j’ pense à Léonor
99
Mon dieu je bande encore
Mais quand j’ pense à Lulu
Là je ne bande plus
La bandaison papa
Ca n’ se commande pas.
C’est cette mâle ritournelle
Cette antienne virile
Qui retentit dans la guérite
De la vaillante sentinelle.
Afin de tromper son cafard
De voir la vie moins terne
Tout en veillant sur sa lanterne
Chante ainsi le gardien de phare
Après la prière du soir
Comme il est un peu triste
Chante ainsi le séminariste
A genoux sur son reposoire.
A l’Etoile où j’était venu
Pour ranimer la flamme
J’entendis émus jusqu’au larmes
La voix du soldat inconnu.
Et je vais mettre un point final
A ce chant salutaire
En suggérant au solitaire
D’en faire un hymme national.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Sauf le respect que je vous dois
Si vous y tenez tant parlez-moi des affaires publiques
Encor que ce sujet me rende un peu mélancolique
Parlez-m’en toujours je n’ vous en tiendrai pas rigueur
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
Fi des chantres bêlant qui taquine la muse érotique
Des poètes galants qui lèchent le cul d’Aphrodite
Des auteurs courtois qui vont en se frappant le cœur
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
Naguère mes idée reposaient sur la non-violence
100
Mon agressivité je l’avait réduite au silence
Mais tout tourne court ma compagne était une gueuse
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
Ancienne enfant trouvée n’ayant connu père ni mère
Coiffée d’un chap’ron rouge ell’ s’en fut ironie amère
Porter soi_-disant une galette à son aïeule
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
Je l’attendis un soir je l’attendis jusqu’à l’aurore
Je l’attendis un an pour peu je l’attendrais encore
Un loup de rencontre aura séduite cette gueuse
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
Cupidon ce salaup geste chez lui qui n’est pas rare
Avais trenpé sa flèche un petit peu dans le curare
Le philtre magique avait tout du bouillon d’onzes heures
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
Ainsi qu’il est fréquent sous la blancheur de ses pétales
La marguerite cachait une tarentule un crotale
Une vraie vipère à la fois lubrique et visqueuse
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
Que le septième ciel sur ma pauvre tête retombe
Lorsque le désespoir m’aura mis au bord de la tombe
Cet ultime discours s’exhalera de mon linceul
Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule
Sauf le respect que je vous dois.
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2010
Le petit joueur de flûteau
Le petit joueur de flûteau
Menait la musique au château
Pour la grâce de ses chansons
Le roi lui offrit un blason
Je ne veux pas être noble
Répondit lecroque-note
Avec un blason à la clé
Mon la se mettrait à gonfler
On dirait par tout le pays
101
Le joueur de flûte a trahi
Et mon pauvre petit clocher
Me semblerait trop bas perché
Je ne plierais plus les genoux
Devant le bon Dieu de chez nous
Il faudrait à ma grande âme
Tous les saints de Notre-Dame
Avec un évêque à la clé
Mon la se metrait à gonfler
On dirait par tout le pays
Le joueur de flûte a trahi
Et la chambre où j’ai vu la jour
Me serait un triste séjour
Je quitterai mon lit mesquin
Pour une couche à baldaquin
Je changerais ma chaumière
Pour une gentilhommière
Avec un manoir à la clé
On dirait par tout le pays
Le joueur de flûte a trahi
Je serai honteux de mon sang
Des aïeux de qui je descends
On me verrait bouder dessus
La branche dont je suis issu
Je voudrais un magnifique
Arbre généalogique
Avec du sang bleu a la clé
Mon la se mettrait a gonfler
On dirait par tout le pays
Le joueur de flûte a trahi
Je ne voudrais plus épouser
Ma promise ma fiancée
Je ne donnerais pas mon nom
A une quelconque Ninon
Il me faudrait pour compagne
La fille d’un grand d’Espagne
Avec un’ princesse à la clé
Mon la se mettrait à gonfler
On dirait par tout le pays
Le joueur de flûte a trahi
Le petit joueur de flûteau
Fit la révérence au château
Sans armoiries sans parchemin
Sans gloire il se mit en chemin
Vers son clocher sa chaumine
Ses parents et sa promise
102
Nul ne dise dans le pays
Le joueur de flûte a trahi
Et Dieu reconnaisse pour sien
Le brave petit musicien
Titre CD(?)
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2010
Le grand chêne
Il vivait en dehors des chemin forestier,
Ce n’était nullement un arbre de métier,
Il n’avait jamais vu l’ombre d’un bûcheron,
Ce grand chêne fier sur son tronc.
Il eût connu des jours filés d’or et de soie
Sans ses proches voisins, les pires gens qui soient;
Des roseaux mal pensant, pas méme des bambous,
S’amusant à le mettre à bout.
Du matin jusqu’au soir ces petit rejetons,
Tout juste cann’ à pêch’, à peine mirlitons,
Lui tournant tout autour chantaient, in extenso,
L’histoire du chêne et du roseau.
Et, bien qu’il fût en bois, les chênes, c’est courant,
La fable ne le laissait pas indifférent.
Il advin que lassé d’être en but aux lazzi,
Il se résolue à l’exi.
A grand-peine il sortit ses grands pieds de son trou
Et partit sans se retourner ni peu ni prou.
Mais, moi qui l’ai connu, je sais qu’il souffrit
De quitter l’ingrate patrie
A l’oré’ des forêts, le chêne ténébreux
A lié connaissance avec deux amoureux.
"Grand chêne, laisse-nous sur toi graver nos noms...
Le grand chêne n’a pas dit non.
Quand ils eur’nt épuisé leur grand sac de baisers,
Quand, de tant s’embrasser, leurs becs furent usés,
Ils ouïrent alors, en retenant des pleurs,
Le chêne contant ses malheurs.
"Grand chên’, viens chez nous, tu trouveras la paix,
Nos roseaux savent vivre et n’ont aucun toupet,
Tu feras dans nos murs un aimable séjour,
Arrosé quatre fois par jour. "
103
Cela dit, tous les trois se mirent en chemin,
Chaque amoureux tenant une racine en main.
Comme il semblait content! Comme il semblait heureux
Le chêne entre ses amoureux.
Au pied de leur chaumière ils le firent planter.
Ce fut alors qu’il commença de déchanter
Car, en fait d’arrosage, il n’eut rien que la plui’,
Des chiens levant la part’ sur lui.
On a pris tous ses glands pour nourrir les cochons,
Avec sa belle écorce on a fait des bouchons,
Chaque fois qu’un arrêt de mort était rendu,
C’est lui qui héritait du pendu.
Puis ces mauvaises gens, vandales accomplis,
Le coupèrent en quatre et s’en firent un lit.
Et l’horrible mégère ayant des tas d’amants,
Il vieillit prématurément.
Un triste jour, enfin, ce couple sans aveu
Le passa par la hache et le mit dans le feu.
Comme du bois de caisse, amère destinée
Il périt dans la cheminée.
Le curé de chez nous, petit saint besogneux,
Doute que sa fumé’ s’élève jusqu’à Dieu.
Qu’est-c’qu’il en sait, le bougre, et qui donc lui a dit
Qu’y a pas de chêne en paradis? (bis)
Supplique pour être enterré
à la plage de Sète CD(?)
La Camarde qui ne m’a jamais pardonné
D’avoir semé des fleurs dans les trous de son nez
Me poursuit d’un zèle imbécile.
Alors cerné de près par les enterrements
J’ai cru bon de remettre à jour mon testament,
De me payer un codicille.
Trempe dans l’encre bleue du Golfe du Lion,
Trempe, trempe ta plume, ô mon vieux
tabellion,
Et de ta plus belle écriture,
Note ce qu’il faudrait qu’il advint
de mon corps,
Lorsque mon âme et lui ne seront plus
d’accord,
Que sur un seul point: la rupture.
Supplica per essere sepolto
sulla spiaggia di Sète
La Signora Morte, che non mi ha mai perdonato
di aver seminato dei fiori nei buchi del suo naso,
mi perseguita con uno zelo imbecille.
Allora, accerchiato da vicino dai funerali,
ho pensato bene di aggiornare il mio testamento,
di permettermi un codicillo.
Intingi nell’inchiostro blu del Golfo del Leone,
intingi, intingi la tua penna, o mio vecchio
notaio,
e con la tua più bella grafia
annota ciò che bisognerebbe che avvenisse
del mio corpo
quando lui e la mia anima non saranno più
d’accordo
che su un solo punto: la rottura.
104
Quand mon âme aura prit son vol
à l’horizon,
Vers celles de Gavroche et de Mimi Pinson,
Celles des titis, des grisettes.
Que vers le sol natal mon corps soit
ramené,
Dans un sleeping du Paris-Mediterranée,
Terminus en gare de Sète.
Mon caveau de famille, hélas n’est pas tout
neuf,
Vulgairement parlant, il est plein comme un
oeuf,
Et d’ici que quelqu’un n’en sorte,
Il risque de se faire tard et je ne peux
Dire à ces braves gens: «Poussez-vous donc
un peu,
Place aux jeunes en quelque sorte».
Juste au bord de la mer, à deux pas des flots
bleus,
Creusez si c’est possible un petit trou
moelleux,
Une bonne petite niche.
Auprès de mes amis d’enfance, les dauphins,
Le long de cette grève où le sable est si
fin,
Sur la plage de la Corniche.
C’est une plage où même à ses moments
furieux,
Neptune ne se prend jamais trop au sérieux,
Où quand un bateau fait naufrage,
Le capitaine crie: «Je suis le maître à
bord,
Sauve qui peut le vin et le pastis d’abord,
Chacun sa bonbonne, et courage!»
Et c’est là que jadis, à quinze ans révolus,
À l’âge ou s’amuser tout seul ne suffit plus,
Je connus la prime amourette.
Auprès d’une sirène, une femme-poisson,
Je reçus de l’amour la première leçon,
Avalai la première arête.
Déférence gardée envers Paul Valéry,
Moi l’humble troubadour sur lui je renchéris,
Le bon maître me le pardonne.
Et qu’au moins si ses vers valent mieux que les
miens,
Quando la mia anima avrà preso il volo
all’orizzonte,
verso quelle di Gavroche e di Mini Pinson,
quelle dei monelli, delle ragazze di strada.
Che verso il suolo natale il mio corpo sia
riportato,
in un vagone letto della Parigi-Mediterraneo,
capolinea alla stazione di Sète.
La mia cripta di famiglia, ahimé non è del tutto
nuova,
parlando volgarmente, è piena come un
uovo,
e prima che qualcuno ne esca
rischia di farsi tardi, e io non posso
dire a quelle brave persone: «Stringetevi dunque
un poco,
largo ai giovani, in un certo senso».
Proprio in riva al mare, a due passi dalle onde
blu,
scavate, se è possibile, una piccola, morbida
fossa ,
una buona, piccola nicchia.
Presso i miei amici d’infanzia, i delfini,
lungo quella spiaggia dove la sabbia è così
sottile,
sulla spiaggia della Corniche.
E’ una spiaggia dove, perfino nei suoi momenti
di furia,
Nettuno non si prende mai troppo sul serio;
dove, quando una nave fa naufragio,
il capitano grida: «Sono io che comando a
bordo...
salvi, chi può, prima il vino e i liquori:
a ciascuno la sua damigiana, e coraggio!»
Ed è là che una volta, a quindici anni compiuti,
all’età in cui divertirsi da soli non basta più,
conobbi il mio primo amoretto.
Presso una sirena, una donna-pesce,
ricevetti dell’amore la prima lezione,
inghiottii la prima lisca.
Col tutto il rispetto per Paul Valéry,
io, l’umile cantastorie, faccio un’offerta più alta,
il buon maestro me lo perdoni.
E che almeno, se i suoi versi valgono più dei
miei,
105
Mon cimetière soit plus marin que le sien,
Et n’en déplaise aux autochtones.
Cette tombe en sandwich, entre le ciel et
l’eau,
Ne donnera pas une ombre triste au tableau,
Mais un charme indéfinissable.
Les baigneuses s’en serviront de paravent
Pour changer de tenue, et les petits enfants
Diront: «Chouette, un château de sable!»
Est-ce trop demander: sur mon petit lopin
Plantez, je vous en prie, une espèce de pin,
Pin parasol, de préférence,
Qui saura prémunir contre l’insolation
Les bons amis venus faire sur ma concession
D’affectueuses révérences.
Tantôt venant d’Espagne, et tantôt
d’Italie,
Tous chargés de parfums, de musiques jolies,
Le Mistral et la Tramontane
Sur mon dernier sommeil verseront les échos
De villanelle un jour, un jour de
fandango,
De tarantelle, de sardane.
Et quand prenant ma butte en guise
d’oreiller,
Une Ondine viendra gentiment sommeiller
Avec moins que rien de costume,
J’en demande pardon par avance à Jésus
Si l’ombre de ma croix s’y couche un peu
dessus,
Pour un petit bonheur posthume.
Pauvres rois, pharaons, pauvre Napoléon!
Pauvres grands disparus gisant au Panthéon,
Pauvres cendres de conséquence!
Vous envierez un peu l’éternel estivant
Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant,
Qui passe sa mort en vacances.
Vous envierez un peu l’éternel estivant
Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant,
Qui passe sa mort en vacances.
?
il mio cimitero sia più marino del suo
(con buona pace della gente del posto).
Questa tomba come un panino, tra il cielo e
l’acqua,
non darà un’ombra triste al quadro,
ma un fascino indefinibile;
le bagnanti se ne serviranno come paravento
per cambiarsi di vestito, e i bambini
diranno: «Che bello, un castello di sabbia!»
Se non chiedo troppo, sul mio pezzetto di terra
piantate, vi prego, una specie di pino,
un pino marittimo, preferibilmente,
che saprà proteggere dall’insolazione
i buoni amici venuti a fare sulla mia concessione
qualche affettuosa riverenza.
Talvolta arrivando dalla Spagna, talvolta
dall’Italia,
tutti carichi di profumi, di musiche graziose,
il Mistral e la Tramontana
sul mio ultimo sonno verseranno le eco
di “villanella” un giorno, un giorno di
“fandango”,
di “tarantella”, di “sardana”.
E quando, prendendo la mia collinetta come se
fosse un cuscino,
un’Ondina verrà gentilmente a sonnecchiare
vestita di meno di niente,
chiedo perdono in aticipo a Gesù
se l’ombra della mia croce vi si sdraierà un po’
sopra
per un piccolo godimento postumo.
Poveri re, faraoni, povero Napoleone!
Poveri Grandi trapassati che giacete al Panteon,
povere ceneri importanti!
Voi invidierete un po’ l’eterno villeggiante
che va in pedalò sulle onde, in sogno,
e che passa la morte in vacanza.
Voi invidierete un po’ l’eterno villeggiante
che va in pedalò sulle onde, in sogno,
e che passa la morte in vacanza.
2010
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La marche nuptiale CD(?) La marcia nuziale
106
Mariage d’amour, mariage d’argent,
J’ai vu se marier toutes sortes de gens:
Des gens de basse source (?) et des grands de la
terre,
Des prétendus coiffeurs, des soi-disant notaires.
Quand même je vivrai jusqu’à la fin des temps,
Je garderais toujours le souvenir content
Du jour de pauvre noce où mon père et
ma mère
S’allèrent épouser devant Monsieur le Maire.
C’est dans un char à boeufs, s’il faut parler bien
franc,
Tiré par les amis, poussé par les parents,
Que les vieux amoureux firent leurs épousailles
Après long temps d’amour, long temps de
fiançailles.
Cortège nuptial hors de l’ordre courant,
La foule nous couvait d’un oeil protubérant:
Nous étions contemplés par le monde futile
Qui n’avait jamais vu de noces de ce style.
Voici le vent qui souffle emportant,
crève-coeur!
Le chapeau de mon père et les enfants de
choeur...
Voilà la plui’ qui tombe en pesant bien ses
gouttes,
Comme pour empêcher la noc’, coûte que coûte.
Je n’oublierai jamais la mariée en pleurs
Berçant comme un’ poupé’ son gros
bouquet de fleurs.
Moi, pour la consoler, moi, de toute ma morgue,
Sur mon harmonica jouant les grandes orgues.
Tous les garçons d’honneur, montrant le poing
aux nues,
Criaient: «Par Jupiter, la noce continue!
Par les homm’s décriés, par les dieux contrariés,
La noce continue et Viv’ la mariée!»
?
Matrimonio d’amore, matrimonio di soldi,
ho visto sposarsi ogni tipo di gente:
gente di umili origini, e grandi della
terra,
falsi parrucchieri, sedicenti notai.
Quand’anche vivessi fino alla fine dei tempi,
conserverò sempre il ricordo lieto
del giorno di povere nozze in cui mio padre e
mia madre
andarono a sposarsi davanti al Signor Sindaco.
E’ sopra un carro, per essere
franchi,
tirato dagli amici, spinto dai parenti,
che i vecchi innamorati ebbero il loro sposalizio
dopo molto tempo d’amore, molto tempo di
fidanzamento.
Corteo nuziale fuori dal comune,
la folla ci scrutava con gli occhi spalancati:
eravamo osservati da gente frivola,
che non aveva mai visto nozze in quello stile.
Ed ecco il vento che soffiando solleva – mi si
spezza il cuore!
il cappello di mio padre, e i ragazzi del
coro...
Ecco la pioggia che cade pesando bene le sue
gocce,
come per impedire le nozze, ad ogni costo.
Non dimenticherò mai la sposa in lacrime,
che cullava come una bambola il suo grosso
bouquet di fiori.
Io, per consolarla, io, con tutta la mia boria
con l’armonica suonavo musiche per organo.
Tutti gli invitati, con i pugni chiusi contro
le nuvole,
gridavano: «Per Giove, che le nozze continuino!
Screditati dagli uomini, avversati dagli dei,
che le nozze continuino. E viva la sposa!»
2010
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107
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2010
Saturne
Il est morne, il est taciturne,
Il préside aux choses du temps,
Il porte un joli nom, "Saturne",
Mais c’est un dieu fort inquiétant.
En allant son chemin morose,
Pour se désennuyer un peu,
Il joue à bousculer les roses,
Le temps tu’ le temps comme il peut.
Cette saison, c’est toi, ma belle,
Qui as fait les frais de son jeu,
Toi qui a payé la gabelle,
Un grain de sel dans tes cheveux.
C’est pas vilain, les fleurs d’automne,
Et tous les poètes l’ont dit.
Je te regarde et je te donne
Mon billet qu’ils n’ont pas menti.
Viens encor’, viens ma favorite,
Descendons ensemble au jardin,
Viens effeuiller la marguerite
De l’été de la Saint-Martin.
Je sais par coeur toutes tes grâces
Et, pour me les faire oublier,
Il faudra que Saturne en fasse
Des tours d’horlog’ de sablier!
Et la petit’ pisseus’ d’en face
Peut bien aller se rhabiller.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Misogynie à part
Misogynie à part, le sage avait raison:
il y a les emmerdant’s, on en trouve à foison,
En foule elles se pressent.
Il y a les emmerdeus’s, un peu plus raffiné’s,
Et puis, très nettement au-dessus du panier,
Y’a les emmerderesses.
108
La mienne, à elle seul’, sur tout’s surenchérit,
Ell’ relève à la fois des trois catégori’s,
Véritable prodige,
Emmerdante, emmerdeuse, emmerderesse itou,
Elle passe, ell’ dépasse, elle surpasse tout,
Ell’ m’emmerde, vous dis-je.
Mon Dieu, pardonnez-moi ces propos bien amers,
Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, ell’ m’emmer-
de, elle abuse, elle attige.
Ell’ m’emmerde et j’ regrett’ mes bell’s amours avec
La p’tite enfant d’ Mari que m’a soufflé’ l’évêque,
Ell’ m’emmerde, vous dis-je.
Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, et m’oblige à me cu-
rer les ongles avant de confirmer son cul,
Or, c’est pas callipyge.
Et la charité seul’ pouss’ sa main résigné’
Vers ce cul rabat-joi’, conique, renfrogné,
Ell’ m’emmerde, vous dis-je.
Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, je le répète et quand
Ell’ me tape sur le ventre, elle garde ses gants,
Et ça me désoblige.
Outre que ça dénote un grand manque de tact,
Ca n’ favorise pas tellement le contact,
Ell’ m’emmerde, vous dis-je.
Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerd’ , quand je tombe à genoux
Pour cetain’s dévotions qui sont bien de chez nous
Et qui donn’nt le vertige,
Croyant l’heure venu’ de chanter le credo,
Elle m’ouvre tout grand son missel sur le dos,
Ell’ m’emmerde, vous dis-je.
Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, à la fornication
Ell’ s’emmerde, ell’ s’emmerde avec ostentation,
Ell’ s’emmerde, vous dis-je.
Au lieu de s’écrier: "Encor! Hardi! Hardi!"
Ell’ déclam’ du Claudel, du Claudel, j’ai bien dit,
Alors ça, ça me fige.
Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerd’, j’admets que ce Claudel
Soit un homm’ de génie, un poète immortel,
J’ reconnais son prestige,
Mais qu’on aille chercher dedans son oeuvre pie,
Un aphrodisiaque, non, ça, c’est d’ l’utopie!
Ell’ m’emmerde, vous dis-je.
Titre CD(?) Titolo
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2010
La messe au pendu
Anticlérical fanatique
Gros mangeur d’écclésiastiques,
Cet aveu me coûte beaucoup,
Mais ces hommes d’Eglise, hélas!
Ne sont pas tous des dégueulasses,
Témoin le curé de chez nous.
Quand la foule qui se déchaîne
Pendit un homme au bout d’un chêne
Sans forme aucune de remords,
Ce ratichon fit scandale
Et rugit à travers les stalles,
"Mort à toute peine de mort!"
Puis, on le vit, étrange rite,
Qui baptisait les marguerites
Avec l’eau de son bénitier
Et qui prodiguait les hosties,
Le pain bénit, l’Eucharistie,
Aux petits oiseaux du moutier.
Ensuite, il retroussa ses manches,
Prit son goupillon des dimanches
Et, plein d’une sainte colère,
Il partit comme à l’offensive
Dire une grand’ messe exclusive
A celui qui dansait en l’air.
C’est à du gibier de potence
Qu’en cette triste circonstance
L’Hommage sacré fut rendu.
Ce jour là, le rôle du Christ(e),
Bonne aubaine pour le touriste,
Eté joué par un pendu.
Et maintenant quand on croasse,
Nous, les païens de sa paroisse,
C’est pas lui qu’on veut dépriser.
Quand on crie "A bas la calotte"
A s’en faire péter la glotte,
La sienne n’est jamais visée.
Anticléricaux fanatiques
Gros mangeur d’écclésiastiques,
Quand vous vous goinfrerez un plat
110
De cureton, je vous exhorte,
Camarades, à faire en sorte
Que ce ne soit pas celui-là.
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Pensée des morts
(Poème d’Alphonse De Lamartine)
Voila les feuilles sans seve
qui tombent sur le gazon
voila le vent qui s’eleve
et gemit dans le vallon
voila l’errante hirondelle
qui rase du bout de l’aile
l’eau dormante des marais
voila l’enfant des chaumieres
qui glane sur les bruyeres
le bois tombe des forets
C’est la saison ou tout tombe
aux coups redoubles des vents
un vent qui vient de la tombe
moissonne aussi les vivants
ils tombent alors par mille
comme la plume inutile
que l’aigle abandonne aux airs
lorsque des plumes nouvelles
viennent rechauffer ses ailes
a l’approche des hivers
C’est alors que ma paupiere
vous vit palir et mourir
tendres fruits qu’a la lumiere
dieu n’a pas laisse murir
quoique jeune sur la terre
je suis deja solitaire
parmi ceux de ma saison
et quand je dis en moi-meme
"ou sont ceux que ton couer aime?"
je regarde le gazon
C’est un ami de l’enfance
qu’aux jours sombres du malheur
nous preta la providence
pour appuyer notre coeur
il n’est plus: notre ame est veuve
111
il nous suit dans notre epreuve
et nous dit avec pitie
"Ami si ton ame et pleine
de ta joie ou de ta peine
qui portera la moitie?"
C’est une jeune fiancee
qui, le front ceint du bandeau
n’emporta qu’une pensee
de sa jeunesse au tombeau
Triste, helas! dans le ciel meme
pour revoir celui qu’elle aime
elle revient sur ses pas
et lui dit: "ma tombe est verte!
sur cette terre deserte
qu’attends-tu? je n’y suis pas!"
C’est l’ombre pale d’un pere
qui mourut en nous nommant
c’est une soeur, c’est un frere
qui nous devance un moment
tous ceux enfin dont la vie
un jour ou l’autre ravie,
enporte une part de nous
murmurent sous la pierre
"vous qui voyez la lumiere
de nous vous souvenez vous?"
Voila les feuilles sans seve
qui tombent sur le gazon
voila le vent qui s’eleve
et gemit dans le vallon
voila l’errante hirondelle
qui rase du bout de l’aile
l’eau dormante des marais
voila l’enfant des chaumieres
qui glane sur les bruyeres
le bois tombe des forets
La femme d’Hector CD(?)
En notre tour de Babel
Laquelle est la plus belle
La plus aimable parmi
Les femmes de nos amis?
Laquelle est notre vrai nounou
La p’tite soeur des pauvres de nous
Dans le guignon toujours présente
Quelle est cette fée bienfaisante?
(Refrain)
La moglie di Ettore
Nella nostra torre di Babele,
chi è la più bella,
la più gentile tra
le mogli dei nostri amici?
Chi è la nostra vera tata?
La sorellina di noi poveri,
nella iella, sempre presente:
chi è questa fata benefattrice?
(Ritornello:)
112
C’est pas la femme de Bertrand
Pas la femme de Gontrand
Pas la femme de Pamphile
C’est pas la femme de Firmin
Pas la femme de Germain
Ni celle de Benjamin
C’est pas la femme d’Honoré
Ni celle de Desiré
Ni celle de Téophile
Encore moins la femme de Nestor
Non, c’est la femme d’Hector.
Comme nous dansons devant
Le buffet bien souvent
On a toujours peu ou prou
Les bras criblés de trous.
Qui raccommode ces malheurs
De fils de toutes les couleurs
Qui brode, divine cousette,
des arcs-en-ciel à nos chaussettes?
(Refrain)
Quand on nous prend la main
Sacré bon dieu dans un sac
Et qu’on nous envoie planter
Des choux à la Santé
Quelle est celle qui, prenant modèle
Sur les vertus des chiens fidèles
Reste à l’arrêt devant la porte
En attendant que l’on ressorte?
(Refrain)
Et quand l’un d’entre nous meurt
Qu’on nous met en demeure
De debarasser l’hôtel
De ses restes mortels
Quelle est celle qui r’mue tout Paris
Pour qu’on lui fasse, au plus bas prix
Des funerailles gigantesques
Pas nationales, non, mais presque?
(Refrain)
Et quand vient le mois de mai
Le joli temps d’aimer
Que sans echo, dans les cours,
Nous hurlons à l’amour
Non è la moglie di Bertrand,
non è la moglie di Gontrand,
non è la moglie di Panfilio,
non è la moglie di Firmino,
non è la moglie di Germano,
né quella di Beniamino,
non è la moglie di Onorato,
né quella di Desiderio,
né quella di Teofilo,
ancor meno la moglie di Nestore...
no, è la moglie di Ettore!
Siccome balliamo davanti
alla credenza, molto spesso
abbiamo sempre, chi poco chi tanto,
le braccia crivellate di buchi.
Chi rammenda queste disgrazie
con fili di tutti i colori?
Chi ricama, divina sartina,
degli arcobaleni ai nostri calzini?
(Ritornello)
Quando ci facciamo prendere con le mani
– buon dio – nel sacco,
e quando ci spediscono a piantare
cavoli alla Santé3,
chi è quella che, prendendo come modello
le virtù dei cani fedeli,
rimane di punta davanti alla porta
aspettando che ci facciano uscire?
(Ritornello)
E quando uno di noi muore,
e ci ingiungono
di sbarazzare l’albergo
dei suoi resti mortali,
chi è quella che mette sottosopra tutta Parigi
affinché gli si faccia, al miglior prezzo,
un funerale gigantesco
(non di Stato, no, ma quasi)?
(Ritornello)
E quando arriva il mese di maggio,
il grazioso tempo d’amare,
senza eco, nei cortili,
come ululiamo all’amore!
3 Prigione parigina.
113
Quelle est celle qui nous plaint beaucoup
Quelle est celle qui nous saute au cou
Qui nous dispense sa tendresse
Toutes ses économies d’caresses?
(Refrain)
Ne jetons pas les morceaux
De nos coeurs aux pourceaux
Perdons pas notre latin
Au profit des pantins
Chantons pas la langue des dieux
Pour les balourds, les fess’mathieux
Les paltoquets, ni les bobèches
Les foutriquets, ni les pimbêches,
Ni pour la femme de Bertrand
Pour la femme de Gontrand
Pour la femme de Pamphile
Ni pour la femme de Firmin
Pour la femme de Germain
Pour celle de Benjamin
Ni pour la femme d’Honoré
La femme de Desiré
La femme de Téophile
Encore moins pour la femme de Nestor
Mais pour la femme d’Hector.
?
Chi è quella che ci compatisce tanto,
chi è quella che ci salta al collo
e ci dispensa la sua tenerezza,
tutti i suoi risparmi di caresse?
(Ritornello)
Non buttiamo i pezzi
dei nostri cuori ai maiali,
non perdiamo la testa
a vantaggio dei burattini,
non cantiamo nella lingua degli dei
per gli zoticoni,per i sempliciotti,
per i tangheri, né per i bamboccioni,
per gli sbruffoni, né per le smorfiose,
né per la moglie di Bertrand,
o per la moglie di Gontrand,
o per la moglie di Panfilio,
né per la moglie di Firmino,
o per la moglie di Germano,
o per quella di Beniamino,
né per la moglie di Onorato,
o la moglie di Desiderio,
o la moglie di Teofilo,
ancor meno per la moglie di Nestore...
ma per la moglie di Ettore!
2010
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Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Les Philistins
(Poème de Jean Richepin)
Philistins, épiciers
Tandis que vous caressiez,
Vos femmes
En songeant, aux petits
Que vos grossiers appétits
Engendrent
Vous pensiez, Ils seront
Menton rasé, ventre rond
Notaires
114
Mais pour bien vous punir
Un jour vous voyez venir
Sur terre
Des enfants non voulus
Qui deviennent chevelus
Poètes
Les ricochets CD(?)
J’avais dix-huit ans
Tout juste et quittant
Ma ville natale
Un beau jour, ô gué (?)
Je vins débarquer
Dans la capitale.
J’entrai pas aux cris (?)
D’ “À nous deux, Paris”
En Île-de-France
Que ton Rastignac
N’ait cure (?), Balzac!
De ma concurrence (bis)
Gens en place, dormez
Sans vous alarmer,
Rien ne vous menace
Ce n’est qu’un jeune sot
Qui monte à l’assaut
Du p’tit Montparnasse
On n’s’étonnera pas
Si mes premiers pas
Tout droit me menèrent
Au pont Mirabeau
Pour un coup de chapeau
À l’Apolinaire (bis)
Bec enfariné
Pouvais-je deviner
Le remue-ménage
Que dans mon destin
Causerait soudain
Ce pèlerinage?
Que circonvenu
Mon coeur ingenu
Allait faire des siennes
Tomber amoureux
De sa (?) toute pre-
mière Parisienne (bis)
N’anticipons pas,
I rimbalzelli
Avevo diciott’anni
appena, e lasciando
la mia città natale
un bel giorno – Perbacco!
venni a sbarcare
nella capitale.
Non entrai al grido
di “A noi due, Parigi”:
in Île-de-France,
che il tuo Rastignac
non si preoccupi, Balzac,
della mia concorrenza (bis).
Gente del posto, dormite
senza allarmarvi,
nulla vi minaccia,
non si tratta che di un giovane sciocco,
che arriva all’assalto
del piccolo Montparnasse.
Non ci si meraviglierà
se i miei primi passi
dritto dritto mi portarono
al ponte Mirabeau,
per una scappellata
al modo d’Apollinaire. (bis)
Pivello com’ero,
potevo io immaginare
il trambusto
che nel mio destino
avrebbe causato improvvisamente
questo pellegrinaggio?
Che, imbrogliato,
il mio cuore ingenuo
ne avrebbe combinate delle sue,
che avrebbe fatto innamorare
la sua primissima
Parigina? (bis)
Non anticipiamo!
115
Sur la berge en bas
Tout contre une pile,
La belle tâchait
D’ fair’ des ricochets
D’un’ main malhabile
Moi, dans ce temps-la
Je n’ dis pas cela
En bombant le torse,
L’air avantageux
J’étais è ce jeu
De première force. (bis)
« Tu m’ donn’s un baiser »
Ai-je proposé
À la demoiselle
« Et moi, sans retard
J’ t’apprends de cet art
Toutes les ficelles ».
Affaire conclue,
En une heure elle eut,
L’adresse requise.
En change, moi
J’ cueillis plein d’émoi
Ses lèvres exquises. (bis)
Et durant un temps
Les journaux d’antan
D’ailleurs le relatent
Fallait se lever
Matin pour trouver
Une pierre plate.
On redessina
Du pont d’Iena
Au pont Alexandre
Jusqu’à Saint-Michel,
Mais à notre échelle,
La carte du tendre. (bis)
Mais c’était trop beau:
Au pont Mirabeau
La belle volage
Un jour se penchait (?)
Sur un ricochet
Et gagnait le large.
Ell’ me fit faux bond
Pour un vieux barbon,
La petite ingrate,
Un Crésus vivant
Détail aggravant
Sur la rive droite. (bis)
Sull’argine, in basso,
appoggiata ad un pilone,
la bella cercava
di fare dei rimbalzelli
con una mano maldestra.
Io, a quei tempi
(e non lo dico
per farmi grande,
per farmi superiore),
ero a questo gioco
veramente tra i più bravi (bis).
«Tu mi dai un bacio»
ho proposto
alla signorina
«Ed io, subito,
ti insegno di quest’arte
tutti i segreti».
Affare concluso!
in un’ora lei ebbe
la destrezza necessaria.
In cambio, io,
colsi, pieno di turbamento,
le sue labbra squisite (bis).
E per un certo tempo
(i giornali dell’epoca
del resto lo riportano)
bisognava alzarsi
al mattino per trovare
una pietra piatta.
Ridisegnammo,
dal ponte di Iena
al ponte Alessandro,
fino a San Michele
(ma a nostra scala),
la carta dell’amore (bis).
Ma era troppo bello:
dal ponte Mirabeau
la bella volubile
un giorno si sporse
per un rimbalzello,
e prese il largo.
Mi tirò un bidone
per un vecchio barbuto,
la piccola ingrata,
per un riccone che abitava
(dettaglio aggravante)
sulla riva destra. (bis)
116
J’en pleurai pas mal,
Le flux lacrymal
Me fit la quinzaine.
Au viaduc d’Auteuil
Paraît qu’à vue d’oeil
Grossissait la Seine.
Et si, pont d’ l’Alma,
J’ai pas noyé ma
Détresse ineffable,
C’est qu’ l’eau coulant sous
Les pieds du zouzou
Était imbuvable. (bis)
Et qu’ j’avais acquis
Cett’ conviction qui
Du reste me navre
Que mort ou vivant
Ce n’est pas souvent
Qu’on arrive au Havre.
Nous attristons pas,
Allons de ce pas
Donner, débonnaires,
Au pont Mirabeau
Un coup de chapeau
À l’Apollinaire. (bis)
?
Mi fece piangere un bel po’,
il flusso lacrimale
mi durò due settimane:
al viadotto d’Auteuil
sembrò che a vista d’occhio
ingrossava la Senna.
E se al ponte dell’Alma
non ho annegato la mia
disperazione ineffabile
è perché l’acqua che scorreva sotto
i piedi di quel babbeo
era imbevibile. (bis)
E perché avevo acquisito
questa convinzione, che
del resto mi rattrista:
morti o vivi,
non capita spesso,
che si arrivi al mare.
Non affliggiamoci,
andiamo pian piano
a scappellarci, pacifici,
al ponte Mirabeau,
a scappellarci
al modo d’Apollinaire! (bis)
2010
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Titre CD(?)
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?
Titolo
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2010
Don Juan
Gloire a qui freine a mort, de peur d’ecrabouiller
Le herisson perdu, le crapaud fourvoye!
Et gloire a don Juan, d’avoir un jour souri
A celle a qui les autres n’attachaient aucun prix!
Cette fille est trop vilaine, il me la faut.
Gloire au flic qui barrait le passage aux autos
Pour laisser traverser les chats de Lautaud!
Et gloire a don Juan d’avoir pris rendez-vous,
Avec la dalaisse, que l’amour dasavoue!
Cette fille est trop vilaine, il me la faut.
Gloire au premier venu qui passe et qui se tait
Quand la canaille crie " haro sur le baudet "!
Et gloire a don Juan pour ses galants discours
117
A celle a qui les autres faisaient jamais la cour!
Cette fille est trop vilaine, il me la faut.
Et gloire a ce cure sauvant son ennemi
Lors du massacre de la Saint-Barthlemy!
Et gloire a don Juan qui couvrit de baisers
La fille que les autres refusaient d’embrasser!
Cette fille est trop vilaine, il me la faut.
Et gloire a ce soldat qui jeta son fusil
Plutot que d’achever l’otage a sa merci!
Et gloire a don Juan d’avoir ose trousser
Celle dont le jupon restait toujours baisse!
Cette fille est trop vilaine, il me la faut
Gloire a la bonne soeur qui, par temps pas tres chaud
Degela dans sa main le penis du manchot
Et gloire a don Juan qui fit reluire un soir
Ce cul desherite ne sachant que s’asseoir
Cette fille est trop vilaine, il me la faut
Gloire a qui n’ayant pas d’ideal sacro-saint
Se borne a ne pas trop emmerder ses voisins!
Et gloire a don Juan qui rendit femme celle
Qui, sans lui, quelle horreur! serait morte pucelle!
Cette fille est trop vilaine, il me la faut
Le vieux Léon CD(?)
’Y a tout à l’heur’
Quinze ans d’ malheur
Mon vieux Léon
Que tu es parti
Au paradis
D’ l’accordéon
Parti bon train
Voir si l’ bastrin-
gue et la java
Avaient gardé
Droit de cité
Chez Jéhovah
Quinze ans bientôt
Qu’ musique au dos
Tu t’en allais
Mener le bal
À l’amical’
Des feux follets
En cet asile
Par saint’ Cécile
Pardonne-nous
De n’avoir pas
Il vecchio Leone
Saranno presto
quindici anni d’infelicità,
mio vecchio Leone,
da quando sei partito
per il paradiso
della fisarmonica.
Partito lesto lesto
per vedere se i balli popola-
ri e la giava
avevano ancora
diritto di cittadinanza
presso Geova.
Quindici anni, tra poco,
che, con la musica sulle spalle,
tu te ne andavi
a condurre il ballo,
amichevolmente,
dei fuochi fatui,
in questo ospizio
di santa Cecilia.
Perdonaci
di non aver
118
Su faire cas
De ton biniou.
C’est une erreur
Mais les joueurs
D’accordéon
Au grand jamais
On ne les met
Au Panthéon
Mon vieux tu as dû
T’ contenter du
Champ de navets,
Sans grandes pom-
pe’ et sans pompons
Et sans ave
Mais les copains
Suivaient l’ sapin
Le coeur serré
En rigolant
Pour fair’ semblant
De n’ pas pleurer
Et dans nos coeurs
Pauvre joueur
D’accordéon
Il fait ma foi
Beaucoup moins froid
Qu’au Panthéon.
Depuis mon vieux
Qu’au fond des cieux
Tu as fait ton trou
Il a coulé
De l’eau sous les
Ponts de chez nous.
Les bons enfants
D’ la ru’ de Van-
ve à la Gaîté
L’un comme l’au-
tre au gré des flots
Fur’nt emportés
Mais aucun d’eux
N’a fait fi de
Son temps jadis
Tous sont restés
Du parti des
Myosotis
Tous ces pierrots
Ont le coeur gros
Mon vieux Léon
En entendant
Le moindre chant
saputo far caso
alla tua cornamusa.
E’ certo un errore,
ma i suonatori
di fisarmonica
mai e poi mai
vengono messi
al Panteon.
Vecchio mio, tu hai dovuto
accontentarti del
campo di rape,
senza gran pom-
pa e senza fiori,
e senza “Ave Maria”,
ma gli amici
seguivano la bara
con il cuore stretto,
scherzando
per far finta
di non piangere.
E nei nostri cuori,
povero suonatore
di fisarmonica,
parola mia c’è
molto meno freddo
che al Panteon.
Da quando, vecchio mio,
in fondo ai cieli
hai fatto il tuo buco,
ne è passata
dell’acqua sotto i
ponti di casa nostra.
I bravi ragazzi
dalla via di Van-
ve alla Gaîté,
uno dopo l’al-
tro in balìa dei flutti
furono portati via;
ma nessuno di loro
ha rinnegato
il tempo passato,
tutti sono rimasti
del partito dei
Nontiscordardimé:
tutti quei Pierrot
hanno il cuore gonfio,
mio vecchio Leone,
quando sentono
la più flebile melodia
119
D’accordéon.
Quel temps fait-il
Chez les gentils
De l’au delà
Les musiciens
Ont-ils enfin
Trouvé le la
Et le p’tit bleu
Est-c’ que ça n’ le
Rend pas meilleur
D’être servi
Au sein des vi-
gnes du Seigneur
Si d’ temps en temps
Un’ dam’ d’antan
S’ laisse embrasser
Sûr’ment papa
Que tu r’grett’s pas
D’être passé
Et si l’ bon Dieu
Aim’ tant soit peu
L’accordéon
Au firmament
Tu t’ plais sûr’ment
Mon vieux Léon.
?
di una fisarmonica.
Che tempo fa
presso i Buoni
dell’aldilà?
I musicisti
hanno finalmente
trovato il “La”
ed il vinello, quello buono?
Non lo
rende migliore
il fatto d’essere servito
nel grembo delle vi-
gne del Signore?
E se di tanto in tanto
una dama del tempo che fu
si lascia baciare,
di sicuro, papà,
non rimpiangi
d’essere morto!
E se il buon Dio
ama almeno un poco
la fisarmonica,
nel firmamento
ti trovi sicuramente bene,
mio vecchio Leone.
2010
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texte
?
Titolo
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2010
Le Père Noël et la petite fille
Avec sa hotte sur le dos,
Avec sa hotte sur le dos,
Il s’en venait d’Eldorado,
Il s’en venait d’Eldorado,
Il avait une barbe blanche,
Il avait nom « Papa Gateau »,
Il a mis du pain sur ta planche,
Il a mis les mains sur tes hanches.
Il t’a prom’né’ dans un landeau,
Il t’a prom’né’ dans un landeau,
En route pour la vi’ d’ château,
En route pour la vi’ d’ château,
120
La belle vi’ doré’ sur tranche,
Il te l’offrit sur un plateau.
Il a mis du grain dans ta grange,
Il a mis les mains sur tes hanches.
Toi qui n’avais rien sur le dos,
Toi qui n’avais rien sur le dos,
Il t’a couverte de manteaux,
Il t’a couverte de manteaux,
Il t’a vetu’ comme un dimanche,
Tu n’auras pas froid de sitôt.
Il a mis l’hermine à ta hanche,
Il a mis les mains sur tes hanches.
Tous les camé’s, tous les émaux,
Tous les camé’s, tous les émaux,
Il les fit pendre à tes rameaux,
Il les fit pendre à tes rameaux,
Il fit rouler en avalanches
Perl’ et rubis dans tes sabots.
Il a mis de l’or à ta branche,
Il a mis les mains sur tes hanches.
Tire la bell’, tir’ le rideau,
Tire la bell’, tir’ le rideau,
Sur tes misères de tantôt,
Sur tes misères de tantôt,
Et qu’au-dehors il pleuve, il vente,
Le mauvais temps n’est plus ton lot,
Le joli temps des coudé’s franches...
On a mis les mains sur tes hanches.
Le bistrot
Dans un coin pourri
Du pauvre Paris,
Sur un’ place,
‘l est un vieux bistrot
Tenu pas un gros
Dégueulasse.
Si t’as le bec fin,
S’il te faut du vin
D’ premièr’ classe,
Va boire à Passy,
L’osteria
In un angolo marcio
della Parigi povera,
in una piazza,
c’è una vecchia osteria
tenuta da un grosso
lurido maiale.
Se hai il palato fine,
se hai voglia di vino
di prima classe,
vai a bere a Passy4,
4 Quartiere elegante di Parigi.
121
Le nectar d’ici
Te dépasse.
Mais si t’as l’ gosier
Qu’une armur’ d’acier
Matelasse,
Goûte à ce velours,
Ce petit bleu lourd
De menaces.
Tu trouveras là
La fin’ fleur de la
Populace,
Tous les marmiteux,
Les calamiteux
De la place,
Qui viennent en rang,
Comme les harengs,
Voir en face
La bell’ du bistrot,
La femme à ce gros
Dégueulasse.
Que je boive à fond
L’eau de tout’s les fon-
tain’s Wallace,
Si, dès aujourd’hui,
Tu n’es pas séduit
Par la grâce
De cett’ joli’ fé’
Qui, d’un bouge, a fait
Un palace
Avec ses appas,
Du haut jusqu’en bas,
Bien en place.
Ces trésors exquis,
Qui les embrass’, qui
Les enlace?
Vraiment, c’en est trop!
Tout ça pour ce gros
Dégueulasse!
C’est injuste et fou,
Mais que voulez-vous
Qu’on y fasse?
L’amour se fait vieux,
Il a plus les yeux
Bien en face.
il nettare di quì
non fa per te.
Ma se hai il gozzo
imbottito da un’armatura
d’acciaio,
gustati il velluto
di questo bruciagermi,
che non promette nulla di buono.
Laggiù ci troverai
il fior fiore della
plebaglia,
tutti i deragliati,
tutti i disgraziati
del quartiere,
che vengono a frotte,
come le aringhe,
per vedere in volto
la bella dell’osteria,
la donna di quel grosso
lurido maiale.
Che io possa bere tutta
l’acqua di tutte le fontane
di Wallace
se, oggi stesso,
tu non sarai sedotto
dalla grazia
di questa graziosa fata
che, di una bettola, ha fatto
un palazzo
con tutte le sue curve,
dalla testa ai piedi,
proprio nei punti giusti.
Questi tesori raffinati,
chi li accarezza, chi
li abbraccia?
E’ davvero troppo!
Tutto quel ben di Dio, per quel grosso
lurido maiale!
E’ ingiusto e pazzesco,
ma che volete
farci?
L’amore invecchia,
non ha più gli occhi
sulla faccia.
122
Si tu fais ta cour,
Tâch’ que tes discours
Ne l’agacent.
Sois poli, mon gars,
Pas de geste ou ga-
re à la casse.
Car sa main qui claqu’,
Punit d’un flic-flac
Les audaces.
Certes, il n’est pas né
Qui mettra le nez
Dans sa tasse.
Pas né, le chanceux
Qui dégèl’ra ce
Bloc de glace,
Qui fera dans l’ dos
Les corne’ à ce gros
Dégueulasse.
Dans un coin pourri
Du pauvre Paris,
Sur un’ place,
Une espèc’ de fé’,
D’un vieux bouge, a fait
Un palace.
Se ti lanci nel corteggiamento,
fa’ in modo che i tuoi discorsi
non la secchino.
Sii gentile, ragazzo mio,
niente mosse false, o attenzione
alle sberle.
Poiché quando la sua mano parte,
punisce con grandi schiaffoni
gli impudenti.
Certo, non è ancora nato
quello che metterà il naso
nella sua tazza.
Non è ancora nato, il fortunato
che scioglierà quel
blocco di ghiaccio,
che farà le corna, dietro le spalle,
a quel grosso
lurido maiale.
In un angolo marcio
della Parigi povera,
in una piazza,
una specie di fata,
di una bettola, ha fatto
un palazzo.
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
L’orage
Parlez-moi de la pluie et non pas du beau temps,
Le beau temps me dégoute et m’ fait grincer les dents,
Le bel azur me met en rage,
Car le plus grand amour qui m’ fut donné sur terr’
Je l’ dois au mauvais temps, je l’ dois à Jupiter,
Il me tomba d’un ciel d’orage.
Par un soir de novembre, à cheval sur les toits,
Un vrai tonnerr’ de Brest, avec des cris d’ putois,
Allumait ses feux d’artifice.
Bondissant de sa couche en costume de nuit,
Ma voisine affolé’ vint cogner à mon huis
En réclamant mes bons offices.
« Je suis seule et j’ai peur, ouvrez-moi, par pitié,
123
Mon époux vient d’ partir faire son dur métier,
Pauvre malheureux mercenaire,
Contraint d’ coucher dehors quand il fait mauvais temps,
pour la bonne raison qu’il est représentant
D’un’ maison de paratonnerre. »
En bénissant le nom de Benjamin Franklin,
Je l’ai mise en lieu sûr entre mes bras calins,
Et puis l’amour a fait le reste!
Toi qui sèmes des paratonnerre’ à foison,
Que n’en as-tu planté sur ta propre maison?
Erreur on ne peut plus funeste.
Quand Jupiter alla se faire entendre ailleurs,
La belle, ayant enfin conjuré sa frayeur
Et recouvré tout son courage,
Rentra dans ses foyers fair’ sécher son mari
En m’ donnant rendez-vous les jours d’intempéri’,
Rendez-vous au prochain orage.
A partir de ce jour j’ n’ai plus baissé les yeux,
J’ai consacré mon temps à contempler les cieux,
A regarder passer les nues,
A guetter les stratus, à lorgner les nimbus,
A faire les yeux doux aux moindres cumulus,
Mais elle n’est pas revenue.
Son bonhomm’ de mari avait tant fait d’affair’s,
Tant vendu ce soir-là de petits bouts de fer,
Qu’il était dev’nu millionnaire
Et l’avait emmené’ vers des cieux toujours bleus,
Des pays imbécile’ où jamais il ne pleut,
Où l’on ne sait rien du tonnerre.
Dieu fass’ que ma complainte aille, tambour battant,
Lui parler de la plui’, lui parler du gros temps
Auxquels on a t’nu tête ensemble,
Lui conter qu’un certain coup de foudre assassin
Dans le mill’ de mon coeur a laissé le dessin
D’un’ petit’ fleur qui lui ressemble.
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Titolo
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2010
Les illusions perdues
On creva ma première bulle de savon
Ya plus de cinquante ans, depuis je me morfonds.
124
On jeta mon Père Noël en bas du toit,
Ca fait* belle lurette, et j’en reste pantois.
Premier amour déçu. Jamais plus, officiel,
Je ne suis remonté jusqu’au septième ciel!
Le Bon Dieu déconnait. J’ai décroché Jésus
De sa croix: n’avait plus rien à faire dessus.
Les lendemains chantaient. Hourra l’Oural! Bravo!
Il m’a semblé soudain qu’ils chantaient un peu faux.
J’ai couru pour quitter ce monde saugrenu
Me noyer** dans le premier océan venu.
Juste voguait par là le bateau des copains;
Je me suis accroché bien fort à ce grappin.
Et par enchantement, tout fut régénéré,
L’espérance cessa d’être désespérée.
Et par enchantement, tout fut régénéré,
L’espérance cessa d’être désespérée.
Variantes:
*: Voici belle lurette...
**: Me jeter dans...
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
Les oiseaux de passage
(Poème de Jean Richepin)
Ô vie heureuse des bourgeois
Qu’avril bourgeonne
Ou que decembre gèle,
Ils sont fiers et contents
Ce pigeon est aimé,
Trois jours par sa pigeonne
Ca lui suffit il sait
Que l’amour n’a qu’un temps
Ce dindon a toujours
Béni sa destinée
Et quand vient le moment
De mourir il faut voir
125
Cette jeune oie en pleurs
C’est la que je suis née
Je meurs presd de ma mère
Et je fais mon devoir
Elle a fait son devoir
C’est a dire que Onques
Elle n’eut de souhait
Impossible elle n’eut
Aucun rêve de lune
Aucun désir de jonque
L’emportant sans rameurs
Sur un fleuve inconnu
Et tous sont ainsi faits
Vivre la même vie
Toujours pour ces gens là
Cela n’est point hideux
Ce canard n’a qu’un bec
Et n’eut jamais envie
Ou de n’en plus avoir
Ou bien d’en avoir deux
Ils n’ont aucun besoin
De baiser sur les lèvres
Et loin des songes vains
Loin des soucis cuisants
Possèdent pour tout coeur
Un vicere sans fièvre
Un coucou régulier
Et garanti dix ans
Ô les gens bien heureux
Tout à coup dans l’espace
Si haut qu’ils semblent aller
Lentement en grand vol
En forme de triangle
Arrivent planent, et passent
Où vont ils? ... qui sont-ils?
Comme ils sont loins du sol
Regardez les passer, eux
Ce sont les sauvages
Ils vont où leur desir
Le veut par dessus monts
Et bois, et mers, et vents
126
Et loin des esclavages
L’air qu’ils boivent
Ferait éclater vos poumons
Regardez les avant
D’atteindre sa chimère
Plus d’un l’aile rompue
Et du sang plein les yeux
Mourra. Ces pauvres gens
Ont aussi femme et mère
Et savent les aimer
Aussi bien que vous, mieux
Pour choyer cette femme
Et nourrir cette mère
Ils pouvaient devenir
Volailles comme vous
Mais ils sont avant tout
Des fils de la chimère
Des asoiffés d’azur
Des poètes des fous
bis
Regardez les vieux coqs
Jeune Oie édifiante
Rien de vous ne pourra
monter aussi haut qu’eux
Et le peu qui viendra
d’eux à vous
C’est leur fiante
Les bourgeois sont troublés
De voir passer les gueux
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Titolo
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2010
Heureux qui comme Ulysse
Heureux qui comme Ulysse
a fait un beau voyage
Heureux qui comme Ulysse
a vu cent paysages
Et puis a retrouve
apres maintes traversees
le pays des vertes annees
127
Par un petit matin d’ete
quand le soleil vous chante au coeur
qu’elle est belle
la liberte la liberte
Quand on est mieux ici qu’ailleurs
quand un ami fait le bonheur
qu’elle est belle
la liberte la liberte
Avec le soleil et le vent
avec la pluie et le beau temps
On vivait bien content
mon cheval
ma provence et moi
mon cheval ma provence et moi
Heureux qui comme Ulysse
a fait un beau voyage
Heureux qui comme Ulysse
a vu cent paysages
Et puis a retrouve
apres maintes traversees
le pays des vertes annees
Par un joli matin d’ete
quand le soleil vous chante au coeur
qu’elle est belle
la liberte la liberte
Quand s’en est fini des malheurs
quand un ami seche vos pleurs
qu’elle est belle
la liberte la liberte
battu le soleil et le vent
perdu au milieu des etangs
On vivra bien content
mon cheval
ma camargue et moi
mon cheval ma camargue et moi
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Titolo
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2010
Pénélope
Toi l’epouse modele,
le grillon du foyer;
128
toi qui n’a point d’accrocs
dans ta robe de mariee;
toi l’intraitable Penelope
en suivant ton petit
bonhomme de bonheur,
ne berces-tu jamais
en tout bien tout honneur
de jolies pensees interlopes?
De jolies pensees interlopes...
Derriere tes rideaux,
dans ton juste milieu,
en attendant l’retour
d’un Ulysse de banlieue;
penchee sur tes travaux de toile,
les soirs de vague a l’ame
et de melancolie
n’as tu jamais en reve
au ciel d’un autre lit
compte de nouvelles etoiles?
Compter de nouvelles etoiles...
N’as-tu jamais encore
appele de tes voeux
l’amourette qui passe,
qui vous prend aux cheveux?
Qui vous compte des bagatelles,
qui met la marguerite
au jardin potager,
la pomme defendue
aux branches du verger,
et le desordre a vos dentelles?
Et le desordre a vos dentelles...
N’as-tu jamais souhaite
de revoir en chemin
cet ange, ce demon,
qui son arc a la main
decoche des fleches malignes?
Qui rend leur chair de femme
aux plus froides statues,
les bascul’ de leur socle
bouscule leur vertu,
arrache leur feuille de vigne...
Arrache leur feuille de vigne...
N’ait crainte que le ciel
ne t’en tienne rigueur,
il n’y a vraiment pas la
de quoi fouetter un coeur
qui bat la campagne et gallope...
129
C’est la faute commune
et le peche veniel,
c’est la face cachee
de la lune de miel
et la rancon de Penelope...
Et la rancon de Penelope.
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Titolo
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2010
Boulevard du temps qui passe
A peine sortis du berceau,
Nous sommes allés faire un saut
Au boulevard du temps qui passe,
En scandant notre " Ça ira "
Contre les vieux, les mous, les gras,
Confinés dans leurs idées basses.
On nous a vus, c’était hier,
Qui descendions, jeunes et fiers,
Dans une folle sarabande,
En allumant des feux de joie,
En alarmant les gros bourgeois,
En piétinant leurs plates-bandes.
Jurant de tout remettre à neuf,
De refaire quatre-vingt-neuf,
De reprendre un peu la Bastille,
Nous avons embrassé, goulus,
Leurs femmes qu’ils ne touchaient plus,
Nous avons fécondé leurs filles.
Dans la mare de leurs canards
Nous avons lancé, goguenards,
Force pavés, quelle tempête!
Nous n’avons rien laissé debout,
Flanquant leurs credos, leurs tabous
Et leurs dieux, cul par-dessus tête.
Quand sonna le " cessez-le-feu "
L’un de nous perdait ses cheveux
Et l’autre avait les tempes grises.
Nous avons constaté soudain
Que l’été de la Saint-Martin
N’est pas loin du temps des cerises.
Alors, ralentissant le pas,
130
On fit la route à la papa,
Car, braillant contre les ancêtres,
La troupe fraîche des cadets
Au carrefour nous attendait
Pour nous envoyer à Bicêtre.
Tous ces gâteux, ces avachis,
Ces pauvres sépulcres blanchis
Chancelant dans leur carapace,
On les a vus, c’était hier,
Qui descendaient jeunes et fiers,
Le boulevard du temps qui passe.
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2010
Celui qui a mal tourné
Il y avait des temps et des temps
Qu’je n’m’étais pas servi d’mes dents
Qu’je n’ mettais pas d’vin dans mon eau
Ni de charbon dans mon fourneau.
Tous les croque-morts, silencieux,
Me dévoraient déjà des yeux:
Ma dernière heure allait sonner...
C’est alors que j’ai mal tourné.
N’y allant pas par quatre chemins,
J’estourbis en un tournemain,
En un coup de bûche excessif,
Un noctambule en or massif.
Les chats fourrés, quand ils l’ont su,
M’ont posé la patte dessus
Pour m’envoyer à la Santé
Me refaire une honnêteté.
Machin, Chose, Un tel, Une telle,
Tous ceux du commun des mortels
Furent d’avis que j’aurais dû
En bonn’ justice être pendu
A la lanterne et sur-le-champ.
Y s’voyaient déjà partageant
Ma corde, en tout bien tout honneur,
En guise de porte-bonheur.
Au bout d’un siècle, on m’a jeté
131
A la porte de la Santé.
Comme je suis sentimental,
Je retourne au quartier natal,
Baissant le nez, rasant les murs,
Mal à l’aise sur mes fémurs,
M’attendant à voir les humains
Se détourner de mon chemin.
Y’ en a un qui m’a dit: " Salut!
Te revoir, on n’y comptait plus... "
Y’ en a un qui m’a demandé
Des nouvelles de ma santé.
Lors, j’ai vu qu’il restait encor’
Du monde et du beau mond’ sur terre,
Et j’ai pleuré, le cul par terre,
Toutes les larmes de mon corps.
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2010
Histoire de faussaires
Se découpant sur champ d’azur
La ferme était fausse bien sûr,
Et le chaume servant de toit
Synthétique comme il se doit.
Au bout d’une allée de faux buis,
On apercevait un faux puits
Du fond duquel la vérité
N’avait jamais dû remonter.
Et la maîtresse de céans
Dans un habit, ma foi, seyant
De fermière de comédie
A ma rencontre descendit,
Et mon petit bouquet, soudain,
Parut terne dans ce jardin
Près des massifs de fausses fleurs
Offrant les plus vives couleurs.
Ayant foulé le faux gazon,
Je la suivis dans la maison
Où brillait sans se consumer
Un genre de feu sans fumée.
Face au faux buffet Henri deux,
132
Alignés sur les rayons de
La bibliothèque en faux bois,
Faux bouquins achetés au poids.
Faux Aubusson, fausses armures,
Faux tableaux de maîtres au mur,
Fausses perles et faux bijoux
Faux grains de beauté sur les joues,
Faux ongles au bout des menottes,
Piano jouant des fausses notes
Avec des touches ne devant
Pas leur ivoire aux éléphants.
Aux lueurs des fausses chandelles
Enlevant ses fausses dentelles,
Elle a dit, mais ce n’était pas
Sûr, tu es mon premier faux pas.
Fausse vierge, fausse pudeur,
Fausse fièvre, simulateurs,
Ces anges artificiels
Venus d’un faux septième ciel.
La seule chose un peu sincère
Dans cette histoire de faussaire
Et contre laquelle il ne faut
Peut-être pas s’inscrire en faux,
C’est mon penchant pour elle et mon
Gros point du côté du poumon
Quand amoureuse elle tomba
D’un vrai marquis de Carabas.
En l’occurrence Cupidon
Se conduisit en faux-jeton,
En véritable faux témoin,
Et Vénus aussi, néanmoins
Ce serait sans doute mentir
Par omission de ne pas dire
Que je leur dois quand même une heure
Authentique de vrai bonheur.
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2010
La fessée
La veuve et l’orphelin, quoi de plus émouvant?
Un vieux copain d’école étant mort sans enfants,
Abandonnant au monde une épouse épatante,
133
J’allai rendre visite à la désespérée.
Et puis, ne sachant plus où finir ma soirée,
Je lui tins compagnie dans la chapelle ardente.
Pour endiguer ses pleurs, pour apaiser ses maux,
Je me mis à blaguer, à sortir des bons mots,
Tous les moyens sont bons au médecin de l’âme...
Bientôt, par la vertu de quelques facéties,
La veuve se tenait les côtes, Dieu merci!
Ainsi que des bossus, tous deux nous rigolâmes.
Ma pipe dépassait un peu de mon veston.
Aimable, elle m’encouragea: "Bourrez-la donc,
Qu’aucun impératif moral ne vous arrête,
Si mon pauvre mari détestait le tabac,
Maintenant la fumé’ ne le dérange pas
Mais où diantre ai-je mis mon porte-cigarettes? "
A minuit, d’une voix douce de séraphin,
Elle me demanda si je n’avais pas faim.
"Ca le ferait-il revenir, ajouta-t-elle,
De pousser la piété jusqu’à l’inanition
Que diriez-vous d’une frugale collation?"
Et nous fîmes un petit souper aux chandelles.
" Regardez s’il est beau! Dirait-on point qu’il dort?
Ce n’est certes pas lui qui me donnerait tort
De noyer mon chagrin dans un flot de champagne. "
Quand nous eûmes vidé le deuxième magnum,
La veuve était ému’, nom d’un petit bonhomme
Et son esprit se mit à battre la campagne...
" Mon Dieu, ce que c’est tout de même que de nous!"
Soupira-t-elle, en s’asseyant sur mes genoux. ;
Et puis, ayant collé sa lèvre sur ma lèvre,
" Me voilà, rassuré’, fit-elle, j’avais peur
Que, sous votre moustache en tablier d’ sapeur,
Vous ne cachiez coquettement un bec-de-lièvre... "
Un tablier d’ sapeur, ma moustache, pensez!
Cette comparaison méritait la fessée.
Retroussant l’insolente avec nulle tendresse,
Conscient d’accomplir, somme toute, un devoir,
Mais en fermant les yeux pour ne pas trop en voir,
Paf! j’abattis sur elle une main vengeresse!
" Aï’! vous m’avez fêlé le postérieur en deux! "
Se plaignit-elle, et je baissai le front, piteux,
Craignant avoir frappé de façon trop brutale.
Mais j’appris, par la suite, et j’en fus bien content,
134
Que cet état de chos’s durait depuis longtemps
Menteuse! la fêlure était congénitale.
Quand je levai la main pour la deuxième fois,
Le coeur n’y était plus, j’avais perdu la foi,
Surtout qu’elle s’était enquise, la bougresse .
" Avez-vous remarqué que j’avais un beau cul? "
Et ma main vengeresse est retombé’, vaincu’
Et le troisième coup ne fut qu’une caresse...
" Avez-vous remarqué que j’avais un beau cul? "
Et ma main vengeresse est retombé’, vaincu’
Et le troisième coup ne fut qu’une caresse...
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2010
La ronde des jurons
Voici la ronde des jurons
Qui chantaient clair, qui dansaient rond,
Quand les Gaulois
De bon aloi
Du franc-parler suivaient la loi, jurant par-là,
jurant par-ci,
jurant à langue raccourci’,
Comme des grains de chapelet
Les joyeux jurons défilaient:
Refrain
Tous les morbleus, tous les ventrebleus,
Les sacrebleus et les cornegidouilles,
Ainsi, parbleu, que les jarnibleus
Et les palsambleus,
Tous les cristis, les ventres saint-gris,
Les par ma barbe et les noms d’une pipe,
Ainsi, pardi, que les sapristis
Et les sacristis,
Sans oublier les jarnicotons,
Les scrogneugneus et les bigre’ et les bougre’,
Les saperlott’s, les cré nom de nom,
Les peste, et pouah, diantre, fichtre et foutre,
Tous les Bon Dieu,
Tous les vertudieux,
Tonnerr’ de Brest et saperlipopette,
Ainsi, pardieu, que les jarnidieux
Et les pasquedieux.
135
Quelle pitié!
Les charretiers
Ont un langage châtié!
Les harengères
Et les mégère’s
Ne parlent plus à la légère!
Le vieux catéchisme poissard
N’a guèr’ plus cours chez les hussards...
Ils ont vécu, de profundis,
Les joyeux jurons de jadis.
Au refrain
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2010
La rose, la bouteille et la poignée de main
Cette rose avait glissé de
La gerbe qu’un héros gâteux
Portait au monument aux Morts.
Comme tous les gens levaient leurs
Yeux pour voir hisser les couleurs,
Je la recueillis sans remords.
Et je repris ma route et m’en allai quérir,
Au p’tit bonheur la chance, un corsage à fleurir.
Car c’est une des pir’s perversions qui soient
Que de garder une rose par-devers soi.
La première à qui je l’offris
Tourna la tête avec mépris,
La deuxième s’enfuit et court
Encore en criant "Au secours! "
Si la troisième m’a donné
Un coup d’ombrelle sur le nez,
La quatrième, c’est plus méchant,
Se mit en quête d’un agent.
Car, aujourd’hui, c’est saugrenu,
Sans être louche, on ne peut pas
Fleurir de belles inconnu’s.
On est tombé bien bas, bien bas...
Et ce pauvre petit bouton
De rose a fleuri le veston
136
D’un vague chien de commissaire,
Quelle misère!
Cette bouteille était tombé’
De la soutane d’un abbé
Sortant de la messe ivre mort.
Une bouteille de vin fin
Millésimé, béni, divin,
Je la recueillis sans remords.
Et je repris ma route en cherchant, plein d’espoir,
Un brave gosier sec pour m’aider à la boire.
Car c’est une des pir’s perversions qui soient
Que de garder du vin béni par-devers soi.
Le premier refusa mon verre
En me lorgnant d’un oeil sévère,
Le deuxième m’a dit, railleur,
De m’en aller cuver ailleurs.
Si le troisième, sans retard,
Au nez m’a jeté le nectar,
Le quatrième, c’est plus méchant,
Se mit en quête, d’un agent.
Car, aujourd’hui, c’est saugrenu,
Sans être louche, on ne peut pas
Trinquer avec des inconnus.
On est tombé bien bas, bien bas...
Avec la bouteille de vin fin
Millésimé, béni, divin,
Les flics se sont rincé la dalle,
Un vrai scandale!
Cette pauvre poigné’ de main
Gisait, oubliée, en chemin,
Par deux amis fâchés à mort.
Quelque peu décontenancé’,
Elle était là, dans le fossé.
Je la recueillis sans remords.
Et je repris ma route avec l’intention
De faire circuler la virile effusion,
Car c’est une des pir’s perversions qui soient
Qu’ de garder une poigné’ de main par-devers soi.
Le premier m’a dit: "Fous le camp!
J’aurais peur de salir mes gants."
Le deuxième, d’un air dévot,
Me donna cent sous, d’ailleurs faux.
137
Si le troisième, ours mal léché,
Dans ma main tendue a craché,
Le quatrième, c’est plus méchant,
Se mit en quête d’un agent.
Car, aujourd’hui, c’est saugrenu,
Sans être louche, on ne peut pas
Serrer la main des inconnus.
On est tombé bien bas, bien bas...
Et la pauvre poigné’ de main,
Victime d’un sort inhumain,
Alla terminer sa carrière
A la fourrière!
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Titolo
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2010
Le cocu
Comme elle n’aime pas beaucoup la solitude,
Cependant que je pêche et que je m’ennoblis,
Ma femme sacrifie à sa vieille habitude
De faire, à tout venant, les honneurs de mon lit. (bis)
Eh! oui, je suis cocu, j’ai du cerf sur la tête,
On fait force de trous dans ma lune de miel,
Ma bien-aimé’ ne m’invite plus à la fête
Quand ell’ va faire un tour jusqu’au septième ciel. (bis)
Au péril de mon cœur, la malheureuse écorne
Le pacte conjugal et me le déprécie,
Que je ne sache plus où donner de la corne
Semble bien être le cadet de ses soucis. (bis)
Les galants de tout poil viennent boire en mon verre,
Je suis la providence des écornifleurs,
On cueille dans mon dos la tendre primevère
Qui tenait le dessus de mon panier de fleurs. (bis)
En revenant fourbu de la pêche à la ligne,
Je les surprends tout nus dans leurs débordements.
Conseillez-leur le port de la feuille de vigne,
Ils s’y refuseront avec entêtement. (bis)
Souiller mon lit nuptial, est-c’que ça les empêche
De garder les dehors de la civilité?
Qu’on me demande au moins si j’ai fait bonne pêche,
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Qu’on daigne s’enquérir enfin de ma santé. (bis)
De grâce, un minimum d’attentions délicates
Pour ce pauvre mari qu’on couvre de safran!
Le cocu, d’ordinaire, on le choie, on le gâte,
On est en fin de compte un peu de ses parents. (bis)
A l’heure du repas, mes rivaux détestables
Ont encor’ ce toupet de lorgner ma portion!
Ça leur ferait pas peur de s’asseoir à ma table.
Cocu, tant qu’on voudra, mais pas amphitryon. (bis)
Partager sa moitié, est-c’que cela comporte
Que l’on partage aussi la chère et la boisson?
Je suis presque obligé de les mettre à la porte,
Et bien content s’ils n’emportent pas mes poissons. (bis)
Bien content qu’en partant ces mufles ne s’égarent
Pas à mettre le comble à leur ignomini’
En sifflotant "Il est cocu, le chef de gare... "
Parc’ que, le chef de gar’, c’est mon meilleur ami. (bis)
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2010
Le fantôme
C’était tremblant, c’était troublant,
C’était vêtu d’un drap tout blanc,
Ça présentait tous les symptômes,
Tous les dehors de la vision,
Les faux airs de l’apparition,
En un mot, c’était un fantôme
A sa manière d’avancer,
A sa façon de balancer
Les hanches quelque peu convexes,
Je compris que j’avais affaire
A quelqu’un du genr’ que j’préfère
A un fantôme du beau sexe.
" Je suis un p’tit poucet perdu,
Me dit-ell’, d’un’ voix morfondu’,
Un pauvre fantôme en déroute.
Plus de trace des feux follets,
Plus de trace des osselets
Dont j’avais jalonné ma route!"
"Des poèt’s sans inspiration
Auront pris - quelle aberration
Mes feux follets pour des étoiles.
De pauvres chiens de commissaire
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Auront croqué - quelle misère!
Mes osselets bien garnis de moelle."
"A l’heure où le coq chantera,
J’aurai bonn’ mine avec mon drap
Plein de faux plis et de coutures
Et dans ce siècle profane où
Les gens ne croient plus guère à nous,
On va crier à l’imposture. "
Moi, qu’un chat perdu fait pleurer,
Pensez si. j’eus le cœur serré
Devant l’embarras du fantôme.
"Venez, dis-je en prenant sa main,
Que je vous montre le chemin,
Que je vous reconduise at home"
L’histoire finirait ici
Mais la brise, et je l’en remerci’,
Troussa le drap d’ma cavalière...
Dame, il manquait quelques osselets,
Mais le reste, loin d’être laid,
Était d’un’ grâce singulière.
Mon Cupidon, qui avait la
Flèche facile en ce temps-là,
Fit mouche et, le feu sur les tempes,
Je conviai, sournoisement,
La belle à venir un moment
Voir mes icônes, mes estampes...
"Mon cher, dit-ell’, vous êtes fou
J’ai deux mille ans de plus que vous... "
- Le temps, madam’, que nous importe
Mettant le fantôm’ sous mon bras,
Bien enveloppé dans son drap,
Vers mes pénates je l’emporte
Eh bien, messieurs, qu’on se le dis’
Ces belles dames de jadis
Sont de satané’s polissonnes,
Plus expertes dans le déduit
Que certain’s dames d’aujourd’hui,
Et je ne veux nommer personne
Au p’tit jour on m’a réveillé,
On secouait mon oreiller
Avec un’ fougu’ plein’ de promesses.
Mais, foin des délic’s de Capoue!
C’était mon père criant: "Debout!
Vains dieux, tu vas manquer la messe "
Mais, foin des délic’s de Capoue!
C’était mon père criant: "Debout!
Vains dieux, tu vas manquer la messe "
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140
? 2010
Les deux oncles
C’était l’oncle Martin, c’était l’oncle Gaston
L’un aimait les Tommi’s, l’autre aimait les Teutons.
Chacun, pour ses amis, tous les deux ils sont morts.
Moi, qui n’aimais personne, eh bien! je vis encor.
Maintenant, chers tontons, que les temps ont coulé,
Que vos veuves de guerre ont enfin convolé,
Que l’on a requinqué, dans le ciel de Verdun,
Les étoiles terni’s du maréchal Pétain,
Maintenant que vos controverses se sont tu’s,
Qu’on s’est bien partagé les cordes des pendus,
Maintenant que John Bull nous boude, maintenant,
Que c’en est fini des querelles d’Allemands
Que vos fill’s et vos fils vont, la main dans la main,
Faire l’amour ensemble et l’Europ’ de demain,
Qu’ils se soucient de vos batailles presque autant
Que l’on se souciait des guerres de Cent Ans,
On peut vous l’avouer, maintenant, chers tontons,
Vous l’ami des Tommi’s, vous l’ami des Teutons,
Que, de vos vérités, vos contrevérités,
Tout le monde s’en fiche à l’unanimité.
De vos épurations, vos collaborations,
Vos abominations et vos désolations,
De vos plats de choucroute et vos tasses de thé,
Tout le monde s’en fiche à l’unanimité.
En dépit de ces souvenirs qu’on commémore,
Des flammes qu’on ranime aux monuments aux Morts,
Des vainqueurs, des vaincus, des autres et de vous,
Révérence parler, tout le monde s’en fout.
La vi’, comme dit l’autre, a repris tous ses droits.
Elles ne font plus beaucoup d’ombre, vos deux croix,
Et, petit à petit, vous voilà devenus,
L’Arc de triomphe en moins, des soldats inconnus.
Maintenant, j’en suis sûr, chers malheureux tontons,
Vous, l’ami des Tommi’s, vous, l’ami des Teutons,
Si vous aviez vécu, si vous étiez ici,
C’est vous qui chanteriez la chanson que voici,
Chanteriez, en trinquant ensemble à vos santés,
Qu’il est fou de perdre la vi’ pour des idé’s,
Des idé’s comme ça, qui viennent et qui font
Trois petits tours, trois petits morts, et puis s’en vont,
Qu’aucune idée sur terre est digne d’un trépas,
Qu’il faut laisser ce rôle à ceux qui n’en ont pas,
Que prendre, sur-le-champ, l’ennemi comme il vient,
141
C’est de la bouilli’ pour les chats et pour les chiens,
Qu’au lieu de mettre en jou’ quelque vague ennemi,
Mieux vaut attendre un peu qu’on le change en ami,
Mieux vaut tourner sept fois sa crosse dans la main,
Mieux vaut toujours remettre une salve à demain,
Que les seuls généraux qu’on doit suivre aux talons,
Ce sont les généraux des p’tits soldats de plomb.
Ainsi, chanteriez-vous tous les deux en suivant
Malbrough qui va-t-en guerre au pays des enfants.
Ô vous, qui prenez aujourd’hui la clé des cieux,
Vous, les heureux coquins qui, ce soir, verrez Dieu,
Quand vous rencontrerez mes deux oncles, là-bas,
Offrez-leur de ma part ces "Ne m’oubliez pas ",
Ces deux myosotis fleuris dans mon jardin
Un p’tit forget me not pour mon oncle Martin,
Un p’tit vergiss mein nicht pour mon oncle Gaston,
Pauvre ami des Tommi’s, pauvre ami des teutons.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Les patriotes
Les invalid’s chez nous, l’revers de leur médaille
C’est pas d’être hors d’état de suivr’ les fill’s, cré nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir retourner au champ de bataille.
Le rameau d’olivier n’est pas notre symbole, non!
Ce que, par-dessus tout, nos aveugles déplorent,
C’est pas d’être hors d’état d’se rincer l’œil, cré nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir lorgner le drapeau tricolore.
La ligne bleue des Vosges sera toujours notre horizon.
Et les sourds de chez nous, s’ils sont mélancoliques,
C’est pas d’être hors d’état d’ouïr les sirènes, cré de nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir entendre au défilé d’la clique,
Les échos du tambour, de la trompette et du clairon.
Et les muets d’chez nous, c’qui les met mal à l’aise
C’est pas d’être hors d’état d’conter fleurette, cré nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir reprendre en chœur la Marseillaise.
Les chansons martiales sont les seules que nous entonnons.
Ce qui de nos manchots aigrit le caractère,
C’est pas d’être hors d’état d’pincer les fess’s, cré nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir faire le salut militaire.
jamais un bras d’honneur ne sera notre geste, non!
142
Les estropiés d’chez nous, ce qui les rend patraques,
C’est pas d’être hors d’état d’courir la gueus’, cré nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir participer à une attaque.
On rêve de Rosalie, la baïonnette, pas de Ninon.
C’qui manque aux amputés de leurs bijoux d’famille,
C’est pas d’être hors d’état d’aimer leur femm’, cré nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir sabrer les belles ennemies.
La colomb’ de la paix, on l’apprête aux petits oignons.
Quant à nos trépassés, s’ils ont tous l’âme en peine,
C’est pas d’être hors d’état d’mourir d’amour, cré nom de nom,
Mais de ne plus pouvoir se faire occire à la prochaine.
Au monument aux morts, chacun rêve d’avoir son nom.
Titre CD(?)
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2010
Les quatre bacheliers
Nous étions quatre bacheliers
Sans vergogne
La vrai’ crème des écoliers
Des écoliers
Pour offrir aux filles des fleurs
Sans vergogne
Nous nous fimes un peu voleurs
Un peu voleurs
Les sycophantes du pays
Sans vergogne
Au gendarmes nous ont trahis
Nous ont trahis
Et l’on vit quatre bacheliers
Sans vergogne
Qu’on emmène, les mains lié’s
Les mains lié’s
On fit venir à la prison
Sans vergogne
Les parents des mauvais garçons
Mauvais garçons
Les trois premiers pères, les trois
Sans vergogne
En perdirent tout leur sang-froid
Tout leur sang-froid
143
Comme un seul ils ont déclaré
Sans vergogne
Qu’on les avait déshonorés
Déshonorés
Comme un seul ont dit: "C’est fini
Sans vergogne
Fils indigne, je te reni’
Je te reni’"
Le quatrième des parents
Sans vergogne
C’était le plus gros, le plus grand
Le plus grand
Quant il vint chercher son voleur
Sans vergogne
On s’attendait à un malheur
A un malheur
Mais il n’a pas déclaré, non
Sans vergogne
Que l’on avait sali son nom
Sali son nom
Dans le silence on l’entendit
Sans vergogne
Qui lui disait: "Bonjour, petit
Bonjour, petit"
On le vit, on le croirait pas
Sans vergogne
Lui tendre sa blague à tabac
Blague à tabac
Je ne sais pas s’il eut raison
Sans vergogne
D’agir d’une telle façon
Telle façon
Mais je sais qu’un enfant perdu
Sans vergogne
A de la corde de pendu
De pendu
A de la chance quand il a
Sans vergogne
Un père de ce tonneau-là
Ce tonneau-là
144
Et si les chrétiens du pays
Sans vergogne
Jugent que cet homme a failli
Homme a failli
ça laisse à penser que, pour eux
Sans vergogne
L’Evangile, c’est de l’hébreu
C’est de l’hébreu
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Titolo
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2010
Si seulement elle était jolie
Si seulement elle était jolie
Je dirais: "tout n’est pas perdu.
Elle est folle, c’est entendu,
Mais quelle beauté accomplie!"
Hélas elle est plus laide bientôt
Que les sept péchés capitaux.(bis)
Si seulement elle avait des formes,
Je dirais: "tout n’est pas perdu,
Elle est moche c’est entendu,
Mais c’est Venus copie conforme."
Malheureusement, c’est désolant,
C’est le vrai squelette ambulant.(bis)
Si seulement elle était gentille,
Je dirais: "tout n’est pas perdu,
Elle est plate c’est entendu,
mais c’est la meilleure des filles."
Malheureusement c’est un chameau,
Un succube, tranchons le mot.(bis)
Si elle était intelligente,
Je dirais: "tout n’est pas perdu,
Elle est vache, c’est entendu,
Mais c’est une femme savante."
Malheureusement elle est très bête
Et tout à fait analphabète.(bis)
Si seulement l’était cuisinière,
Je dirais: "tout n’est pas perdu,
Elle est sotte, c’est entendu,
Mais quelle artiste culinaire!"
Malheureusement sa chère m’a
Pour toujours gâté l’estomac.(bis)
145
Si seulement elle était fidèle,
Je dirais:"tout n’est pas perdu,
Elle m’empoisonne, c’est entendu,
Mais c’est une épouse modèle."
Malheureusement elle est, papa,
Folle d’un cul qu’elle n’a pas!(bis)
Si seulement l’était moribonde,
Je dirais: "tout n’est pas perdu,
Elle me trompe c’est entendu,
Mais elle va quitter le monde."
Malheureusement jamais elle tousse:
Elle nous enterrera tous.(bis)
Les amours d’antan CD(?)
Moi, mes amours d’antan c’était de la
grisette
Margot, la blanche caille, et Fanchon, la
cousette...
Pas la moindre noblesse, excusez-moi du
peu.
C’étaient, me direz-vous, des grâces roturières,
Des nymphes de ruisseau, des Vénus de
barrière...
Mon prince, on a les dam’s du temps jadis qu’on
peut!
Car le coeur(?) à vingt ans se pose où il se pose,
Le premier cotillon venu vous en impose,
La plus humble bergère est un morceau de roi.
Il (?) manquait de marquise, on connut la
soubrette,
Faute de fleur de lys on eut la pâquerette,
Au printemps Cupidon fait flèche de tout bois.
On rencontrait la belle aux Puces, le dimanche:
« Je te plais, tu me plais...» et c’était dans la
manche,
Et les grands sentiments n’étaient pas de rigueur.
« Je te plais, tu me plais...» Dans un train de
banlieue on partait pour Cythère,
On n’était pas tenu même d’apporter son coeur.
Mimi, de prime abord, payait guère de mine,
Chez son fourreur sans doute on ignorait
l’hermine,
Son habit sortait point de l’atelier d’un
Gli amori di un tempo
Io, i miei amori di un tempo... erano delle
ragazze di strada:
Margot, la bianca quaglia, e Fanchon, la
sartina...
Neppure la più piccola nobiltà, scusate se è
poco.
Erano, mi direte, delle grazie plebee,
delle ninfe di rigagnolo, delle Veneri di
periferia...
Mio principe, si hanno le dame del tempo che fu,
per quello che si può!
Poiché il cuore a vent’anni si posa dove si posa,
la prima sottana che arriva, vi conquista,
la più umile pastorella è un bocconcino da re.
Mancando una marchesa, conobbi una
ballerina,
finiti i fiori di giglio, mi presi una pratolina,
in primavera Cupido usa frecce d’ogni tipo.
Si incontravano le belle alle Pulci5, la domenica:
«Io ti piaccio, tu mi piaci...», ed era
fatta!
E i grandi sentimenti non erano di rigore.
«Io ti piaccio, tu mi piaci...» Su un treno di
periferia si partiva per Citèra,
e non occorreva portare con sé il cuore.
Mimi, a prima vista, non ispirava molta fiducia,
dal suo pellicciaio forse non conoscevano
l’ermellino,
il suo abito non usciva certo dalla sartoria di un
5 Il mercato delle Pulci.
146
dieu.
Mais quand, par-dessus le moulin de la Galette,
Elle jetait pour vous sa parure
simplette,
C’est Psychée tout entier’ qui vous sautait aux
yeux.
Au second rendez-vous ’y avait parfois
personne,
Elle avait fait faux bond, la petite amazone,
Mais l’on ne courait pas se pendre pour autant.
La marguerite commence avec Suzette,
On finissait de l’effeuiller avec Lisette
Et l’amour y trouvait quand même son content.
C’étaient, me direz-vous, des grâces roturières,
Des nymphes de ruisseau, des Vénus de
barrière,
Mais c’étaient mes amours, excusez-moi du peu.
Des Manon, des Mimi, des Suzon, des
Musette,
Margot la blanche caille, et Fanchon, la
cousette,
Mon prince, on a les dam’s du temps jadis qu’on
peut...
?
dio.
Ma quando, sopra al mulino della Galette,
lei si spogliava per voi del suo vestitino
sempliciotto,
era Psiché in persona che vi saltava agli
occhi.
Al secondo appuntamento, talvolta non c’era
nessuno:
aveva tirato un bidone, la piccola amazzone;
e tuttavia non correvamo certo ad impiccarci.
La margherita cominciava con Suzette,
e si finiva di sfogliarla con Lisetta,
e l’amore vi trovava lo stesso il suo vantaggio.
Erano, mi direte, delle grazie plebee,
delle ninfe di rigagnolo, delle Veneri di
periferia,
ma erano i miei amori, scusate se è poco!
Delle Manon, delle Mimì, delle Suzon, delle
Musette,
Margot, la bianca quaglia, e Fanchon, la
sartina...
Mio principe, si hanno le dame del tempo che fu,
per quello che si può...
2010
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2010
Le vingt-deux septembre
Un vingt et deux septembre au diable vous partites,
Et, depuis, chaque année, à la date susdite,
Je mouillais mon mouchoir en souvenir de vous...
Or, nous y revoilà, mais je reste de pierre,
Plus une seule larme à me mettre aux paupières:
Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.
On ne reverra plus, au temps des feuilles mortes,
Cette âme en peine qui me ressemble et qui porte
Le deuil de chaque feuille en souvenir de vous...
Que le brave Prévert et ses escargots veuillent
Bien se passer de moi et pour enterrer les feuilles:
Le vingt-e-deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.
147
Jadis, ouvrant mes bras comme une paire d’ailes,
Je montais jusqu’au ciel pour suivre l’hirondelle
Et me rompais les os en souvenir de vous...
Le complexe d’Icare à présent m’abandonne,
L’hirondelle en partant ne fera plus l’automne:
Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.
Pieusement nous d’un bout de vos dentelles,
J’avais, sur ma fenêtre, un bouquet d’immortelles
Que j’arrosais de pleurs en souvenir de vous...
Je m’en vais les offrir au premier mort qui passe,
Les regrets éternels à présent me dépassent:
Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.
Désormais, le petit bout de cïur qui me reste
Ne traversera plus l’équinoxe funeste
En battant la breloque en souvenir de vous...
Il a craché sa flamme et ses cendres s’éteignent,
A peine y pourrait-on rôtir quatre châtaignes:
Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.
Et c’est triste de n’être plus triste sans vous
Titre CD(?)
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2010
Rien à jeter
Sans ses cheveux qui volent
J’aurais, dorénavant,
Des difficultés folles
A voir d’où vient le vent.
Tout est bon chez elle, y a rien jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
Je me demande comme
Subsister sans ses joues
M’offrant de belles pommes
Nouvelles chaque jour.
Tout est bon chez elle, y a rien jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
Sans sa gorge, ma tète,
Dépourvu’ de coussin,
Reposerais par terre
Et rien n’est plus malsain.
148
Tout est bon chez elle, y a rien jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
Sans ses hanches solides
Comment faire, demain,
Si je perds l’équilibre,
Pour accrocher mes mains?
Tout est bon chez elle, y a rien jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
Elle a mile autres choses
Précieuses encore
Mais, en spectacle, j’ose
Pas donner tout son corps.
Tout est bon chez elle, y a rien jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
Des charmes de ma mie
J’en passe et des meilleurs.
Vos cours d’anatomie
Allez les prendre ailleurs.
Tout est bon chez elle, y a rien jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
D’ailleurs, c’est sa faiblesse,
Elle tient ses os
Et jamais ne se laisse-
rait couper en morceaux.
Tout est bon chez elle, y a rien à jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
Elle est quelque peu fière
Et chatouilleuse assez,
Et l’on doit tout entière
La prendre ou la laisser.
Tout est bon chez elle, y a rien jeter,
Sur l’île déserte il faut tout emporter.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Les quat’z’arts
Les copains affligés, les copines en pleurs,
149
La boîte à dominos enfoui’ sous les fleurs,
Tout le monde équipé de sa tenu’ de deuil,
La farce était bien bonne et valait le coup d’œil.
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
L’enterrement paraissait officiel. Bravo!
Le mort ne chantait pas: "Ah! c’ qu’on s’emmerde ici!"
Il prenait son trépas à cœur, cette fois-ci,
Et les bonshomm’s chargés de la levé’ du corps
Ne chantaient pas non plus "Saint-Eloi bande encor!"
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
Le macchabé’ semblait tout à fait mort. Bravo!
Ce n’étaient pas du tout des filles en tutu
Avec des fesse’ à claque’ et des chapeaux pointus,
Les commères choisi’s pour les cordons du poêle,
Et nul ne leur criait: "A poil! A poil! A poil!"
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
Les pleureuses sanglotaient pour de bon. Bravo!
Le curé n’avait pas un goupillon factice
Un de ces goupillons en forme de phallus
Et quand il y alla de ses de profundis,
L’enfant de chœur répliqua pas morpionibus.
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
Le curé venait pas de Camaret. Bravo!
On descendit la bière et je fus bien déçu,
La blague maintenant frisait le mauvais goût,
Car le mort se laissa jeter la terr’ dessus
Sans lever le couvercle en s’écriant "Coucou!"
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
Le cercueil n’était pas à double fond. Bravo!
Quand tout fut consommé, je leur ai dit: "Messieurs,
Allons faire à présent la tourné’ des boxons!"
Mais ils m’ont regardé avec de pauvres yeux,
Puis ils m’ont embrassé d’une étrange façon.
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
Leur compassion semblait venir du cœur. Bravo!
Quand je suis ressorti de ce champ de navets,
L’ombre de l’ici-gît pas à pas me suivait,
Une petite croix de trois fois rien du tout
Faisant, à elle seul’, de l’ombre un peu partout.
150
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
Les revenants s’en mêlaient à leur tour. Bravo!
J’ai compris ma méprise un petit peu plus tard,
Quand, allumant ma pipe avec le faire-part,
J’ m’aperçus que mon nom, comm’ celui d’un bourgeois,
Occupait sur la liste une place de choix:
Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:
J’étais le plus proch’ parent du défunt. Bravo!
Adieu! Les faux tibias, les crânes de carton…
Plus de marche funèbre au son des mirlitons!
Au grand bal des quat’z’arts nous n’irons plus danser,
Les vrais enterrements viennent de commencer.
Nous n’irons plus danser au grand bal des quat’z’arts,
Viens, pépère, on va se ranger des corbillards!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le pluriel
"Cher monsieur, m’ont-ils dit, vous en êtes un autre",
Lorsque je refusai de monter dans leur train.
Oui, sans doute, mais moi, j’fais pas le bon apôtre,
Moi, je n’ai besoin de personne pour en être un.
Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on
Est plus de quatre on est une bande de cons.
Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.
Dans les noms des partants on n’verra pas le mien.
Dieu! que de processions, de monômes, de groupes,
Que de rassemblements, de cortèges divers,
Que de ligu’s, que de cliqu’s, que de meut’s, que de troupes!
Pour un tel inventaire il faudrait un Prévert.
Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on
Est plus de quatre on est une bande de cons.
Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.
Parmi les cris des loups on n’entend pas le mien.
Oui, la cause était noble, était bonne, était belle
Nous étions amoureux, nous l’avons épousée.
Nous souhaitions être heureux tous ensemble avec elle,
Nous étions trop nombreux, nous l’avons défrisée.
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Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on
Est plus de quatre on est une bande de cons.
Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.
Parmi les noms d’élus on n’verra pas le mien.
Je suis celui qui passe à côté des fanfares
Et qui chante en sourdine un petit air frondeur.
Je dis, à ces messieurs que mes notes effarent:
" Tout aussi musicien que vous, tas de bruiteurs! "
Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on
Est plus de quatre on est une bande de cons.
Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.
Dans les rangs des pupitr’s on n’verra pas le mien.
Pour embrasser la dam’, s’il faut se mettre à douze,
J’aime mieux m’amuser tout seul, cré nom de nom!
Je suis celui qui reste à l’écart des partouzes.
L’obélisque est-il monolithe, oui ou non?
Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on
Est plus de quatre on est une bande de cons.
Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.
Au faisceau des phallus on n’verra pas le mien.
Pas jaloux pour un sou des morts des hécatombes,
J’espère être assez grand pour m’en aller tout seul.
Je ne veux pas qu’on m’aide à descendre à la tombe,
Je partage n’importe quoi, pas mon linceul.
Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on
Est plus de quatre on est une bande de cons.
Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.
Au faisceau des tibias on n’verra pas les miens.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Dieu, s’il existe
Au ciel de qui se moque-t-on?
Était-ce utile qu’un orage
Vînt au pays de Jeanneton
Mettre à mal son beau pâturage?
Pour ses brebis, pour ses moutons,
Plus une plante fourragère,
Rien d’épargné que le chardon!
Dieu, s’il existe, il exagère,
152
Il exagère.
Et là-dessus, méchant, glouton,
Et pas pour un sou bucolique,
Vers le troupeau de Jeanneton,
Le loup sortant du bois rapplique.
Sans laisser même un rogaton,
Tout il croque, tout il digère.
Au ciel de qui se moque-t-on?
Dieu, s’il existe, il exagère,
Il exagère.
Et là-dessus le Corydon,
Le promis de la pastourelle,
Laquelle allait au grand pardon
Rêver d’amours intemporelles,
- Au ciel de qui se moque-t-on? -
Suivit la cuisse plus légère
Et plus belle d’une goton.
Dieu, s’il existe, il exagère,
Il exagère.
Adieu les prairies, les moutons,
Et les beaux jours de la bergère.
Au ciel de qui se moque-t-on?
Ferait-on de folles enchères?
Quand il grêle sur le persil,
C’est bête et méchant, je suggère
Qu’on en parle au prochain concile.
Dieu, s’il existe, il exagère,
Il exagère.
Au bois de mon coeur CD(?)
Au bois d’ Clamart ’y a des petit’s fleurs,
’Ya des petit’s fleurs,
’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,
Au, au bois d’ mon coeur.
Au fond de d’ ma cour j’ suis renommé, (bis)
J’ suis renommé
Pour avoir le coeur mal famé,
Le coeur mal famé.
Au bois d’ Vincenne’ ’y a des petit’s fleurs,
’Y a des petit’s fleurs,
’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,
Au, au bois d’ mon coeur.
Quand ’y a plus d’ vin dans mon tonneau, (bis)
Dans mon tonneau,
Nel bosco del mio cuore
Nel bosco di Clamart ci son dei fiorellini,
ci son dei fiorellin,
ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,
nel... nel bosco del mio cuore.
In fondo al mio cortile ho la fama (bis),
ho la fama
di avere il cuore malfamato,
il cuore malfamato.
Nel bosco di Vincennes ci son dei fiorellini,
ci son dei fiorellin,
ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,
nel... nel bosco del mio cuore.
Quando non c’è più vino nella mia botte (bis),
nella mia botte,
153
Ils n’ont pas peur de boir’ mon eau,
De boire mon eau.
Au bois d’ Meudon ’y a des petit’s fleurs,
’Y a des petit’s fleurs,
’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,
Au, au bois d’ mon coeur.
Ils m’accompagnent à la mairie, (bis)
À la mairie,
Chaque fois que je me marie,
Que je me marie.
Au bois d’ Saint-Cloud ’y a des petit’s fleurs,
’Y a des petit’s fleurs,
’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,
Au, au bois d’ mon coeur.
Chaqu’ fois qu’ je meurs fidèlement, (bis)
Fidèlement,
Ils suivent mon enterrement,
Mon enterrement.
... des petites fleurs... (bis)
Au, au bois d’ mon coeur... (bis)
?
non hanno paura di bere la mia acqua,
di bere la mia acqua.
Nel bosco di Meudon ci son dei fiorellini,
ci son dei fiorellin,
ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,
nel... nel bosco del mio cuore.
Mi accompagnano in municipio, (bis)
in municipio,
ogni volta che io mi sposo,
che io mi sposo.
Nel bosco di Saint-Cloud ci son dei fiorellini,
ci son dei fiorellin,
ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,
nel... nel bosco del mio cuore.
Ogni volta che io muoio, fedelmente (bis),
fedelmente,
accompagnano il mio funerale,
il mio funerale.
... dei fiorellini ... (bis)
nel... nel bosco del mio cuore ... (bis)
2010
Vedi approfondimento
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Grand-père
Grand-père suivait en chantant
La route qui mène à cent ans.
La mort lui fit, au coin d’un bois,
L’ coup du pèr’ François.
L’avait donné de son vivant
Tant de bonheur à ses enfants
Qu’on fit, pour lui en savoir gré,
Tout pour l’enterrer.
Et l’on courut à toutes jam-
-Bes quérir une bière, mais...
Comme on était légers d’argent,
Le marchand nous reçut à bras fermés.
"Chez l’épicier, pas d’argent, pas d’épices,
154
Chez la belle Suzon, pas d’argent, pas de cuisse...
Les morts de basse conditions
C’est pas de ma juridiction."
Or, j’avais hérité d’ grand-père
Un’ pair’ de bott’s pointu’s.
S’il y a des coups d’ pied que’que part qui s’ perdent,
C’lui-là toucha son but.
C’est depuis ce temps-là que le bon apôtre (bis)
Ah! c’est pas joli...
Ah! c’est pas poli...
A un’ fess’ qui dit merde à l’autre.
Bon papa,
Ne t’en fais pas
Nous en viendrons
A bout de tous ces empêcheurs d’enterrer en rond.
Le mieux à faire et le plus court,
Pour qu’ l’enterrement suivît son cours,
Fut de borner nos prétentions
A un’ bièr’ d’occasion.
Contre un pot de miel on acquit
Les quatre planches d’un mort qui
Rêvait d’offrir quelques douceurs
A une âme soeur.
Et l’on courut à toutes jam-
-Bes quérir un corbillard, mais...
Comme on était légers d’argent,
Le marchand nous reçut à bras fermés.
"Chez l’épicier, pas d’argent, pas d’épices,
Chez la belle Suzon, pas d’argent, pas de cuisse...
Les morts de basse condition,
C’est pas de ma juridiction."
Ma bott’ partit, mais je m’ refuse
De dit’ vers quel endroit,
Ça rendrait les dames confuses
Et je n’en ai pas le droit.
C’est depuis ce temps-là que le bon apôtre (bis)
Ah! c’est pas joli...
Ah! c’est pas poli...
A un’ fess’ qui dit merde à l’autre.
Bon papa,
Ne t’en fais pas
Nous en viendrons
155
A bout de tous ces empêcheurs d’enterrer en rond.
Le mieux à faire et le plus court,
Pour qu’ l’enterrement suivît son cours,
Fut de porter sur notre dos
L’ funèbre fardeau.
S’il eût pu revivre un instant,
Grand-père aurait été content
D’aller à sa dernier’ demeur’
Comme un empereur.
Et l’on courut à toutes jam-
-Bes quérir un goupillon, mais...
Comme on était légers d’argent,
Le marchand nous reçut à bras fermés.
"Chez l’épicier, pas d’argent, pas d’épices,
Chez la belle Suzon, pas d’argent, pas de cuisse...
Les morts de basse condition,
C’est pas de ma bénédiction."
Avant même que le vicaire
Ait pu lâcher un cri,
J’ lui bottai l’ cul au nom du Pèr’,
Du Fils et du Saint-Esprit.
C’est depuis ce temps-là que le bon apôtre (bis)
Ah! c’est pas joli...
Ah! c’est pas poli...
A un’ fess’ qui dit merde à l’autre.
Bon papa,
Ne t’en fais pas
Nous en viendrons
A bout de tous ces empêcheurs d’enterrer en rond. (bis)
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
L’amandier
J’avais l’ plus bel amandier
Du quartier,
Et, pour la bouche gourmande
Des filles du monde entier,
J’ faisais pousser des amandes
Le beau, le joli métier!
Un écureuil en jupon,
Dans un bond,
156
Vint me dir’: "je suis gourmande
Et mes lèvres sentent bon,
Et, si tu m’ donn’s une amande,
J’ te donne un baiser fripon!
Grimpe aussi haut que tu veux,
Que tu peux,
Et tu croqu’s, et tu picores,
Puis tu grignot’s, et puis tu
Redescends plus vite encore
Me donner le baiser dû! "
Quand la belle eut tout rongé,
Tout mangé...
"Je te paierai, me dit-elle,
A pleine bouche quand les
Nigauds seront pourvus d’ailes
Et que tu sauras voler!
"Mont’ m’embrasser si tu veux,
Si tu peux...
Mais dis-toi que, si tu tombes,
J’n’aurai pas la larme à l’oeil,
Dis-toi que, si tu succombes,
Je n’ porterai pas le deuil!"
Les avait, bien entendu,
Toutes mordues,
Tout’s grignoté’s, mes amandes,
Ma récolte était perdue,
Mais sa joli’ bouch’ gourmande
En baisers m’a tout rendu!
Et la fête dura tant
Qu’ le beau temps...
Mais vint l’automne, et la foudre,
Et la pluie, et les autans
Ont changé mon arbre en poudre...
Et mon amour en mêm’ temps!
Titre CD(?)
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?
Titolo
testo
2010
Le vin
Avant de chanter
Ma vi’, de fair’ des
Harangues,
Dans ma gueul’ de bois
157
J’ai tourné sept fois
Ma langue...
J’suis issu de gens
Qui étaient pas du gen-
-re sobre...
On conte que j’eus
La tétée au jus
D’octobre...
Mes parents ont dû
M’ trouver au pied d’u-
-ne souche,
Et non dans un chou,
Comm’ ces gens plus ou
Moins louches...
En guise de sang,
(O noblesse sans
Pareille!)
Il coule en mon coeur
La chaude liqueur
D’ la treille...
Quand on est un sage,
et qu’on a du sa-
-voir-boire,
On se garde à vue,
En cas de soif, u-
-ne poire...
Une poire... ou deux,
Mais en forme de
Bombonne,
Au ventre replet
Rempli du bon lait
D’ l’automne...
Jadis, aux Enfers,
Certe’, il a souffert,
Tantale,
Quand l’eau refusa
D’arroser ses a-
-mygdales...
Erre assoiffé d’eau,
C’est triste, mais faut
Bien dire
Que, l’être de vin,
C’est encore vingt
Fois pire...
Hélas! il ne pleut
Jamais du gros bleu
Qui tache...
158
Qu’ell’s donnent du vin,
J’irai traire enfin
Les vaches...
Que vienne le temps
Du vin coulant dans
La Seine!
Les gens, par milliers,
Courront y noyer
Leur peine...
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Les lilas
Quand je vais chez la fleuriste,
Je n’achèt’ que des lilas...
Si ma chanson chante triste
C’est que l’amour n’est plus là.
Comm’ j’étais, en quelque sorte
Amoureux de ces fleurs-là,
Je suis entré par la porte,
Par la porte des Lilas.
Des lilas, y’ en avait guère,
Des lilas, y’ en avait pas,
Z’étaient tous morts à la guerre,
Passés de vie à trépas.
J’suis tombé sur une belle
Qui fleurissait un peu là,
J’ai voulu greffer sur elle
Mon amour pour les lilas.
J’ai marqué d’une croix blanche
Le jour où l’on s’envola,
Accrochés à une branche,
Une branche de lilas.
Pauvre amour, tiens bon la barre,
Le temps va passer par là,
Et le temps est un barbare
Dans le genre d’Attila.
Aux coeurs où son cheval passe,
L’amour ne repousse pas,
Aux quatre coins de l’espace
Il fait le désert sous ses pas.
159
Alors, nos amours sont mortes,
Envolé’s dans l’au-delà,
Laissant la clé sous la porte,
Sous la porte des Lilas.
La fauvette des dimanches,
Cell’ qui me donnait le la,
S’est perché’ sur d’autres branches,
D’autres branches de lilas.
Quand je vais chez la fleuriste,
Je n’achèt’ que des lilas.:.
Si ma chanson chante triste
C’est que l’amour n’est plus là.
Oncle Archibald CD(?)
Ô vous, les arracheurs de dents,
Tous les cafards, les charlatans,
Les prophètes,
Comptez plus sur oncle Archibald
Pour payer les violons du bal
À vos fêtes. (bis)
En courant sus à un voleur
Qui venait de lui chiper l’heure
À sa montre,
Oncle Archibald, – coquin de sort!
Fit, de Sa Majesté la Mort,
La rencontre. (bis)
Telle un’ femm’ de petit’ vertu,
Elle arpentait le trottoir du
Cimetière,
Aguichant les homm’s en troussant
Un peu plus haut qu’il n’est décent
Son suaire. (bis)
Oncle Archibald, d’un ton gouailleur,
Lui dit: « Va-t’en fair’ pendre ailleurs
Ton squelette.
Fi! des femelles décharnées!
Vive les bell’s un tantinet
Rondelettes! » (bis)
Lors, montant sur ses grands chevaux,
La Mort brandit la longue faux
D’agronome
Qu’elle serrait dans son linceul,
Et faucha d’un seul coup, d’un seul,
Zio Arcibaldo
O, voi, menzogneri,
tutti gli spioni, i ciarlatani,
i profeti...
non contate più sullo zio Arcibaldo
per pagare i violini del ballo
alle vostre feste. (bis)
Rincorrendo un ladro
che aveva appena sgraffignato l’ora
al suo orologio,
zio Arcibaldo – birichino matricolato!
fece, di sua maestà la Morte,
l’incontro. (bis)
Come una donna di poca virtù,
andava su e giù per il marciapiede del
cimitero:
adescava gli uomini sollevando
un po’ più in alto della comune decenza
il suo sudario. (bis)
Zio Arcibaldo, con un tono beffardo,
gli dice: «Vai a fare impiccare da un’altra parte
il tuo scheletro.
Via, via, les femmine tutt’ossa!
Evviva le belle un tantino
rotondette!» (bis)
Allora, andando su tutte le furie,
la Morte brandì la lunga falce
d’agronomo
che teneva nel suo sudario,
e falciò con un sol colpo, uno solo,
160
Le bonhomme. (bis)
Comme il n’avait pas l’air content,
Elle lui dit: « Ça fait longtemps
Que je t’aime.
Et notre hymen à tous les deux
Était prévu depuis l’ jour de
Ton baptême... (bis)
« Si tu te couches dans mes bras,
Alors la vi’ te semblera
Plus facile.
Tu y seras hors de portée
Des chiens, des loups, des homm’s et des
Imbéciles. (bis)
« Nul n’y contestera tes droits,
Tu pourras crier: Viv’ le roi!
Sans intrigue.
Si l’envi’ te prend de changer,
Tu pourras crier sans danger
Viv’ la Ligue! (bis)
« Ton temps de dupe est révolu,
Personne ne se payera plus
Sur ta tête.
Les "Plaît-il, maître? " auront plus
cours,
Plus jamais tu n’auras à cour-
-ber la tête ». (bis)
Et mon oncle emboîta le pas
De la bell’, qui ne semblait pas
Si féroce.
Et les voilà, bras d’ssus, bras d’ssous,
Les voilà partis je n’ sais où
Fair’ leurs noces. (bis)
Ô vous, les arracheurs de dents,
Tous les cafards, les charlatans,
Les prophètes,
Comptez plus sur oncle Archibald
Pour payer les violons du bal
À vos fêtes. (bis)
?
il brav’uomo. (bis)
Siccome non aveva l’aria contenta,
lei gli disse: «E’ molto tempo
che ti amo.
E il nostro imene, a tutti e due,
era previsto dal giorno del
tuo battesimo. (bis)
«Se tu ti sdrai tra le mie braccia,
allora la vita ti sembrerà
più facile.
Sarai al sicuro
dai cani, dai lupi, dagli uomini e dagli
imbecilli. (bis)
«Nessuno contesterà i tuoi diritti,
potrai gridare: Viva il re!
senza intrighi.
Se poi ti prende la voglia di cambiare,
potrai gridare senza pericolo:
Viva la Lega! (bis)
«Il tempo in cui eri una vittima è finito,
nessuno approfitterà più
di te.
I “ma che dici, maestro?” non avranno più
corso,
e mai più dovrai chi-
nare la testa». (bis)
E mio zio seguì passo passo
la bella, che non sembrava
così feroce.
Ed eccolì là, a braccetto,
eccoli partiti per chissà dove
a fare le loro nozze. (bis)
O, voi, menzogneri,
tutti gli spioni, i ciarlatani,
i profeti...
non contate più sullo zio Arcibaldo
per pagare i violini del ballo
alle vostre feste. (bis)
2010
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Titre CD(?)
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Titolo
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161
? 2010
A l’ombre du coeur de ma mie
A l’ombre du coeur de ma mi’ (bis)
Un oiseau s’était endormi (bis)
Un jour qu’elle faisait semblant
D’être la Belle au bois dormant.
Et moi, me mettant à genoux, (bis)
Bonnes fé’s, sauvegardez-nous! (bis)
Sur ce coeur j’ai voulu poser
Une manière de baiser.
Alors cet oiseau de malheur (bis)
Se mit à crier Au voleur! (bis)
Au voleur! et A l’assassin!
Comm’ si j’en voulais à son sein.
Aux appels de cet étourneau, (bis)
Grand branle-bas dans Landerneau: (bis)
Tout le monde et son père accourt
Aussitôt lui porter secours.
Tant de rumeurs, de grondements, (bis)
Ont fait peur aux enchantements, (bis)
Et la belle désabusée
Ferma son coeur à mon baiser.
Et c’est depuis ce temps, ma soeur, (bis)
Que je suis devenu chasseur, (bis)
Que mon arbalète à la main
Je cours les bois et les chemins.
Bonhomme CD(?)
Malgré la bise qui mord,
La pauvre vieille de somme
Va ramasser du bois mort
Pour chauffer Bonhomme,
Bonhomme qui va mourir
De mort naturelle.
Mélancolique, elle va
À travers la forêt blême
Où jadis elle rêva
De celui qu’elle aime,
Qu’elle aime et qui va mourir
De mort naturelle.
Rien n’arrêtera le cours
Brav’uomo
Malgrado la Tramontana che morde,
la povera vecchia da soma
va a raccogliere la legna secca
per riscaldare Brav’uomo,
Brav’uomo che morirà
di morte naturale.
Malinconica, va
attraverso la foresta smorta
dove un tempo sognò
di colui che lei ama,
che lei ama e che morirà
di morte naturale.
Nulla fermerà l’andare
162
De la vieille qui moissonne
Le bois mort de ses doigts gourds,
Ni rien ni personne,
Car Bonhomme va mourir
De mort naturelle.
Non, rien ne l’arrêtera,
Ni cette voix de malheur(e)
Qui dit: « Quand tu rentreras
Chez toi, tout à l’heure,
Bonhomm’ sera déjà mort
De mort naturelle ».
Ni cette autre et sombre voix,
Montant du plus profond d’elle,
Lui rappeler que, parfois,
Il fut infidèle,
Car Bonhomme, il va mourir
De mort naturelle.
?
della vecchia che miete
la legna secca con le sue dita intirizzite,
nulla e nessuno,
poiché Brav’uomo morirà
di morte naturale.
No, nulla la fermerà,
neppure quella voce di sventura
che dice: «Quando tornerai
a casa, tra poco,
Brav’uomo sarà già morto
di morte naturale».
E neppure quest’altra, tetra voce
che sale dal più profondo di lei
per ricordarle che, talvolta,
egli fu infedele.
Poiché Brav’uomo morirà
di morte naturale.
2010
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2010
Comme une soeur
Comme une sœur, tête coupée, tête coupée
Ell’ ressemblait à sa poupée, à sa poupée,
Dans la rivière, elle est venue
Tremper un peu son pied menu, son pied menu.
Par une ruse à ma façon, à ma façon,
Je fais semblant d’être un poisson, d’être un poisson.
Je me déguise en cachalot
Et je me couche au fond de l’eau, au fond de l’eau.
J’ai le bonheur, grâce à ce biais, grâce à ce biais,
De lui croquer un bout de pied, un bout de pied.
Jamais requin n’a, j’en réponds,
Jamais rien goûté d’aussi bon, rien d’aussi bon.
Ell’ m’a puni de ce culot, de ce culot,
En me tenant le bec dans l’eau, le bec dans l’eau.
Et j’ai dû, pour l’apitoyer,
Faire mine de me noyer, de me noyer.
Convaincu’ de m’avoir occis, m’avoir occis,
163
La voilà qui se radoucit, se radoucit,
Et qui m’embrasse et qui me mord
Pour me ressusciter des morts, citer des morts.
Si c’est le sort qu’il faut subir, qu’il faut subir,
A l’heure du dernier soupir, dernier soupir,
Si, des noyés, tel est le lot,
Je retourne me fiche à l’eau, me fiche à l’eau.
Chez ses parents, le lendemain, le lendemain,
J’ai couru demander sa main, d’mander sa main,
Mais comme je n’avais rien dans
La mienne, on m’a crié: "Va-t’en!", crié: "Va-t’en!"
On l’a livrée aux appétits, aux appétits
D’une espèce de mercanti, de mercanti,
Un vrai maroufle, un gros sac d’or,
Plus vieux qu’Hérode et que Nestor, et que Nestor.
Et depuis leurs noces j’attends, noces j’attends,
Le coeur sur des charbons ardents, charbons ardents,
Que la Faucheuse vienne cou-
-per l’herbe aux pieds de ce grigou, de ce grigou.
Quand ell’ sera veuve éploré’, veuve éploré’,
Après l’avoir bien enterré, bien enterré,
J’ai l’espérance qu’elle viendra
Faire sa niche entre mes bras, entre mes bras.
Le pornographe CD(5)
Autrefois, quand j’étais marmot,
J’avais la phobi’ des gros mots,
Et si j’ pensais “merde” tout bas,
Je ne le disais pas.
Mais
Aujourd’hui que mon gagne-pain
C’est d’ parler comme un turlupin,
Je n’ pense plus “merde”, pardi!
Mais je le dis.
Refrain
J’suis l’ pornographe
Du phonographe,
Le polisson
De la chanson.
Afin d’amuser la gal’rie
Je crache des gauloiseries,
Des pleines bouches de mots crus
Tout à fait incongrus.
Il pornografo
Un tempo, quando ero un ragazzino,
avevo la fobia delle parolacce,
e anche se pensavo “merda”,
non lo dicevo a voce alta.
Invece
oggi, che mi guadagno il pane
parlando come un pagliaccio,
non penso più “merda”, accidenti!
ma lo dico.
Ritornello
Io sono il pornografo
del fonografo,
il monellaccio
della canzone.
Per divertire il pubblico a teatro
vomito facezie,
valanghe d’oscenità
del tutto sconvenienti.
164
Mais
En m’ retrouvant seul sous mon toit,
Dans ma psyché j’ me montre au doigt
Et m’ cri’: “Va t’ faire, homme incorrect
Voir par les Grecs.”
Tous les sam’dis j’ vais à confess’(?)
M’accuser d’avoir parlé d’ fess’s
Et j’promets ferme au marabout
De les mettre tabou.
Mais
Craignant, si je n’en parle plus,
D’ finir à l’Armée du Salut,
Je r’mets bientôt sur le tapis
Les fesses impies.
Ma femme est, soit dit en passant,
D’un naturel concupiscent
Qui l’incite à se coucher nu’
Sous le premier venu.
Mais
M’est-il permis, soyons sincèr’,
D’en parler au café-concert
Sans dire qu’elle a, suraigu,
Le feu au cul?
J’aurais sans doute du bonheur,
Et peut-être la Croix d’honneur,
À chanter avec décorum
L’amour qui mène à Rom’.
Mais
Mon ang’ m’a dit: “Turlututu!
Chanter l’amour t’est défendu
S’il n’éclôt pas sur le destin
D’une putain.”
Et quand j’entonne, guilleret,
À un patron de cabaret
Une adorable bucolique,
Il est mélancolique.
Et
Me dit, la voix noyé’ de pleurs:
"S’il vous plaît de chanter les fleurs,
Qu’ell’s poussent au moins rue Blondel
Dans un bordel."
Chaque soir avant le dîner,
À mon balcon mettant le nez,
Je contemple les bonnes gens
Dans le soleil couchant.
Mais
E poi,
quando mi ritrovo da solo a casa mia,
dentro di me mi accuso severamente
e mi dico urlando: “Vai al diavolo, volgare
cialtrone.”
Tutti i sabati vado a confessarmi,
mi pento d’aver parlato di natiche
e prometto solennemente allo stregone
di non parlarne più.
Ma
temendo, se non ne parlo più,
di finire nell’Esercito della Salvezza,
rimetto subito in programma
le irriverenti chiappe.
La mia donna, per esempio,
ha un temperamento concupiscente
che la spinge a distendersi nuda
sotto al primo che capita.
Ma,
siamo sinceri, potrei forse
raccontarlo al pianobar
senza dire che lei ha, incontenibile,
il fuoco al culo?
Sarei probabilmente più felice,
e otterrei forse la Croce al merito
se cantassi con decoro
dell’amore che conduce a Roma.
Ma
il mio angelo mi ha detto: “Marameo!
Cantare dell’amore ti è proibito,
a meno che non sbocci sul destino
di una puttana.”
E quando intono, allegro,
all’impresario teatrale,
un’adorabile lirica campestre,
lui si rattrista.
E
mi dice, con la voce soffocata dalle lacrime:
“Se le va di cantare dei fiori,
che siano almeno i fiori del bordello
di via Blondel.”
Ogni sera, prima di cena,
curiosando dal mio balcone,
osservo le persone per bene
nella luce del tramonto.
Ma
165
N’ me d’mandez pas d’ chanter ça, si
Vous redoutez d’entendre ici
Que j’aime à voir, de mon balcon,
Passer les cons.
Les bonnes âmes d’ici bas
Comptent ferme qu’à mon trépas
Satan va venir embrocher
Ce mort mal embouché.
Mais,
Mais veuille le grand manitou,
Pour qui le mot n’est rien du tout,
Admettre en sa Jérusalem,
À l’heure blême,
Le pornographe
Du phonographe
Le polisson
De la chanson.
1958
non chiedetemi di farne una canzone, se
temete di sentire poi
che mi piace guardare, dal mio balcone,
passare degli stronzi.
Le anime pie di quaggiù
son sicurissime che al mio trapasso
Satana verrà ad infilzare
questo defunto sboccato.
Ma
voglia il gran Manitù,
per il quale le parole non contano affatto,
accogliere nella sua Gerusalemme
in quell’ora livida,
il pornografo
del fonografo,
il monellaccio
della canzone.
2010
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Titolo
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2010
Les funérailles d’antan
Jadis, les parents des morts vous mettaient dans le bain,
De bonne grâce ils en f’saient profiter les copains
"Y’ a un mort à la maison, si le coeur vous en dit,
Venez l’ pleurer avec nous sur le coup de midi ... "
Mais les vivants aujourd’hui n’ sont plus si généreux,
Quand ils possèdent un mort ils le gardent pour eux.
C’est la raison pour laquelle, depuis quelques années,
Des tas d’enterrements vous passent sous le nez. (bis)
Refrain
Mais où sont les funéraill’s d’antan?
Les petits corbillards, corbillards, corbillards, corbillards
De nos grands-pères,
Qui suivaient la route en cahotant,
Les petits macchabées, macchabées, macchabées, macchabées
Ronds et prospères...
Quand les héritiers étaient contents,
Au fossoyeur, au croque-mort, au curé, aux chevaux même,
Ils payaient un verre.
Elles sont révolu’s,
166
Elles ont fait leur temps,
Les belles pom, pom, pom, pom, pom, pompes funèbres,
On ne les r’verra plus,
Et c’est bien attristant,
Les belles pompes funèbres de nos vingt ans.
Maintenant, les corbillards à tombeau grand ouvert
Emportent les trépassés jusqu’au diable vauvert,
Les malheureux n’ont mêm’ plus le plaisir enfantin
D’ voir leurs héritiers marron marcher dans le crottin.
L’autre semain’ des salauds, à cent quarante à l’heur’,
Vers un cimetière minable emportaient un des leurs...
Quand, sur un arbre en bois dur, ils se sont aplatis
On s’aperçut qu’ le mort avait fait des petits. (bis)
Plutôt qu’ d’avoir des obsèqu’s manquant de fioritur’s,
J’aim’rais mieux, tout compte fait, m’ passer de sépulture,
J’aim’rais mieux mourir dans l’eau, dans le feu, n’importe où,
Et même, à la grand’ rigueur, ne pas mourir du tout.
0, que renaisse le temps des morts bouffis d’orgueil,
L’époque des m’as-tu-vu-dans-mon-joli-cercueil,
Où, quitte à tout dépenser jusqu’au dernier écu,
Les gens avaient à coeur d’ mourir plus haut qu’ leur cul,
Les gens avaient à coeur de mourir plus haut que leur cul.
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2010
Embrasse-les tous
Tu n’es pas de cell’s qui meur’nt où ell’s s’attachent,
Tu frottes ta joue à toutes les moustaches,
Faut s’ lever de bon matin pour voir un ingénu
Qui n’ t’ait pas connu’,
Entré’ libre à n’importe qui dans ta ronde,
Coeur d’artichaut, tu donne’ un’ feuille à tout l’ monde,
Jamais, de mémoire d’homm’, moulin n’avait été
Autant fréquenté.
De Pierre à Paul, en passant par Jule’ et Félicien,
Embrasse-les tous, (bis)
Dieu reconnaîtra le sien!
Passe-les tous par tes armes,
Passe-les tous par tes charmes,
Jusqu’à c’ que l’un d’eux, les bras en croix,
Tourne de l’oeil dans tes bras,
Des grands aux p’tits en allant jusqu’aux Lilliputiens,
Embrasse-les tous, (bis)
Dieu reconnaîtra le sien
167
Jusqu’à ce qu’amour s’ensuive,
Qu’à son coeur une plai’ vive,
Le plus touché d’entre nous
Demande grâce à genoux.
En attendant le baiser qui fera mouche,
Le baiser qu’on garde pour la bonne bouche,
En attendant de trouver, parmi tous ces galants,
Le vrai merle blanc,
En attendant qu’ le p’tit bonheur ne t’apporte
Celui derrière qui tu condamneras ta porte
En marquant dessus "Fermé jusqu’à la fin des jours
Pour cause d’amour "...
De Pierre à Paul, en passant par Jule’ et Félicien,
Embrasse-les tous, (bis)
Dieu reconnaîtra le sien!
Passe-les tous par tes armes,
Passe-les tous par tes charmes,
Jusqu’à c’que l’un d’eux, les bras en croix,
Tourne de l’oeil dans tes bras,
Des grands aux p’tits en allant jusqu’aux Lilliputiens,
Embrasse-les tous, (bis)
Dieu reconnaîtra le sien!
Alors toutes tes fredaines,
Guilledous et prétentaines,
Tes écarts, tes grands écarts,
Te seront pardonnés, car
Les fill’s quand ça dit "je t’aime",
C’est comme un second baptême,
Ça leur donne un coeur tout neuf,
Comme au sortir de son oeuf.
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Titolo
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2010
La traîtresse
J’en appelle à la mort, je l’attends sans frayeur,
Je n’ tiens plus à la vi’, je cherche un fossoyeur
Qui’ aurait un’ tombe à vendre à n’importe quel prix:
J’ai surpris ma maîtresse au bras de son mari,
Ma maîtresse, la traîtresse!
J’ croyais tenir l’amour au bout de mon harpon,
Mon p’tit drapeau flottait au coeur d’ madam’ Dupont,
Mais tout est consommé: hier soir, au coin d’un bois,
J’ai surpris ma maîtresse avec son mari, pouah
168
Ma maîtresse, la traîtresse!
Trouverais-je les noms, trouverais-je les mots,
Pour noter d’infami’ cet enfant de chameau
Qui a choisi son époux pour tromper son amant,
Qui’ a conduit l’adultère à son point culminant?
Ma maîtresse, la traîtresse!
Où donc avais-j’ les yeux? Quoi donc avais-j’ dedans?
Pour pas m’être aperçu depuis un certain temps
Que, quand ell’ m’embrassait , ell’ semblait moins goulu’
Et faisait des enfants qui n’ me ressemblaient plus.
Ma maîtresse, la traîtresse!
Et pour bien m’enfoncer la corne dans le coeur,
Par un raffinement satanique, moqueur,
La perfide, à voix haute, a dit à mon endroit:
"Le plus cornard des deux n’est point celui qu’on croit.
Ma maîtresse, la traîtresse!
J’ai surpris les Dupont, ce couple de marauds,
En train d’ recommencer leur hymen à zéro,
J’ai surpris ma maîtresse équivoque, ambigu’,
En train d’intervertir l’ordre de ses cocus.
Ma maîtresse, la traîtresse!
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2010
Le verger du roi Louis
(Poème de Théodore de Banville)
Sur ses larges bras étendus,
La forêt où s’éveille Flore,
A des chapelets de pendus
Que le matin caresse et dore.
Ce bois sombre, où le chêne arbore
Des grappes de fruits inouïs
Même chez le Turc et le More,
C’est le verger du roi Louis.
Tous ces pauvres gens morfondus,
Roulant des pensers qu’on ignore,
Dans des tourbillons éperdus
Voltigent, palpitants encore.
Le soleil levant les dévore.
Regardez-les, cieux éblouis,
Danser dans les feux de l’aurore.
C’est le verger du roi Louis.
169
Ces pendus, du diable entendus,
Appellent des pendus encore.
Tandis qu’aux cieux, d’azur tendus,
Où semble luire un météore,
La rosée en l’air s’évapore,
Un essaim d’oiseaux réjouis
Par-dessus leur tête picore.
C’est le verger du roi Louis.
Envoi
Prince, il est un bois que décore
Un tas de pendus enfouis
Dans le doux feuillage sonore.
C’est le verger du toi Louis!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
L’assassinat
C’est pas seulement à Paris
Que le crime fleurit,
Nous, au village, aussi, l’on a
De beaux assassinats.
Il avait la tête chenu’
Et le coeur ingénu,
Il eut un retour de printemps
Pour une de vingt ans.
Mais la chair fraîch’, la tendre chair,
Mon vieux, ça coûte cher.
Au bout de cinq à six baisers,
Son or fut épuisé.
Quand sa menotte elle a tendu’,
Triste, il a répondu
Qu’il était pauvre comme Job.
Elle a remis sa rob’.
Elle alla quérir son coquin
Qui’avait l’appât du gain.
Sont revenus chez le grigou
Faire un bien mauvais coup.
Et pendant qu’il le lui tenait,
Elle l’assassinait.
On dit que, quand il expira,
170
La langue ell’ lui montra.
Mirent tout sens dessus dessous,
Trouvèrent pas un sou,
Mais des lettres de créanciers,
Mais des saisi’s d’huissiers.
Alors, prise d’un vrai remords,
Elle eut chagrin du mort
Et, sur lui, tombant à genoux,
Ell’ dit: "Pardonne-nous! "
Quand les gendarm’s sont arrivés,
En pleurs ils l’ont trouvé’.
C’est une larme au fond des yeux
Qui lui valut les cieux.
Et, le matin qu’on la pendit,
Ell’ fut en paradis.
Certains dévots depuis ce temps
Sont un peu mécontents.
C’est pas seulement à Paris
Que le crime fleurit,
Nous, au village, aussi, l’on a
De beaux assassinats.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Marquise
(Stances de Corneille; Conclusion de Tristan Bernard)
Marquise, si mon visage
A quelques traits un peu vieux,
Souvenez-vous qu’à mon âge
Vous ne vaudrez guères mieux.
Le temps aux plus belles choses
Se plaîst à faire un affront
Et saura faner vos roses
Comme il a ridé mon front.
Le mesme cours des planètes
Règle nos jours et nos nuits
On m’a vu ce que vous estes;
Vous serez ce que je suis.
Peut-être que je serai vieille,
171
Répond Marquise, cependant
J’ai vingt-six ans, mon vieux Corneille,
Et je t’emmerde en attendant.
(Chaque strophe est chantée deux fois)
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La route aux quatre chansons
La route aux quatre chansons
J’ai pris la route de Dijon
Pour voir un peu la Marjolaine,
La belle, digue digue don,
Qui pleurait près de la fontaine.
Mais elle avait changé de ton,
Il lui fallait des ducatons
Dedans son bas de laine
Pour n’avoir plus de peine.
Elle m’a dit: "Tu viens, chéri?
Et si tu me pay’s un bon prix,
Aux anges je t’emmène,
Digue digue don daine. "
La Marjolain’ pleurait surtout
Quand elle n’avait pas de sous.
La Marjolain’ de la chanson
Avait de plus nobles façons.
J’ai passé le pont d’Avignon
Pour voir un peu les belles dames
Et les beaux messieurs tous en rond
Qui dansaient, dansaient, corps et âmes.
Mais ils avaient changé de ton,
Ils faisaient fi des rigodons,
Menuets et pavanes,
Tarentelles, sardanes,
Et les bell’s dam’s m’ont dit ceci:
"Étranger, sauve-toi d’ici
Ou l’on donne l’alarme
Aux chiens et aux gendarmes! "
Quelle mouch’ les a donc piquées,
Ces belles dam’s si distinguées?
Les belles dam’s de la chanson
Avaient de plus nobles façons.
Je me suis fait fair’ prisonnier,
Dans les vieilles prisons de Nantes,
Pour voir la fille du geôlier
172
Qui, paraît-il, est avenante.
Mais elle avait changé de ton.
Quand j’ai demandé: " Que dit-on
Des affaires courantes,
Dans la ville de Nantes? "
La mignonne m’a répondu:
"On dit que vous serez pendu
Aux matines sonnantes,
Et j’en suis bien contente! "
Les geôlières n’ont plus de coeur
Aux prisons de Nante’ et d’ailleurs.
La geôlière de la chanson
Avait de plus nobles façons.
Voulant mener à bonne fin
Ma folle course vagabonde,
Vers mes pénates je revins
Pour dormir auprès de ma blonde,
Mais elle avait changé de ton.
Avec elle, sous l’édredon,
Il y avait du monde
Dormant près de ma blonde.
J’ai pris le coup d’un air blagueur,
Mais, en cachette, dans mon coeur,
La peine était profonde,
L’chagrin lâchait la bonde.
Hélas! du jardin de mon père,
La colombe s’est fait la paire...
Par bonheur, par consolation,
Me sont resté’s les quatr’ chansons.
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Titolo
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2010
La tondue
La belle qui couchait avec le roi de Prusse,
Avec le roi de Prusse,
A qui l’on a tondu le crâne rasibus,
Le crâne rasibus,
Son penchant prononcé pour les "Ich liebe dich ",
Pour les "Ich liebe dich ",
Lui valut de porter quelques cheveux postich’s,
Quelques cheveux postich’s.
Les braves sans-culott’s et les bonnets phrygiens,
Et les bonnets phrygiens,
Ont livré sa crinière à un tondeur de chiens,
173
A un tondeur de chiens.
J’aurais dû prendre un peu parti pour sa toison,
Parti pour sa toison,
J’aurais dû dire un mot pour sauver son chignon,
Pour sauver son chignon,
Mais je n’ai pas bougé du fond de ma torpeur,
Du fond de ma torpeur.
Les coupeurs de cheveux en quatre m’ont fait peur,
En quatre m’ont fait peur.
Quand, pire qu’une brosse, elle eut été tondu’,
Elle eut été tondu’,
J’ai dit: " C’est malheureux, ces accroche-coeur perdus,
Ces accroche-coeur perdus. "
Et, ramassant l’un d’eux qui traînait dans l’ornière,
Qui traînait dans l’ornière,
Je l’ai, comme une fleur, mis à ma boutonnière,
Mis à ma boutonnière.
En me voyant partir arborant mon toupet,
Arborant mon toupet,
Tous ces coupeurs de natt’s m’ont pris pour un suspect,
M’ont pris pour un suspect.
Comme de la patrie je ne mérite guère,
Je ne mérite guère,
J’ai pas la Croix d’honneur,
J’ai pas la croix de guerre,
J’ai pas la croix de guerre,
Et je n’en souffre pas avec trop de rigueur,
Avec trop de rigueur.
J’ai ma rosette à moi: c’est un accroche-coeur,
C’est un accroche-coeur.
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Titolo
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2010
Le mouton de Panurge
Elle n’a pas encor de plumes
La flèch’ qui doit percer son flanc,
Et dans son coeur rien ne s’allume
Quand elle cède à ses galants.
Elle se rit bien des gondoles,
Des fleurs bleu’s, des galants discours,
174
Des Vénus de la vieille école,
Cell’s qui font l’amour par amour.
N’allez pas croire davantage
Que le démon brûle son corps.
Il s’arrête au premier étage,
Son septième ciel, et encor
Elle n’est jamais langoureuse,
Passé’ par le pont des soupirs,
Et voit comm’ des bêtes curieuses,
Cell’s qui font l’amour par plaisir.
Croyez pas qu’elle soit à vendre.
Quand on l’a mise sur le dos,
On n’est pas tenu de se fendre
D’un somptueux petit cadeau.
Avant d’aller en bacchanale
Ell’ présente pas un devis,
Ell’ n’a rien de ces bell’s vénales,
Cell’s qui font l’amour par profit.
Mais alors, pourquoi cède-t-elle,
Sans coeur, sans lucre, sans plaisir?
Si l’amour vaut pas la chandelle,
Pourquoi le jou’-t-elle à loisir?
Si quiconque peut, sans ambages,
L’aider à dégrafer sa rob’,
C’est parc’ qu’ell’ veut être à la page,
Que c’est la mode et qu’elle est snob.
Mais changent coutumes et filles,
Un jour, peut-être, en son sein nu,
Va se planter pour tout’ la vie
Une petite flèch’ perdu’.
On n’ verra plus qu’elle en gondole,
Elle ira jouer, à son tour,
Les Vénus de la vieille école,
Cell’s qui font l’amour par amour.
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2010
Vénus callipyge
Que jamais l’art abstrait, qui sévit maintenant,
N’enlève à vos attraits ce volume étonnant.
Au temps où les faux culs sont la majorité,
Gloire à celui qui dit toute la vérité!
175
Votre dos perd son nom avec si bonne grâce,
Qu’on ne peut s’empêcher de lui donner raison.
Que ne suis-je, madame, un poète de race,
Pour dire à sa louange un immortel blason. (bis)
En le voyant passer, j’en eus la chair de poule,
Enfin, je vins au monde et, depuis, je lui vou’
Un culte véritable et, quand je perds aux boules,
En embrassant Fanny, je ne pense qu’à vous. (bis)
Pour obtenir, madame, un galbe de cet ordre,
Vous devez torturer les gens de votre entour,
Donner aux couturiers bien du fil à retordre,
Et vous devez crever votre dame d’atout. (bis)
C’est le duc de Bordeaux qui s’en va, tête basse,
Car il ressemble au mien comme deux gouttes d’eau,
S’il ressemblait au vôtre on dirait, quand il passe:
" C’est un joli garçon que le duc de Bordeaux! " (bis)
Ne faites aucun cas des jaloux qui professent
Que vous avez placé votre orgueil un peu bas,
Que vous présumez trop, en somme de vos fesses,
Et surtout, par faveur, ne vous asseyez pas! (bis)
Laissez-les raconter qu’en sortant de calèche
La brise a fait voler votre robe et qu’on vit,
Ecrite dans un coeur transpercé d’une flèche,
Cette expression triviale: "A Julot pour la vi’. " (bis)
Laissez-les dire encor qu’à la cour d’Angleterre,
Faisant la révérence aux souverains anglois,
Vous êtes, patatras! tombée assise à terre:
La loi d’ la pesanteur est dur’, mais c’est la loi. (bis)
Nul ne peut aujourd’hui trépasser sans voir Naples,
A l’assaut des chefs-d’oeuvre ils veulent tous courir!
Mes ambitions à moi sont bien plus raisonnables:
Voir votre académie, madame, et puis mourir. (bis)
Que jamais l’art abstrait, qui sévit maintenant,
N’enlève à vos attraits ce volume étonnant.
Au temps où les faux culs sont la majorité,
Gloire à celui qui dit toute la vérité!
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2010
176
Concurrence déloyale
Il y’ a péril en la demeure,
Depuis que les femmes de bonnes moeurs,
Ces trouble-fête,
Jalouses de Manon Lescaut,
Viennent débiter leurs gigots
A la sauvette.
Ell’s ôtent le bonhomme de dessus
La brave horizontal’ déçu’,
Ell’s prennent sa place.
De la bouche au pauvre tapin
Ell’s retirent le morceau de pain,
C’est dégueulasse.
En vérité, je vous le dis,
Il y’ en a plus qu’en Normandie
Il y a de pommes.
Sainte-Mad’lein’, protégez-nous,
Le métier de femme ne nourrit plus son homme.
Y’ a ces gamines de malheur,
Ces goss’s qui, tout en suçant leur
Pouc’ de fillette,
Se livrent au détournement
De majeur et, vénalement,
Trouss’nt leur layette.
Y’ a ces rombièr’s de qualité,
Ces punais’s de salon de thé
Qui se prosternent,
Qui, pour redorer leur blason,
Viennent accrocher leur vison
A la lanterne.
Y’ a ces p’tit’s bourgeoises faux culs
Qui, d’accord avec leur cocu,
Clerc de notaire,
Au prix de gros vendent leur corps,
Leurs charmes qui fleurent encor
La pomm’ de terre.
Lors, délaissant la fill’ de joi’,
Le client peut faire son choix
Tout à sa guise,
Et se payer beaucoup moins cher
Des collégienn’s, des ménagèr’s,
Et des marquises.
Ajoutez à ça qu’aujourd’hui
177
La mani’ de l’acte gratuit
Se développe,
Que des créatur’s se font cul-
-buter à l’oeil et sans calcul.
Ah! les salopes!
Ell’s ôt’nt le bonhomme de dessus
La brave horizontal’ déçu’,
Ell’s prennent sa place.
De la bouche au pauvre tapin
Ell’s retirent le morceau de pain,
C’est dégueulasse.
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2010
Le bulletin de santé
J’ai perdu mes bajou’s, j’ai perdu ma bedaine,
Et, ce, d’une façon si nette, si soudaine,
Qu’on me suppose un mal qui ne pardonne pas,
Qui se rit d’Esculape et le laisse baba.
Le monstre du Loch Ness ne faisant plus recette
Durant les moments creux dans certaines gazettes,
Systématiquement, les nécrologues jou’nt,
À me mettre au linceul sous des feuilles de chou.
Or, lassé de servir de tête de massacre,
Des contes à mourir debout qu’on me consacre,
Moi qui me porte bien, qui respir’ la santé,
Je m’avance et je cri’ toute la vérité.
Toute la vérité, messieurs, je vous la livre
Si j’ai quitté les rangs des plus de deux cents livres,
C’est la faute à Mimi, à Lisette, à Ninon,
Et bien d’autres, j’ai pas la mémoire des noms.
Si j’ai trahi les gros, les joufflus, les obèses,
C’est que je baise, que je baise, que je baise
Comme un bouc, un bélier, une bête, une brut’,
Je suis hanté: le rut, le rut, le rut, le rut!
Qu’on me comprenne bien, j’ai l’âme du satyre
Et son comportement, mais ça ne veut point dire
Que j’en ai’ le talent, le géni’, loin s’en faut!
Pas une seule encor’ ne m’a crié " bravo! "
Entre autres fines fleurs, je compte, sur ma liste
178
Rose, un bon nombre de femmes de journalistes
Qui, me pensant fichu, mettent toute leur foi
A m’donner du bonheur une dernière fois.
C’est beau, c’est généreux, c’est grand, c’est magnifique!
Et, dans les positions les plus pornographiques,
Je leur rends les honneurs à fesses rabattu’s
Sur des tas de bouillons, des paquets d’invendus.
Et voilà ce qui fait que, quand vos légitimes
Montrent leurs fesse’ au peuple ainsi qu’à vos intimes,
On peut souvent y lire, imprimés à l’envers,
Les échos, les petits potins, les faits divers.
Et si vous entendez sourdre, à travers les plinthes
Du boudoir de ces dam’s, des râles et des plaintes,
Ne dites pas: "C’est tonton Georges qui expire ",
Ce sont tout simplement les anges qui soupirent.
Et si vous entendez crier comme en quatorze:
"Debout! Debout les morts! " ne bombez pas le torse,
C’est l’épouse exalté’ d’un rédacteur en chef
Qui m’incite à monter à l’assaut derechef.
Certe’, il m’arrive bien, revers de la médaille,
De laisser quelquefois des plum’s à la bataille...
Hippocrate dit: " Oui, c’est des crêtes de coq",
Et Gallien répond "Non, c’est des gonocoqu’s... "
Tous les deux ont raison. Vénus parfois vous donne
De méchants coups de pied qu’un bon chrétien pardonne,
Car, s’ils causent du tort aux attributs virils,
Ils mettent rarement l’existence en péril.
Eh bien, oui, j’ai tout ça, rançon de mes fredaines.
La barque pour Cythère est mise en quarantaine.
Mais je n’ai pas encor, non, non, non, trois fois non,
Ce mal mystérieux dont on cache le nom.
Si j’ai trahi les gros, les joufflus, les obèses,
C’est que je baise, que je baise, que je baise
Comme un bouc, un bélier, une bête, une brut’,
Je suis hanté: le rut, le rut, le rut, le rut!
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Titolo
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2010
Le moyenâgeux
179
Le seul reproche, au demeurant,
Qu’aient pu mériter mes parents,
C’est d’avoir pas joué plus tôt
Le jeu de la bête à deux dos.
Je suis né, même pas bâtard,
Avec cinq siècles de retard.
Pardonnez-moi, Prince, si je
Suis foutrement moyenâgeux.
Ah! que n’ai-je vécu, bon sang
Entre quatorze et quinze cent.
J’aurais retrouvé mes copains
Au Trou de la pomme de pin,
Tous les beaux parleurs de jargon,
Tous les promis de Montfaucon,
Les plus illustres seigneuries
Du royaum’ de truanderie.
Après une franche repue,
J’eusse aimé, toute honte bue,
Aller courir le cotillon
Sur les pas de François Villon,
Troussant la gueuse et la forçant
Au cimetière des Innocents,
Mes amours de ce siècle-ci
N’en aient aucune jalousie...
J’eusse aimé le corps féminin
Des nonnettes et des nonnains
Qui, dans ces jolis temps bénis,
Ne disaient pas toujours "nenni",
Qui faisaient le mur du couvent,
Qui, Dieu leur pardonne! souvent,
Comptaient les baisers, s’il vous plaît,
Avec des grains de chapelet.
Ces p’tit’s soeurs, trouvant qu’à leur goût
Quatre Evangil’s c’est pas beaucoup,
Sacrifiaient à un de plus
L’évangile selon Vénus.
Témoin: l’abbesse de Pourras,
Qui fut, qui reste et restera
La plus glorieuse putain
De moines du quartier Latin.
A la fin, les anges du guet
180
M’auraient conduit sur le gibet.
Je serais mort, jambes en l’air,
Sur la veuve patibulaire,
En arrosant la mandragore,
L’herbe aux pendus qui revigore,
En bénissant avec les pieds
Les ribaudes apitoyé’s.
Hélas! tout ça, c’est des chansons.
Il faut se faire une raison.
Les choux-fleurs poussent à présent
Sur le charnier des Innocents.
Le Trou de la pomme de pin
N’est plus qu’un bar américain.
Y’ a quelque chose de pourri
Au royaum’ de truanderi’.
Je mourrai pas à Montfaucon,
Mais dans un lit, comme un vrai con,
Je mourrai, pas même pendard,
Avec cinq siècles de retard.
Ma dernière parole soit
Quelques vers de Maître François,
Et que j’emporte entre les dents
Un flocon des neiges d’antan...
Ma dernière parole soit
Quelques vers de Maître François...
Pardonnez-moi, Prince, si je
Suis foutrement moyenâgeux.
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2010
L’épave
J’en appelle à Bacchus! A Bacchus j’en appelle
Le tavernier du coin vient d’ me la bailler belle.
De son établissement j’étais l’ meilleur pilier.
Quand j’eus bu tous mes sous, il me mit à la porte
En disant: " Les poivrots, le diable les emporte! "
ça n’ fait rien, il y’a des bistrots bien singuliers...
Un certain va-nu-pieds qui passe et me trouve ivre
Mort, croyant tout de bon que j’ai cessé de vivre
(Vous auriez fait pareil), s’en prit à mes souliers.
181
Pauvre homme! vu l’état piteux de mes godasses,
Je dout’ qu’il trouve avec son chemin de Damasse.
Ca n’ fait rien, il y’a des passants bien singuliers...!
Un étudiant miteux s’en prit à ma liquette
Qui, à la faveur d’la nuit lui’avait paru coquette,
Mais en plein jour ses yeux ont dû se dessiller.
Je l’ plains de tout mon coeur, pauvre enfant, s’il l’a mise,
Vu que, d’un homme heureux, c’était loin d’êtr’ la ch’mise.
Ca n’ fait rien, y’a des étudiants bien singuliers...
La femm’ d’un ouvrier s’en prit à ma culotte.
"Pas ça, madam’, pas ça, mille et un coups de bottes
Ont tant usé le fond que, si vous essayiez
D’ la mettre à votr’ mari, bientôt, je vous en fiche
Mon billet, il aurait du verglas sur les miches. "
Ca n’ fait rien, il y’a des ménages bien singuliers...
Et j’étais là, tout nu, sur le bord du trottoire
Exhibant, malgré moi, mes humbles génitoires.
Une petit’ vertu rentrant de travailler,
Elle qui, chaque soir, en voyait un’ douzaine,
Courut dire aux agents: " J’ai vu que’qu’ chos’ d’obscène! "
Ca n’ fait rien, il y’a des tapins bien singuliers...
Le r’présentant d’ la loi vint, d’un pas débonnaire.
Sitôt qu’il m’aperçut il s’écria: " Tonnerre!
On est en plein hiver et si vous vous geliez! "
Et, de peur que j’ n’attrape une fluxion d’ poitrine,
Le bougre, il me couvrit avec sa pèlerine.
Ca n’ fait rien, il y’a des flics bien singuliers...
Et depuis ce jour-là, moi, le fier, le bravache,
Moi, dont le cri de guerr’ fut toujours: "Mort aux vaches!"
Plus une seule fois je n’ai pu le brailler.
J’essaye bien encor, mais ma langue honteuse
Retombe lourdement dans ma bouche pâteuse.
Ca n’ fait rien, nous vivons un temps bien singulier...
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le modeste
Les pays, c’est pas ça qui manque,
On vient au monde à Salamanque
A Paris, Bordeaux, Lille, Brest(e).
Lui, la nativité le prit
Du côté des Saintes-Maries,
C’est un modeste.
182
Comme jadis a fait un roi,
Il serait bien fichu, je crois,
De donner le trône et le reste
Contre un seul cheval camarguais
Bancal, vieux, borgne, fatigué,
C’est un modeste.
Suivi de son pin parasol,
S’il fuit sans mêm’ toucher le sol
Le moindre effort comme la peste,
C’est qu’au chantier ses bras d’Hercule
Rendraient les autres ridicules,
C’est un modeste.
A la pétanque, quand il perd
Te fais pas de souci, pépère,
Si d’aventure il te conteste.
S’il te boude, s’il te rudoie,
Au fond, il est content pour toi,
C’est un modeste.
Si, quand un emmerdeur le met
En rogne, on ne le voit jamais
Lever sur l’homme une main leste.
C’est qu’il juge pas nécessaire
D’humilier un adversaire,
C’est un modeste.
Et quand il tombe amoureux fou
Y a pas de danger qu’il l’avoue
Les effusions, dame, il déteste.
Selon lui, mettre en plein soleil
Son coeur ou son cul c’est pareil,
C’est un modeste.
Quand on enterre un imbécile
De ses amis, s’il raille, s’il
A l’oeil sec et ne manifeste
Aucun chagrin, t’y fie pas trop:
Sur la patate, il en a gros,
C’est un modeste.
Et s’il te traite d’étranger
Que tu sois de Naples, d’Angers
Ou d’ailleurs, remets pas la veste.
Lui, quand il t’adopte, pardi!
Il veut pas que ce soit le dit,
C’est un modeste.
Si tu n’as pas tout du grimaud,
183
Si tu sais lire entre les mots,
Entre les faits, entre les gestes.
Lors, tu verras clair dans son jeu,
Et que ce bel avantageux,
C’est un modeste.
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Titolo
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2010
Lèche-cocu
Comme il chouchoutait les maris,
Qu’il les couvrait de flatteries,
Quand il en pinçait pour leurs femmes,
Qu’il avait des cornes au cul,
On l’appelait lèche-cocu.
Oyez tous son histoire infâme.
Si l’mari faisait du bateau,
Il lui parlait de tirant d’eau,
De voiles, de mâts de misaine,
De yacht, de brick et de steamer,
Lui, qui souffrait du mal de mer
En passant les ponts de la Seine.
Si l’homme était un peu bigot,
Lui qui sentait fort le fagot,
Criblait le ciel de patenôtres,
Communiait à grand fracas,
Retirant même en certains cas
L’pain bénit d’la bouche d’un autre.
Si l’homme était sergent de ville,
En sautoir - mon Dieu, que c’est vil -
Il portait un flic en peluche,
Lui qui, sans ménager sa voix,
Criait: " Mort aux vaches " autrefois,
Même atteint de la coqueluche.
Si l’homme était un militant,
Il prenait sa carte à l’instant
Pour bien se mettre dans sa manche,
Biffant ses propres graffiti
Du vendredi, le samedi
Ceux du samedi, le dimanche.
Et si l’homme était dans l’armée,
Il entonnait pour le charmer:
" Sambre-et-Meuse " et tout le folklore,
184
Lui, le pacifiste bêlant
Qui fabriquait des cerfs-volants
Avec le drapeau tricolore.
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Titolo
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2010
Les casseuses
Tant qu’elle a besoin du matou,
Ma chatte est tendre comme tout,
Quand elle est comblée, aussitôt
Ell’ griffe, ell’ mord, ell’ fait l’gros dos.
Refrain
Quand vous ne nous les caressez
Pas, chéries, vous nous les cassez.
Oubliez-les, si fair’ se peut,
Qu’ell’s se reposent.
Quand vous nous les dorlotez pas,
Vous nous les passez à tabac.
Oubliez-les, si fair’ se peut,
Qu’ell’s se reposent un peu,
Qu’ell’s se reposent.
Enamourée, ma femme est douce,
Mes amis vous le diront tous.
Après l’étreinte, en moins de deux
Ell’ r’devient un bâton merdeux.
Dans l’alcôve, on est bien reçus
Par la voisine du dessus.
Un’ fois son désir assouvi,
Ingrate, ell’ nous les crucifie.
Quand ell’ passe en revue les zouaves
Ma soeur est câline et suave.
Dès que s’achève l’examen,
Gare à qui tombe sous sa main.
Si tout le monde en ma maison
Reste au lit plus que de raison,
C’est pas qu’on soit lubriqu’s, c’est qu’il
Y’a guère que là qu’on est tranquilles.
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2010
185
Mélanie
Mélanie
Les chansons de salle de garde
Ont toujours été de mon goût,
Et je suis bien malheureux, car de
Nos jours on n’en crée plus beaucoup.
Pour ajouter au patrimoine
Folklorique des carabins, (bis)
J’en ai fait une, putain de moine,
Plaise à Dieu qu’elle plaise aux copains. (bis)
Ancienne enfant d’Marie-salope
Mélanie, la bonne au curé,
Dedans ses trompes de Fallope,
S’introduit des cierges sacrés.
Des cierges de cire d’abeille
Plus onéreux, mais bien meilleurs, (bis)
Dame! la qualité se paye
A Saint-Sulpice, comme ailleurs. (bis)
Quand son bon maître lui dit: " Est-ce
Trop vous demander Mélanie,
De n’user, par délicatesse,
Que de cierges non encor bénits? "
Du tac au tac, elle réplique
Moi, je préfère qu’ils le soient, (bis)
Car je suis bonne catholique
Elle a raison, ça va de soi. (bis)
Elle vous emprunte un cierge à Pâques
Vous le rend à la Trinité.
Non, non, non, ne me dites pas que
C’est normal de tant le garder.
Aux obsèques d’un con célèbre,
Sur la bière, ayant aperçu, (bis)
Un merveilleux cierge funèbre,
Elle partit à cheval dessus. (bis)
Son mari, pris dans la tempête
La Paimpolaise était en train
De vouer, c’était pas si bête,
Un cierge au patron des marins.
Ce pieux flambeau qui vacille
Mélanie se l’est octroyé, (bis)
Alors le saint, cet imbécile,
Laissa le marin se noyer. (bis)
Les bons fidèles qui désirent
Garder pour eux, sur le chemin
186
Des processions, leur bout de cire
Doiv’nt le tenir à quatre mains,
Car quand elle s’en mêl’, sainte vierge,
Elle cause un désastre, un malheur. (bis)
La Saint-Barthélemy des cierges,
C’est le jour de la Chandeleur. (bis)
Souvent quand elle les abandonne,
Les cierges sont périmés;
La saint’ famill’ nous le pardonne
Plus moyen de les rallumer.
Comme ell’ remue, comme elle se cabre,
Comme elle fait des soubresauts, (bis)
En retournant au candélabre,
Ils sont souvent en p’tits morceaux. (bis)
Et comme elle n’est pas de glace,
Parfois quand elle les restitue
Et qu’on veut les remettre en place,
Ils sont complètement fondus.
Et comme en outre elle n’est pas franche,
Il arrive neuf fois sur dix (bis)
Qu’sur un chandelier à sept branches
Elle n’en rapporte que six. (bis)
Mélanie à l’heure dernière
A peu de chances d’être élue;
Aux culs bénits de cett’ manière
Aucune espèce de salut.
Aussi, chrétiens, mes très chers frères,
C’est notre devoir, il est temps, (bis)
De nous employer à soustraire
Cette âme aux griffes de Satan. (bis)
Et je propose qu’on achète
Un cierge abondamment béni
Qu’on fera brûler en cachette
En cachette de Mélanie.
En cachette car cette salope
Serait fichue d’se l’enfoncer (bis)
Dedans ses trompes de Fallope,
Et tout s’rait à recommencer. (bis)
Titre CD(?)
texte
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Titolo
testo
2010
Montélimar
Avec leurs gniards
187
Mignons mignards,
Leur beau matou,
Leur gros toutou,
Les pharisiens,
Les béotiens,
Les aoûtiens,
Dans leur auto,
Roulent presto,
Tombeau ouvert,
Descendant vers
La grande mare,
En passant par
Montélimar.
Refrain
Dites d’urgence
A ces engeances
De malheur
Et à leurs
Gniards
Que chiens, chats
N’aiment
Pas l’ nougat
Même
Même celui
D’Montélimar.
Hélas bientôt
Le mal d’auto
Va déranger
Les passagers.
Le beau matou,
Le gros toutou,
Pas fiers du tout
- Ça fait frémir -
S’en vont vomir
Et même pis
Sur les tapis
Et les coussins
A beaux dessins,
C’est très malsain.
C’est très fâcheux,
C’est plus du jeu,
Et coetera.
Et alors à
Montélimar,
On en a marre
Du cauchemar.
Boutant presto
Hors de l’auto
188
Le beau matou,
Le gros toutou,
Ces handicaps
Sur Digne, Gap,
On met le cap.
Alors tous ces
Petits poucets,
Ces beaux matous,
Ces gros toutous,
En ribambelle
Ont sans appel
Droit au scalpel.
Les aoûtiens
Les béotiens
Qui font ça n’ont
Pas d’âme, non,
Que leur auto
Bute presto
Contre un poteau!s
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
Tempête dans un bénitier
Tempête dans un bénitier,
Le souverain pontife avecque
Les évêques, les archevêques,
Nous font un satané chantier.
Ils ne savent pas ce qu’ils perdent,
Tous ces fichus calotins,
Sans le latin, sans le latin,
La messe nous emmerde.
A la fête liturgique,
Plus de grand’s pompes, soudain,
Sans le latin, sans le latin,
Plus de mystère magique.
Le rite qui nous envoûte
S’avère alors anodin,
Sans le latin, sans le latin,
Et les fidèl’s s’en foutent.
0 très Sainte Marie mèr’ de
Dieu, dites à ces putains
De moines qu’ils nous emmerdent
Sans le latin.
Je ne suis pas le seul, morbleu!
189
Depuis que ces règles sévissent,
A ne plus me rendre à l’office
Dominical que quand il pleut.
Ils ne savent pas ce qu’ils perdent
Tous ces fichus calotins,
Sans le latin, sans le latin,
La messe nous emmerde.
En renonçant à l’occulte,
Faudra qu’ils fassent tintin,
Sans le latin, sans le latin,
Pour le denier du culte.
A la saison printanière
Suisse, bedeau, sacristain,
Sans le latin, sans le latin
F’ront l’églis’ buissonnière,
0 très Sainte Marie mèr’ de
Dieu, dites à ces putains
De moines qu’ils nous emmerdent
Sans le latin.
Ces oiseaux sont des enragés,
Ces corbeaux qui scient, rognent, tranchent
La saine et bonne vieille branche
De la croix où ils sont perchés.
Ils ne savent pas ce qu’ils perdent,
Tous ces fichus calotins,
Sans le latin, sans le latin,
La messe nous emmerde.
Le vin du sacré calice
Se change en eau de boudin,
Sans le latin, sans le latin
Et ses vertus faiblissent.
A Lourdes, Sète ou bien Parme,
Comme à Quimper, Corentin,
Le presbytère sans le latin
A perdu de son charme.
0 très Sainte Marie mèr’ de
Dieu, dites à ces putains
De moines qu’il-, nous emmerdent
Sans le latin.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Bécassine
Un champ de blé prenait racine
190
Sous la coiffe de Bécassine,
Ceux qui cherchaient la toison d’or
Ailleurs avaient bigrement tort.
Tous les seigneurs du voisinage,
Les gros bonnets, grands personnages,
Rêvaient de joindre à leur blason
Une boucle de sa toison.
Un champ de blé prenait racine
Sous la coiffe de Bécassine.
C’est une espèce de robin,
N’ayant pas l’ombre d’un lopin,
Qu’elle laissa pendre, vainqueur,
Au bout de ses accroche-coeurs.
C’est une sorte de manant,
Un amoureux du tout-venant
Qui pourra chanter la chanson
Des blés d’or en toute saison
Et jusqu’à l’heure du trépas,
Si le diable s’en mêle pas.
Au fond des yeux de Bécassine
Deux pervenches prenaient racine,
Si belles que Sémiramis
Ne s’en est jamais bien remis’.
Et les grands noms à majuscules,
Les Cupidons à particules
Auraient cédé tous leurs acquêts
En échange de ce bouquet.
Au fond des yeux de Bécassine
Deux pervenches prenaient racine.
C’est une espèce de gredin,
N’ayant pas l’ombre d’un jardin,
Un soupirant de rien du tout
Qui lui fit faire les yeux doux.
C’est une sorte de manant,
Un amoureux du tout-venant
Qui pourra chanter la chanson
Des fleurs bleu’s en toute saison
Et jusqu’à l’heure du trépas,
Si le diable s’en mêle pas.
A sa bouche, deux belles guignes,
Deux cerises tout à fait dignes,
Tout à fait dignes du panier
De madame de Sévigné.
Les hobereaux, les gentillâtres,
Tombés tous fous d’elle, idolâtres,
Auraient bien mis leur bourse à plat
Pour s’offrir ces deux guignes-là,
191
Tout à fait dignes du panier
De madame de Sévigné.
C’est une espèce d’étranger,
N’ayant pas l’ombre d’un verger,
Qui fit s’ouvrir, qui étrenna
Ses joli’s lèvres incarnat.
C’est une sorte de manant,
Un amoureux du tout-venant
Qui pourra chanter la chanson
Du temps des ceris’s en tout’ saison
Et jusqu’à l’heure du trépas,
Si le diable s’en mêle pas.
C’est une sorte de manant,
Un amoureux du tout-venant
Qui pourra chanter la chanson
Du temps des ceris’s en tout’ saison
Et jusqu’à l’heure du trépas,
Si le diable s’en mêle pas.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La religieuse
Tous les coeurs se rallient à sa blanche cornette,
Si le chrétien succombe à son charme insidieux,
Le païen le plus sûr, l’athé’ le plus honnête
Se laisseraient aller parfois à croire en Dieu.
Et les enfants de choeur font tinter leur sonnette...
Il paraît que, dessous sa cornette fatale
Qu’elle arbore à la messe avec tant de rigueur,
Cette petite soeur cache, c’est un scandale!
Une queu’ de cheval et des accroche-coeurs.
Et les enfants de choeur s’agitent dans les stalles...
Il paraît que, dessous son gros habit de bure,
Elle porte coquettement des bas de soi’,
Festons, frivolités, fanfreluches, guipures,
Enfin tout ce qu’il faut pour que le diable y soit.
Et les enfants de choeur ont des pensées impures...
Il paraît que le soir, en voici bien d’une autre!
A l’heure où ses consoeurs sont sagement couché’s
Ou débitent pieusement des patenôtres,
Elle se déshabille devant sa psyché.
Et les enfants de choeur ont la fièvre, les pauvres...
192
Il paraît qu’à loisir elle se mire nue,
De face, de profil, et même, hélas! de dos,
Après avoir, sans gêne, accroché sa tenue
Aux branches de la croix comme au portemanteau.
Chez les enfants de choeur le malin s’insinue...
Il paraît que, levant au ciel un oeil complice,
Ell’ dit: "Bravo, Seigneur, c’est du joli travail! "
Puis qu’elle ajoute avec encor plus de malice:
"La cambrure des reins, ça, c’est une trouvaille! "
Et les enfants de choeur souffrent un vrai supplice...
Il paraît qu’à minuit, bonne mère, c’est pire:
On entend se mêler, dans d’étranges accords,
La voix énamouré’ des anges qui soupirent
Et celle de la soeur criant " Encor! Encor! "
Et les enfants de choeur, les malheureux, transpirent...
Et monsieur le curé, que ces bruits turlupinent,
Se dit avec raison que le brave Jésus
Avec sa tête, hélas! déjà chargé’ d’épines,
N’a certes pas besoin d’autre chose dessus.
Et les enfants de choeur, branlant du chef, opinent...
Tout ça, c’est des faux bruits, des ragots, des sornettes,
De basses calomni’s par Satan répandu’s.
Pas plus d’accroche-coeurs sous la blanche cornette
Que de queu’ de cheval, mais un crâne tondu.
Et les enfants de choeur en font, une binette...
Pas de troubles penchants dans ce coeur rigoriste,
Sous cet austère habit pas de rubans suspects.
On ne verra jamais la corne au front du Christ,
Le veinard sur sa croix peut s’endormir en paix,
Et les enfants de choeur se masturber, tout tristes...
L’ancêtre CD(?)
Notre voisin l’ancêtre était un fier
galant
Qui n’emmerdait personne avec sa
barbe blanche,
Et quand le bruit courut qu’ ses jours étaient
comptés,
On s’en fut à l’hospice afin de l’assister.
On avait apporté les guitar’s avec nous
Car, devant la musique, il tombait à
genoux,
Excepté toutefois les marches militaires
Il vecchio
Il nostro vicino, il vecchio, era un fiero
dongiovanni
che non rompeva la scatole a nessuno con la sua
barba bianca,
e quando girò la voce che i suoi giorni erano
contati
ci precipitammo all’ospizio per assisterlo.
Avevamo portato le chitarre con noi
poiché, davanti alla musica, cadeva in
ginocchio,
con l’eccezione delle marce militari,
193
Qu’il écoutait en se tapant le cul par terre. (bis)
Émules de Django, disciples de Crolla,
Toute la fine fleur des cordes était là
Pour offrir à l’ancêtre, en signe d’affection,
En guis’ de viatique,
une ultime audition. (bis)
Hélas! les carabins ne les ont pas reçu’s,
Les guitar’s sont resté’s à la porte cochère,
Et le dernier concert de l’ancêtre déçu
Ce fut un pot-pourri de cantiques, peuchère!
Quand nous serons ancêtres,
Du côté de Bicêtre,
Pas de musique d’orgue, oh! non,
Pas de chants liturgiques
Pour qui aval’ sa chique,
Mais des guitar’s, cré nom de nom! (bis)
On avait apporté quelques litres
aussi,
Car le bonhomme avait la fièvre de
Bercy
Et les soirs de nouba, parol’ de tavernier,
À rouler sous la table il était le dernier. (bis)
Saumur, Entre-deux-mers, Beaujolais, Marsala,
Toute la fine fleur de la vigne était là
Pour offrir à l’ancêtre, en signe d’affection,
En guis’ de viatique,
une ultime libation. (bis)
Hélas! les carabins ne les ont pas reçus,
Les litres sont restés à la porte cochère,
Et l’ coup de l’étrier de l’ancêtre déçu
Ce fut un grand verre d’eau bénite,
peuchère!
Quand nous serons ancêtres,
Du côté de Bicêtre,
Ne nous faites pas boire, oh! non,
De ces eaux minéral’s, bénites ou lustrales,
Mais du bon vin, cré nom de nom! (bis)
On avait emmené les belles du quartier,
Car l’ancêtre courait la gueuse volontiers.
De sa main toujours leste et digne cependant
Il troussait les jupons par n’importe quel
temps. (bis)
che ascoltava sbellicandosi dalle risate. (bis)
Emuli di Django, discepoli di Crolla,
tutti i migliori talenti della chitarra erano là
per offrire al vecchio, in segno di affetto,
come una specie di estrema unzione,
un’ultima audizione. (bis)
Ahimé i dottori non le hanno fatte entrare,
le chitarre sono rimaste al portone,
e l’ultimo concerto del vecchio deluso
fu un miscuglio di cantici... poveretto!
Quando saremo vecchi,
dalle parti di Bicêtre,
niente musica di organo, oh no!
Niente canti liturgici
per chi sta per tirare le cuoia...
invece, chitarre, perdinci! (bis)
Avevamo portato anche qualche litro di quello
buono,
poiché il brav’uomo aveva la passione per il
vino
e le serate di baldoria, parola di taverniere,
a rotolare sotto i tavoli era l’ultimo. (bis)
Saumur, Entre-deux-mers, Beaujolais, Marsala,
tutti i migliori elisir della vite erano là
per offrire al vecchio, in segno di affetto,
come una specie di estrema unzione,
un’ultima libazione. (bis)
Ahimé i dottori non li hanno fatti entrare,
i litri sono rimasti al portone,
e il bicchiere della staffa del vecchio deluso
fu un gran bicchiere di acqua benedetta...
poveretto!
Quando saremo vecchi,
dalle parti di Bicêtre,
non fateci bere, oh no!
queste acque minerali, benedette o lustrali...
invece, del buon vino, perdinci! (bis)
Avevamo portato le belle del quartiere,
poiché il vecchio correva volentieri la cavallina:
con la mano veloce, eppure dignitosamente,
sollevava le gonne con qualsiasi
tempo. (bis)
194
Depuis Manon Lescaut jusques à Dalila
Toute la fine fleur du beau sexe était là
Pour offrir à l’ancêtre, en signe d’affection,
En guis’ de viatique,
une ultime érection. (bis)
Hélas! les carabins ne les ont pas reçu’s,
Les belles sont restées à la porte cochère,
Et le dernier froufrou de l’ancêtre déçu
Ce fut celui d’une robe de soeur, peuchère!
Quand nous serons ancêtres,
Du côté de Bicêtre,
Pas d’enfants de Marie, oh! non,
Remplacez-nous les nonnes
Par des belles mignonnes
Et qui fument, cré nom de nom! (bis)
?
Da Manon Lescaut fino a Dalila,
tutti i migliori esemplari del gentil sesso erano là
per offrire al vecchio, in segno di affetto,
come una specie di estrema unzione,
un’ultima erezione. (bis)
Ahimé i dottori non le hanno fatte entrare,
le belle sono rimaste al portone,
e l’ultimo fruscìo del vecchio deluso
fu quello d’una tonaca di suora... poveretto!
Quando saremo vecchi,
dalle parti di Bicêtre,
niente figli di Maria, oh no!
Sostituiteci le monache
con delle belle graziose...
e di quelle che fumano, perdinci! (bis)
2010
Vedi approfondimento
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Titolo
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2010
Sale petit bonhomme
Sale petit bonhomme, il ne portait plus d’ailes,
Plus de bandeau sur l’œil et d’un huissier modèle,
Arborait les sombres habits
Dès qu’il avait connu le krach, la banqueroute
De nos affaires de coeur, il s’était mis en route
Pour recouvrer tout son fourbi.
Pas plus tôt descendu de sa noire calèche,
Il nous a dit: "je viens récupérer mes flèches
Maintenant pour vous superflu’s. "
Sans une ombre de peine ou de mélancolie,
On l’a vu remballer la vaine panoplie
Des amoureux qui ne jouent plus.
Avisant, oublié’, la pauvre marguerite
Qu’on avait effeuillé’, jadis, selon le rite,
Quand on s’aimait un peu, beaucoup,
L’un après l’autre, en place, il remit les pétales;
La veille encore, on aurait crié au scandale,
On lui aurait tordu le cou.
Il brûla nos trophé’s, il brûla nos reliques,
Nos gages, nos portraits, nos lettres idylliques,
195
Bien belle fut la part du feu.
Et je n’ai pas bronché, pas eu la mort dans l’âme,
Quand, avec tout le reste, il passa par les flammes
Une boucle de vos cheveux.
Enfin, pour bien montrer qu’il faisait table rase,
Il effaça du mur l’indélébile phrase:
"Paul est épris de Virginie. "
De Virgini’, d’Hortense ou bien de Caroline,
J’oubli’ presque toujours le nom de l’héroïne
Quand la comédie est finie.
"Faut voir à pas confondre amour et bagatelle,
A pas trop mélanger la rose et l’immortelle,
Qu’il nous a dit en se sauvant,
A pas traiter comme une affaire capitale
Une petite fantaisie sentimentale
Plus de crédit dorénavant. "
Ma mi’, ne prenez pas ma complainte au tragique.
Les raisons qui, ce soir, m’ont rendu nostalgique,
Sont les moins nobles des raisons,
Et j’aurais sans nul doute enterré cette histoire
Si, pour renouveler un peu mon répertoire
Je n’avais besoin de chansons.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Ceux qui ne pensent pas comme nous
Quand on n’est pas d’accord avec le fort en thème
Qui, chez les sorbonnards, fit ses humanités,
On murmure in petto: "C’est un vrai Nicodème,
Un balourd, un bélître, un bel âne bâté."
Moi qui pris mes leçons chez l’engeance argotique,
Je dis en l’occurrence, excusez le jargon,
Si la forme a changé le fond reste identique:
"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."
Refrain
Entre nous soit dit, bonnes gens,
Pour reconnaître
Que l’on n’est pas intelligent,
Il faudrait l’être.
Entre nous soit dit, bonnes gens,
Pour reconnaître
Que l’on n’est pas intelligent,
Il faudrait l’être.
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Jouant les ingénus, le père de Candide,
Le génial Voltaire, en substance écrivit
Qu’il souffrait volontiers - complaisance splendide -
Que l’on ne se conformât point à son avis.
"Vous proférez, Monsieur, des sottises énormes,
Mais jusques à la mort, je me battrais pour qu’on
Vous les laissât tenir. Attendez-moi sous l’orme!"
"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."
(Au Refrain)
Si ça n’entraîne pas une guerre civile
Quand un fâcheux me contrarie, c’est - soyons francs -
Un peu par sympathie, par courtoisie servile,
Un peu par vanité d’avoir l’air tolérant,
Un peu par crainte aussi que cette grosse bête
Prise à rebrousse-poil ne sorte de ses gonds
Pour mettre à coups de poing son credo dans ma tête.
"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."
(Au Refrain)
La morale de ma petite ritournelle,
Il semble superflu de vous l’expliciter.
Elle coule de source, elle est incluse en elle:
Faut choisir entre deux éventualités.
En fait d’alternative, on fait pas plus facile.
Ceux qui l’aiment, parbleu, sont des esprits féconds,
Ceux qui ne l’aiment pas, de pauvres imbéciles.
"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."
(Au Refrain)
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
La nymphomane
Mânes de mes aïeux, protégez-moi, bons mânes!
Les joies charnell’s me perdent,
La femme de ma vie, hélas! est nymphomane,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Sous couleur de me donner une descendance,
Les joies charnell’s me perdent,
Dans l’alcôve ell’ me fait passer mon existence,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
J’ai beau demander grâce, invoquer la migraine,
Les joies charnell’s me perdent,
Sur l’autel conjugal, implacable, ell’ me traîne,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
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Et je courbe l’échine en déplorant, morose,
Les joies charnell’s me perdent,
Qu’on trouv’ plus les enfants dans les choux, dans les roses,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Et je croque la pomme, après quoi, je dis pouce.
Les joies charnell’s me perdent,
Quand la pomme est croquée, de plus belle ell’ repousse,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Métamorphose inouïe, métempsycose infâme,
Les joies charnell’s me perdent,
C’est le tonneau des Danaïd’s changé en femme,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
J’en arrive à souhaiter qu’elle se dévergonde,
Les joies charnell’s me perdent,
Qu’elle prenne un amant ou deux qui me secondent,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Or, malheureusement, la bougresse est fidèle,
Les joies charnell’s me perdent,
Pénélope est une roulure à côté d’elle,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Certains à coups de dents creusent leur sépulture,
Les joies charnell’s me perdent,
Moi j’use d’un outil de tout autre nature,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Après que vous m’aurez emballé dans la bière,
Les joies charnell’s me perdent,
Prenez la précaution de bien sceller la pierre,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Car, même mort, je devrais céder à ses rites,
Les joies charnell’s me perdent,
Et mes os n’auraient pas le repos qu’ils méritent,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Qu’on m’incinère plutôt! Ell’ n’os’ra pas descendre,
Les joies charnell’s me perdent,
Sacrifier à Vénus, avec ma pauvre cendre,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
Mânes de mes aïeux, protégez-moi, bons mânes!
Les joies charnell’s me perdent,
La femme de ma vie, hélas! est nymphomane,
Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)
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Titolo
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2010
La visite
On n’était pas des Barbe-Bleue,
Ni des pelés, ni des galeux,
Porteurs de parasites.
On n’était pas des spadassins,
On venait du pays voisin,
On venait en visite.
On n’avait aucune intention
De razzia, de déprédation,
Aucun but illicite.
On venait pas piller chez eux,
On venait pas gober leurs oeufs,
On venait en visite.
On poussait pas des cris d’Indiens,
On avançait avec maintien
Et d’un pas qui hésite.
On braquait pas des revolvers,
On arrivait les bras ouverts,
On venait en visite.
Mais ils sont rentrés dans leurs trous,
Mais ils ont poussé les verrous
Dans un accord tacite.
Ils ont fermé les contrevents,
Caché les femmes, les enfants,
Refusé la visite.
On venait pas les sermonner,
Tenter de les endoctriner,
Pas leur prendre leur site.
On venait leur dire en passant,
Un petit bonjour innocent,
On venait en visite.
On venait pour se présenter,
On venait pour les fréquenter,
Pour qu’ils nous plébiscitent,
Dans l’espérance d’être admis
Et naturalisés amis,
On venait en visite.
Par malchance, ils n’ont pas voulu
De notre amitié superflue
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Que rien ne nécessite.
Et l’on a refermé nos mains,
Et l’on a rebroussé chemin,
Suspendu la visite
(Coda)
Suspendu la visite.
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Titolo
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2010
Le passéiste
Tant pis si j’ai l’air infantile,
Mais, par ma foi!
Ma phrase d’élection c’est: "Il
Etait une fois"
Et dans les salons où l’on cause,
Tant pis si on
Fait le procès de ma morose
Délectation.
Sitôt que je perds contenance
Au temps qui court,
Lors, j’appelle les souvenances
A mon secours.
Ne vous étonnez pas, ma chère,
Si vous trouvez
Les vers de jadis et naguère
A mon chevet.
Quitte à froisser la marguerite,
Faut que je dise
Que tu es ma fleur favorite,
Myosotis.
Si les neiges d’antan sont belles,
C’est qu’ les troupeaux
De bovins posent plus sur elles
Leurs gros sabots.
Au royaume des vieilles lunes,
Que Copernic
M’excuse, pas d’ombre importune,
Pas de spoutnik!
Le feu des étoiles éteintes
M’éclaire encore,
Et j’entends l’Angélus qui tinte
Aux clochers morts.
Que les ans rongent mes grimoires,
Ca ne fait rien,
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Mais qu’ils épargnent ma mémoire,
Mon plus cher bien!
Que Dieu me frappe d’aphasie,
D’influenza,
Mais qu’il m’évite l’amnésie,
Tout, mais pas ça!
Tant pis si j’ai l’air infantile,
Mais, par ma foi!
Ma phrase d’élection c’est: "Il
Etait une fois."
Tant pis si j’ai l’air infantile,
Mais, par ma foi!
Ma phrase d’élection c’est: "Il
Etait une fois."
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Titolo
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2010
Le vieux Normand
Depuis que je commence à faire de vieux os,
Avide de conseils, souvent un jouvenceau
Me demande la marche à suivre et s’il est bon
D’aller par-ci, par-là, scrupuleux je réponds:
Refrain
Crosse en l’air ou bien fleur au fusil,
C’est à toi d’en décider, choisis!
A toi seul de trancher s’il vaut mieux
Dire "amen" ou "merde à Dieu".
Et le brave petit blâme ma position,
M’accuse de danser la valse hésitation.
Cet âge exècre l’attitude des Normands,
Les seuls à lui parler en fait honnêtement.
(Au Refrain)
Facile d’entraîner de jeunes innocents!
Puisqu’il est interdit d’interdire à présent,
Lors, en bonne justice, il est déconseillé
De donner des conseils, surtout s’ils sont payés.
(Au Refrain)
A gauche, à droite, au centre ou alors à l’écart,
Je ne puis t’indiquer où tu dois aller, car
Moi le fil d’Ariane me fait un peu peur
Et je ne m’en sers plus que pour couper le beurre.
(Au Refrain)
201
Quand tous les rois Pétaud crient "Viv’ la république",
Que "Mort aux vaches" même est un slogan de flic,
Que l’on parle de paix le cul sur des canons,
Bienheureux celui qui s’y retrouve, moi non!
(Au Refrain)
La vérité d’ailleurs flotte au gré des saisons.
Tout fier dans son sillage, on part, on a raison.
Mais au cours du voyage, elle a viré de bord,
Elle a changé de cap, on arrive: on a tort.
(Au Refrain)
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Méchante avec de jolis seins
Hélas, si j’avais pu deviner que vos avantages
Cachaient sournoisement, madame, une foison d’oursins,
J’eusse borné mon zèle à d’innocents marivaudages.
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,
Si méchante avec de jolis seins?
J’eusse borné mon zèle à d’innocents marivaudages,
Ma main n’eût pas quitté même un instant le clavecin.
Je me fusse permis un madrigal, pas davantage.
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,
Si méchante avec de jolis seins?
Quand on a comme vous reçu tant de grâce en partage,
C’est triste au fond du coeur de rouler d’aussi noirs desseins.
Vous gâchez le métier de belle, et c’est du sabotage.
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,
Si méchante avec de jolis seins?
Vous gâchez le métier de belle, et c’est du sabotage,
Et je succombe ou presque sous votre charme assassin,
Moi qui vais tout à l’heure atteindre à la limite d’âge.
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,
Si méchante avec de jolis seins?
Moi qui vais tout à l’heure atteindre à la limite d’âge,
Mon ultime recours c’est d’entrer chez les capucins,
Car vous m’avez détruit, anéanti comme Carthage.
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?
202
Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,
Si méchante avec de jolis seins?
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Quand les cons sont braves
Sans être tout à fait un imbécile fini,
Je n’ai rien du penseur, du phénix, du génie.
Mais je n’ suis pas le mauvais bougre et j’ai bon coeur,
Et ça compense à la rigueur.
Refrain
Quand les cons sont braves
Comme moi,
Comme toi,
Comme nous,
Comme vous,
Ce n’est pas très grave.
Qu’ils commettant,
Se permettent
Des bêtises,
Des sottises,
Qu’ils déraisonnent,
Ils n’emmerdent personne.
Par malheur sur terre
Les trois quarts
Des tocards
Sont des gens
Très méchants,
Des crétins sectaires.
Ils s’agitant,
Ils s’excit’nt,
Ils s’emploient,
Ils déploient
Leur zèle à la ronde,
Ils emmerdent tout l’ monde.
Si le sieur X était un lampiste ordinaire,
Il vivrait sans histoir’s avec ses congénères.
Mais hélas! il est chef de parti, l’animal:
Quand il débloque, ça fait mal!
(Au Refrain)
Si le sieur Z était un jobastre sans grade,
Il laisserait en paix ses pauvres camarades.
Mais il est général, va-t-en-guerr’, matamore.
Dès qu’il s’en mêle, on compt’ les morts.
203
(Au Refrain)
Mon Dieu, pardonnez-moi si mon propos vous fâche
En mettant les connards dedans des peaux de vaches,
En mélangeant les genr’s, vous avez fait d’ la terre
Ce qu’elle est: une pétaudière!
(Au Refrain)
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Ce n’est pas tout d’être mon père
Du fait qu’un couple de fieffés
Minables a pris le café
Du pauvre, on naît et nous voilà
Contraints d’estimer ces gens-là.
Parc’ qu’un minus de cinq à sept
Chevauche une pauvre mazette
Qui resta froide, sortit du
Néant un qui n’aurait pas dû.
Refrain
Ce n’est pas tout d’être mon père,
Il faut aussi me plaire.
Êtr’ mon fils ce n’est pas tout,
Il faut me plaire itou.
Trouver son père sympathique,
C’est pas automatique.
Avoir un fils qui nous agrée,
Ce n’est pas assuré.
Quand on s’avise de venir
Sur terre, il faut se prémunir
Contre la tentation facile
D’être un rejeton d’imbécile.
Ne pas mettre au monde un connard,
C’est malcommode et c’est un art
Que ne pratique pas souvent
La majorité des vivants.
(Au Refrain)
L’enfant naturel, l’orphelin
Est malheureux et je le plains,
Mais, du moins, il n’est pas tenu
Au respect d’un père inconnu.
Jésus, lui, fut plus avisé,
Et plutôt que de s’exposer
A prendre un crétin pour papa,
204
Il aima mieux n’en avoir pas.
(Au Refrain)
C’est pas un compte personnel
Que je règle ; mon paternel,
Brave vieux, me plaisait beaucoup,
Etait tout à fait à mon goût.
Quant à moi qui, malgré des tas
De galipettes de fada,
N’ai point engendré de petits,
J’ n’ai pas pu faire d’abrutis.
(Au Refrain)
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Clairette et la fourmi
J’étais pas l’amant de Clairette,
Mais son ami.
De jamais lui conter fleurette
J’avais promis.
Un jour qu’on cardait ses chevrettes
Aux champs, parmi
L’herbe tendre et les pâquerettes,
Elle s’endormit.
L’herbe tendre et les pâquerettes,
Elle s’endormit.
Durant son sommeil, indiscrète,
Une fourmi
Se glissa dans sa collerette,
Quelle infamie!
Moi, pour secourir la pauvrette,
Vite je mis
Ma patte sur sa gorgerette:
Elle a blêmi.
Ma patte sur sa gorgerette:
Elle a blêmi.
Crime de lèse-bergerette
J’avais commis.
Par des gifles que rien n’arrête
Je suis puni,
Et pas des gifles d’opérette,
Pas des demies.
J’en ai gardé belle lurette
Le cou démis.
205
J’en ai gardé belle lurette
Le cou démis.
Quand j’ai tort, moi, qu’on me maltraite,
D’accord, admis!
Mais quand j’ai rien fait, je regrette,
C’est pas permis.
Voilà qu’à partir je m’apprête
Sans bonhomie,
C’est alors que la guillerette
Prend l’air soumis.
C’est alors que la guillerette
Prend l’air soumis.
Elle dit, baissant les mirettes:
"C’est moi qui ai mis,
Au-dedans de ma collerette,
Cette fourmi."
Les clés de ses beautés secrètes
Ell’ m’a remis.
Le ciel me tombe sur la crête
Si l’on dormit.
Le ciel me tombe sur la crête
Si l’on dormit.
Je suis plus l’ami de Clairette,
Mais son promis.
Je ne lui contais pas fleurette,
Je m’y suis mis.
De jour en jour notre amourette
Se raffermit.
Dieu protège les bergerettes
Et les fourmis!
Dieu protège les bergerettes
Et les fourmis!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Entre la rue Didot et la rue de Vanves
Voici ce qu’il advint jadis grosso modo
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
Dans les années quarante
Où je débarquais de mon Languedo,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
Passait un’ bell’ gretchen au carrefour du château,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
206
Callipyge à prétendre
Jouer les Vénus chez les Hottentots,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
En signe d’irrespect, je balance aussitôt,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
En geste de revanche,
Une patte croche au bas de son dos,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
La souris gris’ se fâche et subito presto,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
La conne, la méchante,
Va d’mander ma tête à ses p’tits poteaux,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
Deux sbires sont venus avec leurs noirs manteaux,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
Se pointer dans mon antre
Et sûrement pas pour m’ fair’ de cadeaux,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
J’étais alors en train de suer sang et eau,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
De m’user les phalanges
Sur un chouette accord du père Django,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
Par un heureux hasard, ces enfants de salauds,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
Un sacré coup de chance,
Aimaient la guitare et les trémolos,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
Ils s’en sont retournés sans finir leur boulot,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
Fredonnant un mélange
De Lily Marlène et d’Heili Heilo,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
Une supposition: qu’ils aient comme Malraux,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
Qu’ils aient comme ce branque
Compté la musique pour moins que zéro,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot,
M’auraient collé au mur avec ou sans bandeau,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
On lirait, quell’ navrance!
Mon blase inconnu dans un ex-voto,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.
207
Au théâtre, ce soir, ici sur ces tréteaux,
Entre la rue Didot et la rue de Vanves,
Poussant une autr’ goualante,
Y aurait à ma place un autre cabot,
Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot. (bis)
Titre CD(?)
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2010
Entre l’Espagne et l’Italie
Le géographe était pris de folie,
Quand il imagina de tendre,
Tout juste entre l’Espagne et l’Italie,
Ma carte du Tendre.
Refrain
Avec moi Cupidon se surmène.
Dans mon coeur d’artichaut il piqua
Deux flèches: l’une au nom de Carmen(e),
La seconde au nom de Francesca.
Les soirs de bal, j’enlace tour à tour,
Je fais danser chacune d’elles:
Un pied pour la séguedille, un pied pour
La gaie tarentelle.
(Au Refrain)
Sans guère songer à ce que demain
Le coquin de sort me destine,
J’avance en tenant ferme à chaque main
Mes deux soeurs latines.
(Au Refrain)
Si jamais l’une d’ell’s un jour apprend
Qu’elle n’est pas tout à fait seule,
J’ai plus qu’à courir chez le tisserand
Choisir un linceul.
(Au Refrain)
On me verrait pris dans cette hypothèse
Entre deux mégères ardentes,
Entre deux feux: l’enfer de Cervantès
Et l’enfer de Dante!
(A Refrain)
Devant la faucheuse s’il faut plus tard,
Pauvre de moi, que je m’incline,
208
Qu’on me porte en terre au son des guitares
Et des mandolines!
(Au Refrain)
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2010
La maîtresse d’école
A l’école où nous avons appris l’ A B C
La maîtresse avait des méthodes avancées.
Comme il fut doux le temps, bien éphémère, hélas!
Où cette bonne fée régna sur notre classe,
Régna sur notre classe.
Avant elle, nous étions tous des paresseux,
Des lève-nez, des cancres, des crétins crasseux.
En travaillant exclusivement que pour nous,
Les marchands d’bonnets d’âne étaient sur les genoux,
Etaient sur les genoux.
La maîtresse avait des méthodes avancées
Au premier de la class’ ell’ promit un baiser,
Un baiser pour de bon, un baiser libertin,
Un baiser sur la bouche, enfin bref, un patin,
Enfin bref, un patin.
Aux pupitres alors, quelque chose changea,
L’école buissonnière eut plus jamais un chat.
Et les pauvres marchands de bonnets d’âne, crac!
Connurent tout à coup la faillite, le krach,
La faillite, le krach.
Lorsque le proviseur, à la fin de l’année,
Nous lut les résultats, il fut bien étonné.
La maîtresse, ell’, rougit comme un coquelicot,
Car nous étions tous prix d’excellence ex-aequo,
D’excellence ex-aequo.
A la récréation, la bonne fée se mit
En devoir de tenir ce qu’elle avait promis.
Et comme elle embrassa quarante lauréats,
Jusqu’à une heure indue la séance dura,
La séance dura.
Ce système bien sûr ne fut jamais admis
Par l’imbécile alors recteur d’académie.
De l’école, en dépit de son beau palmarès,
On chassa pour toujours notre chère maîtresse,
209
Notre chère maîtresse.
Le cancre fit alors sa réapparition,
Le fort en thème est redevenu l’exception.
A la fin de l’année suivante, quel fiasco!
Nous étions tous derniers de la classe ex-aequo,
De la classe ex-aequo!
A l’école où nous avons appris l’ A B C
La maîtresse avait des méthodes avancées.
Comme il fut doux le temps bien éphémère, hélas!
Où cette bonne fée régna sur notre classe,
Régna sur notre classe.
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2010
L’andropause
Aux quatre coins de France, émanant je suppose
De maris rancuniers par la haine conduits,
Le bruit court que j’atteins l’heure de l’andropause,
Qu’il ne faut plus compter sur moi dans le déduit.
O n’insultez jamais une verge qui tombe!
Ce n’est pas leur principe, ils crient sur tous les tons
Que l’une de mes deux est déjà dans la tombe
Et que l’autre à son tour file un mauvais coton.
Tous ces empanachés bêtement se figurent
Qu’un membr’ de ma famille est à jamais perclus,
Que le fameux cochon, le pourceau d’Epicure
Qui sommeillait en moi ne s’éveillera plus.
Ils me croient interdit de séjour à Cythère,
Et, par les nuits sans lune avec jubilation,
Ils gravent sur mon mur en style lapidaire
"Ici loge un vieux bouc qui n’a plus d’érections"!
Ils sont prématurés, tous ces cris de victoire,
O vous qui me plantez la corne dans le dos,
Sachez que vous avez vendu les génitoires,
Révérence parler, de l’ours un peu trop tôt.
Je n’ai pas pour autant besoin de mandragore,
Et vos femmes, messieurs, qu’ ces jours-ci j’ai reçues,
Que pas plus, tard qu’hier je contentais encore,
Si j’ n’ai plus d’érections, s’en fussent aperçues.
210
A l’hôpital Saint-Louis, l’autre jour, ma parole,
Le carabin m’a dit: "On ne peut s’y tromper,
En un mot comme en cent, monsieur, c’est la vérole."
Si j’ n’ai plus d’érections, comment l’ai-je attrapée?
Mon plus proche voisin n’aim’ que sa légitime,
Laquelle, épous’ modèle, n’a que moi pour amant.
Or tous deux d’ la vérole, ils sont tombés victimes.
Si j’ n’ai plus d’érections, expliquez-moi comment?
Mes copains, mon bassiste et tous ceux de la troupe
En souffrirent bientôt, nul n’en fut préservé.
Or je fus le premier à l’avoir dans le groupe.
Si j’ n’ai plus d’érections, comment est-ce arrivé?
Minotaures méchants, croyez-vous donc qu’à braire
Que mon train de plaisir arrive au terminus,
Vous me cassiez mes coups? Au contraire, au contraire,
Je n’ai jamais autant sacrifié à Vénus!
Tenant à s’assurer si ces bruits qu’on colporte,
Ces potins alarmants sont ou sont pas fondés,
Ces dames nuit et jour font la queue à ma porte,
Poussées par le démon de la curiosité.
Et jamais, non jamais, soit dit sans arrogance,
Mon commerce charnel ne fut plus florissant.
Et vous, pauvres de vous, par voie de conséquence
Vous ne fûtes jamais plus cocus qu’à présent.
Certes, elle sonnera cette heure fatidique,
Où perdant toutes mes facultés génétiques
Je serai sans émoi,
Où le septième ciel - ma plus chère ballade,
Ma plus douce grimpette et plus tendre escalade -
Sera trop haut pour moi.
Il n’y aura pas de pleurs dans les gentilhommières,
Ni de grincements de fesses dans les chaumières,
Faut pas que je me leurre.
Peu de chances qu’on voie mes belles odalisques
Déposer en grand deuil au pied de l’obélisque
Quelques gerbes de fleurs.
Tout au plus gentiment diront-elles: "Peuchère,
Le vieux Priape est mort", et, la cuisse légère,
Le regard alangui,
Elles s’en iront vous rouler dans la farine
De safran, tempérer leur fureur utérine
Avec n’importe qui.
211
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Titolo
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2010
Le pêcheur
On dirait un fanatique
De la cause halieutique,
Avec sa belle canne et
Son moulinet.
Mais s’il pêche, c’est pour rire,
Et l’on peut être certain
Que jamais sa poêle à frire
Vit le plus menu fretin.
La pêche, à ce qu’on raconte,
Pour lui n’est en fin de compte
Qu’un prétexte, un alibi -
On connaît pis -
Un truc, un moyen plausible
De fuir un peu son chez-soi
Où sévit la plus nuisible
Des maritornes qui soient.
Avec une joie maligne,
Il monte au bout de sa ligne
Tout un tas d’objets divers
Des bouts de fer,
Des paillassons, des sandales,
Des vieilles chaussett’s à clous,
Des noyés faisant scandale
Aussitôt qu’on les renfloue.
Si, déçu par une blonde,
Pensant faire un trou dans l’onde,
Tu tiens plus à te noyer
Qu’à te mouiller,
Désespéré, fais en sorte
D’aller piquer ton plongeon,
De peur qu’il ne te ressorte,
A l’écart de son bouchon.
Quand un goujon le taquine,
Qu’un gardon d’humeur coquine
Se laisse pour badiner
Hameçonner,
Le bonhomme lui reproche
Sa conduite puérile,
Puis à sa queue il accroche
Un petit poisson d’avril.
212
Mais s’il attrape une ondine,
L’une de ces gourgandines,
Femme mi-chair mi-poisson,
Le polisson -
Coup de théâtre - dévore
Tout cru le bel animal:
Une cure de phosphore,
Ca peut pas faire de mal.
Quand il mourra, quand la Parque
L’emmènera dans sa barque,
En aval et en amont,
Truites, saumons,
Le crêpe à la queue sans doute,
L’escorteront chagrinés,
Laissant la rivière toute
Vide, désempoissonnée.
Lors, tombés dans la disette,
Repliant leurs épuisettes,
Tout penauds, tout pleurnicheurs,
Les vrais pêcheurs
Rentreront chez eux bredouilles
Danser devant le buffet,
Se faisant traiter d’andouilles
Par leur compagne. Bien fait!
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2010
Le sceptique
Imitant Courteline, un sceptique notoire,
Manifestant ainsi que l’on me désabuse,
J’ai des velléités d’arpenter les trottoir(e)s
Avec cette devise écrite à mon gibus:
"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."
Dieu, diable, paradis, enfer et purgatoire,
Les bons récompensés et les méchants punis,
Et le corps du Seigneur dans le fond du ciboire,
Et l’huile consacrée comme le pain bénit,
"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."
Et la bonne aventure et l’art divinatoire,
Les cartes, les tarots, les lignes de la main,
La clé des songes, le pendule oscillatoire,
Les astres indiquant ce que sera demain,
213
"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."
Les preuves à l’appui, les preuves péremptoires,
Témoins dignes de foi, metteurs de mains au feu,
Et le respect de l’homme à l’interrogatoire,
Et les vérités vraies, les spontanés aveux,
"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."
Le bagne, l’échafaud entre autres exutoires,
Et l’efficacité de la peine de mort,
Le criminel saisi d’un zèle expiatoire,
Qui bat sa coulpe bourrelé par le remords,
"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."
Sur les tombeaux les oraisons déclamatoires,
Les: "C’était un bon fils, bon père, bon mari",
"Le meilleur d’entre nous et le plus méritoire",
"Un saint homme, un coeur d’or, un bel et noble esprit"
"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."
Les "Saint-Jean bouche d’or", les charmeurs d’auditoire,
Les placements de sentiments de tout repos,
Et les billevesées de tous les répertoires,
Et les morts pour que naisse un avenir plus beau,
"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."
Coda
Mais j’envie les pauvres d’esprit pouvant y croire.
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Titolo
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2010
Retouches à un roman d’amour de quatre sous
Madame, même à quatre sous
Notre vieux roman d’amour sou-
ffrirait certes quelque mévente.
Il fut minable. Permettez
Que je farde la vérité,
La réinvente. (bis)
On se rencontra dans un car
Nous menant en triomphe au quart,
Une nuit de rafle à Pigalle.
Je préfère affirmer, sang bleu!
Que l’on nous présenta chez le
Prince de Galles. (bis)
Oublions l’hôtel mal famé,
214
L’hôtel borgne où l’on s’est aimés.
Taisons-le, j’aurais bonne mine.
Il me paraît plus transcendant
De situer nos ébats dans
Une chaumine. (bis)
Les anges volèrent bien bas,
Leurs soupirs ne passèrent pas
L’entresol, le rez-de-chaussée.
Forçons la note et rehaussons
Très au-delà du mur du son
Leur odyssée. (bis)
Ne laissons pas, quelle pitié!
Notre lune de miel quartier
De la zone. Je préconise
Qu’on l’ait vécue en Italie,
Sous le beau ciel de Napoli
Ou de Venise. (bis)
Un jour votre coeur se lassa
Et vous partîtes - passons ça
Sous silence - en claquant la porte.
Marguerite, soyons décents,
Racontons plutôt qu’en toussant
Vous êtes morte. (bis)
Deux années après, montre en main,
Je me consolais, c’est humain,
Avec une de vos semblables.
Je joue, ça fait un effet boeuf,
Le veuf toujours en deuil, le veuf
Inconsolable. (bis)
C’est la revanche du vaincu,
C’est la revanche du cocu,
D’agir ainsi dès qu’il évoque
Son histoire: autant qu’il le peut,
Iltâche de la rendre un peu
Moins équivoque. (bis)
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Titolo
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2010
Chansonnette à celle qui reste pucelle
(Musique de Jean Bertola)
Jadis la mineure
Perdait son honneur(e)
215
Au moindre faux pas
Ces moeurs n’ont plus cours de
Nos jours c’est la gourde
Qui ne le fait pas.
Toute ton école,
Petite, rigole
Qu’encore à seize ans
Tu sois vierge et sage,
Fidèle à l’usage
Caduc à présent.
Malgré les exemples
De gosses, plus ample
Informé que toi,
Et qu’on dépucelle
Avec leur crécelle
Au bout de leurs doigts.
Chacun te brocarde
De ce que tu gardes
Ta fleur d’oranger,
Pour la bonne cause,
Et chacune glose
Sur tes préjugés.
Et tu sers de cible
Mais reste insensible
Aux propos moqueurs,
Aux traits à la gomme.
Comporte-toi comme
Te le dit ton coeur.
Quoi que l’on raconte,
Y a pas plus de honte
A se refuser,
Ni plus de mérite
D’ailleurs, ma petite,
Qu’à se faire baiser.
Facultatifs
Certes, si te presse
La soif de caresses,
Cours, saute avec les
Vénus de Panurge.
Va, mais si rien n’urge,
Faut pas t’emballer.
Mais si tu succombes,
Sache surtout qu’on peut
Être passée par
216
Onze mille verges,
Et demeurer vierge,
Paradoxe à part.
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2010
Honte à qui peut chanter
Refrain
Honte à cet effronté qui peut chanter pendant
Que Rome brûle, ell’ brûl’ tout l’ temps...
Honte à qui malgré tout fredonne des chansons
A Gavroche, à Mimi Pinson.
En mil neuf cent trent’-sept que faisiez-vous mon cher?
J’avais la fleur de l’âge et la tête légère,
Et l’Espagne flambait dans un grand feu grégeois.
Je chantais, et j’étais pas le seul: "Y a d’ la joie".
Et dans l’année quarante mon cher que faisiez-vous?
Les Teutons forçaient la frontière, et comme un fou,
Et comm’ tout un chacun, vers le sud, je fonçais,
En chantant: "Tout ça, ça fait d’excellents Français".
(Au Refrain)
A l’heure de Pétain, à l’heure de Laval,
Que faisiez-vous mon cher en plein dans la rafale?
Je chantais, et les autres ne s’en privaient pas:
"Bel ami", "Seul ce soir", "J’ai pleuré sur tes pas ".
Mon cher, un peu plus tard, que faisait votre glotte
Quand en Asie ça tombait comme à Gravelotte?
Je chantais, il me semble, ainsi que tout un tas
De gens: "Le déserteur", "Les croix", "Quand un soldat".
(Au Refrain)
Que faisiez-vous mon cher au temps de l’Algérie,
Quand Brel était vivant qu’il habitait Paris?
Je chantais, quoique désolé par ces combats:
"La valse à mille temps" et "Ne me quitte pas".
Le feu de la ville éternelle est éternel.
Si Dieu veut l’incendie, il veut les ritournelles.
A qui fera-t-on croir’ que le bon populo,
Quand il chante quand même, est un parfait salaud?
(Au Refrain)
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Titre CD(?)
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2010
Jeanne Martin
(Musique de Jean Bertola)
La petite presqu’île
Où jadis, bien tranquille,
Moi je suis né natif,
Soit dit sans couillonnade
Avait le nom d’un ad-
jectif démonstratif.
Moi, personnellement
Que je meur’ si je mens
Ca m’était bien égal ;
J’étais pas chatouillé,
J’étais pas humilié
Dans mon honneur local.
Mais voyant d’ l’infamie
Dans cette homonymie,
Des bougres s’en sont plaints
Tellement que bientôt
On a changé l’ortho-
graph’ du nom du pat’lin.
Et j’eus ma première tristesse d’Olympio,
Déférence gardée envers le père Hugo.
Si faire se peut
Attendez un peu,
Messieurs les édiles,
Que l’on soit passé
Pour débaptiser
Nos petites villes.
La chère vieille rue
Où mon père avait cru
On ne peut plus propice
D’aller construire sa
Petite maison s’a-
ppelait rue de l’Hospice.
Se mettre en quête d’un
Nom d’ rue plus opportun
Ne se concevait pas.
On n’ pouvait trouver mieux
Vu qu’un asile de vieux
218
Florissait dans le bas.
Les anciens combattants,
Tous comme un seul, sortant
De leurs vieux trous d’obus,
Firent tant qu’à la fin
La rue d’ l’Hospic’ devint
La rue Henri Barbusse.
Et j’eus ma deuxième tristesse d’Olympio,
Déférence gardée envers le père Hugo.
Si faire se peut
Attendez un peu,
Héros incongrus,
Que l’on soit passé
Pour débaptiser
Nos petites rues.
Moi, la première à qui
Mon coeur fut tout acquis
S’app’lait Jeanne Martin,
Patronyme qui fait
Pas tellement d’effet
Dans le bottin mondain.
Mais moi j’aimais comme un
Fou ce nom si commun,
N’en déplaise aux minus.
D’ailleurs, de parti pris,
Celle que je chéris,
S’appell’ toujours Vénus.
Hélas un béotien
A la place du sien
Lui proposa son blase
Fameux dans l’épicerie
Et cette renchérie
Refusa pas, hélas!
Et j’eus ma troisième tristesse d’Olympio,
Déférence gardée envers le père Hugo.
Si faire se peut
Attendez un peu
Cinq minutes, non?
Gentes fiancées,
Que l’on soit passé
Pour changer de nom.
Titre CD(?) Titolo
219
texte
?
testo
2010
La légion d’honneur
(Musique de Jean Bertola)
Tous les Brummel, les dandys, les gandins,
Il les considérait avec dédain
Faisant peu cas de l’élégance il s’ha-
Billait toujours au décrochez-moi-ça.
Au combat, pour s’en servir de liquette,
Sous un déluge d’obus, de roquettes,
Il conquit un oriflamme teuton.
Cet acte lui valut le grand cordon.
Mais il perdit le privilège de
S’aller vêtir à la six-quatre-deux,
Car ça la fout mal saperlipopette
D’avoir des faux plis, des trous à ses bas,
De mettre un ruban sur la salopette.
La légion d’honneur ça pardonne pas.
L’âme du bon feu maistre Jehan Cotart
Se réincarnait chez ce vieux fêtard.
Tenter de l’empêcher de boire un pot
C’était ni plus ni moins risquer sa peau.
Un soir d’intempérance, à son insu,
Il éteignit en pissotant dessus
Un simple commencement d’incendie.
On lui flanqua le mérite, pardi!
Depuis que n’est plus vierge son revers,
Il s’interdit de marcher de travers.
Car ça la fout mal d’ se rendre dans les vignes,
Dites du seigneur, faire des faux pas
Quand on est marqué du fatal insigne.
La légion d’honneur ça pardonne pas.
Grand peloteur de fesses convaincu,
Passé maître en l’art de la main au cul,
Son dada c’était que la femme eut le
Bas de son dos tout parsemé de bleus.
En vue de la palper d’un geste obscène,
Il a plongé pour sauver de la Seine
Une donzelle en train de se noyer,
Dame! aussi sec on vous l’a médaillé.
Ce petit hochet à la boutonnière
Vous le condamne à de bonnes manières.
Car ça la fout mal avec la rosette,
De tâter, flatter, des filles les appas
La louche au valseur; pas de ça Lisette!
220
La légion d’honneur ça pardonne pas.
Un brave auteur de chansons malotru
Avait une tendance à parler cru,
Bordel de dieu, con, pute, et caetera
Ornaient ses moindres tradéridéras.
Sa muse un soir d’un derrière distrait
Pondit, elle ne le fit pas exprès,
Une rengaine sans gros mots dedans,
On vous le chamarra tambour battant.
Et maintenant qu’il porte cette croix,
Proférer: "Merde", il n’en a plus le droit.
Car ça la fout mal de mettre à ses lèvres
De grand commandeur des termes trop bas,
D’ chanter l’ grand vicaire et les trois orfèvres.
La légion d’honneur ça pardonne pas.
L’Antéchrist CD(?)
(Musique de Jean Bertola)
Je ne suis pas du tout l’Antéchrist de service,
J’ai même pour Jésus et pour son sacrifice
Un brin d’admiration,
soit dit sans ironie.
Car ce n’est sûrement pas une sinécure,
Non, que de se laisser cracher à la figure
Par la canaille et la racaille réunies.
Bien sûr, il est normal que la foule révère
Ce héros qui jadis partit pour aller faire
L’alpiniste avant l’heure
en haut du Golgotha,
En portant sur l’épaule une croix accablante,
En méprisant l’insulte et le remonte-pente,
Et sans aucun bravo qui le réconfortât!
Bien sûr, autour du front, la couronne d’épines,
L’éponge trempée dans Dieu sait quelle bibine,
Et les clous enfoncés dans les pieds et les mains,
C’est très inconfortable et ça vous tarabuste,
Même si l’on est brave et si l’on est robuste,
Et si le paradis est au bout du chemin.
Bien sûr, mais il devait défendre
son prestige,
Car il était le fils du ciel,
l’enfant prodige,
Il était le Messie et ne l’ignorait pas.
Entre son père et lui, c’était l’accord tacite:
Tu montes sur la croix et je te ressuscite!
On meurt de confiance avec un tel papa.
L’Anticristo
Non sono affatto l’Anticristo della situazione,
anzi, per Gesù e per il suo sacrificio
ho perfino un pizzico d’ammirazione
(sia detto senza ironia).
Poiché non si tratta certo di un affare da poco,
no davvero, farsi sputare in faccia
dai mascalzoni e i delinquenti insieme.
Certo, è normale che la folla esalti
questo eroe che un tempo partì per fare
l’alpinista, da precursore,
sulla cima del Golgota,
portando sulla spalla una croce opprimente,
disprezzando gli insulti e lo ski-lift,
senza alcun “bravo” che lo confortasse!
Certo, attorno alla fronte la corona di spine,
la spugna imbevuta di Dio sa quale schifezza,
e i chiodi piantati nei piedi e nelle mani...
è molto scomodo e fastidioso
anche se si è coraggiosi e robusti,
e se il Paradiso è alla fine del viaggio.
Certo, e però egli doveva difendere
il suo prestigio
poiché era il figlio del cielo,
il bambino prodigio,
lui era il Messia, e non lo ignorava.
Tra suo padre e lui, c’era un tacito accordo:
tu sali sulla croce e io ti risuscito!
Si muore di fiducia, con un papà simile!
221
Il a donné sa vie sans doute mais son zèle
Avait une portée quasi universelle
Qui rendait le supplice un peu moins douloureux.
Il savait que, dans chaque église, il serait tête
D’affiche et qu’il aurait
son portrait en vedette,
Entouré des élus, des saints, des bienheureux.
En se sacrifiant,
il sauvait tous les hommes.
Du moins le croyait-il!
Au point où nous en sommes,
On peut considérer qu’il s’est fichu dedans.
Le jeu, si j’ose dire, en valait la chandelle.
Bon nombre de chrétiens et même d’infidèles,
Pour un but aussi noble, en feraient tout autant.
Cela dit je ne suis pas
l’Antéchrist de service.
19??
Egli ha forse dato la sua vita, ma il suo zelo
aveva una portata quasi universale,
il che rendeva il supplizio un po’ meno doloroso.
Egli sapeva che in ogni chiesa sarebbe stato
l’ospite d’onore, e che il suo ritratto
sarebbe andato in prima pagina,
circondato di eletti, santi e beati.
Compiendo il sacrificio,
egli salvava tutti gli uomini.
Almeno, così credeva!
Al punto in cui siamo,
si può dire che sia andato in malora.
Il gioco, se posso dirlo, valeva la candela.
Parecchi cristiani, e pure molti infedeli,
per uno scopo così nobile, farebbero lo stesso.
Detto questo, non sono
l’Anticristo della situazione.
2010
Vedi approfondimento
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
Le progrès
(Musique de Jean Bertola)
Que le progrès soit salutaire,
C’est entendu, c’est entendu.
Mais ils feraient mieux de se taire,
Ceux qui dis’nt que le presbytère
De son charme du vieux temps passé n’a rien perdu,
N’a rien perdu.
Supplantés par des betteraves,
Les beaux lilas! les beaux lilas!
Sans mentir, il faut être un brave
Fourbe pour dire d’un ton grave,
Que le jardin du curé garde tout son éclat,
Tout son éclat.
Entre les tours monumentales
Toujours croissant, toujours croissant,
Qui cherche sa maison natale
Se perd comme dans un dédale.
Au mal du pays, plus aucun remède à présent,
222
Remède à présent.
C’est de la malice certaine,
C’est inhumain! c’est inhumain!
Ils ont asséché la fontaine
Où les belles samaritaines
Nous faisaient boire, en été, l’eau fraîche dans leurs mains,
Fraîche dans leurs mains.
Ils ont abattu, les vandales,
Et sans remords, et sans remords,
L’arbre couvert en capitales
De noms d’amants: c’est un scandale!
Les amours mort’s n’ont plus de monuments aux morts,
Monuments aux morts.
L’a fait des affaires prospères,
Le ferrailleur, le ferrailleur,
En fauchant les vieux réverbères.
Maintenant quand on désespère,
On est contraint et forcé d’aller se pendre ailleurs,
Se pendre ailleurs.
Et c’est ce que j’ai fait sur l’heure,
Et sans délai, et sans délai.
Le coq du clocher n’est qu’un leurre,
Une girouette de malheur(e).
Ingrate patrie, tu n’auras pas mes feux follets,
Mes feux follets.
Que le progrès soit salutaire,
C’est entendu, c’est entendu.
Mais ils feraient mieux de se taire,
Ceux qui dis’nt que le presbytère
De son charme du vieux temps passé n’a rien perdu,
N’a rien perdu.
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
Le revenant
(Musique de Jean Bertola)
Calme, confortable, officiel,
En un mot résidentiel,
Tel était le cimetière où
Cet imbécile avait son trou.
Comme il ne reconnaissait pas
223
Le bien-fondé de son trépas,
L’a voulu faire - aberration! -
Sa petite résurrection.
Les vieux morts, les vieux "ici-gît",
Les braves sépulcres blanchis,
Insistèrent pour qu’il revînt
Sur sa décision mais en vain.
L’ayant astiquée, il remit
Sur pied sa vieille anatomie,
Et tout pimpant, tout satisfait,
Prit la clef du champ de navets.
Chez lui s’en étant revenu,
Son chien ne l’a pas reconnu
Et lui croque en deux coups de dents
Un des os les plus importants.
En guise de consolation,
Pensa faire une libation,
Boire un coup de vin généreux,
Mais tous ses tonneaux sonnaient creux.
Quand dans l’alcôve il est entré
Embrasser sa veuve éplorée,
Il jugea d’un simple coup d’oeil
Qu’elle ne portait plus son deuil.
Il la trouve se réchauffant
Avec un salaud de vivant,
Alors chancelant dans sa foi
Mourut une seconde fois.
La commère au potron-minet
Ramassa les os qui traînaient
Et pour une bouchée de pain
Les vendit à des carabins.
Et, depuis lors, ce macchabée,
Dans l’amphithéâtre tombé,
Malheureux, poussiéreux, transi,
Chante: "Ah! ce qu’on s’emmerde ici"!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Les châteaux de sable
(Musique de Jean Bertola)
224
Je chante la petite guerre
Des braves enfants de naguère
Qui sur la plage ont bataillé
Pour sauver un château de sable
Et ses remparts infranchissables
Qu’une vague allait balayer.
J’en étais: l’arme à la bretelle,
Retranchés dans la citadelle,
De pied ferme nous attendions
Une cohorte sarrasine
Partie de la côte voisine
A l’assaut de notre bastion.
A cent pas de là sur la dune,
En attendant que la fortune
Des armes sourie aux vainqueurs,
Languissant d’être courtisées
Nos promises, nos fiancées
Préparaient doucement leur coeur.
Tout à coup l’Armada sauvage
Déferla sur notre rivage
Avec ses lances, ses pavois,
Pour commettre force rapines,
Et même enlever nos Sabines
Plus belles que les leurs, ma foi.
La mêlée fut digne d’Homère,
Et la défaite bien amère
A l’ennemi pourtant nombreux,
Qu’on battit à plate couture,
Qui partit en déconfiture
En déroute, en sauve-qui-peut.
Oui, cette horde de barbares
Que notre fureur désempare
Fit retraite avec ses vaisseaux,
En n’emportant pour tous trophées,
Moins que rien, deux balles crevées,
Trois raquettes, quatre cerceaux.
Après la victoire fameuse
En chantant l’air de "Sambre et Meuse"
Et de la "Marseillaise", ô gué,
On courut vers la récompense
Que le joli sexe dispense
Aux petits héros fatigués.
Tandis que tout bas à l’oreille
225
De nos Fanny, de nos Mireille,
On racontait notre saga,
Qu’au doigt on leur passait la bague,
Surgit une espèce de vague
Que personne ne remarqua.
Au demeurant ce n’était qu’une
Vague sans amplitude aucune,
Une vaguelette égarée,
Mais en atteignant au rivage
Elle causa plus de ravages,
De dégâts qu’un raz-de-marée.
Expéditive, la traîtresse
Investit notre forteresse,
La renversant, la détruisant.
Adieu donjon, tours et courtines,
Que quatre gouttes anodines
Avaient effacés en passant.
A quelque temps de là nous sommes
Allés mener parmi les hommes
D’autres barouds plus décevants,
Allés mener d’autres campagnes,
Où les châteaux sont plus d’Espagne,
Et de sable qu’auparavant.
Quand je vois lutter sur la plage
Des soldats à la fleur de l’âge,
Je ne les décourage pas,
Quoique je sache, ayant naguère
Livré moi-même cette guerre,
L’issue fatale du combat.
Je sais que malgré leur défense,
Leur histoire est perdue d’avance,
Mais je les laisse batailler,
Pour sauver un château de sable
Et ses remparts infranchissables,
Qu’une vague va balayer.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
L’orphelin
(Musique de Jean Bertola)
Sauf dans le cas fréquent, hélas!
Où ce sont de vrais dégueulasses,
226
On ne devrait perdre jamais
Ses père et mère, bien sûr, mais
A moins d’être un petit malin
Qui meurt avant d’être orphelin,
Ou un infortuné bâtard,
Ca nous pend au nez tôt ou tard.
Quand se drapant dans un linceul
Ses parents le laissent tout seul,
Le petit orphelin, ma foi,
Est bien à plaindre. Toutefois,
Sans aller jusqu’à décréter
Qu’il devient un enfant gâté,
Disons que dans son affliction
Il trouve des compensations.
D’abord au dessert aussitôt
La meilleure part du gâteau,
Et puis plus d’école, pardi
La semaine aux quatre-jeudis.
On le traite comme un pacha,
A sa place on fouette le chat,
Et le trouvant très chic en deuil,
Les filles lui font des clins d’oeil.
Il serait par trop saugrenu
D’énumérer par le menu
Les faveurs et les passe-droits
Qu’en l’occurrence on lui octroie.
Tirant même un tel bénéfice
En perdant leurs parents, des fils
Dénaturés regrettent de
N’en avoir à perdre que deux.
Hier j’ai dit à un animal
De flic qui me voulait du mal:
Je suis orphelin, savez-vous?
Il me répondit: je m’en fous.
J’aurais eu quarante ans de moins
Je suis sûr que par les témoins
La brute aurait été mouchée.
Mais ces lâches n’ont pas bougé.
Aussi mon enfant si tu dois
Etre orphelin, dépêche-toi.
Tant qu’à perdre tes chers parents,
Petit, n’attends pas d’être grand:
L’orphelin d’âge canonique
Personne ne le plaint: bernique!
Et pour tout le monde il demeure
Orphelin de la onzième heure.
227
Celui qui a fait cette chanson
A voulu dire à sa façon,
Que la perte des vieux est par-
Fois perte sèche, blague à part.
Avec l’âge c’est bien normal,
Les plaies du coeur guérissent mal.
Souventes fois même, salut!
Elles ne se referment plus.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
S’faire enculer
(Musique de Jean Bertola)
La lune s’attristait. On comprend sa tristesse
On tapait plus dedans. Ell’ s’ demandait quand est-ce
Qu’on va s’ rappeler de m’enculer.
Dans mon affreux jargon, carence inexplicable,
Brillait par son absence un des pires vocables
C’est: "enculé". Lacun’ comblée.
Lâcher ce terme bas, Dieu sait ce qu’il m’en coûte,
La chos’ ne me gên’ pas mais le mot me dégoûte,
J’ suis désolé d’ dire enculé.
Oui mais depuis qu’Adam se fit charmer par Eve
L’éternel féminin nous emmerde et je rêve
Parfois d’aller m’ faire enculer.
Sous les coups de boutoir des ligues féministes
La moitié des messieurs brûle d’être onaniste,
L’autre d’aller s’ faire enculer.
A force d’être en butte au tir des suffragettes
En son for intérieur chacun de nous projette
D’hélas aller s’ faire enculer.
Quand on veut les trousser, on est un phallocrate,
Quand on ne le veut point, un émul’ de Socrate,
Reste d’aller s’ faire enculer.
Qu’espèrent en coassant des légions de grenouilles?
Que le royaum’ de France enfin tombe en quenouille,
Qu’on coure aller s’ faire enculer?
Y a beaux jours que c’est fait devant ces tyrannettes,
228
On dans’ comm’ des pantins, comm’ des marionnettes
Au lieu d’aller s’ faire enculer.
Pompadour, Montespan, La Vallière et j’en passe
Talonnèrent le roi qui marchait tête basse
Souhaitant aller s’ faire enculer.
A de rar’s exceptions, nom d’un chien, ce sont elles
Qui toujours min’ de rien déclenchent la bagatelle ;
Il faut aller s’ faire enculer.
Oui la plupart du temps sans aucune équivoque
En tortillant du cul ces dames nous provoquent,
Mieux vaut aller s’ faire enculer.
Fatigué de souffrir leur long réquisitoire
Ayant en vain cherché d’autres échappatoires,
Je vais aller m’ faire enculer.
D’à partir de ce soir cessant d’ croquer la pomme
J’embarque pour Cythère en passant par Sodome,
Afin d’aller m’ faire enculer.
Afin qu’aucun’ de vous mesdames n’imagine
Que j’ai du parti pris, que je suis misogyne,
Avant d’aller m’ faire enculer
J’avoue publiquement que vous êtes nos égales,
Qu’il faut valider çà dans un’ formul’ légale,
J’ suis enculé mais régulier.
En vertu d’ quel pouvoir, injustes que nous sommes,
Vous refus’-t-on les droits que l’on accorde aux hommes,
Comme d’aller s’ faire enculer.
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
Tant qu’il y a des Pyrénées
Frapper le gros Mussolini,
Même avec un macaroni,
Le Romain qui jouait à ça
Se voyait privé de pizza.
Après le Frente Popular,
L’hidalgo non capitulard
Qui s’avisait de dire "niet"
Mourait au son des castagnettes.
229
Refrain
J’ai conspué Franco la fleur à la guitare
Durant pas mal d’années ; (bis)
Faut dire qu’entre nous deux, simple petit détail
Y avait les Pyrénées! (bis)
Qui crachait sur la croix gammée,
Dans une mine était sommé
De descendre extraire du sel
Pour assaisonner les Bretzels.
Avant que son jour ne décline,
Qui s’élevait contre Staline
Filait manu militari
Aux sports d’hiver en Sibérie.
(Au Refrain)
Aux quatre coins du monde encore,
Qui se lève et crie: "Pas d’accord!"
En un tournemain se fait cou-
per le sifflet, tordre le cou.
Dans mon village, on peut à l’heure
Qu’il est, sans risque de malheur,
Brandir son drapeau quel qu’il soit,
Mais jusques à quand? Chi Io sà?
(Au Refrain)
(Coda)
S’engager par le mot, trois couplets un refrain,
Par le biais du micro, (bis)
Ça s’fait sur une jambe et ça n’engage à rien,
Et peut rapporter gros. (bis)
A mon frère revenant d’Italie
(Poème de Alfred de Musset)
Ainsi, mon cher, tu t’en reviens
Du pays dont je me souviens,
Comme d’un rêve,
De ces beaux lieux où l’oranger
Naquit pour nous dédommager
Du péché d’Eve.
‘Tu l’as vu, ce fantôme altier
Qui jadis eut le monde entier
Sous son empire.
César dans sa pourpre est tombé ;
Dans un petit manteau d’abbé
Sa veuve expire.
Tu t’es bercé sur ce flot pur
Où Naples enchâsse dans l’azur
230
Sa mosaïque,
Oreiller des lazzaroni
Où sont nés le macaroni
Et la musique.
Qu’il soit rusé, simple ou moqueur,
N’est-ce pas qu’il nous laisse au cœur
Un charme étrange,
Ce peuple ami de la gaieté
Qui donnerait gloire et beauté
Pour une orange?
Ischia! c’est là qu’on a des yeux,
C’est là qu’un corsage amoureux
Serre la hanche.
Sur un bas rouge bien tiré
Brille, sous le jupon doré,
La mule blanche.
Pauvre Ischia! bien des gens n’ont vu
Tes jeunes filles que pied nu
Dans la poussière.
On les endimanche à prix d’or ;
Mais ton pur soleil brille encor
Sur leur misère.
Quoi qu’il en soit, il est certain
Que l’on ne parle pas latin
Dans les Abruzzes,
Et que jamais un postillon
N’y sera l’enfant d’Apollon
Ni des neuf Muses.
Toits superbes! froids monuments!
Linceul d’or sur des ossements!
Ci-gît Venise.
Là mon pauvre coeur est resté.
S’il doit m’en être rapporté,
Dieu le conduise!
Mais de quoi vais-je ici parler?
Que ferait l’homme désolé,
Quand toi, cher frère,
Ces lieux où j’ai failli mourir,
Tu t’en viens de les parcourir
Pour te distraire?
Frère, ne t’en va plus si loin.
D’un peu d’aide j’ai grand besoin,
Quoi qu’il m’advienne.
Je ne sais où va mon chemin,
231
Mais je marche mieux quand ta main
Serre la mienne.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Ballade à la lune
(Poème de Alfred de Musset)
C’était, dans la nuit brune,
Sur un clocher jauni,
La lune,
Comme un point sur un i.
Lune, quel esprit sombre
Promène au bout d’un fil,
Dans l’ombre,
Ta face et ton profil?
Es-tu l’oeil du ciel borgne?
Quel chérubin cafard
Nous lorgne
Sous ton masque blafard?
Est-ce un ver qui te ronge
Quand ton disque noirci
S’allonge
En croissant rétréci?
Es-tu, je t’en soupçonne,
Le vieux cadran de fer
Qui sonne
L’heure aux damnés d’enfer?
Sur ton front qui voyage,
Ce soir ont-ils compté
Quel âge
A leur éternité?
Qui t’avait éborgnée
L’autre nuit? T’étais-tu
Cognée
Contre un arbre pointu?
Car tu vins, pâle et morne,
Coller sur mes carreaux
Ta corne,
A travers les barreaux.
232
Lune, en notre mémoire,
De tes belles amours
L’histoire
T’embellira toujours.
Et toujours rajeunie,
Tu seras du passant
Bénie,
Pleine lune ou croissant.
Et qu’il vente ou qu’il neige,
Moi-même, chaque soir,
Que fais-je,
Venant ici m’asseoir?
Je viens voir à la brune,
Sur le clocher jauni
La lune
Comme un point sur un i.
Je viens voir à la brune,
Sur le clocher jauni,
La lune,
Comme un point sur un i.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Carcassonne
(Poème de Gustave Nadaud)
"Je me fais vieux, j’ai soixante ans,
J’ai travaillé toute ma vie
Sans avoir, durant tout ce temps,
Pu satisfaire mon envie.
Je vois bien qu’il n’est ici-bas
De bonheur complet pour personne.
Mon voeu ne s’accomplira pas:
Je n’ai jamais vu Carcassonne!"
"On dit qu’on y voit tous les jours,
Ni plus ni moins que les dimanches,
Des gens s’en aller sur le cours,
En habits neufs, en robes blanches.
On dit qu’on y voit des châteaux
Grands comme ceux de Babylone,
Un évêque et deux généraux!
Je ne connais pas Carcassonne!"
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"Le vicaire a cent fois raison:
C’est des imprudents que nous sommes.
Il disait dans son oraison
Que l’ambition perd les hommes.
Si je pouvais trouver pourtant
Deux jours sur la fin de l’automne…
Mon Dieu! que je mourrais content
Après avoir vu Carcassonne!"
"Mon Dieu! mon Dieu! pardonnez-moi
Si ma prière vous offense ;
On voit toujours plus haut que soi,
En vieillesse comme en enfance.
Ma femme, avec mon fils Aignan,
A voyagé jusqu’à Narbonne ;
Mon filleul a vu Perpignan,
Et je n’ai pas vu Carcassonne!"
Ainsi chantait, près de Limoux,
Un paysan courbé par l’âge.
Je lui dis: "Ami, levez-vous ;
Nous allons faire le voyage."
Nous partîmes le lendemain ;
Mais (que le bon Dieu lui pardonne!)
Il mourut à moitié chemin:
Il n’a jamais vu Carcassonne!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Elégie à un rat de cave
(avec Moustache et les Petits Français)
Personne n’aurait cru ce cave
Prophétisant que par malheur,
Mon pauvre petit rat de cave,
Tu débarquerais avant l’heure.
Tu n’étais pas du genre qui vire
De bord et tous on le savait,
Du genre à quitter le navire,
Et tu es la première qui l’aies fait.
Maintenant m’amie qu’on te séquestre
Au sein des cieux,
Que je m’ déguise en chanteur d’orchestre
Pour tes beaux yeux,
En partant m’amie je te l’assure,
Tu as fichu le noir au fond de nous,
Quoiqu’on n’ait pas mis de crêpe sur
234
Nos putains de binious.
On n’ m’a jamais vu, faut que tu l’ notes,
C’est une primeur,
Faire un boeuf avec des croque-notes,
C’est en ton honneur.
Sache aussi qu’en écoutant Bechet(e),
Foll’ gamberge, on voit la nuit tombée,
Ton fantôme qui sautille en cachette
Rue du Vieux Colombier.
Ton fantôme qui sautille en cachette
Rue du Vieux Colombier.
Sans aucun "au revoir mes frères"
Mais on n’ t’en veut pas pour autant,
Mine de rien tu es allée faire
Ton trou dans les neiges d’antan.
Désormais, c’est pas des salades,
Parmi Flora, Jeanne, Thaïs,
J’inclus ton nom à la ballade
Des belles dam’s du temps jadis.
Maintenant m’amie qu’ ta place est faite
Chez les gentils,
Qu’ tu as retrouvé pour l’éternelle fête,
Papa Zutty,
Chauff’ la place à tous les vieux potaches,
Machin, Chose, et Luter et Longnon,
Et ce gras du bide de Moustache,
Tes fidèl’s compagnons.
S’il est brave, pourquoi que Dieu le père
Là-haut ferait
Quelque différence entre Saint-Pierre
Et Saint-Germain-des-Prés?
De tout coeur on espère que dans ce
Paradis miséricordieux,
Brill’nt pour toi des lendemains qui dansent
Où y a pas de bon Dieu.
Brill’nt pour toi des lendemains qui dansent
Où y a pas de bon Dieu.
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
Jehan l’advenu
(Norge, Jacques Yvart)
Puis il revint comme il était parti:
Bon pied, bon œil, personne d’averti.
Aux dents, toujours la vive marguerite,
235
Aux yeux, toujours la flamme qui crépite.
Mit sur ta lèvre, Aline, un long baiser ;
Mit sur la table un peu d’or étranger ;
Chanta, chanta deux chansons de marine ;
S’alla dormir dans la chambre enfantine.
Puis il revint comme il était parti:
Bon pied, bon œil, personne d’averti.
Aux dents, toujours la vive marguerite,
Aux yeux, toujours la flamme qui crépite.
Rêva tout haut d’écume et de cavale,
S’entortilla dans d’étranges rafales.
Puis au réveil, quand l’aube se devine,
Chanta, chanta deux chansons de marine.
Puis il revint comme il était parti:
Bon pied, bon œil, personne d’averti.
Aux dents, toujours la vive marguerite,
Aux yeux, toujours la flamme qui crépite.
Fit au pays son adieu saugrenu ;
Et s’en alla comme il était venu.
Fit au pays son adieu saugrenu ;
Et s’en alla comme il était venu.
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Titolo
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2010
C’était un peu leste
Et quand elle eut fini de coudre le linceul
Et de faire la sieste,
La veuve a décidé de ne pas rester seule
C’était un peu leste.
Et quand elle eut fini de couver ce dessein
Elle mit sa veste,
Et vint frapper chez moi, son plus proche voisin,
C’était un peu leste.
Et quand elle eut fini la dernière bouchée
D’un repas modeste,
Ell’ dit: "Il se fait tard, c’est l’heur’ de se coucher",
C’était un peu leste.
Et quand elle eut fini de bassiner le lit,
Alea jacta est(e),
236
Dans ses bras accueillants, j’étais enseveli,
C’était un peu leste.
Et quand elle eut fini d’ me presser sur son coeur,
De leurs voix célestes
Les anges d’alentour soupiraient tous en choeur,
C’était un peu leste.
Et quand elle eut fini d’ reprendre ses esprits,
Elle manifeste
La fâcheuse intention de m’avoir pour mari,
C’était un peu leste.
Et quand elle eut fini de tenir ces propos,
Tonnerre de Brest(e)!
Je la flanquai dehors avec ses oripeaux,
C’était un peu leste.
Et quand elle eut fini de dévaler l’ perron
Et dit: "J’ te déteste",
Elle se pendit au cou d’un troisième larron,
C’était un peu leste.
Et quand elle fut sortie de mon champ visuel,
Parfumés d’un zeste,
Je bus cinq à six coups, l’antidote usuel,
C’était un peu leste.
Et quand j’eus bien cuvé mon vin, je me suis dit,
Regrettant mon geste,
Que j’avais peut-être pas été des plus gentils,
C’était un peu leste.
Et quand ell’ m’entendit fair’ mon mea culpa,
La petite peste,
Me fit alors savoir qu’ell’ ne m’en voulait pas,
C’était un peu leste.
Et quand à l’avenir ell’ tomb’ra veuve encor,
Son penchant funeste,
Qu’elle vienne frapper chez moi dès la levée du corps
Sans d’mander son reste!
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2010
Je bivouaque au pays de Cocagne
Une rue sans joie où les sbires
237
Tout seuls ne s’aventurent pas,
Un coupe-gorge et même pire,
La venelle où traînaient mes pas!
Mais j’avais mangé du poète,
Je marchais un peu sur la tête,
Et cett’ rue je l’ai traversée
Comm’ l’avenue des Champs-Élysées.
Refrain
Je bivouaque au
Pays de Co -
cagne depuis
Que j’ai bouté
La vérité
Au fond du puits.
Beauté du diable et qui n’inspire
Pas l’envie d’aller en sabbat,
Epouvantail et même pire,
La fille m’offrant ses appas!
Mais j’avais mangé du poète,
Je marchais un peu sur la tête,
Et j’ai changé cette petite
En une Vénus Aphrodite.
(Au Refrain)
Quatre anges déchus qui soupirent
Si peu qu’on ne les entend pas,
Jamais étreinte ne fut pire,
Jamais amour vola si bas!
Mais j’avais mangé du poète,
Je marchais un peu sur la tête,
Et quittant doucement la terre
Je fus à bon port à Cythère.
(Au Refrain)
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2010
L’arc-en-ciel d’un quart d’heure
Cet arc-en-ciel qui nous étonne,
Quand il se lève après la pluie,
S’il insiste, il fait monotone
Et l’on se détourne de lui.
L’adage a raison: la meilleure
Chose en traînant se dévalue.
L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Personne ne l’admire plus.
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L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Est superflu.
Celui que l’aura populaire
Avait mis au gouvernail quand
Il fallait sauver la galère
En détresse dans l’ouragan,
Passé péril en la demeure,
Ne fut même pas réélu.
L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Personne ne l’admire plus.
L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Est superflu.
Cette adorable créature
Me répétait: "je t’aime tant
Qu’à ta mort, sur ta sépulture,
Je me brûle vive à l’instant!"
A mon décès, l’ordonnateur(e)
Des pompes funèbres lui plut.
L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Personne ne l’admire plus.
L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Est superflu.
Ce cabotin naguère illustre,
Et que la foule applaudissait
A tout rompre durant trois lustres,
Nul à présent ne sait qui c’est ;
Aucune lueur ne demeure
De son étoile révolue.
L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Personne ne l’admire plus.
L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure
Est superflu.
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2010
Le cauchemar
Sa majesté n’avait pas l’air d’un Cypriote,
D’un Belge, un Suisse, un Ecossais,
Mais tout bonnement hélas! d’un d’ nos compatriotes,
Dans mon rêve le roi des cons était Français.
Quand un olibrius portait une couronne,
Tous en choeur on applaudissait,
Nous les fiers descendants du général Cambronne,
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Dans mon rêve où le roi des cons était Français.
Et tous comme un seul homme, on courait à l’embauche
Dès qu’un botteur de culs passait,
Tendant les miches à droite, tendant les miches à gauche,
Dans mon rêve où le roi des cons était Français.
Dupont, Durand, Dubois, Duval, Dupuis, Duchêne,
A nos fusils la fleur poussait,
Toujours prêts à nous fair’ descendre à la prochaine,
Dans mon rêve où le roi des cons était Français.
On prenait la Bastille, et la chose étant faite,
Sur la plac’ publique on dansait,
Pour en bâtir une autre à la fin de la fête,
Dans mon rêve où le roi des cons était Français.
Entre deux coups de chien, on s’occupait de fesses,
On s’embrassait, on s’enlaçait,
Afin que des cocus continuât l’espèce,
Dans mon rêve où le roi des cons était Français.
Quand je sautai du lit, que j’entendis la somme
De balivernes qui florissaient,
J’eus comme l’impression d’ êtr’ pas sorti d’ mon somme,
De mon rêve où le roi des cons était Français.
Sa majesté n’avait pas l’air d’un Cypriote,
D’un Belge, un Suisse, un Ecossais,
Mais tout bonnement hélas d’un d’ nos compatriotes,
Dans mon rêve le roi des cons était Français.
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2010
Le fidèle absolu
Le seul arbre qu’il connaissait
Sous sa fenêtre florissait.
C’était le rustique absolu,
L’homme d’un seul jardin, pas plus.
Et les globe-trotters,
Et les explorateurs,
Coureurs de forêts vierges,
Regardaient, étonnés,
Ce bonhomme enchaîné
A sa tige d’asperge.
240
Bonhomme sais-tu pas
Qu’il existe là-bas
Des forêts luxuriantes,
Des forêts de Bondy,
Des forêts de Gasti-
ne et de Brocéliande?
Et l’homme répondit
"Je le sais bien, pardi,
Mais le diable m’emporte
Si je m’en vais chercher
Au diable ce que j’ai
Juste devant ma porte."
Je n’ai vu qu’un seul arbre, un seul, mais je l’ai vu,
Et je connais par coeur sa ramure touffue,
Et ce tout petit bout de branche me suffit:
Pour connaître une feuille, il faut toute une vie.
Si l’envie vous prenait de vous pendre haut et court,
Soyez gentil, ne vous pendez pas à mon arbre!
Il n’avait jamais voyagé
Plus loin que l’ombre du clocher.
C’était l’autochtone absolu,
L’homme d’un seul pays, pas plus.
Et les globe-trotters,
Et les explorateurs,
Tous les gens du voyage,
Regardaient étonnés
Cet être cantonné
Dans son petit village.
Bonhomme sais-tu pas
Qu’il existe là-bas,
Derrière tes montagnes,
Des pays merveilleux,
Des pays de cocagne
Et l’homme répondit:
"Je le sais bien, pardi,
Mais le diable m’emporte
Si je m’en vais chercher
Au diable ce que j’ai
Juste devant ma porte."
Je n’ai vu qu’un village, un seul, mais je l’ai vu,
Et ses quatre maisons ont su combler ma vue,
Et ce tout petit bout de monde me suffit:
Pour connaître une rue, il faut toute une vie.
Si l’envie vous prenait de tirer le canon,
241
Soyez gentil, ne tirez pas sur mon village.
Il n’avait jamais embrassé
Personne que sa fiancée.
C’était le fidèle absolu,
L’homme d’un seul amour, pas plus.
Et les globe-trotters,
Et les explorateurs,
Friands de bagatelle,
Regardaient étonnés
Ce bonhomme enchaîné
A son bout de dentelle.
Bonhomme sais-tu pas
Qu’il existe là-bas
Des beautés par séquelles,
Et qu’on peut sans ennui
Connaître mille nuits
De noces avec elles?
Et l’homme répondit:
"Je le sais bien, pardi,
Mais le diable m’emporte
Si je m’en vais chercher
Loin d’ici ce que j’ai
Juste devant ma porte."
Je n’ai vu qu’un amour, un seul, mais je l’ai vu,
Et ce grain de beauté a su combler ma vue,
Et ce tout petit bout de Vénus me suffit:
Pour connaître une femme, il faut toute une vie.
Si l’envie vous prenait de courir les jupons,
Soyez gentil, ne courez pas après ma belle.
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2010
Le mérinos
Oh non! tu n’es pas à la noce
Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos.
Si le Rhône est empoisonné,
C’est toi qu’on veut incriminer.
Les poissons morts, on te les doit,
Bête damnée, à cause de toi,
Tous les abreuvoirs sont croupis
Et les poules ont la pépie.
242
C’est moi qui suis l’enfant de salaud,
Celui qui fait des ronds dans l’eau,
Mais comme j’ai pas mal de culot,
Je garde la tête bien haute.
Car si l’eau qui coule sous les ponts
D’Avignon, Beaucaire et Tarascon,
N’a pas toujours que du bon
Mon Dieu! c’est pas ma faute.
Plus de naïades chevelues,
Et plus de lavandières non plus,
Tu fais sombrer sans t’émouvoir
L’armada des bateaux lavoirs.
Et le curé de Cucugnan
Baptise le monde en se plaignant
Que les eaux de son bénitier
Ne protègent plus qu’à moitié.
A la fontaine de Vaucluse,
Plus moyen d’taquiner les muses
Vers d’autres bords elles ont fui
Et les Pétrarques ont suivi.
Si la fontaine de Jouvence
Ne fait plus d’miracle en Provence,
Lave plus l’injure du temps,
C’est ton oeuvre, gros dégoûtant!
Oh non! Tu n’es pas à la noce
Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos,
On veut te mettre le fardeau
Des plaies d’ l’Egypte sur le dos.
On te dénie le sens civique
Mais calme, fier, serein, magnifique,
Tu traites tout çà par dessous
La jambe. Et puis baste! Et puis zou!
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2010
Le petit-fils d’Oedipe
Papa m’envoie quérir cent sous de mortadelle.
Empochant la monnaie, moi je file au bordel(e).
"Où vas-tu mon garçon de cette’ allur’ fougueuse?"
Me lance grand’maman. "Je vais courir la gueuse."
"Il est inconvenant de fréquenter les putes.
Tu m’en donn’s la moitié, juste et tu me culbutes."
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"Quoique j’atteigne hélas un âge canonique,
A bien des jeun’s au pieu je fais encor’ la nique."
"D’abord ça te permet quelques économies,
Et puis le patrimoine sort pas de la famille."
J’ tends mes deux francs cinquante à cette bonne vieille ;
Ce fut un’ bonn’ affaire: ell’ baisait à merveille.
Le père, à mon retour, me demande: "Où est-elle?"
Le bâfreur attendait son bout de mortadelle.
En voyant la portion que je mis sur la table,
L’auteur d’ mes jours poussa des cris épouvantables.
Il parlait de botter dans la région fessière
Cell’ qui n’en pouvait mais, la gente saucissière.
Il ouvrit un museau de carpe suffocante,
Quand il connut l’emploi des aut’s deux francs cinquante.
"- T’as baisé ma maman, petit énergumène."
"- T’avais qu’à commencer par pas baiser la mienne."
Mon argumentation vous lui coupa la chique
Les Français ne résistent pas à la logique.
Depuis, bibliquement, jusqu’à c’ qu’ell’ rende l’âme,
Je connais ma grand’mère et baste à qui me blâme.
Quand la hausse des cours devient extravagante,
Mémé bloque son prix: toujours deux francs cinquante.
Mais si mon père est pris d’un’ fringale de saucisse,
Il va l’acheter lui-même, excellent exercice!
Du coup j’ai plus d’argent ; de peur que je n’en vole,
Grand’mèr’ m’accorde alors ses faveurs bénévoles.
Pour qu’ la moral’ soit sauve et qu’ la chanson finisse,
jJ bais’ grand’mère à l’œil ; le bon Dieu la bénisse!
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2010
Le pince-fesses
Pour deux ou trois chansons, lesquell’s je le confesse
244
Sont discutables sous le rapport du bon goût,
J’ai la réputation d’un sacré pince-fesses
Mais c’est une légende, et j’en souffre beaucoup.
Refrain
Les fesses, ça me plaît, je n’ crains pas de le dire,
Sur l’herbe tendre j’aime à les faire bondir.
Dans certains cas, je vais jusqu’à les botter mais
Dieu m’est témoin que je ne les pince jamais.
En me voyant venir, femmes, filles, fillettes,
Au fur et à mesure avec des cris aigus,
Courent mettre en lieu sûr leurs fesses trop douillettes,
Suivies des jeunes gens aux rondeurs ambiguës.
Quand une bonne soeur m’invite entre deux messes
A lui pincer la croupe infidèle à Jésus,
Pour chasser le démon qui habite ses fesses,
Je lui vide un grand verre d’eau bénite dessus.
En revanche, si la même enlevant son cilice
Et me montrant ses reins me dit: "J’ai mal ici:
Embrassez-moi, de grâce arrêtez mon supplice!"
Je m’exécute en parfait chrétien que je suis.
Quand me courant après, la marchande d’hosties
Me prie d’épousseter les traces que les doigts
Des mitrons ont laissées sur sa chair rebondie,
Je la brosse: un Français se doit d’être courtois!
Et quand, à la kermesse, un’ belle pratiquante
M’appelle à son secours pour s’être enfoncé dans
Sa fesse maladroite une herbe un peu piquante,
Je ne ménage ni mes lèvres ni mes dents.
Cert’s, un jour, j’ai pincé l’éminence charnue
A une moribonde afin de savoir si
Elle vivait encore: une gifle est venue
Me prouver qu’elle n’était qu’en catalepsie.
Enfin, si désormais quelqu’une de vos proches
Affirme en vous montrant son cul couvert de bleus,
Qu’ c’est moi qui les ai faits, avec mes pattes croches,
En doute révoquez ses propos scandaleux.
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2010
Le sein de chair et le sein de bois
245
Après avoir fait son devoir de mère,
Gorgé de lait notre dernier blanc-bec,
Ma femme constata, surprise amère,
Qu’il avait tété la mamelle avec.
Le coeur rongé, c’est le cas de le dire,
La malheureuse criait comme un putois.
Le lendemain, pour calmer son délire,
Je lui fis faire un nouveau sein de bois.
Imaginez le trouble qui fut nôtre
Quand ma femm’ m’ayant demandé: "Dis-moi
Quel est le faux" je lui désignai l’autre,
Le vrai, celui qui n’était pas en bois.
Ivres de joie, nous ne pouvions comprendre
Qu’ cett’ ressemblance allait nous coûter cher,
Que nous allions bientôt pâtir de prendre
Le sein de bois pour le vrai sein de chair.
Une nuit, dans la conjugale couche,
Tourmenté par le démon de Vénus,
Je me jetai sur ma femme et, farouche,
Vous la fis mettre in naturalibus.
Lui promenant la main sur l’épiderme,
Je m’écrai, le coeur vibrant d’émoi:
"Oh mon amie, que votre sein est ferme!
- Ça se comprend, dit-elle, il est en bois."
Comme au cours d’une scène épouvantable
Elle m’avait bassement insulté,
Prenant un kriss qui traînait sur la table
J’ fis l’ simulacre de la poignarder.
Persuadé qu’ c’était son sein postiche
Qui allait essuyer le choc du fer,
J’y vais d’une main ferme et le lui fiche
Jusqu’à la garde dans le sein de chair.
Un célèbre disciple d’Esculape
Lui ayant proprement bouché ce trou,
En quelques jours ma femme se retape
Et reprend son beau rôle de nounou.
Epouvanté par la frimousse étique
Du nourrisson, j’enquête et m’aperçois
Que si le pauvre gosse est squelettique,
C’est qu’ell’ lui fait téter le sein de bois.
Ce fut l’ultime erreur la plus terrible:
Au cours d’un hiver extrêmement froid,
Nous avions brûlé tout le combustible
A l’exception du fameux sein de bois.
Ma pauvre femme alors, la mort dans l’âme,
246
Saisit un sein dans son corsage ouvert,
L’arrache et le jette en pâture aux flammes,
C’était naturellement le sein de chair…
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2010
L’enterrement de Paul Fort
Tous les oiseaux étaient dehors
Et toutes les plantes aussi.
Le petit cheval n’est pas mort
Dans le mauvais temps, Dieu merci.
Le bon soleil criait si fort:
Il fait beau, qu’on était ravis.
Moi, l’enterrement de Paul Fort,
Fut le plus beau jour de ma vie.
On comptait bien quelques pécores,
Quelques dindes à Montlhéry,
Quelques méchants, que sais-je encore:
Des moches, des mauvais esprits,
Mais qu’importe? Après tout ; les morts
Sont à tout le monde. Tant pis,
Moi, l’enterrement de Paul Fort,
Fut le plus beau jours de ma vie.
Le curé allait un peu fort
De Requiem à mon avis.
Longuement penché sur le corps,
Il tirait l’âme à son profit,
Comme s’il fallait un passeport
Aux poètes pour le paradis.
S’il fallait à Dieu du renfort
Pour reconnaître ses amis.
Tous derrière en gardes du corps
Et lui devant, on a suivi.
Le petit cheval n’est pas mort
Comme un chien je le certifie.
Tous les oiseaux étaient dehors
Et toutes les plantes aussi.
Moi, l’enterrement de Paul Fort,
Fut le plus beau jour de ma vie.
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2010
247
Les croque-morts améliorés
L’habit de deuil jusqu’à présent
Ne se portait assidûment
Que chez l’personnel funéraire,
Les anciens croque-morts ordinaires.
Depuis qu’ la vogue est au noirâtre,*
Dans les rues d’ Saint-Germain-des-Prés,
Y a des croque-morts améliorés!
Il ne m’importe aucunement
Qu’on mène mon enterrement
Avec des croque-morts ordinaires
Ou bien leurs nouveaux congénères.
Mais le bruit court que des emplâtres
Ont un’ peur bleue d’être enterrés
Par les croqu’-morts améliorés!
Et c’est pourquoi j’ai fait ce chant
Qui va permettre aux braves gens
De distinguer les funéraires,
Les anciens croque-morts ordinaires,
Des galopins un peu folâtres
Qui se mettent en deuil exprès
Les croque-morts améliorés!
Si le croque-mort s’en va sifflant
Les joyeux couplets à vingt francs,
C’est un honnête fonctionnaire,
C’est un croque-mort ordinaire.
Mais s’il écoute en idolâtre
Les disques des be-bop cassés,
C’est un croque-mort amélioré!
* Aux alentours des années cinquante,
à Saint-Germain-des-Prés,
la mode voulait qu’on s’habillât en noir.
Titre CD(?)
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2010
Les voisins
Si j’étais tout-puissant demain
Je n’irais pas par quat’ chemins,
Et ferais passer par le fer
Tous les voisins de l’univers.
Dans un moment, quand vous saurez
248
Tout ce qu’ils me font endurer,
Vous direz en votre âme: "Il a
Raison d’ vouloir être Attila."
Refrain
Les voisins sont tous des sal’s types
Les voisins sont tous des sal’s gens.
Ces gens auxquels je n’ai rien fait,
Auxquels je montre un tact parfait,
Passent leurs jours, passent leurs nuits
A me susciter des ennuis.
Ils possèdent un Mistigri
Qui croque toutes les souris,
Sauf les miennes bien entendu
Car ils le lui ont défendu.
(Refrain)
Mais en revanche il prend bien soin
De ne pas faire ses besoins
Ailleurs que sur mon paillasson,
Comme on lui en fit la leçon,
Et puis ils vont criant partout
Si je jett’ la pierre au matou:
"Il met ça sur le dos du chat,
Mais c’est lui qui se soulagea!"
(Refrain)
Et dans tout le quartier bientôt,
Je passe pour un Hottentot
Qui s’acharne à souiller, souiller
Les paillassons mal surveillés.
Lors quand je vais déambulant,
Chacun me fait l’affront sanglant
De mettre au fur et à mesur’
Tous les paillassons en lieu sûr.
(Refrain)
Ma grand-mère âgée de cent ans
M’adore et vient de temps en temps
Faire un séjour en ma demeure.
Ils trouvent ça contraire aux moeurs,
Ils font entendre à mots couverts
Que je suis un affreux pervers,
Un incestueux garnement
Qui couche avec sa grand-maman.
(Refrain)
Et, comme pour les paillassons,
Tous les crétins à l’unisson,
Afin d’m’empêcher d’les violer
249
Mettent leurs grand-mères sous clef.
En outre, la société
Protectric’ des vieux maltraités
Me combat de tout son pouvoir
Et m’inscrit sur sa liste noir’.
(Refrain)
Ayant un jour lavé mes pieds,
J’attendais la femm’ d’un pompier,
Sûr d’abuser d’elle à huis clos.
J’avais compté sans ces salauds.
Comm’ dans l’ couloir il faisait nuit
Et qu’elle ne trouvait pas mon huis,
Elle alla tirer par erreur
Le cordon de mes dénigreurs.
(Refrain)
Ils lui répondent: "Ce citoyen
Habit’ le taudis mitoyen,
Mais quand vous sortirez d’ chez lui
Portez donc vos pas à Saint-Louis."
Alors ma visiteuse, à corps
Perdu, partit et court encor’,
Et je dus convenir enfin
Qu’ j’avais lavé mes pieds en vain.
(Refrain)
L’affair’ ne se borna pas là,
De nouveau, tout l’ monde en parla,
Et les sapeurs-pompiers d’ Paris
Me clouèrent au pilori.
Ils retirèr’nt par précaution
Leurs femm’s de la circulation
Et promir’nt d’être sans émoi
Si jamais l’ feu prenait chez moi.
(Refrain)
Je passe ainsi pour un garçon
Qui s’oublie sur les paillassons,
Qui viole les vieilles grand-mèr’s,
Qui contamine les pompièr’s.
Maintenant que vous savez tout,
Vous donnez votre accord sans dou-
Te à mon zèle exterminateur
De cette bande d’emmerdeurs.
Et comme on n’en finirait plus
Permettez qu’ici je conclue
En sonnant encor’ le tocsin
Contre l’engeance des voisins.
Titre CD(?) Titolo
250
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2010
L’inestimable sceau
M’amie, en ce temps-là, chaque année au mois d’août,
Se campait sur la grève, et çà m’était très doux
D’ainsi la voir en place.
Dans cette position, pour se désennuyer,
Sans jamais une erreur, ell’ comptait les noyés
En suçant de la glace.
Ses aimables rondeurs avaient fait à la fin
Un joli petit trou parmi le sable fin,
Une niche idéale.
Quand je voulais partir, elle entrait en courroux,
En disant: "C’est trop tôt, j’ai pas fini mon trou ;
C’est pas le trou des Halles."
Près d’elle, un jour, passa superbe un ange blond,
Un bellâtre, un belître au torse d’Apollon,
Une espèce d’athlète.
Comme mue d’un ressort, dressée sur son séant,
Elle partit avec cet homme de néant,
Costaud de la Villette.
La volage, en volant vers ce nouveau bonheur,
Me fit un pied de nez doublé d’un bras d’honneur,
Adorable pimbêche!
J’hésite à simuler ce geste: il est trop bas.
On vous l’a souvent fait, d’ailleurs je ne peux pas
La guitare m’empêche!
J’eus beau la supplier: "De grâce, ma Nini,
Rassieds-toi, rassieds-toi: ton trou n’est pas fini."
D’une voix sans réplique,
"Je m’en fous" cria-t-elle "Et puisqu’il te plaît tant,
C’est l’instant ou jamais de t’enfouir dedans:
T’as bien fait "La Supplique"!"
Et je retournai voir, morfondu de chagrin,
La trace laissée par la chute de ses reins,
Par ses parties dodues.
J’ai cherché, recherché, fébrile jusqu’au soir,
L’endroit où elle avait coutume de s’asseoir,
Ce fut peine perdue.
La vague indifférente hélas avait roulé,
Avait fait plage rase, avait annihilé
L’empreinte de ses sphères.
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Si j’avais retrouvé l’inestimable sceau,
Je l’aurais emporté, grain par grain, seau par seau,
Mais m’eût-on laissé faire?
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Une ombre au tableau
Si j’ai bonne mémoire, elle allait dégrafée ;
On comptait plus les yeux qu’elle avait pu crever.
Elle faisait du tort aux statues de l’antique ;
Elle était si prodigue à montrer ses appas
Que la visite au Louvre ne s’imposait pas.
Avec elle le nu devenait art plastique.
Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,
Rendre à son piédestal la Vénus de Milo.
La belle dégrafée a changé d’esthétique,
Un vent de honte a balayé le pont des Arts,
Et les collets sont montés comme par hasard.
"Les jeunes filles d’aujourd’hui sont impudiques."
De la mode, naguère, elle ignorait le cours,
Invariablement, elle s’habillait court.
Elle aimait accuser le jeu de ses chevilles ;
Quand le vent s’en mêlait, c’était fête pour nous
On avait un droit de regard sur ses genoux,
Et l’on en abusait, je vous le certifie.
Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,
Les jupes tout à coup sont tombées de bien haut.
La belle retroussée est devenue Sophie ;
A peine maintenant si l’on voit ses talons,
Quelle que soit la mode, elle s’habille long.
"Elles en font vraiment trop voir, les jeunes filles."
Et s’il avait fallu vêtir une poupée
Du soupçon de chiffon dont elle était nippée,
L’étoffe aurait paru tout juste suffisante ;
C’était rien, moins que rien, ça lui couvrait le corps
D’une seconde peau qui la rendait encore
Plus nue toute habillée et plus appétissante.
Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,
Elle a de la tenue et flétrit le culot
De ces beautés du diable, ces adolescentes,
Qui, la robe collée sur leur peau de satin,
Ont l’air de revenir du faubourg Saint-Martin.
"Les jeunes filles d’aujourd’hui sont indécentes."
Cela dit, sans vouloir lui laver le chignon,
252
La bagatelle était son gros péché mignon.
L’amour était toujours pendu à sa ceinture.
Légère, elle a connu les mille et une nuits
De noce et son ange gardien, pauvre de lui,
Dut passer auprès d’elle une vie de tortures.
Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,
Sous le pont des soupirs, il a coulé de l’eau.
La belle enamourée a changé de posture,
Maintenant qu’Adonis a déserté sa cour,
Que l’amour la délaisse, elle laisse l’amour
Aux jeunes filles d’aujourd’hui, ces créatures!
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
Jean rentre au village
Jean rentre au village
Son père chercher,
Le cherche trois heures,
Où s’est-il caché?
Mais un brave coeur lui dit:
Ton papa, pauvre petit,
Il est en hospice,
Le bon Dieu n’est pas gentil.
Jean va-t-en hospice
Son père chercher.
Le cherche trois heures,
Où s’est-il caché?
Mais un brave coeur lui dit
Ton papa pauvre petit
L’est déjà-t-en morgue,
Le bon Dieu n’est pas gentil.
Jean s’en va-t-en morgue
Son père chercher,
Le cherche trois heures,
Où s’est-il caché?
Mais un brave coeur lui dit
Ton papa, pauvre petit,
L’est déjà-t-en bière,
Le bon Dieu n’est pas gentil.
Jean s’en va-t-en bière
Son père chercher,
253
Le cherche trois heures,
Où s’est-il caché?
Mais un brave coeur lui dit
Ton papa, pauvre petit,
L’est déjà-t-en route,
Le bon Dieu n’est pas gentil.
Jean s’en va-t-en route
Son père chercher,
Le cherche trois heures,
Où s’est-il caché?
Mais un brave coeur lui dit
Ton papa, pauvre petit,
L’est déjà-t-en terre,
Le bon Dieu n’est pas gentil.
Jean s’en va-t-en terre
Son père chercher,
Le cherche trois heures,
Où s’est-il caché?
Mais un brave coeur lui dit
Ton papa, pauvre petit,
L’est déjà-t-en cendres,
Le bon Dieu n’est pas gentil.
Titre CD(?)
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Titolo
testo
2010
La guerre
A voir le succès que se taille
Le moindre récit de bataille,
On pourrait en déduire que
Les braves gens sont belliqueux.
La guerre,
C’est sûr,
La faire,
C’est dur,
Coquin de sort
Mais quelle
Bell’ fête,
Lorsqu’elle
Est faite,
Et qu’on s’en sort!
254
C’est un sacré frisson que donne
Au ciné, le canon qui tonne.
Il était sans nul doute d’un
Autre genre autour de Verdun.
Bien qu’on n’ait pas la tête épique
Au pays de France, on se pique
D’art martial, on se repaît
De stratégie en temps de paix.
"Allons enfants de la patrie",
A tue-tête, on le chante et crie.
Qu’on nous dise: "Faut y aller!",
On est dans nos petits souliers.
C’est beau, les marches militaires,
Ca nous fait battre les artères.
On semble un peu moins fanfaron,
Sitôt qu’on approche du front.
Les uniformes et les bottes,
Les tuniques et les capotes,
C’est à la mode, on les enfile
Très volontiers dans le civil...
A voir le succès que se taille
Le moindre récit de bataille
On pourrait en déduire que
Les braves gens sont belliqueux.
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Titolo
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2010
Les radis
Chacun sait qu’autrefois les femm’s convaincues d’adultère
Se voyaient enfoncer dans un endroit qu’il me faut taire
Par modestie…
Un énorme radis.
Or quand j’étais tout gosse, un jour de foire en mon village,
J’eus la douleur de voir punir d’une épouse volage
La perfidie,
Au moyen du radis.
La malheureuse fut traînée sur la place publique
Par le cruel cornard armé du radis symbolique,
Ah! sapristi,
Mes aïeux quel radis!
255
Vers la pauvre martyre on vit courir les bonn’s épouses
Qui, soit dit entre nous, de sa débauche étaient jalouses.
Je n’ai pas dit:
Jalouses du radis.
Si j’étais dans les rangs de cette avide et basse troupe,
C’est qu’à cette époqu’-là j’ n’avais encor’ pas vu de croupe
Ni de radis,
Ça m’était interdit.
Le cornard attendit que le forum fût noir de monde
Pour se mettre en devoir d’accomplir l’empal’ment immonde,
Lors il brandit
Le colossal radis.
La victime acceptait le châtiment avec noblesse,
Mais il faut convenir qu’elle serrait bien fort les fesses
Qui, du radis,
Allaient être nanties.
Le cornard mit l’ radis dans cet endroit qu’il me faut taire,
Où les honnêtes gens ne laissent entrer que des clystères.
On applaudit
Les progrès du radis.
La pampe du légume était seule à présent visible,
La plante était allée jusqu’aux limites du possible,
On attendit
Les effets du radis.
Or, à l’étonnement du cornard et des gross’s pécores
L’empalée enchantée criait: "Encore, encore, encore,
Hardi hardi,
Pousse le radis, dis!"
Ell’ dit à pleine voix: "J’ n’aurais pas cru qu’un tel supplice
Pût en si peu de temps me procurer un tel délice!
Mais les radis
Mènent en paradis!"
Ell’ n’avait pas fini de chanter le panégyrique
Du légume en question que toutes les pécor’s lubriques
Avaient bondi
Vers les champs de radis.
L’oeil fou, l’écume aux dents, ces furies se jetèrent en meute
Dans les champs de radis qui devinrent des champs d’émeute.
Y en aura-t-y
Pour toutes, des radis?
256
Ell’s firent un désastre et laissèrent loin derrière elles
Les ravages causés par les nuées de sauterelles.
Dans le pays,
Plus l’ombre d’un radis.
Beaucoup de maraîchers constatèrent qu’en certain nombre
Il leur manquait aussi des betterav’s et des concombres
Raflés pardi
Comme de vils radis.
Tout le temps que dura cette manie contre nature,
Les innocents radis en vir’nt de vert’s et de pas mûres,
Pauvres radis,
Héros de tragédie.
Lassés d’être enfoncés dans cet endroit qu’il me faut taire,
Les plus intelligents de ces légumes méditèrent.
Ils se sont dit:
"Cessons d’être radis!"
Alors les maraîchers semant des radis récoltèrent
Des melons, des choux-fleurs, des artichauts, des pomm’s de terre
Et des orties,
Mais pas un seul radis.
A partir de ce jour, la bonne plante potagère
Devint dans le village une des denrées les plus chères
Plus de radis
Pour les gagne-petit.
Cettain’s pécor’s fûtées dir’nt sans façons: "Nous, on s’en fiche
De cette pénurie, on emploie le radis postiche
Qui garantit
Du manque de radis."
La mode du radis réduisant le nombre de mères
Qui donnaient au village une postérité, le maire,
Dans un édit
Prohiba le radis.
Un crieur annonça: "Toute femme prise à se mettre
Dans l’endroit réservé au clystère et au thermomètre
Même posti-
Che un semblant de radis
Sera livrée aux mains d’une maîtresse couturière
Qui, sans aucun délai, lui faufilera le derrière
Pour interdi-
Re l’accès du radis."
Cette loi draconienne eut raison de l’usage louche
257
D’absorber le radis par d’autres voies que par la bouche,
Et le radis,
Le légume maudit,
Ne fut plus désormais l’instrument de basses manoeuvres
Et n’entra plus que dans la composition des hors-d’œuvre
Qui, à midi,
Aiguisent l’appétit.
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2010
Charlotte ou Sarah?
(par Pierre Louki ; paroles de Pierre Louki ; musique de Georges Brassens)
N’ayant pas connu l’amour depuis plus de vingt ans
J’avais, disons, le coeur en veilleuse.
Pourtant j’ai du sex-appeal et je suis bien portant,
Mais pas de Juliette pour autant.
Et voilà que dans ma vie tombent en même temps
Deux créatures ensorceleuses.
Mais deux à la fois c’est beaucoup pour un débutant,
Pardonnez si je suis hésitant.
Je n’sais pas
Si je dois baiser Charlotte
Ou embras-
Ser Sarah.
Charlotte a
De délicieuses culottes,
Sarah a de beaux bras.
Je n’sais pas
Si Charlotte sans culotte
Est mieux qu’Sa-
Rah sans bras.
Si c’est la
Culotte qui me pilote
Voyez mon embarras.
Je n’ peux pas dire que je n’aime pas Sarah à cause des culottes qu’elle n’a pas.
Mais j’ peux pas soutenir de même que Charlotte ne me plaît pas à cause des bras de Sarah.
Dans mon cas
Comment faire saperlotte?
Si je choi-
Sis Sarah,
Dans ses bras
La culotte de Charlotte
Pour sûr me manquera.
Plus je rêve de cueillir ces fruits d’amour charmants
258
Et plus j’appréhende la cueillette.
Me faudra-t-il les honorer simultanément
Et comment m’en sortir autrement?
Si je peux offrir mon coeur à chacune en donnant
Un ventricule et une oreillette,
Il est d’autres attributs que je ne puis vraiment
Détailler inconsidérément.
Je n’sais pas
Si je dois chasser Charlotte
Ou rembar-
Rer Sarah.
Que fera
La culotte de Charlotte
Si Sarah baisse les bras?
Et si Sa-
Rah veut porter la culotte,
Qu’est-c’ que Char-
Lotte dira?
Car si Char-
Lotte a beaucoup de culottes,
Sarah n’a que deux bras.
Bien sûr Charlotte m’asticote, pour un coeur tant et tant de culottes, tentation!
Oui mais Sarah est polyglotte, une polyglotte sans culotte c’est bien pour la conversation.
Me faudra-
T-il me donner à Charlotte
Et Sarah
A la fois?
Gare à moi,
Si deux souris me pelotent,
Je suis fait comme un rat.
Je n’ sais pas
Si je dois baiser Charlotte
Ou embras-
Ser Sarah.
Charlotte a
De délicieuses culottes,
Sarah a de beaux bras.
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2010
Discours des fleurs
(par Eric Zimmermann ; musique de Eric Zimmermann)
Sachant bien que même si
Je suis amoureux transi,
Jamais ma main ne les cueille
259
De bon cœur les fleurs m’accueillent.
Et m’esquivant des salons,
Où l’on déblatère, où l’on
Tient des propos byzantins,
J’vais faire un tour au jardin.
Car je préfère, ma foi,
En voyant ce que parfois,
Ceux des hommes peuvent faire,
Les discours des primevères.
Des bourdes, des inepties,
Les fleurs en disent aussi,
Mais jamais personne en meurt
Et ça plaît à mon humeur.
Le premier Mai c’est pas gai,
Je trime a dit le muguet,
Dix fois plus que d’habitude,
Regrettable servitude.
Muguet, sois pas chicaneur,
Car tu donnes du bonheur,
Pas cher à tout un chacun.
Brin d’ muguet, tu es quelqu’un.
Mon nom savant me désol’,
Appelez-moi tournesol,
Ronchonnait l’héliotrope,
Ou je deviens misanthrope.
Tournesol c’est entendu,
Mais en échange veux-tu
Nous donner un gros paquet
De graines de perroquet?
L’églantine en rougissant
Dit: ça me tourne les sangs,
Que gratte-cul l’on me nomme,
Cré nom d’un petit bonhomme!
Eglantine on te promet
De ne plus le faire, mais
Toi tu ne piqueras plus.
Adjugé, marché conclu.
Les "je t’aime un peu beaucoup",
Ne sont guère de mon goût,
Les serments d’amour m’irritent,
Se plaignait la marguerite.
Car c’est là mon infortune,
Aussitôt que débute une
Affaire sentimentale,
J’y laisse tous mes pétal’s.
260
Un myosotis clamait:
Non je n’oublierai jamais,
Quand je vivrais cent ans d’âge,
Mille ans et même davantage.
Plein de souvenance allons,
Cent ans c’est long, c’est bien long,
Même vingt et même dix,
Pour un seul myosotis.
Mais minuit sonnait déjà,
Lors en pensant que mes chats,
Privés de leur mou peuchère,
Devaient dire: "il exagère".
Et saluant mes amies
Les fleurs je leur ai promis
Que je reviendrais bientôt.
Et vivent les végétaux.
Car je préfère ma foi,
En voyant ce que parfois,
Ceux des hommes peuvent faire,
Les discours des primevères.
Des bourdesdes inepties,
Les fleurs en disent aussi,
Mais jamais personne en meurt,
Et ça plaît à mon humeur.
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Titolo
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2010
La file indienne
(par Bernard Lavalette)
Un chien caniche à l’oeil coquin,
Qui venait de chez son béguin,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Descendait, en s’ poussant du col,
Le boulevard de Sébastopol,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Une midinette en repos,
Se plut à suivre le cabot,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Sans voir que son corps magnétique
Entraînait un jeune loustic,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Or, l’amante de celui-ci
Jalouse le suivait aussi,
261
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,.
Et l’ vieux mari de celle-là,
Le talonnait de ses pieds plats,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Un dur balafré courait sus
Au vieux qu’il prenait pour Crésus,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Et derrière le dur balafré
Marchait un flic à pas feutrés,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Et tous, cabot, trottin, loustic,
Epouse, époux, et dur et flic,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Descendaient à la queue leu leu
Le long boulevard si populeux,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Voilà que l’animal, soudain,
Profane les pieds du trottin,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Furieus’ ell’ flanque avec ferveur
Un’ pair’ de gifles à son suiveur,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Celui-ci la tête à l’envers
Voit la jalous’ l’oeil grand ouvert,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Et l’abreuv’ d’injur’s bien senties,
Que j’vous dirai à la sortie,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Derrièr’ arrivait le mari,
Ce fut à lui qu’elle s’en prit,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
En le traitant d’un’ voix aiguë
De tambour-major des cocus.
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Le mari rebroussant chemin
Voit le dur et lui dit "gamin",
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
C’est trop tard pour me détrousser,
Ma femme vous a devancé,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Le dur vexé de fair’ chou blanc
Dégaine un couteau rutilant,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Qu’il plante à la joie du public,
262
A travers la carcass’ du flic,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas.
Et tous, bandit, couple, loustic,
Trottin, cabot, tous, sauf le flic,
Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,
Suivir’nt à la queue leu leu
L’enterrement du flic parbleu,
Tortillant de la croupe et redoublant le pas. (bis)
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le bricoleur
(par Patachou)
Pendant les rar’s moments de pause,
Où il n’ répar’ pas quelque chose,
Il cherch’ le coin disponible où
L’on peut encor planter un clou (boîte à outils). (bis)
Le clou qu’il enfonce à la place
Du clou d’hier, il le remplace-
Ra demain par un clou meilleur,
Le même qu’avant-hier d’ailleurs.
Refrain
Mon Dieu, quel bonheur!
Mon Dieu, quel bonheur
D’avoir un mari qui bricole
Mon Dieu, quel bonheur!
Mon Dieu, quel bonheur
D’avoir un mari bricoleur
(Boîte à outils). (bis)
Au cours d’une de mes grossesses,
Devant lui je pestais sans cesse
Contre l’incroyable cherté
D’une layette de bébé (boîte à outils). (bis)
Mais lorsque l’enfant vint au monde,
J’ vis avec une joie profonde
Qu’ mon mari s’était débrouillé
Pour me le fair’ tout habillé.
(Au Refrain)
A l’heure actuelle, il fabrique
Un nouveau système électrique,
Qui va permettre à l’homme, enfin,
De fair’ de l’eau avec du vin (boîte à outils). (bis)
Mais dans ses calculs il se trompe,
263
Et quand on veut boire à la pompe,
Il nous arriv’ d’ingurgiter
Un grand verre d’électricité.
(Au Refrain)
Comme il redout’ que des canailles
Convoit’nt ses rabots, ses tenailles,
En se couchant, il les installe
Au milieu du lit conjugal (boîte à outils). (bis)
Et souvent, la nuit, je m’éveille,
En rêvant aux monts et merveilles
Qu’annonce un frôlement coquin,
Mais ce n’est qu’un vilebrequin!
Mon Dieu, quel malheur,
Mon Dieu, quel malheur
D’avoir un mari qui bricole!
Mon Dieu, quel malheur,
Mon Dieu, quel malheur
D’avoir un mari bricoleur!
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le chapeau de Mireille
(par Marcel Amont)
Le chapeau de Mireille,
Quand en plein vol je l’ai rattrapé,
Entre Sète et Marseille,
Quel est l’ bon vent qui l’avait chipé?
Le chapeau de Mireille,
Quand en plein vol je l’ai rattrapé,
Entre Sète et Marseille,
Quel joli vent l’avait chipé?
C’est pas le zéphyr,
N’aurait pu suffir’,
C’est pas lui non plus
L’aquilon joufflu,
C’est pas pour autant
L’autan.
Non, mais c’est le plus fol
Et le plus magistral
De la bande à Eole,
En un mot: le mistral.
Il me la fit connaître,
Aussi, dorénavant,
Je ne mouds plus mon blé
Qu’à des moulins à vent.
264
Quand la jupe à Mireille
Haut se troussa, haut se retroussa,
Découvrant des merveilles:
Quel est l’ bon vent qui s’est permis ça?
Quand la jupe à Mireille
Haut se troussa, haut se retroussa,
Découvrant des merveilles:
Quel joli vent s’est permis ça?
C’est pas le zéphyr,
N’aurait pu suffir’,
C’est pas lui non plus,
L’aquilon joufflu,
C’est pas pour autant
L’autan.
Non, mais c’est le plus fol
Et le plus magistral
De la bande à Eole,
En un mot: le mistral.
Il me montra sa jambe,
Aussi reconnaissant,
Je lui laisse emporter
Mes tuiles en passant.
Quand j’embrassai Mireille,
Qu’elle se cabra, qu’elle me rembarra,
Me tira les oreilles,
Quel est l’ bon vent qui retint son bras?
Quand j’embrassai Mireille,
Qu’elle se cabra, qu’elle me rembarra,
Me tira les oreilles,
Quel joli vent retint son bras?
C’est pas le zéphyr,
N’aurait pu suffir’,
C’est pas lui non plus
L’aquilon joufflu,
C’est pas pour autant
L’autan.
Non, mais c’est le plus fol
Et le plus magistral
De la bande à Eole,
En un mot: le mistral.
Il m’épargna la gifle,
Aussi, dessus mon toit
Y’ avait un’ seul’ girouette
Y’ en a maintenant trois.
Et quand avec Mireille
Dans le fossé on s’est enlacés,
A l’ombre d’une treille,
Quel est l’ bon vent qui nous a poussés?
265
Et quand avec Mireille
Dans le fossé on s’est enlacés,
A l’ombre d’une treille,
Quel joli vent nous a poussés?
C’est pas le zéphyr,
N’aurait pu suffir’,
C’est pas lui non plus
L’aquilon joufflu,
C’est pas pour autant
L’autan.
Non, mais c’est le plus fol
Et le plus magistral de la bande à Eole,
En un mot: le mistral.
Il me coucha sur elle,
En échange aussitôt
Je mis un’ voil’ de plus
A mon petit bateau.
Quand j’ai perdu Mireille,
Que j’épanchai le coeur affligé
Des larmes sans pareilles,
Quel est l’ bon vent qui les a séchées?
Quand j’ai perdu Mireille,
Que j’épanchai le coeur affligé
Des larmes sans pareilles,
Quel joli vent les a séchées?
C’est pas le zéphyr,
N’aurait pu suffir’,
C’est pas lui non plus
L’aquilon joufflu,
C’est pas pour autant
L’autan,
Non, mais c’est le plus fol
Et le plus magistral
De la bande à Eole,
En un mot: le mistral.
Il balaya ma peine
Aussi, sans lésiner
Je lui donne toujours
Mes boeufs à décorner.
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2010
Le cœur à l’automne
(par Pierre Louki ; paroles de Pierre Louki ; musique de Georges Brassens)
Quand la musique entra chez moi - que nul ne s’étonne -
J’avais, ça m’arrive parfois, le coeur à l’automne.
266
C’était un air en demi-teinte,
Mi-joie et moitié plainte.
Je lui ai dit: "Le temps est fou,
Le vent du dehors vous chiffonne.
Etendez-vous donc sur mon magnétophone
Et reposez-vous."
Je n’avais ouï de longtemps musique pareille.
Je n’en croyais en l’écoutant mes grandes oreilles.
Elle me dit: "J’ai quitté mon maître,
Un saut par la fenêtre.
Il me gardait depuis cinq ans
En me promettant des paroles.
J’étais nue et nue ça n’est pas toujours drôle.
J’ai foutu le camp."
Moi qui suis un peu parolier, jugez de l’aubaine.
"Je peux, dis-je, vous habiller. Oubliez vos peines.
Je sais les mots faits pour vous plaire
Et j’ai deux dictionnaires."
Elle répondit: "Va pour l’essai. Vous me paraissez brave type.
Lui aussi l’était mais il fumait la pipe,
Ca m’ faisait tousser."
Et la mélodie envolée d’une autre guitare,
Avec mes mots s’est installée dans mon répertoire.
Et bien que je sois sans moustaches,
A moi elle s’attache.
Et les soirs où je me sens vieux,
Lorsque j’ai le coeur à l’automne,
Elle insiste un peu pour que je la chantonne.
Alors ça va mieux.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le myosotis
(par Sacha Distel)
Quand tu partis, quand
Tu levas le camp
Pour suivre les pas
De ton vieux nabab,
De peur qu’ je n’ sois triste,
Tu allas chez l’ fleuriste
Quérir un’ fleur bleue,
Un petit bouquet d’adieu,
Bouquet d’artifice ;
Un myosotis,
267
En disant tout bas
Ne m’oubliez pas.
Afin d’avoir l’heur’
De parler de toi,
J’appris à la fleur
Le langag’ françois.
Sitôt qu’elles causent
Paraît que les roses
Murmurent toujours
Trois ou quatre mots d’amour.
Les myosotis
Eux autres vous dis’nt,
Vous disent tout bas:
Ne m’oubliez pas.
Les temps ont passé.
D’autres fiancées,
Parole d’honneur,
M’offrir’nt le bonheur.
Dès qu’une bergère
Me devenait chère,
Sortant de son pot
Se dressant sur ses ergots
Le myosotis
Braillait comme dix
Pour dire "Hé là-bas,
Ne m’oubliez pas."
Un jour Dieu sait quand,
Je lèv’rai le camp,
Je m’envol’rai vers
Le ciel ou l’enfer.
Que mes légataires,
Mes testamentaires,
Aient l’extrême bonté,
Sur mon ventre de planter
Ce sera justic’
Le myosotis
Qui dira tout bas:
Ne m’oubliez pas.
Si tu vis encor’,
Petite pécor’,
Un d’ ces quat’ jeudis,
Viens si l’coeur t’en dit
Au dernier asile
De cet imbécile
Qui a gâché son coeur,
Au nom d’une simple fleur.
Y a neuf chanc’s sur dix
268
Qu’ le myosotis
Te dise tout bas:
Ne m’oubliez pas.
Titre CD(?)
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Titolo
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2010
Le vieux fossile
(par Marcel Amont ; musique de Marcel Amont)
Quand ell’ passe avec ses appas,
Et qu’on ne la contemple pas,
On est un mufle un esprit bas,
Un vieux fossile.
Mais qu’on la dévore des yeux,
On est un pourceau malicieux.
Pour lui complaire, justes cieux,
C’est difficile.
Quand on ne lui fait pas la cour,
Pas le moindre galant discours,
On est un mufle sans recours,
Un vieux fossile.
Qu’on lui tienn’ des propos flatteurs,
On est un fourbe, un séducteur,
Pour être juste à sa hauteur,
C’est difficile.
Quand on néglige de poser,
Sur sa bouche en coeur un baiser,
On est un mufle renforcé,
Un vieux fossile.
Qu’on aille lui sauter au cou
On récolte un’ moisson de coups.
Pour faire une chose à son goût,
C’est difficile.
Quand, pétri de bons sentiments,
On l’aime platoniquement,
On est un mufle, un garnement,
Un vieux fossile.
Qu’on lui manque un peu de respect,
D’être un faune on devient suspect,
Avec elle pour être en paix,
C’est difficile.
Quand étant passé sur son corps,
L’on s’enfuit et l’on court encore,
On est un mufle de record,
269
Un vieux fossile.
Qu’on veuille vivre à ses côtés
Ell’ crie: "vive la liberté".
Tomber juste à la vérité,
C’est difficile.
Quand elle attente à la vertu,
Qu’elle nous trompe et qu’on la tue,
On est un mufle, un être obtus,
Un vieux fossile.
Qu’on pardonne, on est à l’instant
Plat, vil, cocu, battu, content.
Pour n’être pas à contretemps,
C’est difficile.
Ceci dit, belles, je vous l’avoue
Le chemin qui mène vers vous,
J’ le suivrai toujours tel un fou
Digne d’asile.
En vous faisant toujours crédit,
Car il est naturel pardi,
Que le chemin du paradis
Soit difficile,
Que le chemin du paradis
Soit difficile.
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Sur la mort d’une cousine de sept ans
(par les Compagnons de la Chanson;
poème de Hégésippe Moreau;
musique de Georges Brassens)
Hélas, si j’avais su lorsque ma voix qui prêche
T’ennuyait de leçons, que sur toi rose et fraîche
L’oiseau noir du malheur planait inaperçu,
Que la fièvre guettait sa proie et que la porte
Où tu jouais hier te verrait passer morte…
Hélas, si j’avais su!…
Enfant, je t’aurais fait l’existence bien douce,
Sous chacun de tes pas j’aurais mis de la mousse ;
Tes ris auraient sonné chacun de tes instants ;
Et j’aurais fait tenir dans ta petite vie
Des trésors de bonheur immense à faire envie
Aux heureux de cent ans.
Loin des bancs où pâlit l’enfance prisonnière,
270
Nous aurions fait tous deux l’école buissonnière.
Au milieu des parfums et des champs d’alentour
J’aurais vidé les nids pour emplir ta corbeille ;
Et je t’aurais donné plus de fleurs qu’une abeille
N’en peut voir en un jour.
Puis, quand le vieux janvier les épaules drapées
D’un long manteau de neige et suivi de poupées,
De magots, de pantins, minuit sonnant accourt ;
Parmi tous les cadeaux qui pleuvent pour étrenne,
Je t’aurais faite asseoir comme une jeune reine
Au milieu de sa cour.
Mais je ne savais pas et je prêchais encore ;
Sûr de ton avenir, je le pressais d’éclore,
Quand tout à coup pleurant un pauvre espoir déçu,
De ta petite main j’ai vu tomber le livre ;
Tu cessas à la fois de m’entendre et de vivre…
Hélas, si j’avais su!
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Une petite Eve en trop
(par Marcel Amont ; musique de Marcel Amont)
Bien que je ne sois pas de la côte d’Adam,
Je vis seul sur la terre et c’est débilitant,
Débilitant.
Au sein de mon foyer, pas l’ombre d’un grillon,
Jamais le plus léger frou-frou de cotillon,
Un amour de p’tite Ève avec de longs cheveux,
Qui filerait la laine assise au coin du feu,
Qui partagerait ma joie et ma mélancolie,
Qui m’aiderait à faire et défaire mon lit.
Refrain
Personne pour m’aider à porter mon coeur gros?
Le ciel n’aurait-il pas une petite Eve en trop?
Personne pour m’aider à porter mon coeur gros?
Le ciel n’aurait-il pas une petite Eve en trop?
Une petite Eve en trop?
Bien longues sont les nuits que l’on passe tout seul,
Le drap le plus douillet ressemble à un linceul,
A un linceul.
Et pour peu qu’on n’ait pas la nature d’un saint,
On se prend à rêver de la femme du voisin.
J’en ferai pas ma bonne et mon souffre-douleur.
271
Je ne la battrai pas, même avec une fleur,
Au plus de temps en temps, et sauf votre respect,
jusqu’à froisser sa robe je pousserai le toupet.
(Au Refrain)
J’ajoute à ce propos qu’il n’me déplairait pas
Qu’aux alentours du coeur elle eut quelques appas,
Quelques appas.
Quand les fruits du pommier ne sont plus de saison,
Heureux qui croque encore la pomme à la maison.
Par avance Seigneur je vous en remercie.
Donnez-moi vite une compagne, même si
De l’une de mes côtes il faut faire les frais.
Maintenant, j’en suis plus à une côte près!
(Au Refrain)
Titre CD(?)
texte
?
Titolo
testo
2010
Vendetta
(par Christian Méry)
Mes pipelets sont corses tous deux,
J’eus tort en disant devant eux,
Que Tino et Napoléon
Jouaient mal de l’accordéon.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
Fermement résolus d’ se venger,
Mes compatriotes outragés,
S’appliquèrent avec passion
A ternir ma réputation.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
Leurs coups de bec eurent c’est certain,
Sur mon lamentable destin,
Des répercussions fantastiques,
Dépassant tous les pronostics,
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
M’étant un jour lavé les pieds,
J’attendais la femme d’un pompier,
Sûr d’abuser d’elle à huis-clos,
J’avais compté sans ces ballots.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
272
Comme dans le couloir il faisait nuit,
Et qu’elle ne trouvait pas mon huis,
Elle s’adressa funeste erreur,
A ma paire de dénigreurs.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
Ils répondirent: cet espèce de con-
Tagieux là, demeure au second,
Mais dès que vous sortirez de chez lui,
Courez à l’hôpital Saint-Louis.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
Alors ma visiteuse à corps
Perdu, partit et court encore,
Et je dus convenir enfin
Que je m’étais lavé les pieds en vain.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
Mis au fait, les pompiers de Paris,
Me clouèrent au pilori.
Ils retirèrent par précaution
Leurs femmes de la circulation.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
Et tout ça, tout ça, voyez-vous
Parce qu’un jour j’ai dit à ces fous,
Que Tino et Napoléon
Jouaient mal de l’accordéon.
Vendetta, vendetta,
Vendetta, vendetta.
Trompe la mort CD 12 TRACK 01
Avec cette neige à foison
Qui coiffe, coiffe ma toison,
On peut me croire à vue de nez
Blanchi sous le harnais.
Eh bien, Mesdames et Messieurs,
C’est rien que de la poudre aux yeux,
C’est rien que de la comédie,
Que de la parodie.
C’est pour tenter de couper court
À l’avance du temps qui court,
De persuader ce vieux goujat
Que tout le mal est fait déjà.
Inganna la morte
Con questa neve in abbondanza
che copre, copre la capigliatura,
mi si crederebbe, a lume di naso,
invecchiato nel mestiere.
Ebbene, Signore e Signori,
non è che polvere negli occhi,
non è altro che una commedia,
una parodia,
il tentativo di tagliar corto,
d’anticipare il Tempo che corre,
di persuadere quel vecchio cafone
che tutto il male è già fatto.
273
Mais dessous la perruque j’ai
Mes vrais cheveux couleur de jais.
C’est pas demain la veille, bon Dieu!
De mes adieux.
Et si j’ai l’air moins guilleret,
Moins solide sur mes jarrets
Si je chemine avec lenteur
D’un train de sénateur,
N’allez pas dire « Il est perclus »
N’allez pas dire « Il n’en peut plus ».
C’est rien que de la comédie,
Que de la parodie.
Histoire d’endormir le temps,
Calculateur impénitent,
De tout brouiller, tout embrouiller
Dans le fatidique sablier.
En fait à l’envers du décor,
Comme à vingt ans, je trotte encore.
C’est pas demain la veille, bon Dieu!
De mes adieux.
Et si mon coeur bat moins souvent
Et moins vite qu’auparavant,
Si je chasse avec moins de zèle
Les gentes demoiselles,
Pensez pas que je sois blasé
De leurs caresses, leurs baisers,
C’est rien que de la comédie,
Que de la parodie.
Pour convaincre le temps berné
Qu’mes fêtes galantes sont terminées,
Que je me retire en coulisse,
Que je n’entrerai plus en lice.
Mais je reste un sacré gaillard
Toujours actif, toujours paillard.
C’est pas demain la veille, bon Dieu!
De mes adieux.
Et si jamais au cimetière,
Un de ces quatre on porte en terre,
Me ressemblant à s’y tromper,
Un genre de macchabée,
N’allez pas noyer le souffleur
En lâchant la bonde à vos pleurs,
Ce sera rien que comédie
Rien que fausse sortie.
Et puis, coup de théâtre, quand
Le temps aura levé le camp,
Estimant que la farce est jouée
Moi tout heureux, tout enjoué,
Ma sotto alla parrucca ho
i miei veri capelli, corvini.
Non sarà domani la vigilia, buon Dio,
della mia dipartita.
E se ho l’aspetto meno arzillo,
e se meno saldo sulle gambe
cammino lentamente e con fatica,
con un passo da senatore,
non andate a dire « E’ un’impedito »
non andate a dire « Non ne può più ».
Non è altro che una commedia,
una parodia.
E’ tanto per addormentare il Tempo,
calcolatore impenitente,
per confondere tutto, ingarbugliare tutto
nella fatidica clessidra.
In realtà, al contrario di come appare,
come a vent’anni io trotto ancora.
Non sarà domani la vigilia, buon Dio,
della mia dipartita.
E se il mio cuore batte meno spesso
e meno rapidamente di prima,
se vado a caccia di ragazze
con minore zelo,
non pensate che io sia stanco
delle loro carezze, dei loro baci,
non è altro che una commedia,
una parodia,
per convincere il Tempo beffato
che le mie feste galanti sono finite,
che mi ritiro dietro le quinte,
che non entrerò più in lizza.
Macchè! Io resto un pezzo di marcantonio,
ancora attivo, ancor gaudente.
Non sarà domani la vigilia, buon Dio,
della mia dipartita.
E se caso mai al cimitero,
uno di questi giorni, caleranno in terra
un certo cadavere
che mi somiglia tanto,
non annegate il suggeritore
dando sfogo a tutte le vostre lacrime,
non sarà altro che una commedia,
una parodia.
E poi, colpo di scena! Quando
il Tempo avrà tolto le tende,
pensando che lo scherzo sia riuscito,
tutto contento, pieno di vita
274
J’ m’exhumerai du caveau
Pour saluer sous les bravos.
C’est pas demain la veille, bon Dieu!
De mes adieux.
1976
mi riesumerò dalla tomba
per salutare tra gli applausi scroscianti.
Non sarà domani la vigilia, buon Dio,
della mia dipartita.
2009
275
APPROFONDIMENTI – ANALISI TESTUALE
Au bois de mon coeur
Porte des Lilas
Cette chanson figure dans le seul film qu'ait tourné Brassens, "Porte des Lilas" de René Clair (1957).
01Au bois d' Clamart y' a des petit's fleurs,
02Y' a des petit's fleurs,
Les petites fleurs
Il n'y a pas de rapport entre le film de René Clair et les paroles des chansons de Brassens composées pour lui. Les
petites fleurs, des prostituées ? Bizarre... D'autant qu'à l'époque il n'y avait pas de prostituées dans les bois comme
aujourd'hui.
03Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,
04Au, au bois d' mon coeur.
05Au fond de d' ma cour j' suis renommé,
06Au fond de d' ma cour j' suis renommé,
07J'suis renommé
08Pour avoir le coeur mal famé,
09Le coeur mal famé.
Mal famé
Du latin famus/fama qui signifie "la renommée".
Voir le vers précédent : je suis renommé.
10Au bois d' Vincennes, y' a des petit's fleurs,
11Y' a des petit's fleurs,
12Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,
13Au, au bois d' mon coeur.
14Quand y' a plus d' vin dans mon tonneau,
15Quand y' a plus d' vin dans mon tonneau,
16Dans mon tonneau,
17Ils n'ont pas peur de boir' mon eau,
18De boire mon eau.
19Au bois d' Meudon y' a des petit's fleurs,
20Y' a des petit's fleurs,
21Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,
22Au, au bois d' mon coeur.
23Ils m'accompagnent à la mairie,
24Ils m'accompagnent à la mairie,
25À la mairie,
26Chaque fois que je me marie,
27Que je me marie.
28Au bois d' Saint-Cloud y' a des petit's fleurs,
29Y' a des petit's fleurs,
30Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,
31Au, au bois d' mon coeur.
32Chaqu' fois qu' je meurs, fidèlement
Question de virgule
Toutes les versions que l'on trouve de ce texte sur internet placent une virgule après l'adverbe ; c'est une erreur : il faut
la placer avant ; l'adverbe se rapporte à "ils suivent", non à "je meurs" ; le sujet de la chanson ne meurt pas fidèlement ;
ses amis suivent fidèlement son enterrement". D'ailleurs, dans l'enregistrement de cette chanson, Georges Brassens fait
très clairement une pause avant l'adverbe et une liaison entre l'adverbe et le "ils" qui suivent. C'est donc bien
"fidèlement ils suivent mon enterrement" qu'il faut comprendre.
Virgules et double sens
En complément : la transcription traditionnelle est malheureusement toujours musicale et masque la forme poétique.
Ici, il s'agit chaque fois d'un distique (deux vers à rime plate) que Brassens augmente par des répétitions. D'abord, il
répète tout le premier vers, puis la seconde partie de ce premier vers, ce qui fait des quatre syllabes où se place
"fidèlement" une sorte de pivot. Tant que l'auditeur ne connaît pas la suite, il doit rapporter "fidèlement" à "je meurs",
faute d'autres repères (la langue verbale est dynamique par opposition à la langue écrite). C'est là la structure
particulière de cette chanson.
Il en est de même de la seconde strophe où "dans mon tonneau" correspond non seulement au premier, mais aussi
parfaitement au deuxième vers : "Dans mon tonneau, il n'ont pas peur de boir' mon eau."
Dans la troisième strophe, "à la mairie" devient, pour le bref moment de la répétition, une exclamation : "A la mairie !"
(venez avec moi!).
276
Ces jeux "dynamiques" avec ce que l'on appelle parfois "valences" sont typiques pour Brassens.
Dans son recueil "Alcools", Apollinaire avait renoncé à toute ponctuation pour ne pas détruire les "polyvalences" de la
langue française.
Complément
Apollinaire :
Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Et nos amours faut-il qu'il m'en souvienne.
La polyvalence pourrait également nous faire comprendre :
Sous le pont Mirabeau coulent la Seine et nos amours
Faut-il qu'il m'en souvienne.
33Chaqu' fois qu' je meurs, fidèlement
34Fidèlement
35Ils suivent mon enterrement,
36Mon enterrement.
37Des petites fleurs
38Des petites fleurs
39Au, au bois d' mon coeur...
40Au, au bois d' mon coeur...
Auprès de mon arbre
01Auprès de mon arbre,
L'arbre
A savoir que l'arbre (et en particulier le hêtre - ou fayard - et le chêne) a toujours représenté chez les poètes la majesté,
la grandeur d'âme, et c'est à son pied, souvent, que le poète vient trouver son inspiration.
(A noter en passant : le chêne est aussi un arbre qualifié de ''royal'', dans la mesure où il était planté dans des forêts
royales pour la construction de navires. A noter également les allusions de La Fontaine du Chêne et le Roseau)
A ne pas oublier aussi le sens ''auprès de mon arbre'' pour dire ''dans ma région natale''.
02Je vivais heureux,
03J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...
04Auprès de mon arbre,
05Je vivais heureux,
06J'aurais jamais dû le quitter des yeux...
Eloigner ... quitter des yeux
Il paraît que Brassens a modelé son refrain sur l'expression: "Loin des yeux, loin du coeur, c'est-à-dire l'absence
refroidit." (Le LITTRE).
07J'ai plaqué mon chêne
Chêne
Rapprocher de l'expression : 'ces chênes qu'on abat' ? L'usage de 'plaqué' est amusant puisqu'on utilise le chêne en
contreplaqué !
Complément
On parle alors de chêne plaqué.
08Comme un saligaud,
Saligaud
"Personne qui agit de façon ignoble ou méprisable" [Larousse]. Le terme devait être plus ordurier dans les années 50
que de nos jours...
09Mon copain le chêne
10Mon alter ego,
Alter ego
Latin = littéralement "autre moi", mon autre moi-même, c'est à dire mon meilleur ami.
11On était du même bois
12Un peu rustique, un peu brut,
13Dont on fait n'importe quoi
14Sauf, naturell'ment, les flûtes...
être du bois dont on fait les flûtes
Félix Benoît dans son ouvrage "À la Découverte du Pot aux Roses", donne de cette expression la définition suivante :
"S'adapter à toutes les situations, ne pas être à cheval sur les principes" et ajoute que l'expression originelle comportait
"flêches" et non pas flûtes, et se rattachait à l'expression "faire flêche de tout bois", ce qui colle parfaitement.
Le bois dont on fait les flûtes
"être du bois dont on fait les flûtes" est une expression signifiant "être très complaisant"
Du bois dont on fait les flûtes...
Comme d'habitude, Georges a travaillé ses effets et on sait qu'il ne laissait s'envoler une chanson que lorsqu'elle lui
277
plaisait, au sens de jouir, ("frissonner de plaisir").
Cette expression vient dans la même veine que le reste du poème. C'est une chanson de regret dans laquelle il nous
explique que les vraies valeurs sont dans les plaisirs simples qu'on prend quand ils arrivent, sans avoir à les convoiter ou
les fleurir de luxe...
Pardon, pour en revenir à notre bois, pour faire des flûtes, il faut des bois sélectionnés, nobles peut-être rares et très
travaillés. Lui, Georges, sa propre essence est le contraire, rustique et simple, c'est du brut.
On mesure ici toute la profondeur du travail et de l'Art de Georges qui a, on le sent dans le sens du poème, envisagé
toutes les interprétations de ces expressions populaires, qui vibrent en nous, jusqu'à transporter sa nostalgie, ses regrets
vers nos propres souvenirs.
Entre chêne et flûte
Il ne faut pas oublier non plus que le chêne servait en effet à tout (aux poètes pour l'inspiration, mais aussi à la
construction, car droit, large et robuste, mais aussi au chauffage, etc...).
Mais pas les flûtes, car les flûtes en bois sont aussi ces petits objets inutiles que taillait le berger (surtout dans le sud, sa
région natale) pour passer le temps.
15J'ai maint'nant des frênes,
16Des arbr's de Judée,
Judée
Allusion au bois de la Croix ?
Arbre aux pendus ?
L'arbre de Judée était voué à pendre les hommes et les traîtres dans l'ancienne Rome (autre destin que le chêne, autre
idéal)
Arbre de Judée
Selon la légende, Judas avait choisi cet arbre pour s'y pendre. L'image est forte et le parallélisme est clair : Judas a trahi
Jésus et puis s'est pendu ; le Je de la chanson a plaqué son chêne et... vit encore, d'ailleurs commodément !
Pas de justice en l'occurrence...
Arbre de Judée (gainier)
Gainier : Nom usuel de l’arbre de Judée, césalpiniacée aux fleurs roses, cultivée comme ornementale dans les jardins.
17Tous de bonne graine,
18De haute futaie...
Rime
La rime JUDÉE / FUTAIE peut étonner chez Brassens, versificateur assez pointilleux. En poésie classique, le É rime
mal avec le È, qui est plus ouvert. À la décharge du poète, il faut noter que dans le midi, dont il est originaire, la
distinction entre les deux est beaucoup plus lâche qu'en Bourgogne par exemple. Il semble aussi que cette différence
tende à disparaître chez de nombreux francophones depuis quelques dizaines d'années (brassage des accents + influence
de la radio et de la télé sans doute).
Complément
Avec cette rime, Brassens est tout de même en bonne compagnie. On trouve une rime analogue (soirée/roseraie) par
exemple dans le Palais d'Apollinaire :
Vers le palais de Rosemonde au fond du Rêve
Mes rêveuses pensées pieds nus vont en soirée
Le palais don du roi comme un roi nu s'élève
Des chairs fouettées des roses de la roseraie
Complément
Etant du Sud-Ouest, je confirme que je ne fais personnellement aucunement la différence, à l'oreille, entre ces deux
prononciations, et je pense qu'il en va de même pour beaucoup de gens de la zone occitanophone, où la plupart des "é"
(y compris dans "haie", "futaie", "dais" etc.) sont fermés, tandis que la plupart des "o" ("gauche", "moche", "poche")
sont ouverts. L'ouverture du "è" est plutôt perçue comme une prononciation "parisienne" voire précieuse.
Rime Judée / Futaie
Au Québec particulièrement, ces deux rimes sont assez différentes, ainsi que les rimes "eux / e" et "in / un" qui n'ont pas
du tout la même sonorité. En France, cela me semble moins radical...
Rime
Faire rimer les sons "é" et "è" est courant chez les poètes (Rimbaud, dans le Bateau ivre, fait rimer "mai" avec
"embaumé").
Brassens utilise couramment ce genre de consonances :
"Verdun et Pétain", "Train et être un", "que et qu'eux", "mai et aimer", etc.
Prononciation é & è
Pour abonder dans le sens du premier commentaire. Dans la région de Marseille, où j'habite, ces deux phonèmes sont
parfois carrément inversés. Le mot même de "marseillais" se dira dans le nord : marsÉyÈ, à Marseille on dit : marsÈyÉ.
De haute futaie
Il est à noter que le Larousse mentionne que l'expression en elle-même est rentrée dans le langage du quotidien ; elle
qualifie une chose "de qualité, de haute tenue".
Entier dans son art, Brassens l'emploie fort à propos puisqu'il la ramène dans le domaine de la sylviculture d'où elle tire
278
bien certainement son origine et lui confère ainsi un sens autrement plus fort.
19Mais toi tu manque' à l'appel
20Ma vieill' branche de campagne
21Mon seul arbre de Noël,
22Mon mât de cocagne!
Cocagne
Le Pays de Cocagne était un pays légendaire où des jambons poussaient sur les arbres et du vin coulait dans les
ruisseaux. Dans les fêtes de village, le mât de cocagne, attraction traditionnelle, était un poteau savonné en haut duquel
on accrochait des jambons, des bouteilles et autres friandises que les jeunes montaient décrocher à leurs risques ete
périls et au grand amusement de la foule.
Complément
Le Pays de Cocagne est un territoire situé entre Toulouse, Albi et Carcassonne. Il doit son nom à la cocagne (caucanha,
en occitan) qui est une boule de feuilles de pastel pressées et séchées, donnant une teinture bleue unique longtemps
utilisée dans les arts et les artisanats à travers toute l'Europe.
Cette production a valu à la contrée son image d'abondance qui s'est popularisée sous le nom de Pays de Cocagne.
23Auprès de mon arbre,
24Je vivais heureux,
25J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...
26Auprès de mon arbre,
27Je vivais heureux,
28J'aurais jamais dû le quitter des yeux...
29Je suis un pauv' type,
30J'aurais plus de joie:
31J'ai jeté ma pipe,
32Ma vieill' pipe en bois,
33Qui avait fumé sans s' fâcher,
34Sans jamais m'brûler la lippe,
Lippe
"Lèvre inférieure proéminente" [Larrouse].
Terme qu'affectionne particuliérement Brassens. On le retrouve notamment dans Le Grand Pan, dernier couplet :
Un beau jour on va voir le Christ
Descendre du calvaire en disant dans sa lippe
35L' tabac d' la vache enragée
Manger de la vache enragée
C'est avoir faim, peut-être en référence aux "vaches maigres" de la Bible. Pendant la guerre, que Brassens a passée en
partie en camp de travail obligatoire en Allemagne, faute de tabac, on fumait n'importe quoi, du tilleul, de l'eucalyptus,
des feuilles de choux séchées... C'était ça, le tabac de la vache enragée.
36Dans sa bonn' vieill' têt' de pipe...
37J'ai des pip's d'écume
écume
Il s'agit de "l'écume de mer" ou magnésite, un silicate naturel dont on fait de très belles pipes blanches et légères.
38Ornées de fleurons,
Fleuron
Décoration en forme de fleur, et souvent en forme de fleur de lys pour le bord des couronnes royales. C'est entre les
fleurons ou sur les fleurons eux-mêmes que sont sertis les "joyaux de la couronne".
39De ces pip's qu'on fume
40En levant le front,
Lever le front
Regarder les gens de haut, prendre un air supérieur, faire le fier.
Le contraire étant baisser le nez, regarder ses chaussures (comme le jeune homme riche de l'Evangile) pour prendre un
air humble ou penaud.
Complément
Le contraire étant aussi tout simplement baisser le front. Brassens ne dit il pas dans La fessée: je baissai le front, piteux
quand il crut, honteux, avoir frappé trop fort?
Complément
J'aurais plus perçu le fornt levé comme un acte de réflexion, je le voyais non toisant du regard mais plutôt les yeux au
ciel, serein en quelque sorte... une pipe amenant la réflexion et la sérénité.
41Mais j' retrouv'rai plus, ma foi,
42Dans mon coeur ni sur ma lippe,
43Le goût d' ma vieill' pip' en bois,
44Sacré nom d'un' pipe!
45Auprès de mon arbre,
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46Je vivais heureux,
47J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...
48Auprès de mon arbre,
49Je vivais heureux,
50J'aurais jamais dû le quitter des yeux...
51Le surnom d'infâme
52Me va comme un gant:
53D'avecques ma femme
Avecques
Forme ancienne (comme doncques) du mot "avec", largement utilisée en versification.
54J'ai foutu le camp,
55Parc' que depuis tant d'années,
56C'était pas un' sinécure
Sinécure
Du latin "sine cura" = sans souci. Une sinécure était (est encore) un emploi qui rapporte mais dont l'activité est soit
nulle, soit purement symbolique. Ainsi Ronsard, le poète, vivait de sa charge de... curé du prieuré de Saint-Cosme.
Drôle de curé ce Monsieur Ronsard (Mignonne allons voir si la rose...).
57De lui voir tout l' temps le nez
58Au milieu de la figure...
Le nez au milieu du visage
Emprunté à la locution : "cela paraît comme le nez au milieu du visage, se dit d'une chose très apparente." (citation tirée
du LITTRÉ, 1876) .
59Je bats la campagne
Battre la campagne
Subtile double sens ici. Battre la campagne c'est parcourir en tous sens, mais lorsque c'est l'esprit qui bat la campagne...
Quel esprit ne bat la campagne ?
Qui ne fait châteaux en Espagne ?
Picrochole, Pyrrhus, la Laitière, enfin tous,
Autant les sages que les fous ?
(La Fontaine - Perrette et le pot au lait).
On peut aussi battre la campagne comme Claude Roy :
Je bats la campagne, tu bats la campagne,
Il bat la campagne à coups de bâton.
La campagne ? Pourquoi la battre ?
Elle ne m'a jamais rien fait.
(Claude Roy - Enfantasques )
60Pour dénicher la
61Nouvelle compagne
62Valant celle-là,
63Qui, bien sûr, laissait beaucoup
64Trop de pierr's dans les lentilles,
Pierres dans les lentilles
Avant les supermarchés, on achetait les lentilles en vrac chez l'épicier et il n'était pas rare d'y trouver des petits cailloux.
Étant enfant, j'ai souvent aidé ma grand'mère à trier les lentilles, ce qui consistait à les étaler bien à plat sur la table, puis
à repérer les pierres au fait qu'elles n'étaient pas aussi rondes que les lentilles. Une épouse qui laissait des pierres dans
les lentilles était une épouse négligente, qui mettait en danger la dentition de son mari.
Complément
"En triant les lentilles" : titre d'une chanson (a priori postérieure à celle-ci) de Pierre Louki, ami de GB.
65Mais se pendait à mon cou
66Quand j' perdais mes billes!
Billes
Pour expliquer cette expression, j'ai consulté directement quelques vieux copains quinquas et sexas (première
génération Brassens). J'ai été obligé de censurer des mails entiers. Voilà ce que donnent les réponses les plus
convaincantes (et les plus décentes) :
A mon avis quand j'perdais mes billes veut dire quand je perdais des tunes, sous, blé, pépéttes, pognon etc. (cf: j'ai mis
des billes dans cette affaire - ou je retire mes billes de cette affaire ou cette association) [benhamf]
Brassens avait des coliques néphrétiques. Il a souvent parlé des crises terribles où il devait pisser des "cailloux, choux,
genoux, hiboux" d'une taille respectable. Ces crises étaient sa douleur à lui, la guerre de quatorze de Céline, la cécité de
Ray Charles, la courte-cuisserie de Toulouse-Lautrec, la belgitude de Brel. Je ne suis pas urologue et je ne le regrette
pas (quoique le touché rectal...) Je ne sais pas de quoi sont faites ces "billes". Mais putain, ça doit faire vachement mal
et quand on trinque comme ça, on est bien content d¹avoir une bonne copine qui se pend à votre cou... [Pierre
Ballouhey]
280
Je crois qu'il ne faut pas chercher trop loin. C'est la petite copine de l'école qui t'aime bien. Et quand elle te voit triste
parce que tu as perdu tes billes en jouant contre un type plus fort que toi elle essaie de te consoler en t'embrassant. Le
poète a grandi et la consolation est devenue une métaphore, je l'ai toujours compris comme ça. [lmjjchevallier]
J'ai aussi un autre copain qui m'assure que son père, grand jaspineur d'argomuche, employait "perdre ses billes" dans le
sens d'être désemparé, déprimé, avoir le cafard... [pelisson.bouveret]
Perdre ses billes
Dans l'analyse postée ci-dessus, c'est le dernier point qui est vrai : en argot, "perdre ses billes", c'est-être désappointé,
décontenancé.
Sens de l'expression
Je suis en plein accord avec l'explication de Monsieur "Pelisson Bouveret". Banlieusard de plus de 50 ans ayant pratiqué
couramment la belle langue imagée dite "argot", je confirme sa proposition. Cela veut dire : avoir un coup de blues.
67Auprès de mon arbre,
68Je vivais heureux,
69J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...
70Auprès de mon arbre,
71Je vivais heureux,
72J'aurais jamais dû le quitter des yeux...
73J'avais un' mansarde
Mansarde
Il s'agit d'une pièce située sous un comble et dont un mur est incliné, selon le Larousse.
Il est à rajouter que, que ce soit pour les maisons bourgeoises en milieu rural des XVIIIème ou XIXème siècles, ou les
bâtiments urbains de la même période, les mansardes servaient à loger le personnel au service d'une famille aisée.
Complément
Cela vient du nom de l'architecte François Mansard au XVIIIe siècle, et de la forme particulière des combles des hôtels
particuliers qu'il a dessinés (voir le quartier du Marais à Paris) ...
Généralement la pointe de la lucarne entraîne un double pan incliné ! On parle aussi de "toit à la Mansard" !
Situés au dernier étage des bâtiments concernés, la "lézarde sur le firmament" se comprend d'autant mieux...
74Pour tout logement,
75Avec des lézardes
76Sur le firmament,
77Je l'savais par coeur depuis
Le firmament
Pouvait être vu à travers les lézardes, ce qui avait donné au poète l'occasion d'apprendre par coeur la carte du ciel. D'où
ce rôle de guide qu'il se donne pour emmener ses belles de nuit faire un tour au (7ème) ciel, ici symbolisé par la Grande
Ourse. On reconnaît la virtuosité avec laquelle GB tricote les métaphores.
78Et, pour un baiser la course,
79J'emmenais mes bell's de nuit
80Faire un tour sur la Grande Ourse...
Sur la Grande Ourse
Dans tout ça, il n'y a pas loin de monter au ciel. GB semble très efficace pour procurer aux femmes ce genre de voyage
nocturne.
Complément
Dans le même registre, ces vers de Rimbeau dans Ma bohème sont aussi intéressants :
Mon auberge était à la grande Ourse.
Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou
81J'habit' plus d' mansarde,
82Il peut désormais
83Tomber des hall'bardes,
Tomber des hallebardes
Une hallebarde est une pique sous la lame de laquelle est fixée une hache. Les Gardes Suisses du Vatican en sont encore
équipés.
Il tombe des hallebardes = il pleut comme vache qui pisse.
Suisse
Le "Suisse" qui officiait naguère dans les églises d'une certaine importance portait une hallebarde à la main gauche, et
une canne à pommeau d'argent dans la droite. C'était un personnage un tantinet ridicule que Fernand Raynaud a
brocardé dans un de ses sketches au refrain célèbre à l'époque: "Tiens! V'là l'hallebardier!"
84Je m'en bats l'oeil mais,
85Mais si quelqu'un monte aux cieux
Monter au ciel
Cousin de "voir le 7ème ciel", c'est "s'envoyer en l'air", "prendre son pied", bref, jouir.
86Moins que moi j'y paie des prunes:
281
J'y paie des prunes
Je te paie des prunes = je suis prêt à parier n'importe quoi, à payer cher pour voir ça
87Y a cent sept ans, qui dit mieux,
107 ans
Une éternité
88Qu' j'ai pas vu la lune !
Voir la lune
C'est voir le derrière de quelqu'un. Les quatre vers précédents pourraient donc s'analyser comme suit : "Mais si
quelqu'un baise moins souvent que moi, je lui paye ce qu'il veut, car il y a une éternité que je n'ai pas vu le cul d'une
femme dans mon lit".
Complément
Au vu de ces quatre vers, j'interprète plutôt j'ai pas vu la lune comme une façon de dire "je ne suis pas monté aux cieux"
(cf. vers 85), car si on est au ciel on est bien placé pour voir la lune. Le rapprochement lune/fesses marche aussi mais il
me semble que dans l'esprit des vers c'est plutôt la notion de "ne pas avoir joui depuis des lustres" qui est présentée.
Complément
Brassens remarque dans Le mauvais sujet repenti que la débutante peut :
Faire fortune
En bougeant l'endroit où le dos
R'ssemble à la lune
Complément
Le terme "lune" est utilisé dans le même sens métaphorique dans le premier vers de l{S'faire enculer}l}.
Ici, Brassens emploie le terme à la fois au propre et au figuré : la mansarde que le narrateur regrette d'avoir abandonnée
avait des "lézardes sur le firmament" - c'est-à-dire un toit percé par lequel on pouvait voir le ciel. En quittant ce logis
pour un endroit mieux couvert, le narrateur s'est donc privé de la vue de la lune en tant qu'astre et en tant que partie du
corps...
La lune.
La métaphore est simple et peut paraître facile mais toute sa richesse vient des vers précédents, habilement constitués
d'une succession d'expressions populaires et argotiques qui deviennent un vrai langage, un "parlage". Ce clin d'oeil de
Georges nous empêche de trop nous épancher et démystifie la frustration et la tristesse de l'évocation.
89Auprès de mon arbre,
90Je vivais heureux,
91J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...
92Auprès de mon arbre,
93Je vivais heureux,
94J'aurais jamais dû le quitter des yeux...
Bonhomme
01Malgré la bise qui mord,
M-B-M
Les consonnes de bonhomme : M(algré) - B(ise) - M(ord)
02La pauvre vieille de somme
Vieille de somme
Jeu de mots sur "bête de somme". Le cheval, le chameau, les boeufs étaient - sont encore - utilisés pour porter ou tirer
de lourdes charges (somme = bât ou charge en vieux français).
03Va ramasser du bois mort
04Pour chauffer Bonhomme,
05Bonhomme qui va mourir
06De mort naturelle
Mort naturelle
Cela se dit par opposition à une mort par accident ou par fait délibéré. Ici, la répétition de l'expression à la fin de chaque
strophe nous amène à nous poser la question : s'agit-il bien d'une mort naturelle ? Bonhomme ne crève-t-il pas de
l'indifférence des autres ? Qui donc, parmi nous, aura cette mort sur sa conscience ? On pense forcément ici aux appels
de l'Abbé Pierre en faveur des sans-abris. Brassens, lui, touche l'opinion à sa façon, mais sa "bonhommie" cache mal
une profonde révolte contre l'injustice.
Complément
On se dit en effet que sa mort n'a rien de naturel, mais l'identité du coupable n'a rien de si compliqué, c'est sa femme,
tout simplement, guidée par "cette autre et sombre voie" évoquée à la fin. Pas besoin d'aller chercher une morale
sociale, à mon avis. Il place une intrigue amoureuse dans un milieu modeste parce que la littérature a toujours préféré
décrire les vicissitudes adultérines des riches, nobles etc., mais je ne pense pas que la raison d'être de cette chanson soit
la dénonciation de la pauvreté et de notre attitude vis à vis d'elle.
Mort naturelle
282
En quoi la mort peut-elle être naturelle ? C'est en l'existence même de la mort que réside l'injustice. L'idée d'une mort
"naturelle", c'est l'idée d'une résignation, d'une acceptation passive de son destin, de sa condition. Une telle résignation
est contraire à la vie de poète et de libertaire. On retrouve ce refus d'accepter sa condition dans Les oiseaux de passage,
par exemple.
Il est très peu probable qu'il s'agisse du crime d'une femme bafouée. Plus bas, on lit "celui qu'elle aime, qu'elle aime"
(2x !) et il fut infidèle "autrefois". Au contraire, la chanson relativise cette faute et met en évidence son caractère anodin
par rapport au drame qui se joue, la mort.
07Mélancolique, elle va
08À travers la forêt blême
Blême
Cet adjectif, synonyme de pâle, blafard, livide, est souvent associé à la mort. Voir Le Pornographe, où "l'heure blême"
est l'heure de la mort, peut-être à cause du petit matin, l'heure où l'on guillotinait les condamnés.
09Où jadis elle rêva
10De celui qu'elle aime,
11Qu'elle aime et qui va mourir
12De mort naturelle.
13Rien n'arrêtera le cours
Césure de fin de vers
La césure à la fin de ce vers fait sous-entendre le "cours général (fatidique) des astres" -- constatation générale qui est
spécifiée par les deux vers qui suivent. Le sort général s'abat sur l'individu (voir aussi la fin de cette chanson).
14De la vieille qui moissonne
15Le bois mort de ses doigts gourds,
16Ni rien ni personne,
17Car Bonhomme va mourir
18De mort naturelle.
19Non, rien ne l'arrêtera
20Ni cette voix de malheur
21Qui dit : "Quand tu rentreras
22Chez toi, tout à l'heure
23Bonhomm' sera déjà mort
24De mort naturelle."
25Ni cette autre et sombre voix,
26Montant du plus profond d'elle
27Lui rappeler qu'autrefois
28Il fut infidèle,
29Car Bonhomme, il va mourir
Il
Contrairement à la conclusion généralisante des chansons Je rejoindrai ma belle ("ma belle" devenant "la belle") et Le
Père Noël et la petite fille ("il a mis" devenant "on a mis"), où le texte fait finalement abstraction de l'individu, cette
chanson prend sa "chute" en spécifiant: "Bonhomme, il va mourir..." (ici, le lot général et éternel finit par concerner
l'individu).
30De mort naturelle.
Chanson pour l’Auvergnat L'Evangile selon Brassens
Il y a un net rapprochement à faire avec l'Evangile selon Matthieu (25, 35-36), qui rapporte les propos du Christ : «
J’avais faim. Vous m’avez nourri. J’avais soif. Vous m’avez donné à boire. J’étais un étranger. Vous m’avez ouvert
votre porte. J’étais sans vêtements. Vous m’avez vêtu…. »
Le Christ est remplacé par un « marginal », mis au ban de la société, et c’est un simple Auvergnat, lui-même exclu de la
majorité bien pensante, qui vient à son secours, avec ses maigres moyens.
Cette discrétion dans la « bonne action » est clairement le reflet de la modestie prêchée par le Christ. Après tout, comme
disait l’autre, « il est plus facile pour un chameau de passer dans le chas d’une aiguille que d’entrer au Royaume des
cieux », et tout ça.
A ce compte, l’Auvergnat mérite davantage que bien des croquants de se retrouver devant le Père éternel. Celui-ci,
après tout, n’a pas le monopole de la solidarité, de la fraternité ou de la tolérance, valeurs humaines fondamentales qui
n’ont pas besoin d’un Dieu pour être mises en pratique...
Brassens se retourne dans sa tombe
Il est vrai qu'encore aujourd'hui, beaucoup de personnes considèrent cette chanson comme "évangélique". À ce terme, le
pauvre Georges doit se retourner dans sa tombe. Lui, l'anticlérical fanatique mais prêt à défendre le curé qui dit La
messe au pendu, serait certainement très gêné qu'on le récupère ainsi.
En réponse à ceux qui le taxaient de "chrétien sans le savoir", il a écrit la chanson assassine Tempête dans un bénitier.
283
Laissons-lui ses contradictions et ses idées, sans essayer de les récupérer, et constatons tout simplement que les valeurs
que ses textes véhiculent sont simplement des valeurs d'humanité.
Complément
Toutes paradoxales qu'aient pu sembler les idées de Monsieur Tonton Georges Brassens, elles ne se laissent pas
facilement enfermer dans un carcan quelconque. Alors avant de vouloir définitivement ranger cet être humain et son
oeuvre dans une boîte estampillée "anar" ou "chrétien sans le savoir", voire "anti-flic", savourons simplement sa belle
écriture pleine d'humour et de culture.
01Elle est à toi, cette chanson,
02Toi, l'Auvergnat qui, sans façon,
L'Auvergnat
L'Auvergnat, à Paris, était autrefois traditionnellement le marchand de "Vins &Charbon", le Charbougna, le Bougnat.
Rien de surprenant à ce qu'il vende aussi du bois, les paquets de petit bois, bûchettes fendues qui servaient à faire
démarrer le feu de charbon dans les cuisinières. Il est possible aussi qu'à l'origine, avant les houillères, il ait vendu du
charbon de bois, car les forêts d'Auvergne étaient immenses.
Hospitalité / avarice
La réputation d'hospitalité des Auvergnats ne fait guère partie du folklore, à ma connaissance. Leur avarice, en
revanche, est légendaire, mais c'est peut-être ce que voulait dire Brassens : c'est un Auvergnat (travailleur, âpre au gain,
qui d'ordinaire ne fait pas cadeau de son charbon) qui a brûlé son bois pour le réchauffer quand il crevait de froid.
Il s'inscrit ainsi en faux contre un cliché parisien (l'Auvergnat radin).
Auvergnat
Au début du XXe siècle, à une époque où la France était encore très rurale, et où Paris commençait à attirer les gens de
Province, les parisiens rejetaient les auvergnats, les bretons, etc...
Les auvergnats avaient en effet la réputation d'être très avares.
L'auvergnat de cette chanson symbolise bien la générosite de cette personne rejetée par la bonne société, et qui se
montre en réalité bien plus généreuse que "les croquants".
L'auvergnat
L'auvergnat de la chanson désigne également quelqu'un de précis : il s'agit de Marcel Planche, mari de Jeanne (le 2nd
couplet fait d'ailleurs référence à Jeanne)
Auvergnat
Le dit Marcel, mari de Jeanne, à qui s'adresse la chanson, était en fait normand. Discrétion respectueusement pudique,
ou license poétique?
Auvergnat
Marcel Planche et Jeanne ont hébergé GB quand, rentré en permission des camps de travail allemands en 1944 il se
cacha en France.
Complément
Selon le Guide du promeneur 14e arrondissement, l'Auvergnat aurait été le patron du café à l'angle de la rue Bardinet et
de la rue d'Alésia, en face de l'Impasse Florimont où Brassens résidait chez Jeanne et Marcel Planche.
03M'as donné quatre bouts de bois
04Quand, dans ma vie, il faisait froid.
05Toi qui m'as donné du feu quand
06Les croquantes et les croquants,
Croquant
C'est un "passant", juste un(e) anonyme, ici un "bien-pensant"
07Tous les gens bien intentionnés
08M'avaient fermé la porte au nez...
09Ce n'était rien qu'un feu de bois,
10Mais il m'avait chauffé le corps,
11Et dans mon âme il brûle encor
12À la manièr' d'un feu de joie.
13Toi, l'Auvergnat, quand tu mourras,
14Quand le croqu'mort t'emportera,
15Qu'il te conduise, à travers ciel,
A travers ciel
Expression dérivée de "à travers champs" / "à travers bois" = la voie la plus courte et la plus directe...
16Au Père Éternel.
17Elle est à toi, cette chanson,
18Toi, l'Hôtesse qui, sans façon,
19M'as donné quatre bouts de pain
20Quand, dans ma vie, il faisait faim.
21Toi qui m'ouvris ta huche quand
Huche
Bahut ou coffre de bois où l'on rangeait le pain. Les grosses miches de pain rondes duraient une semaine en moyenne.
284
Autrefois il y avait aussi des huches à vêtements, à provisions, etc.
22Les croquantes et les croquants,
23Tous les gens bien intentionnés,
24S'amusaient à me voir jeûner...
25Ce n'était rien qu'un peu de pain,
26Mais il m'avait chauffé le corps,
27Et dans mon âme il brûle encor
28À la manièr' d'un grand festin.
29Toi, l'Hôtesse, quand tu mourras,
L'hôtesse
Brassens fait ici allusion à Jeanne, qui l'hébergea impasse Florimont.
[contact auteur : Philippe L.] - [compléter cette analyse]
30Quand le croqu'mort t'emportera,
31Qu'il te conduise, à travers ciel,
32Au Père Éternel.
33Elle est à toi, cette chanson,
34Toi, l'Étranger qui, sans façon,
L'Etrangère
Comme on l'a dit plus haut, Brassens fait référence à des personnages réels. Il me plairait assez que l'étranger fut une
étrangère, une Polonaise peut être, pourquoi pas nommée Pupchen...
Mais peut-être ne sont-ils pas tous réels. Brassens a dit un jour "Vous me voyez, moi, écrivant 'Toi, le boucher, qui sans
façon, m'a donné quatre escalopes '" ?
L'étranger
Je pense que cela a été bien traduit en espagnol par Pierre Pascal "el forastero" qui veut dire "el que vienne de fuera" ou
"celui qui vient de dehors. Ce n'est sans doute pas obligatoirement une personne précise.
L'étranger
En fait cette chanson est dédiée à Marcel, le compagnon de Jeanne, bien connue pour avoir hébergé Brassens dans le
14ème arrondissement de Paris. Ici l'étranger est tout simplement cet homme. Brassens n'a pas souhaité qu'il soit
nommé, mais c'est bien à lui que Brassens pense (cf. émissions tv pour les commémorations de la mort de GB).
L'étranger
Il est possible qu'il faille prendre ce terme tout simplement dans son sens premier (celui qui nous est inconnu) et que
GB fasse allusion à quelqu'un qu'il aurait remarqué au milieu de la foule et qui ne se serait pas réjoui.
35D'un air malheureux m'as souri
36Lorsque les gendarmes m'ont pris.
37Toi qui n'as pas applaudi quand
38Les croquantes et les croquants,
39Tous les gens bien intentionnés,
40Riaient de me voir emmener...
41Ce n'était rien qu'un peu de miel,
42Mais il m'avait chauffé le corps,
43Et dans mon âme il brûle encor
44À la manièr' d'un grand soleil.
45Toi, l'Étranger, quand tu mourras,
46Quand le croqu'mort t'emportera,
47Qu'il te conduise, à travers ciel,
48Au Père Éternel.
Hécatombe Hécatombe
Massacre d'un grand nombre d'hommes ou d'animaux Larousse
Hécatombe (étymologie)
A l'origine, c'est le sacrifice de 100 boeufs.
01Au marché de Briv'-la-Gaillarde
Brive
Aujourd'hui, le "marché paysan" de Brive-la-Gaillarde (19100), où l'on peut trouver des foies gras succulents, se
nomme "Halle Georges Brassens".
Brive la Gaillarde
Les brivistes ont longtemps cru qu'il se vengeait d'eux pour avoir été mal reçu par la ville au temps de ses débuts. En
fait il a trouvé le nom sur un dictionnaire en cherchant une rime, toute trouvée, avec gaillarde.
Complément
Outre la rime très riche issue du dictionnaire, il convient de noter que le marché de Brive-la-Gaillarde est un marché très
285
important de centre-ville, très étendu, très fréquenté ; il est donc de dimension à être le théâtre d'une scène aussi
grandiose.
Complément
A noter qu'il y a traditionnellement à Brive-la-Gaillarde un "marché aux oignons" dont la tradition se perd dans
l'histoire...
La géographie des vaudevillistes
Dans le Grand Dictionnaire Universel du XIXe siécle de Pierre Larousse, on trouve, à propos de bruit dans
Landerneau:
"Allus. littér. : Il y aura, cela fera du bruit dans Landerneau. Certaines villes, en France, ont toujours joui du privilège
d'exciter la verve maligne des vaudevillistes et des journalistes du petit format. Tour à tour, c'est Pézenas, Carpentras,
Lons-le-Saunier, Pontoise, Brive-la-Gaillarde, qui reviennent sous leur plume. Pour La Fontaine, c'était Quimper-
Corentin..."
Géographie empruntée par Brassens: La première fille (Pontoise, Landerneau), À l'ombre du coeur de ma mie
(Landerneau), Tempête dans un bénitier (Quimper-Corentin)...
02A propos de bottes d'oignons,
03Quelques douzaines de gaillardes
Gaillardes
Une gaillarde se dit d’une forte femme qui a souvent des allures trop libres.
04Se crêpaient un jour le chignon.
Se crêper le chignon
Se prendre aux cheveux, en venir aux mains
05A pied, à cheval, en voiture,
A pied, à cheval, en voiture
C'est le titre d'une chanson de Bourvil de 1947
06Des gendarmes mal inspirés
Gendarme
(de gens d'armes) militaire appartenant au corps chargé sur tout le territoire national et aux armées de veiller à la
sécurité publique, au maintien de l'ordre et à l'exécution des lois Larousse
07Vinrent pour tenter l'aventure
08D'interrompre l'échauffourée.
échauffourée
Bagarre confuse Larousse
09Or, sous tous les cieux sans vergogne,
Sans vergogne
Sans pudeur, sans scrupule Larousse
10C'est un usag' bien établi,
11Dès qu'il s'agit d' rosser les cognes
Cogne
Agent de police ou gendarme Larousse
Rosser
Battre violemment, rouer de coups Larousse
12Tout le mond' se réconcilie.
13Ces furies perdant tout' mesure
14Se ruèrent sur les guignols,
Guignol
Marionnette d'origine lyonnaise, ou personne comique ou ridicule Larousse
Guignol & le Gendarme
Au théâtre de marionnettes, il y a justement un Gendarme qui est l'ennemi de Guignol et se fait régulièrement rosser par
ce dernier. D'où ironie d'appeler ici les gendarmes "guignols".
Guignols
Guignol = gendarme, gardien de la paix: "Les mômes ils avaient horreur de voir les guignols... Comme ça, j'étais bien
tranquille! Ils nous fileraient sûrement pas!" (Louis-ferdinand Céline)
Faire le guignol, règler la circulation à un carrefour: "Après, changement d'uniforme, la maison poulaga, par la porte de
service, le guignol aux carrefours sous la flotte." (Coatmeur) -
Dictionnaire de l'Argot (Larousse, 1990)
15Et donnèrent je vous l'assure
16Un spectacle assez croquignol.
Croquignol
Comique, marrant, insolite
Complément
Nom d'un des trois "PIEDS NICKELES" de Forton puis de Pellos.
17En voyant ces braves pandores
286
Pandore
Gendarme (type popularisé par une chanson de Gustave Nadaud, dont Brassens est admirateur : il a interprété deux de
ses textes)
18Etre à deux doigts de succomber,
19Moi, j' bichais car je les adore
Bicher
être satisfait Larousse
20Sous la forme de macchabées
Sous forme de macchabée
Aragon chantait aussi dans les années 30 : « Descendez les flics, camarades, descendez les flics ». C'était moins bien
dit, mais l'intention était la même...
21De la mansarde où je réside
Mansarde
Vous trouverez bien un briviste pour montrer la fenêtre de la fameuse mansarde ; mais n'en croyez pas un mot. Il n'a
jamais résidé à Brive la Gaillarde
Complément
Dans l'interview avec Philippe Nemo, Brassens déclare n'avoir pas pensé à la ville proprement dite. Mon dico franco-
allemand de 1885 (de Carl Sachs, professeur de français en Prusse) donne "digne de Brive-la-Gaillarde" pour désigner
des "nigauderies".
22J'excitais les farouches bras
23Des mégères gendarmicides
Mégère
Femme hargneuse, acariâtre et méchante
Gendarmicide
Néologisme signifiant "tueur de gendarme"
24En criant: "Hip, hip, hip, hourra!"
25Frénétiqu' l'une d'elles attache
26Le vieux maréchal des logis
Maréchal des logis
Sous-officier des armes anciennement montées (gendarmerie, cavalerie, artillerie et train) d'un grade correspondant à
celui de sergent dans les autres armes de l'armée de terre Larousse
27Et lui fait crier: "Mort aux vaches,
Vache
Désignation argotique de l'agent de police
Mort aux vaches
Cette expression date de la guerre de 14-18, où le peuple criait "mort au Wacht" (Wacht =police allemande). Mais les
anarchistes l'ont transformée et en ont fait leur slogan.
Complément
Peut-être s'agissait-il du peuple alsacien occupé (wache = gardien en alsacien)? Les Français n'ont pas eu souvent
affaire à la police allemande en 14. En revanche, dès avant 1870, on appelait (déjà) les gardiens de prisons des vachers.
Faire des vacheries est attesté dès 1885, donner un coup de pied en vache, c'est à dire en traître, par derrière, dès 1877.
Une vache est indifféremment un inspecteur de la Sûreté ou un indicateur (une balance!).
La vie étrange de l'argot par Emile Chautard, 1931. Réédition Nigel Gauvin (Denoël) 1992.
Complément
Il n'est pas exact de dire que la population française n'a guère été en contact avec la police allemande en 14-18; en effet,
tout le Nord de la France jusqu'au front a été occupé (de même que la Belgique).
28Mort aux lois, vive l'anarchie!"
Anarchie
René Fallet remarquera par la suite qu'il s'agit de la seule chanson de Brassens où apparaît ce terme d'anarchie, ce qui
est assez surprenant au vu des opinions libertaires de l'ami Georges...
29Une autre fourre avec rudesse
30Le crâne d'un de ces lourdauds
31Entre ses gigantesques fesses
32Qu'elle serre comme un étau.
33La plus grasse de ces femelles
34Ouvrant son corsag' dilaté
35Matraque à grands coups de mamelles
Matraque
Arme contondante qui, ironiquement, fait partie de l'uniforme de certains membres des forces de l'ordre
36Tous ceux qui pass'nt à sa portée.
37Ils tombent, tombent, tombent, tombent,
38Et s'lon les avis compétents
287
39Il paraît que cette hécatombe
Hécatombe
Massacre d'un grand nombre d'hommes ou d'animaux Larousse (ici les vaches ?)
Complément
Historiquement, et étymologiquement, une hécatombe est le sacrifice de cent boeufs.
Quel terme plus approprié pour un massacre de vaches ?
40Fut la plus bell' de tous les temps.
41Jugeant enfin que leurs victimes
42Avaient eu leur content de gnons,
Avoir son content de quelque chose
En avoir eu autant qu'on désirait
Gnon(s)
Enflure provoquée par un coup Le Petit Robert
43Ces furies comme outrage ultime
Outrage
Injure, offense grave || Dr. délit consistant à mettre en cause l'honneur ou la délicatesse d'un magistrat, d'un juré, d'un
officier ministériel, etc., dans l'exercice de leurs fonctions Larousse
Furies
Le terme "Furies" renvoie aux "Érinyes" qui dans la mythologie grecque personnifient les trois déesses de la
Vengeance. Appelées aussi "les Euménides", elles ont été assimilées aux Furies par les Romains. Larousse
44En retournant à leurs oignons,
Retourner à ses oignons
L’expression “retourner à ses oignons”, variante de “se mêler de ses oignons”, est à prendre au propre comme au figuré
puisque les bottes d’oignons étaient l’objet du crêpage de chignon initial.
45Ces furies, à peine si j'ose
46Le dire tellement c'est bas,
47Leur auraient mêm' coupé les choses
48Par bonheur ils n'en avaient pas.
Anecdote
A propos de ce vers, Brassens aurait eu du remords, quand suite à une crise de colique néphrétique, il aurait été secouru
par un gendarme qui l'a recouvert de sa cape et qui lui aurait gentiment reproché ce vers.
Remords
Le remords dont il est fait mention dans l'analyse précédente a poussé Brassens à revenir, dans L'épave, sur sa position :
Et depuis ce jour-là, moi, le fier, le bravache,
Moi, dont le cri de guerr' fut toujours 'Mort aux vaches!'
Plus une seule fois je n'ai pu le brailler...
49Leur auraient mêm' coupé les choses
50Par bonheur ils n'en avaient pas.
L’ancêtre 01Notre voisin l'ancêtre était un fier galant
Fier galant
Ce pourrait être une déformation de l'expression "vert galant" qui s'appliquait à Henri IV.
02Qui n'emmerdait personne avec sa barbe blanche,
03Et quand le bruit courut qu' ses jours étaient comptés,
04On s'en fut à l'hospice afin de l'assister.
Afin de l'assister
"assister" un mourant est, dans la tradition chrétienne, lui porter "les secours de la religion" pour "accompagner" son
passage de vie à trépas. GB fait d'ailleurs référence, à chaque conclusion de couplet, aux pratiques religieuses des
bonnes soeurs qui, jusqu'au milieu du siècle, avaient encore un rôle accepté jusque dans certains hospices et hôpitaux
publics.
05On avait apporté les guitar's avec nous
06Car, devant la musique, il tombait à genoux,
07Excepté toutefois les marches militaires
08Qu'il écoutait en se tapant le cul par terre.
Marches militaires
C'est un relent des idées anarchistes que GB côtoya dans sa jeunesse. Ne disait-on pas : "La musique militaire est à la
musique ce que la justice militaire est à la justice" ?
09Émules de Django, disciples de Crolla,
Crolla
Henri Crolla, guitariste et jazzman français d'origine italienne, contemporain de Django Reinhart, au phrasé plus
288
méditatif, moins brillant mais d'une élégance parfaite. Il a fait entre autres la musique du Ballon Rouge, un film
délicieux d'Albert Lamorisse. Un disque lui est consacré dans la collection Gitanes, Jazz in Paris.
Django
Django Reinhardt est cité deux fois dans les chansons de Brassens, une fois entre la rue Didot et la rue de Vanves et une
fois ici. Mais Django est présent dans tout le répertoire de Brassens puisqu'en regardant de plus près la guitare de
Brassens, on se rend compte qu'il jouait sur des cordes Argentine, que sa guitare possède un cordier et que si elles
avaient un pan coupé ses guitares seraient les répliques des guitare Selmer qu'utilisait Django.
10Toute la fine fleur des cordes était là
L'ancêtre
Réduire "la fine fleur des cordes" aux seuls guitaristes est peu aimable pour les autres instrumentistes "à cordes" que
sont les violonistes, altistes, violoncellistes, contrebassistes... et quelques autres (luth, banjo, mandoline)...
Complément
Il ne faut toutefois pas taxer Brassens de sectarisme en matière d'instruments à cordes. Certes passionné de guitare, il fit
appel à un grand accompagnateur contrebassiste, Pierre Nicolas.
Grand amateur de Reinhardt et Crolla, il apprécia sans doute le violoniste de jazz, stéphane Grapelli.
Fine fleur
Terme de meunerie : la fleur de farine, c'est la partie la plus fine de la mouture, a fortiori "la fine fleur" : au sens figuré,
c'est donc l'élite de l'élite.
11Pour offrir à l'ancêtre, en signe d'affection,
12En guis' de viatique, une ultime audition.
Viatique
Sacrement de l'eucharistie administré à un chrétien en danger de mort Larousse
Viatique
Le viatique, c'est aussi littéralement les provisions pour le voyage. L'Eucharistie étant un morceau de pain, on rejoint là
les vieux rituels égyptiens, romains et autres, où l'on place dans la tombe de la nourriture, dans la bouche du mort une
pièce de monnaie pour payer le voyage, etc. Les Chinois laissent de la nourriture sur les tombes et "nourrir les ancêtres"
fait partie des obligations de tout un chacun.
13Hélas ! les carabins ne les ont pas reçus,
Carabin
Le carabin est le surnom donné aux étudiants en médecine. C'est la définition qu'en donnent à la fois le Larousse et le
Petit Robert.
On imagine donc que, vu l'heure probablement tardive à laquelle les amis de l'ancêtre viennent lui rendre visite à
l'hospice, celui-ci n'est plus gardé que par des étudiants ou internes.
Etymologiquement, ce terme vient du vieux français 'escarrabin' (1521), signifiant 'ensevelisseur de pestiférés'. Tout se
tient ! Cette tâche ingrate était dévolue aux étudiants, comme celle d'ailleurs de rester de garde aux heures indues. Et
comme l'ancêtre est au bout de sa vie, il ne va pas tarder à devoir recourir aux services d'un ensevelisseur !
14Les guitar's sont restées à la porte cochère,
Porte cochère
C'était la porte par laquelle sortaient les coches ou fiacres. La porte elle-même a généralement deux pans, avec le haut
en demi-lune, et descend jusqu'au parterre. Elle est, bien sûr, assez haute pour laisser passer un coche. Côté bâtiment,
derrière la porte, se trouve une arcade menant à une cour intérieure.
15Et le dernier concert de l'ancêtre déçu
16Ce fut un pot-pourri de cantiques, peuchère !
17Quand nous serons ancêtres,
18Du côté de Bicêtre,
Bicêtre
Bicêtre a passé par différents états au cours de l'Histoire : maison de campagne, confrérie de Pères Chartreux, Château
de Winchester (déformé en Vincestre, qui a plus tard donné Bicêtre), hôpital de pauvres, de déchus, de vieillards, de
criminels et fous, puis prison reconvertie en hôpital spécialisé.
19Pas de musique d'orgue, oh ! non,
Orgue
Nourri de chansons durant son enfance, Brassens ne semble pas avoir goûté la musique d'orgue, sans doute trop
évocatrice de cérémonies religieuses auxquelles il était peut-être contraint, étant enfant, d'assister. Dans La marche
nuptiale, il s'évoque au (re-)mariage de sa mère : Sur mon harmonica jouant les grandes orgues.
[Mais on ne sache pas qu'il se soit jamais intéressé à cet instrument fabuleux, à la différence d'un autre musicien
"populaire", Freddy Balta, l'accordéoniste d'Yves Montand qui, lui, avait obtenu un prix d'orgue au Conservatoire de
Paris dans la classe de Marcel Dupré et, toute sa vie, avait collectionné les documents sur les orgues à tuyaux. Même, il
en avait deux chez lui, qui furent vendus le 12 décembre 2004 à Nogent-sur-Marne, aux enchères.]
20Pas de chants liturgiques
21Pour qui aval' sa chique,
Avaler sa chique
C'est-à-dire mourir.
289
On dit aussi "avaler son bulletin de naissance".
22Mais des guitar's, cré nom de nom !
23On avait apporté quelques litres aussi,
24Car le bonhomme avait la fièvre de Bercy
Bercy
Bercy fut, jusqu'aux années 70, un des plus importants centres de négoce de vins en France.
Complément
état pathologique en médecine précédant la phase de delirium tremens
25Et les soirs de nouba, parol' de tavernier,
Nouba
Faire la nouba, c'est dès la fin XIXe faire bombance, mais Brassens ignorait peut-être qu'il réintroduisait ici la musique
militaire : au départ, la nouba est la musique des tirailleurs algériens, qui se faisait à tour de rôle devant la maison de
chaque officier du régiment.
26À rouler sous la table il était le dernier.
27Saumur, Entre-Deux-Mers, Beaujolais, Marsala,
Marsala
Pas facile de trouver une rime en "la" dans le vignoble français, du moins si l'on reste dans les appellations très
connues... Le marsala est un vin blanc de Sicile, produit près de la ville portuaire du même nom.
28Toute la fine fleur de la vigne était là
29Pour offrir à l'ancêtre, en signe d'affection,
30En guis' de viatique, une ultim' libation.
Libation
Ce nom, plus fréquent au pluriel, désigne d'abord le vin versé, et parfois consommé, lors des sacrifices religieux
antiques. (On reste dans le même domaine que "viatique".)
31Hélas ! les carabins ne les ont pas reçus,
32Les litres sont restés à la porte cochère,
33Et l' coup de l'étrier de l'ancêtre déçu
Coup de l'étrier
Désigne le coup de 'gnole' pris à la fin d'un repas pour faire digérer.
Coup de l'étrier
C'était aussi le coup que l'on buvait juste avant de mettre le pied à l'étrier (ou juste après), et donc "le dernier pour la
route" comme on dit aussi. La coutume, à ma connaissance, existe encore avant les chasses à courre en Angleterre, où
les cavaliers, une fois en selle, boivent "the stirrup cup", la coupe de l'étrier.
34Ce fut un grand verre d'eau bénite, peuchère !
35Quand nous serons ancêtres,
36Du côté de Bicêtre,
37Ne nous faites pas boire, oh ! non,
38De ces eaux minéral's, bénites ou lustrales,
Lustrale
L'eau lustrale est l'eau de la purification, entre autres celle du baptême. Déjà, à Rome, avant l'ère chrétienne, les
nouveau-nés étaient purifiés au cours d'une cérémonie appelée lustration. L'eau bénite à l'entrée des églises symbolise
cette "toilette", cette purification que les Musulmans pratiquent aussi : à l'entrée de la mosquée, on se lave même les
pieds.
39Mais du bon vin, cré nom de nom !
40On avait emmené les belles du quartier,
41Car l'ancêtre courait la gueuse volontiers.
Courir la gueuse
C'est bien sûr "courir les filles" ; mais le mot "gueuse", féminin de l'argot "gueux" qui remonte à François Villon
(1452), ajoute une dimension populaire, voire "de mauvaise vie". Les monarchistes ont longtemps qualifié de Gueuse la
République française.
Brassens rappelle très souvent la dignité (cf. vers suivant) des femmes méprisées, rejoignant en cela la thématique de
Marie Madeleine.
42De sa main toujours leste et digne cependant
43Il troussait les jupons par n'importe quel temps.
44Depuis Manon Lescaut jusques à Dalila
Manon Lescaut et Dalila
Héroïne du roman éponyme de l'Abbé Prévost, Manon oscille entre la débauche et l'amour véritable dans tout ce roman
du XVIIIème siècle.
Dalila, héroïne biblique, qui séduit Samson pour obtenir le secret de sa force légendaire, puis le trahit pour les Philistins.
Ces deux personnages évoquent, dans deux contextes différents, la séduction, la débauche, mais aussi la trahison.
45Toute la fine fleur du beau sexe était là
46Pour offrir à l'ancêtre, en signe d'affection,
290
47En guis' de viatique, une ultime érection.
48Hélas ! les carabins ne les ont pas reçues,
49Les belles sont restées à la porte cochère,
50Et le dernier froufrou de l'ancêtre déçu
51Ce fut celui d'une robe de sœur, peuchère !
52Quand nous serons ancêtres,
53Du côté de Bicêtre,
54Pas d'enfants de Marie, oh ! non,
Enfants de Marie
Mouvement de jeunesse catholique de l'entre-deux guerre réservé aux filles (il y a eu aussi les Croisés, pour les garçons)
surtout consacré à la prière pour le salut du monde, face à la menace athée en général et communiste en particulier. Par
extension, une Enfant de Marie signifiait une Sainte Nitouche. Des spécialistes ont remarqué que le culte de la Vierge
Marie est relancé par Rome chaque fois que l'Église se sent en danger.
Complément
"Les Enfants de Marie" est antérieur à l'entre-deux-guerres (ou alors peut-être entre 1870 et 1914) puisque la 2e édition
de son "Manuel..." date de 1906. On en trouvera de savoureux extraits sous
www.denistouret.net/textes/Enfants_de_Marie.html.
55Remplacez-nous les nonnes
56Par des belles mignonnes
57Et qui fument, cré nom de nom !
Fument
Cf. l'interjection obscène: "Fume! C'est du (tabac) belge!"
Allusion directe au talent des "tailleuses de pipe" et autres virtuoses de la fellation.
Complément
En dépit des vers 46-47, je ne pense pas que GB ait voulu mettre là un sous-entendu obscène, trop vulgaire pour lui.
Peut-être me trompé-je. Mais le fait de fumer en public était encore, pour une femme et même dans le milieu de St-
Germain-des-Prés, l'indice d'un caractère libre et affranchi des conventions bourgeoises.
Complément
Il me semble que Brassens se réfère à une expression populaire de sa génération ,dont j'ignore l'origine, encore en cours
dans les années 60 : "à nous les femmes qui fument et qui pètent dans la soie !"
L’Antéchrist Antéchrist
En théologie, l'Antéchrist est l'Ennemi du Christ qui, selon l'Apocalypse de St Jean, viendra prêcher une religion hostile
au Christianisme un peu avant la fin du monde. Le Petit Robert
01Je ne suis pas du tout l'antéchrist de service,
02J'ai même pour Jésus et pour son sacrifice
03Un brin d'admiration, soit dit sans ironie.
04Car ce n'est sûrement pas une sinécure,
05Non, que de se laisser cracher à la figure
Sinécure / figure
Rime déjà employée dans Auprès de mon arbre.
06Par la canaille et la racaille réunies.
Cracher à la figure
Cf. St Marc, XV, 17-20.
"Ils le revêtent de pourpre, puis, ayant tressé une couronne d'épines, ils la lui mettent. Et ils se mirent à le saluer : Salut,
Roi des Juifs! Et ils lui frappaient la tête avec un roseau et ils lui crachaient dessus, et ils ployaient le genou devant lui
pour lui rendre hommage. Puis, quand ils se furent moqués de lui, ils lui ôtèrent le manteau de pourpre et lui rendirent
ses vêtements."
07Bien sûr, il est normal que la foule révère
08Ce héros qui jadis partit pour aller faire
09L'alpiniste avant l'heure en haut du Golgotha,
L'alpiniste
Brassens s'inscrit ici dans une tradition "burlesque" assez ancienne en fait.
Pour le XXe siècle, Genette cite et commente la « Passion considérée comme une course de côte » qu'Alfred Jarry
publia dans Le Canard Sauvage le 11 avril 1903, où il recourait au vocabulaire des courses cyclistes pour narrer la
Passion du Christ.
Ce texte figure aussi dans l'Anthologie de l'Humour Noir qu'avait compilée dans les années 30 André Breton, le pape du
Surréalisme.
10En portant sur l'épaule une croix accablante,
11En méprisant l'insulte et le remonte-pente,
291
Burlesque
Engendré par le décalage entre l'attitude noble du début du vers (accomplissement d'un devoir au mépris de l'insulte) et
le caractère trivial du remonte-pente.
Trivial...
Et surtout comique parce qu'anachronique !
12Et sans aucun bravo qui le réconfortât !
13Bien sûr, autour du front, la couronne d'épines,
14L'éponge trempée dans Dieu sait quelle bibine,
Bibine
Cf. l'Évangile de St Marc, XV, 35-37, à la fin du récit de la Passion.
"Certains dirent en l'entendant : Voilà qu'il appelle Élie! Quelqu'un courut tremper une éponge dans du vinaigre et,
l'ayant mise au bout d'un roseau, il lui donnait à boire en disant: "Attendez voir si Élie va venir le descendre!" Or Jésus,
jetant un grand cri, expira."
Le vinaigre en question était sans doute la piquette infâme que buvaient les soldats romains de service ce jour-là.
Complément
Quelle ironie que de lier Dieu supposé tout puissant à l'ignorance de la marque de la piquette !
Complément
Les grecs et les romains buvaient l' eau additionnée de vinaigre.
15Et les clous enfoncés dans les pieds et les mains,
16C'est très inconfortable et ça vous tarabuste,
Burlesque
A nouveau et comme dans toute la chanson, le comique provient du décalage :
- la couronne d'épine / la bibine
- les clous enfoncés / c'est très inconfortable
17Même si l'on est brave et si l'on est robuste,
18Et si le paradis est au bout du chemin.
19Bien sûr, mais il devait défendre son prestige,
20Car il était le fils du ciel, l'enfant prodige,
L'enfant prodige
Notez la référence à la parabole de l'enfant prodigue. Jésus n'ayant pas été prodigue, Brassens le considère ici prodige...
prodigieux, miraculeux, quoi.
21Il était le Messie et ne l'ignorait pas.
Messie
Pour mémoire, dans la théologie juive, le Messie est l'Envoyé de Dieu, l'Emmanuel, celui qui viendra délivrer le peuple
d'Israël après avoir réalisé toutes les prophéties.
À ce jour, la seule vraie différence entre le Christianisme et le Judaïsme réside dans ce détail : les Chrétiens croient que
Jésus était bien le Messie annoncé par les prophètes, alors que les Juifs l'attendent encore, et pensent que Jésus n'était
qu'un prophète mineur.
Prophète
Pour mémoire encore, le Coran, qui reconnaît Abraham, Moïse & C°, reconnaît aussi Jésus comme prophète (et comme
fils de Marie mais pas comme fils de Dieu bien sûr) et lui fait dire : Je suis le serviteur de Dieu... Il m'a donné l'Évangile
et m'a établi prophète. (Sourate 19, Marie.)
On se prend à rêver à la chanson que Brassens aurait pu faire sur ces trois religions qui n'ont cessé de s'étriper au cours
de l'Histoire alors qu'elles ont les mêmes prophètes et le même fondement monothéiste.
Complément
Cette ironie n'a pas échappé à Pierre Desproges, dont on appréciera la définition du Judaïsme dans son Dictionnaire
superflu à l'usage de l'élite et des bien-nantis}ri} :
"Judaïsme: n. m. Religion des juifs, fondée sur la croyance en un Dieu unique, ce qui la distingue de la religion
chrétienne, qui s'appuie sur la foi en un seul Dieu, et plus encore de la religion musulmane, résolument monothéiste."
22Entre son père et lui, c'était l'accord tacite :
23Tu montes sur la croix et je te ressuscite !
24On meurt de confiance avec un tel papa.
25Il a donné sa vie sans doute mais son zèle
26Avait une portée quasi universelle
Portée universelle
Tout à fait exact selon la théologie chrétienne : Jésus, le Christ, étend le message de la Bible juive (qui, à l'époque était
inouï parce qu'il annonçait un Dieu unique face à la multitude des dieux païens, Égyptiens, Grecs et Romains) à tous les
peuples de la terre : "Allez et enseignez toutes les nations", dira Jésus à ses apôtres.
27Qui rendait le supplice un peu moins douloureux.
28Il savait que, dans chaque église, il serait tête
29D'affiche et qu'il aurait son portrait en vedette,
292
Tête d'affiche
L'enjambement surprend, le clin d'oeil au "chaud bizness" n'en est que plus savoureux
30Entouré des élus, des saints, des bienheureux.
31En se sacrifiant, il sauvait tous les hommes.
32Du moins le croyait-il ! Au point où nous en sommes,
33On peut considérer qu'il s'est fichu dedans.
34Le jeu, si j'ose dire, en valait la chandelle.
Le jeu en valait la chandelle
Dans l'esprit, allusion au pari de Pascal pour l'aspect religieux ,et plus généralement à la notion d'espérance
mathématique.
Voir Ma nuit chez Maud de Rohmer à ce propos.
35Bon nombre de chrétiens et même d'infidèles,
36Pour un but aussi noble, en feraient tout autant.
37Cela dit je ne suis pas l'antéchrist de service.
La cane de Jeanne Jeanne
Il s'agit de la logeuse de Brassens, impasse Florimont, qui l'a caché, logé et nourri après son évasion du STO pendant la
guerre. Elle est "l'hôtesse" de l'Auvergnat. Il lui a consacré une autre chanson, intitulée simplement "Jeanne", dans
l'album Les Trompettes de la Renommée.
Scansion magnifique de cette chanson
En effet on a la versification suivante :
3 syllabes
3 syllabes
6 syllabes
7 syllabes
3 syllabes
2 syllabes
Ce qui génère une montée progressive dans l'allongement des vers, puis un retour balancé pour finir en chute brutale sur
une rime dissyllabique et qui plus est, masculine.
Comptage des syllabes
En prosodie française, il faut faire la distinction entre rime féminine et rime masculine, ce qui fait que LA CANE n'est
pas un trisyllabe, mais un dissyllabe à rime féminine (l'e muet en fin de vers ne compte pas, mais donne la rime
féminine).
La structure syllabique est : 2-2-6-6-2-2.
La structure poétique est : AAbCCb (sizain à rythme tripartite ; la majuscule représentant la rime féminine, la minuscule
la rime masculine).
Il faut voir qu'Aragon et Apollinaire ont bousculé un peu ces notions classiques. Chez Aragon, la rime "tard" est
féminine dite depuis "consonantique" (rime avec "guitare" dans Il n'y a pas d'amour heureux). Brassens reste dans les
traditions et utilise cette rime consonantique rarement, par exemple dans Bonhomme : voix de malheur(e) - ce qui est
indiqué par le e muet entre parenthèses.
Scansion
L'analyse précédente est tout à fait juste, mais je faisais ici référence à la musique, c'est pourquoi je ne parlais pas de
"pieds", mais de "syllabe". J'aurais donc dû écrire "notes", car on entend bien :
La-ca-neu
De-Jean-neu
Complément
Ce procédé qui convient bien à la chanson permet à chaque fois de gagner une syllabe (ou un pied) sans rajouter de mot.
Ainsi la sobriété, la simplicité travaillée à l'extrême donne plus de poids au texte et ralentit le rythme pour donner une
pulsation de marche funèbre (ou de marche de canard).
La cane
Cette chanson est tirée d'une anecdocte réelle (en tout cas, rapportée par Brassens lui-même). Comme tous étaient très
pauvres chez Jeanne, ils avaient obtenu une cane pour la manger. Le problème, c'est que tous aimaient trop les animaux
pour pouvoir la tuer ; si bien qu'elle est décédée de sa belle mort !
01La cane
02De Jeanne
03Est morte au gui l'an neuf,
Au gui l'an neuf
à la nouvelle année, où la tradition veut qu'on s'échange un baiser sous un bouquet de gui pour se souhaiter du bonheur
04Elle avait fait, la veille,
05Merveille !
293
06Un oeuf !
07La cane
08De Jeanne
09Est morte d'avoir fait,
10Du moins on le présume,
11Un rhume,
12Mauvais !
13La cane
14De Jeanne
15Est morte sur son oeuf
16Et dans son beau costume
17De plumes,
18Tout neuf !
19La cane
20De Jeanne,
21Ne laissant pas de veuf,
22C'est nous autres qui eûmes
23Les plumes,
24Et l'oeuf !
L'oeuf
Cet oeuf, c'est le symbole de la vie qui se perpétue, des naissances qui remplacent les morts. La vie continue!!!
25Tous, toutes,
26Sans doute,
27Garderont longtemps le
28Souvenir de la cane
29De Jeanne
30Morbleu !
Morbleu
(de "mort de dieu") juron ancien marquant la colère ou l'impatience Larousse
Complément
La chute de la chanson se fait sur un juron, il exprime la colère, la révolte mais aussi l'impuissance devant la mort.
Comme Le petit cheval de Paul Fort, cette chanson est une allégorie dont le but, caché derrière l'anecdotique, est de
nous inviter à réfléchir à la problématique de la mort.
Mort bleu
Sans oublier l'allusion au canard (mort) bleu qui aurait occupé une place de choix sur la table du réveillon - au gui l'an
neuf !
La complainte des filles de joie Remerciements
Le 16 juin 1976 le collectif des prostituées de Paris adresse à Georges Brassens la lettre suivante :
"Cher Georges Brassens,
Nous les Putains vous disons merci pour vos si belles chansons qui nous aident à vivre. Malheureusement nous n'avons
eu votre adresse que très tard. Voici une invitation. Nous vous embrassons toutes.
Vos Copines du Collectif de tout coeur avec vous toujours."
01Bien que ces vaches de bourgeois
02Les appell'nt des filles de joie
03C'est pas tous les jours qu'ell's rigolent,
04Parole, parole,
Parole
Je vous en donne ma parole (de gentilhomme, d'homme d'honneur, de scout, etc.), c'est à dire, je le jure.
05C'est pas tous les jours qu'elles rigolent.
06Car, même avec des pieds de grues,
Pieds de grue
Les jambes des péripatéticiennes sont bien souvent dénudées sur une bonne longueur et donnent l'impression d'être très
longues ; la comparaison avec les pieds de grues - dont ce sont aussi des caractéristiques - est alors évidente.
Grue
(1415) fig. et pop. (des stations prolongées de la fille qui fait "le pied de grue"). Femme de moeurs légères et vénales.
Le Petit Robert
Pied de grue
Faire le pied de grue (populaire) : se déplacer de ci de là en attendant quelqu'un ou quelque chose.
Complément
294
Petit détail qui n'a rien à voir avec l'usage de cette expression dans la chanson mais qui m'a toujours fasciné: "pied de
grue" , dans le sens de "marque à trois branches indiquant l'ascendance sur un arbre généalogique", est à l'origine du
mot anglais "pedigree" que le français a réemprunté ensuite (c'est un "prêté-rendu", comme "tunnel", "tennis", "volley"
"budget", "ticket" etc.)
07Fair' les cent pas le long des rues
08C'est fatigant pour les guibolles,
Guibolle
Le Petit Robert dit que ce mot est attesté depuis 1840 et viendrait du normand "guibonne", même racine que
"regimber", qui signifie ruer. Le sens de "jambe" semble donc tout à fait logique, car on ne rue pas, que je sache, avec
les mains.
09Parole, parole,
10C'est fatigant pour les guibolles.
11Non seulement ell's ont des cors,
12Des oeils-de-perdrix, mais encor
Oeil de perdrix
(ou "cor mou") affection commune localisée dans les espaces interdigitaux, toujours vis-à-vis d'une articulation inter-
phalangienne ; il se retrouve souvent sur le bord latéral externe du quatrième orteil, et son pourtour est d 'aspect
blanchâtre, spongieux et surélevé à cause de la macération des tissus.
13C'est fou ce qu'ell's usent de grolles,
Grolles
Souliers, chaussures.
D'après le Petit Robert, ce mot d'origine dialectale et incertaine est attesté dès le XIIIème siècle, et donc le Moyen-Âge,
alors que le godillot date seulement de 1876, du nom du fournisseur officiel de l'armée.
14Parole, parole,
15C'est fou ce qu'ell's usent de grolles.
16Y'a des clients, y'a des salauds
17Qui se trempent jamais dans l'eau
18Faut pourtant qu'elles les cajolent,
19Parole, parole,
20Faut pourtant qu'elles les cajolent.
Cajoler
Synonyme de caresser
Cajoler
C'est plutôt caliner, et ça se dit surtout pour les mères qui cajolent leur bébé. Prendre dans ses bras une personne qui
sphincte n'est pas évident.
21Qu'ell's leur fassent la courte échelle
22Pour monter au septième ciel
Courte échelle
La jolie trouvaille qui allie "faire la courte échelle" et "monter au septième ciel" est peut-être à mettre en rapport avec
l'image biblique de l'échelle de Jacob : le patriarche voit en songe une échelle où les anges - qui, eux, n'ont pas de sexe -
montent et descendent tandis que Dieu bénit sa descendance.
23Les sous, croyez pas qu'ell's les volent,
24Parole, parole,
25Les sous, croyez pas qu'ell's les volent.
26Ell's sont méprisées du public,
27Ell's sont bousculées par les flics,
28Et menacées de la vérole,
Vérole
Ne pas confondre la petite vérole, nom ancien de la variole, qui laissait le visage couvert de cicatrices disgrâcieuses
("un visage vérolé", comme celui de Mirabeau) d'une part ; et la vérole tout court, nom populaire de la syphilis, maladie
vénérienne grave et longtemps incurable (dont moururent, entre autres, Louis XV, Maupassant et sans doute Gauguin).
29Parole, parole,
30Et menacées de la vérole.
31Bien qu' tout' la vie ell's fass'nt l'amour,
32Qu'ell's se marient vingt fois par jour,
33La noce est jamais pour leur fiole,
C'est pas pour ma fiole
C'est pas pour moi.
Double sens de "noce" ici. D'abord elles ne passent jamais devant le maire, et ensuite l'amour n'est pas pour elles une
partie de plaisir (elles ne font guère la noce le long des trottoirs).
34Parole, parole,
35La noce est jamais pour leur fiole.
295
36Fils de pécore et de minus,
Pécore
Femme ou jeune fille sotte et prétentieuse
37Ris pas de la pauvre Vénus,
Lune et vénus
L'astronomie nous dit que la lune ne peut jamais rentrer en conjonction avec Vénus, il suffit pour cela de vérifier la
définition de "être en conjonction avec".
De là à dire que Vénus, déesse de l'amour soit incompatible avec l'usage de votre lune...
38La pauvre vieille casserole,
Récipient
Casserole, cruche, marmite, cocotte, cageot, potiche, etc... les termes de mépris qui s'appliquent aux femmes et les
ravalent au rang de récipients indiquent bien qu'ils proviennent de l'incurable machisme des hommes.
39Parole, parole,
40La pauvre vieille casserole.
41Il s'en fallait de peu, mon cher,
Il s'en fallait de peu
Brassens se moque du fils de pécore en insinuant simplement que son père a sans doute autant couché avec sa mère
qu'avec la putain (si ce n'est plus). Il renforce l'idée que tout homme va voir les prostituées, et même les bons pères de
famille.
42Que cett' putain ne fût ta mère,
Cette Putain
Brassens precise au fur et à mesure de la chanson de qui il parle, même si on le comprend vite, et il emploie dans la fin
du texte un terme carrément vulgaire accompagné de l'article "cette" qui ne fait que le renforcer...
Putain et mère
On notera que "la maman et la putain", film de Jean Eustache (1973) est bien postérieur à cette chanson
43Cette putain dont tu rigoles,
44Parole, parole,
45Cette putain dont tu rigoles.
La femme d’Hector 01En notre tour de Babel
Tour de Babel
Grande tour que, d'après la Bible, les fils de Noé voulurent élever à Babel (nom hébreu de Babylone) pour atteindre le
ciel ; Dieu aurait anéanti par la confusion des langues ces efforts insensés (ce mythe est inspiré par la ziggourat
babylonienne)
Complément
Ce pourrait bien être ici "La tour des miracles" du roman des jeunes années de GB, au temps où "les copains" parisiens
cohabitaient peu ou prou.
Tour de Babel
Représente l'ensemble des parlers, et par extension, la planète entière
02Laquelle est la plus belle,
Babel / belle
Il ne faut pas négliger non plus le poids de la rime Babel / belle dans le choix de la tour biblique. De façon générale, le
premier quatrain de chaque couplet joue de manière très appuyée avec les sonorités à la rime. Ici, jeu sur le mot "belle"
contenu dans "Babel" (et d'ailleurs, serait-il exagéré de suggérer que l'on entend presque "pas belle" ?)
03La plus aimable parmi
Aimable
Qui peut être aimé(e)
04Les femmes de nos amis ?
Parmi / amis
Cette fois, jeu sur une rime presque disyllabique pArMI-AMI, où, de même que pour le couple Babel-belle, les
sonorités du mot à la rime du deuxième vers sont contenues dans le mot qui l'a précédé, ce qui permet de marteler la
rime. Il me semble surtout que cette rime très "voyante" (devrais-je dire "entendante" ?) souligne le choix audacieux
quoique fréquent chez Brassens de mettre une préposition à la rime, choix qui rend la syntaxe difficile à percevoir, et
qui rend donc le texte plus ambitieux.
05Laquelle est notre vraie nounou
La vraie nounou
Allusion cachée à Rousseau ? Celui avait écrit : "La véritable nourrice est la mère." (Emile). Si oui, on pourrait croire
voir ici un "mater nostra" : au nom de la mère ("vraie nounou"), de la soeur ("petite soeur des pauvres") et du "principe
de la bonté féminine" (la "bonne fée")... Si non, on reconnaît tout de même le clin d'oeil du farceur mettant à l'envers le
296
patriarchat (cherchez la femme... derrière l'homme !)
06La p'tite soeur des pauvres de nous,
La petite soeur des pauvres de nous
Jeu de mots avec "Les Petites Soeurs des Pauvres" : communauté religieuse dont les membres sont au service des
personnes âgées démunies [Jeanne Jugan (1792-1879) est la fondatrice de cette congrégation ; elle a été béatifiée par
Jean-Paul II en 1982]
Complément
GB a renouvelé cette plaisanterie dans Mélanie, définie comme ancienne Enfant de Marie-Salope.
Complément
L'expression, amusante, est aussi parfaitement adéquate. "Pauvre de nous !" est une interjection de détresse collective.
Or, la bande de copains sera évoquée comme dansant bien souvent devant le buffet... : pauvre d'argent et parfois aussi
d'affection.
Complément
Sans doute, mais c'est encore plus amusant par l'allusion que fait GB à un ordre de religieuses, les "Petites Soeurs des
Pauvres" (il existe aussi les "Petits Frères.."). La conjonction avec l'expression courante "Pauvres de nous!" est un trait
d'humour que beaucoup, ignorant l'existance de cet ordre, laissent passer.
07Dans le guignon toujours présente
Guignon
Le guignon, ou la guigne ("J'ai encore perdu mes lunettes. Quelle guigne!"), c'est la malchance. Cf. l'hymne des
Bourguignons :
"Joyeux enfant de la Bourgogne
Je n'ai jamais eu de guigon
Quand je vois rougir ma trogne
Je suis fier d'être Bourguignon."
08Quelle est cette fée bienfaisante ?
Rimes du premier couplet
On constate une répétition binaire du jeu avec les rimes : rime par aphérèse (le deuxième mot est raccourci à partir du
premier) Babel-belle, rime dissyllabique légèrement irrégulière parmi-amis, rime par aphérèse nounou-nous (avec de
plus un jeu tautologique sur la syllabe "nou"), rime dissyllabique présente-bienfaisante. A la structure apparemment très
simple en rimes plates se superpose à l'échelle du couplet une structure d'alternance phonétique plus subtile.
Complément
Courte rectification, la rime "présente-bienfaisante" n'est pas dissyllabique, elle n'est que riche.
09C'est pas la femme de Bertrand
10Pas la femme de Gontrand
11Pas la femme de Pamphile,
12C'est pas la femme de Firmin
13Pas la femme de Germain
14Ni celle de Benjamin,
15C'est pas la femme d'Honoré
16Ni celle de Désiré
17Ni celle de Théophile,
18Encore moins la femme de Nestor
Encore moins la femme de Nestor
Du point de vue musical il y a dans ce vers une cassure rythmique qui vient du temps fort (et de l'accent) à deux reprises
sur une syllabe faible : "enCOre moins la femME de Nestor". On remarquera que dans les autres termes de cette litanie,
au mètre d'ailleurs variable (6 à 10 pieds) le e final de "femme" est élidé - comme dans "celle" - alors qu'ici il est
souligné à contretemps. J'y vois davantage une petite maladresse (exceptionnelle chez GB) qu'un effet voulu.
19Non, c'est la femme d'Hector !
Hector Nestor et les autres
Toujours dans son trip passéiste et nostalgique du XIXème siècle, GB donne ici à tous les copains de la bande des
prénoms qui, en vogue avant 1900, étaient d'un ringard total en 1950, avec un petit qqchose de comique, de
chaplinesque.
Complément
A signaler aussi la volonté de jouer avec les signifiants, c'est-à-dire de faire rimer entre eux des noms passés de mode
pour le pur plaisir phonique. On a bien affaire à une bande de carton-pâte : les amis n'existent pas vraiment, ce ne sont
que des prénoms rigolos et, par conséquent, la femme d'Hector elle-même est une légende, certes plaisante, que l'on
chante en se poussant du coude.
Et, bien entendu, cette galéjade repose sur une structure de rime assez subtile sur trois tercets et un distique. Je vous
épargne les codifications de type aabccc etc. et je signale simplement que la logique voudrait qu'il y ait un vers
supplémentaire rimant en "or" avec les deux derniers vers mais que son absence crée un effet de chute.
Complément
Ne peut-on voir une référence à la mythologie grecque, dont on sait que GB était friand et fin connaisseur? La femme
297
d'Hector, fils de Priam, roi de Troie, n'est autre qu'Andromaque, modèle de vertus domestiques et familiales...
Prénoms à la mode
Il est intéressant de noter que ces prénoms sont en train de revenir à la mode : j'ai parmi mes neveux et connaissances
quelques Bertrand, plusieurs Benjamin, un Théophile, et à défaut de Nestor, j'ai un Balthazar!
La Femme d'Hector est une vrai nounou
Brassens a écrit cette chanson pour la femme d'un ami intime, qui ne s'appelle pas Hector d'ailleurs mais dont le prénom
a la même terminaison. Ce n'est pas pour préserver son anonymat que Brassens a modifié ce prénom mais parce que
"l'effet sonore" rendu n'est pas le même.
Note : la femme d'Hector existe bel et bien, j'ai la chance de la connaître et elle et son mari sont des gens tout à fait
respectables et formidables.
20Comme nous dansons devant
Danser devant le buffet
Expression signifiant "n'avoir rien à manger"
21Le buffet bien souvent,
22On a toujours peu ou prou
23Les bas criblés de trous...
24Qui raccommode ces malheurs
25De fils de toutes les couleurs,
26Qui brode, divine cousette,
Cousette, midinette ou "petite main"
Jeune employée dans une maison de couture.
27Des arcs-en-ciel à nos chaussettes ?
Des arcs-en-ciel à nos chaussettes
Ce couplet est marquée par la métaphore filée (c'est le cas de le dire) de l'âme représentée par les chaussettes. On peut
penser qu'il s'agit d'une lointaine réminiscence de l'expression "avoir le moral dans les chaussettes". Le rôle de la femme
d'Hector dans cette métaphore filée est celui de la brodeuse de vie, la "divine cousette". Rappelons que dans la
mythologie grecques, trois divinités, les Parques tissaient, maintenaient et coupaient le fil des destinées humaines,
chacune assumant une de ces fonctions. La femme d'Hector semble être une Parque joyeuse, multicolore là où chaque
Parque n'est associée qu'à une seule couleur.
28C'est pas la femme de Bertrand
29Pas la femme de Gontrand
30Pas la femme de Pamphile,
31C'est pas la femme de Firmin
32Pas la femme de Germain
33Ni celle de Benjamin,
34C'est pas la femme d'Honoré
35Ni celle de Désiré
36Ni celle de Théophile,
37Encore moins la femme de Nestor
38Non, c'est la femme d'Hector !
Mais qui est la femme d'Hector ?
Hector serait Marcel et cette femme serait donc Jeanne!
39Quand on nous prend la main sac-
Sac -ré
L'enjambement pour la rime est audacieux et d'un réel effet comique.
40Ré Bon Dieu dans un sac,
41Et qu'on nous envoie planter
42Des choux à la Santé,
La Santé
Prison du XIVème arrondissement de Paris
Planter des choux
Périphrase pour désigner un séjour en prison. C'est décidément par un filtre obstinément optimiste que passent tous les
éléments possiblement tragiques de cette chanson.
A comparer par exemple avec la formule sarcastique de Celui qui a mal tourné :
[...] m'envoyer à la Santé
Me refaire une honnêteté
43Quelle est cell' qui, prenant modèle
44Sur les vertus des chiens fidèles,
Vertus
Notons que, selon une solide tradition objectivement misogyne, la vertu féminine par excellence est la fidélité et donc,
lorsque le mari est éloigné (prisonnier, marin, soldat, etc.), la chasteté. Double sens avec comparaison ironique sur les
"chiens fidèles" ou simple habitude de langage ? Difficile à dire...
298
Complément
Regarder les sculptures médiévales le long des murs dans les niches des églises : bien souvent, un chien fidèle se trouve
aux pieds du chevalier et de sa femme.
45Reste à l'arrêt devant la porte
Chien d'arrêt
Au contraire des chiens "courants" utilisés pour la chasse à courre, le chien d'arrêt s'immobilise le nez pointé vers le
gibier dès qu'il l'a localisé, et attend que le chasseur vienne le tirer.
Complément
L'expression est d'autant mieux choisie que les prisons sont officiellement des "Maisons d'arrêt".
46En attendant qu'on en ressorte ?
47C'est pas la femme de Bertrand
48Pas la femme de Gontrand
49Pas la femme de Pamphile,
50C'est pas la femme de Firmin
51Pas la femme de Germain
52Ni celle de Benjamin,
53C'est pas la femme d'Honoré
54Ni celle de Désiré
55Ni celle de Théophile,
56Encore moins la femme de Nestor
57Non, c'est la femme d'Hector !
58Et quand l'un d'entre nous meurt,
59Qu'on nous met en demeure
60De débarrasser l'hôtel
L'un d'entre nous ... l'hôtel
Le rapprochement entre la mort d'un membre de la bande et un espace clos n'est pas sans rappeler Les Copains d'Abord:
Quand l'un d'entre eux manquait à bord
C'est qu'il était mort.
Mais ici, il ne s'agit que de s'occuper de la dépouille : aucune douleur inconsolable n'est possible dans cette chanson
allègre.
61De ses restes mortels,
62Quelle est cell' qui r'mue tout Paris
63Pour qu'on lui fasse, au plus bas prix,
64Des funérailles gigantesques,
65Pas nationales, non, mais presque ?
66C'est pas la femme de Bertrand
67Pas la femme de Gontrand
68Pas la femme de Pamphile,
69C'est pas la femme de Firmin
70Pas la femme de Germain
71Ni celle de Benjamin,
72C'est pas la femme d'Honoré
73Ni celle de Désiré
74Ni celle de Théophile,
75Encore moins la femme de Nestor
76Non, c'est la femme d'Hector !
77Et quand vient le mois de mai,
78Le joli temps d'aimer,
79Que sans écho, dans les cours,
80Nous hurlons à l'amour,
81Quelle est cell' qui nous plaint beaucoup,
82Quelle est cell' qui nous saute au cou,
83Qui nous dispense sa tendresse,
84Toutes ses économies d'caresses ?
Tendresse et caresses pour tous
Il semble qu'il y ait là, comme d'ailleurs dans pas mal d'autres chansons de Brassens, un écho de son fameux roman de
jeunesse, La Tour des Miracles, où une certaine Annie Panpan était particulièrement accueillante pour tous les copains
de la bande (où l'on trouvait entre autres, Corne d'Aurochs).
économies
La femme d'Hector est une vraie Pénélope : elle attend un retour annoncé, celui du printemps éveillant la bande de
copains étant équivalent à celui d'Ulysse.
85C'est pas la femme de Bertrand
299
86Pas la femme de Gontrand
87Pas la femme de Pamphile,
88C'est pas la femme de Firmin
89Pas la femme de Germain
90Ni celle de Benjamin,
91C'est pas la femme d'Honoré
92Ni celle de Désiré
93Ni celle de Théophile,
94Encore moins la femme de Nestor
95Non, c'est la femme d'Hector !
96Ne jetons pas les morceaux
97De nos coeurs aux pourceaux,
Pourceau
Porc
Aux pourceaux
Évangile de St Matthieu VII, 6.
"Ne donnez pas aux chiens ce qui est sacré, ne jetez pas vos perles devant les porcs: ils pourraient bien les piétiner, puis
se retourner contre vous pour vous déchirer."
Plus familièrement, on dit "Donner de la confiture aux cochons".
Tout cela signifiant qu'il ne sert à rien de gaspiller ses talents pour les gens qui ne peuvent pas les apprécier.
98Perdons pas notre latin
99Au profit des pantins,
Perdre son latin
C'est ne rien comprendre à ce qui se passe
(Ex. Quel cafouillage! C'est à y perdre son latin!"). Mais ici, enchaînant sur la Langue des Dieux, GB veut dire perdre
son temps à parler le latin (la langue des clercs, des initiés, des poètes... et des Dieux) au profit de gens qui n'y
comprendraient rien.
100Chantons pas la langue des dieux
Langue des Dieux
Voir le commentaire du titre et des vers 11 à 14 de Tempête dans un bénitier.
101Pour les balourds, les fess'-mathieux,
Fesse-mathieu
Usurier, avare Larousse
102Les paltoquets, ni les bobèches
Paltoquet
(de "paletot" = casaque de paysan) homme grossier, insignifiant et prétentieux Larousse
Bobèche
Disque de verre ou de métal adapté à un bougeoir pour empêcher la bougie de couler || partie supérieure du chandelier,
où se place la bougie Larousse
Bobèche
Pitre, bouffon
103Les foutriquets, ni les pimbêches,
Foutriquet
Personnage insignifiant Larousse
Pimbêche
Femme prétentieuse qui fait des embarras Larousse
Foutriquet
(familier, péjoratif) personne chétive, de petite taille ; personne insignifiante
104Ni pour la femme de Bertrand
105Pour la femme de Gontrand
106Pour la femme de Pamphile,
Pamphile
GB s'est certainement souvenu d'une vieille chanson paillarde : "Le cordonnier Pamphile"
Par exemple ici : www.abbe-priape.com/chansons/pamphile.htm
Complément
En grec signifie "qui aime tout le monde"
107Ni pour la femme de Firmin
108Pour la femme de Germain
109Pour celle de Benjamin,
110Ni pour la femme d'Honoré
111La femme de Désiré
112La femme de Théophile,
300
113Encore moins pour la femme de Nestor
114Mais pour la femme d'Hector !
La femme d'Hector
N'oublions pas quand même que la femme d'Hector, le héros de la Guerre de Troie et adversaire malheureux d'Achille,
c'était Andromaque. Or Andromaque, au moins dans la tragédie de Racine, est un personnage à la vertu admirable, tout
entier défini par sa fidélité à son défunt mari. Ce qui n'est pas exactement le cas dans la chanson de Brassens,
affectueusement iconoclaste, une fois de plus.
Complément
La "vertu" d'Andromaque est peut-être moins "admirable" que celle de la femme d'Hector. Malgré le couplet "tendresse
et caresses pour tous" (v.77-84) il n'y a pas de connotation réellement sexuelle entre la femme d'Hector et les copains de
son mari, qui sont aussi les siens. Elle les écoute, les console, leur saute au cou et leur dispense même des caresses, mais
c'est qu'elle les traite comme ses grands enfants. Serait-elle comme une Jeanne en plus jeune?
La marche nuptiale 01Mariage d'amour, mariage d'argent,
02J'ai vu se marier toutes sortes de gens :
03Des gens de basse source et des grands de la terre,
04Des prétendus coiffeurs, des soi-disant notaires...
05Quand même je vivrais jusqu'à la fin des temps,
06Je garderai toujours le souvenir content
07Du jour de pauvre noce où mon père et ma mère
08S'allèrent épouser devant Monsieur le Maire.
S'allèrent épouser
Au lieu de "allèrent s'épouser" est une tournure un peu désuète, mais tout à fait classique, du moins en poésie.
09C'est dans un char à boeufs, s'il faut parler bien franc,
10Tiré par les amis, poussé par les parents,
11Que les vieux amoureux firent leurs épousailles
12Après long temps d'amour, long temps de fiançailles.
13Cortège nuptial hors de l'ordre courant,
14La foule nous couvait d'un oeil protubérant :
15Nous étions contemplés par le monde futile
16Qui n'avait jamais vu de noces de ce style.
Ce style
Selon l'ordre discographique, et si on excepte les poèmes des poètes mis en musique par lui, Brassens utilise ici pour la
première fois l'alexandrin et la strophe (sans refrain). Je le trouve prudent dans le rythme (un peu ennuyeux) et les rimes
sont peu nombreuses. J'ai toujours considéré cette chanson comme un exercice de "style". Ce n'est qu'à partir de la
chanson Pénélope (aussi sur le mariage) que cette nouvelle option va trouver son génial épanouissement et faire entrer
GB dans le Panthéon des grands poètes français.
Complément
Dans la versification classique, les rimes "moyennes" ont deux phonèmes en commun ; ici, elles sont nombreuses à en
compter trois ( [til], [mèr], [tèr], [koer], [loer] ), donc à faire partie des rimes riches, d'autant plus que certains groupes
de rimes se ressemblent et se rappellent les uns les autres. Je ne considère pas le rythme comme ennuyeux ; sa longueur,
sa "monotonie", sont à l'image d'une procession lente et appuient le ton triste d'un mariage bien proche d'un enterrement
(cortège, marche, vieux amoureux, syllepse sur le mot morgue, ambivalence des grandes orgues, musique utilisée
précédemment pour le texte L'enterrement de Verlaine). Les réseaux de sens sont riches (en sus de l'omniprésence de la
mort : char à boeufs // oeil protubérant : renversement, c'est la "foule" qui est bovine et bête. Exclusion sociale : mariage
devant monsieur le Maire et non à l'église, etc...). C'est donc à mon sens une oeuvre virtuose, dans laquelle musique et
texte se complètent à merveille.
Alexandrin
On trouve déjà l'alexandrin à cette époque, mais :
- en hétérométrie (P... de toi : les second et troisième vers de chaque strophe) ou en vers morcelé (Le mauvais sujet
repenti : où chaque ensemble de deux vers - octosyllabe + tétrasyllabe - donne un "alexandrin caché")
- en vers asymétrique (le quatrain d'introduction de Je suis un voyou - un alexandrin 7/5 au lieu de 6/6). Tout le reste de
la chanson Je suis un voyou continue cette structure 7/5 (7 = vers féminin / 5 = vers masculin).
Rythme
N'est-il pas frappant que cette chanson, qui raconte un mariage, est écrite sur un rythme d'enterrement ? Et que c'est
peut-être justement de cela qu'elle tire son mystère (elle est en mineur en plus, la tonalité de la mélancolie) et donc sa
poésie ?
Complément
Le rythme est en effet ici plus proche d'une marche funèbre que d'une noce : il est éclairé par l'image du "char à boeufs"
sans boeufs puisque tiré par les amis, poussé par les parents sous la pluie. Le mineur n'est pas une tonalité mais un mode
301
en musique. Il n'est pas nécessairement l'illustration de la mélancolie mais ici, c'est bien le cas.
Complément
Il est à remarquer que, bien que la chanson soit en mode mineur, la cadence de fin résout la chanson sur un accord
majeur, sorte de tierce picarde en terme musicologique. Cette "modulation" finale donne un effet renversant quant au
sens du rythme durant tout la chanson. Je serais d'avis que cette lourdeur illustre plutôt la lenteur du cortège. Cet accord
majeur représente et accompagne lui l'expression "vive la mariée" et lui donne de la force.
17Voici le vent qui souffle emportant, crève-coeur !
18Le chapeau de mon père et les enfants de choeur...
19Voilà la plui' qui tombe en pesant bien ses gouttes,
Homophonie ?
N'y a t-il pas un jeu de mots entre "en pesant" qui vient du verbe peser et "empesant" qui vient du verbe empeser
(amidonner) ?
empesant bien ses gouttes serait correct également dans le sens ou la pluie "alourdit" ses gouttes pour perturber la
marche nuptiale.
20Comme pour empêcher la noc', coûte que coûte.
21Je n'oublierai jamais la mariée en pleurs
22Berçant comme un' poupé' son gros bouquet de fleurs...
Un' poupé'
Noter que Brassens, en versificateur rigoureux, signale au moyen d'apostrophes que les "e muets" sont élidés (il ne les
prononce pas) dans la chanson. De même pour "la plui' ", "la noc' " et "les homm's"...
La chanson, forme de poésie populaire, se permet ce genre d'accroc que la poésie classique ne tolére pas.
23Moi, pour la consoler, moi, de toute ma morgue,
24Sur mon harmonica, jouant les grandes orgues.
Orgues
Cf. vers 19 de L'ancêtre.
25Tous les garçons d'honneur, montrant le poing aux nues,
26Criaient : "Par Jupiter, la noce continue !"
27Par les homm's décriée, par les dieux contrariée,
Décriée
Dénigrée, dépréciée (ici, le sujet est la noce)
28La noce continue et viv' la mariée !
La mauvaise herbe 01Quand l' jour de gloire est arrivé,
Le jour de gloire est arrivé
Clin d'oeil à l'hymne national français, la Marseillaise, que les vers suivants désapprouvent
Double sens
On peut aussi penser à la Libération de 1945
02Comm' tous les autr's étaient crevés,
03Moi seul connus le déshonneur
04De n' pas êtr' mort au champ d'honneur.
05Je suis d'la mauvaise herbe,
06Braves gens, braves gens,
07C'est pas moi qu'on rumine
08Et c'est pas moi qu'on met en gerbe...
Herbe
L'herbe (en fait, diverses plantes de la famille des Graminées) que ruminent les vaches, c'est aussi celle qui, fauchée et
séchée, leur permettra de survivre en hiver : c'est le foin.
Les graminées qu'on met en gerbe, c'est le blé, l'orge, le seigle, dont on moudra le grain pour en faire des farines et du
pain.
La mauvaise herbe, ortie, chardon ou autre, ne sert à nourrir ni les vaches ni les hommes. Elle n'a pas d'utilité sociale.
C'est ici une métaphore pour l'anarchiste que voulait être Brassens. Dans le langage courant, "C'est de la mauvaise
herbe" signifiait "Si ça n'est pas encore un voyou, il va le devenir rapidement".
09La mort faucha les autres
La mort
La mort, souvent représentée avec une faux, a fauché les autres (les bonnes herbes, opposées à la mauvaise) "au champ
d'honneur", c'est à dire à la guerre. Brassens continue à "filer la métaphore", c'est à dire à parler d'une chose (son parti-
pris anarchiste et pacifiste) en décrivant autre chose (l'herbe, le champ [d'honneur], les gerbes, la faux...).
10Braves gens, braves gens,
11Et me fit grâce à moi,
12C'est immoral et c'est comm' ça !
302
13La la la la la la la la
14La la la la la la la la
15Et je m' demand'
16Pourquoi, Bon Dieu,
17Ça vous dérange
18Que j' vive un peu...
19Et je m' demand'
20Pourquoi, Bon Dieu,
21Ça vous dérange
Vous
Dans la formulation concrète, trois acceptions de "vous" s'entremêlent:
1) vous - les braves gens
2) vous - Bon Dieu
3) vous - n'importe qui ("on")
Interprétation purement linguistique : si Sartre dit que "L'enfer c'est les autres", ce quatrain de Brassens dit que "Le Bon
Dieu c'est les braves gens".
22Que j' vive un peu...
ça vous dérange que je vive un peu
Brassens voit en ce champ une microsociété avec les plantes dites de "valeurs" et celles qui dérangent, tout comme
certaines personnes éprouvant quelques difficultés face aux personnes ne présentant peu ou prou d'aspect culturellement
commun...
Lorsqu'il répète "brave gens, braves gens", il évoque ici une provocation d'une personne née en périphérie qui, par
respect ironique, insiste sur sa condition sociale en mentionnant la leur. Qui plus est, dans les couplets, il va de soi
qu'une référence pécuniaire s'y décèle. On sent aisément l'air libertaire des jeunes gens voyageurs des régions
ardéchoises ou pyrénéennes.
23La fille à tout l'monde a bon coeur,
24Ell' me donne, au petit bonheur,
25Les p'tits bouts d' sa peau, bien cachés,
26Que les autres n'ont pas touchés.
Les petits bouts de sa peau bien cachés
Si la fille à tout le monde est une prostituée, il est rare qu'elle se déshabille entièrement pour ses clients. Le poète, en
revanche, a droit à un traitement de faveur. Sur ce thème des amours privilégiées du poète avec les prostituées, voir
Putain de Toi et Les croquants.
27Je suis d' la mauvaise herbe,
28Braves gens, braves gens,
29C'est pas moi qu'on rumine
30Et c'est pas moi qu'on met en gerbe...
31Elle se vend aux autres,
32Braves gens, braves gens,
33Elle se donne à moi,
34C'est immoral et c'est comme ça !
35La la la la la la la la
36La la la la la la la la
37Et je m' demand'
38Pourquoi, Bon Dieu,
39Ça vous dérange
40Qu'on m'aime un peu...
41Et je m' demand'
42Pourquoi, Bon Dieu,
43Ça vous dérange
44Qu'on m'aime un peu...
45Les hommes sont faits, nous dit-on,
46Pour vivre en band', comm' les moutons.
47Moi, j' vis seul, et c'est pas demain
48Que je suivrai leur droit chemin.
Les moutons
On connaît l'histoire des moutons de Panurge (dans le Pantagruel de Rabelais) pour qui ce chemin-là mène droit à la
noyade.
Nous dit-on
Sans oublier l'image chrétienne du mouton ("nous dit-on"). Jésus est le berger ("je le bon pasteur") et les hommes sont
les moutons ("et les brebis écoutent ma voix")...
49Je suis d' la mauvaise herbe,
303
50Braves gens, braves gens,
51C'est pas moi qu'on rumine
52Et c'est pas moi qu'on met en gerbe...
53Je suis d' la mauvaise herbe,
54Braves gens, braves gens,
55Je pousse en liberté
56Dans les jardins mal fréquentés !
57La la la la la la la la
58La la la la la la la la
59Et je m' demand'
60Pourquoi, Bon Dieu,
61Ça vous dérange
62Que j' vive un peu...
63Et je m' demand'
64Pourquoi, Bon Dieu,
65Ça vous dérange
66Que j' vive un peu...
La mauvaise réputation Ça ne saute pas aux yeux, mais...
Cette chanson a été traduite à l'espagnol par Pierre Pascal et chantée par Paco Ibañez. Ce qui est curieux, c'est que, ici
en Espagne, elle est comprise "surtout" comme une chanson de protestation "sociale", contre l'armée, la justice ... alors
qu'en fait, Brassens vise essentiellement ces "braves gens", comme il le fait dans bien d'autres chansons (Chanson pour
l'Auvergnat, etc.)
On a l'impression que pour Brassens, "l'ennemi", plus que la société, c'est "l'individu" qui permet cette société. Ne
disait-il pas que la vraie révolution consistait à devenir un meilleur individu jour après jour ?
Complément
Une anecdote racontée par Paco Ibanez lors d'un concert : la traduction de La mauvaise réputation eut un tel succès en
Espagne qu'une connaissance du chanteur lui dit un jour : "eh, Paco, j'ai entendu ta chanson reprise en français à la
radio!"
Complément
"Nous nous sommes trompés. Ce qu'il aurait fallu à ce pays, c'est une demi-douzaine de St François d'Assise répartis
sur le territoire."
Vladimir Ilitch Lénine, juste avant de perdre l'usage de la parole.
01Au village, sans prétention,
02J´ai mauvaise réputation.
03Qu´je m´démène ou qu´je reste coi
Rester coi
Rester calme, tranquille, silencieux Larousse
04Je pass´ pour un je-ne-sais-quoi !
05Je ne fais pourtant de tort à personne
06En suivant mon ch'min de petit bonhomme.
Chemin de petit bonhomme
Ici encore Brassens retourne une expression bien connue "suivre son petit bonhomme de chemin", qui signifie vivre
tranquillement, aller doucement, à son rythme.
07Mais les brav´s gens n´aiment pas que
Rime
"que" rimant avec "qu'eux": on voit que Brassens a joué dès ses débuts avec les rimes. Le mot à la rime porte par
définition un accent ; or il n'est pas conforme à l'usage français d'accentuer un mot-outil (comme l'est "que"). L'écart
provoque un effet assez violent, que chacun ressentira et interprétera ad libitum.
08L´on suive une autre route qu´eux,
Rime
Phonétiquement, la rime est fausse en ce qui concerne le français parlé (à l'époque de Brassens) au nord d'une ligne
Lyon-Bordeaux (en gros). Mais dans le Midi de la France, QUE est phonétiquement assez fermé et peut rimer avec
QU'EUX. Bizarrement d'ailleurs, les accents régionaux tendant à s'uniformiser sur les modèles de ce qu'on entend à la
radio et à la télé d'une part, et d'autre part sous l'influence des accents pied-noir et arabe depuis les années 60-70, il me
semble que la différence phonétique entre "E" et "EUX", de même que entre "É" et "Ê" est de plus en plus mince.
Écoutez les présentateurs télé : "Moi jeu dis queu c'é tré vré ceu queu vous nous dites là."
Complément
à ma connaissance, Brassens n'a pas confondu dans ses rimes é et è ce qui fut par contre le jeu de Bobby Lapointe.
Je souscris à cette analyse sur la dégradation de la prononciation chez les présentateurs télé mais il faut écouter
304
d'anciens interviews pour s'apercevoir que la tendance existait déjà il y plusieurs dizaines d'années.
En fait cette prononciation n'est peut être pas toujours à attribuer à des restes d'accent du midi (comme chez Julien Le
Pers ou Jammy Gouraud) mais peut être aussi à une mauvaise assimilation des phonèmes du français historique dans les
milieux artistiques souvent cosmopolites.
Parmi les mots les premiers touchés : mé, lé, fé, cé, déché, méfé,
09Non les brav´s gens n´aiment pas que
10L´on suive une autre route qu´eux,
11Tout le monde médit de moi,
12Sauf les muets, ça va de soi.
Mutisme et parole
Les deux derniers vers de ce couplet amènent une première image à propos des handicaps liés à la perte d'une fonction
corporelle. On retrouve le même thème métaphorique employé par GB dans Les patriotes.
Ici, "médire" renvoit à "mauvaise réputation" et "muets" à "rester coi".
Complément
Dans les refrains, iln'y apas toujours de rapport sémantique avec le couplet, par contre tout au long de la chanson on
peut observer une gradation :
- tout le monde médit de moi
- tout le monde me montre au doigt
- tout le monde se rue sur moi
- tout le monde viendra me voir pendu
voilà où mène la rumeur...
13Le jour du Quatorze Juillet
Brassens
Le 14 juillet, c'est le jour de la fête nationale de la prise de la Bastille. A cette occasion les troupes militaires françaises
défilent sur les Champs Elysées au son de la fanfare et sous le regard du Président de la République. Par ce vers,
Brassens exprime son refus de participer à ce genre de manifestation. Il préfère son "lit douillet" à "la musique qui
marche au pas". Par ces quelques vers, Brassens illustre à la fois son anticonformisme et son antimilitarisme.
Complément
Le 14 juillet ne commémore pas la prise de la Bastille (1789) mais la fête de la fédération (1790). Il est vrai qu'elle fut si
peu utile qu'on l'oublie facilement.
14Je reste dans mon lit douillet.
15La musique qui marche au pas,
Musique militaire
"Pour marcher au pas d'une musique militaire, il n'y a pas besoin de cerveau. Seule la moelle épinière suffit."
(Albert Einstein)
16Cela ne me regarde pas.
Regarde
On aurait pu avoir un octosyllabe comme Cela ne m'intéresse pas ou Cela ne me concerne pas... Mais le choix d'un
verbe appartenant au champ sémantique des 5 sens prouve encore une fois le souci du détail poétique cher à GB.
Complément
La mauvaise réputation
Le dernier vers de chaque couplet qui constitue une métaphore ironique sur les handicaps corporels renvoie au vers
précédent qui le justifie parfaitement : 1)"médit " et "les muets" 2) "montre au doigt" et "les manchots" 3) "se rue" et les
"culs de jatte" 4) vie,dra me voir " et les "aveugles" .
17Je ne fais pourtant de tort à personne,
18En n´écoutant pas le clairon qui sonne.
Clairon
Le clairon est le descendant du "buccin" romain et l'ancêtre de la trompette moderne. En fait c'est une trompette
primitive, sans pistons ni clés, et donc capable de jouer uniquement un nombre limité de notes, ce qui est apparemment
suffisant pour les grands succès de la musique militaire ("Troufion lève-toi", "V'là l'général qui passe", "Aux morts",
etc.).
Complément
GB connaissait peut-être la chanson intitulée "Bergeries" de Philippe Desportes (1546-1606) qui résume sa philosophie
épicurienne :
Ô bienheureux qui peut passer sa vie
Entre les siens franc de haine et d'envie
[...]
Et quand la nuit à son aise il sommeille
Une trompette en sursaut ne l'éveille
Pour l'envoyer du lit au monument.
19Mais les brav´s gens n´aiment pas que
20L´on suive une autre route qu´eux,
305
21Non les brav´s gens n´aiment pas que
22L´on suive une autre route qu´eux,
23Tout le monde me montre au doigt
24Sauf les manchots, ça va de soi.
Manchots
A la fin de ce deuxième couplet, la métaphore est filée, avec les manchots. Mais on ne retrouve pas de renvoi au corps
du couplet, qui, lui, ferait plutôt référence à la surdité.
A ce propos, un des nombreux traducteurs-adaptateurs de Brassens, Ralf Tauchmann, s'est permis justement de
remplacer dans une version allemande, les manchots, qui n'ont pas d'équivalents simples dans la langue de Goethe par
des sourds ; et alors un lien est créé entre ceux "qui prêtent l'oreille", "les sourds", "le clairon qui sonne" et "la musique
qui marche au pas".
Complément
A vrai dire, le renvoi à la surdité n'est que de surface ; ce dont il s'agit réellement est l'antimilitarisme, et c'est cette
attitude que "les braves gens" montrent du doigt, vilipendent.
25Quand j´croise un voleur malchanceux,
26Poursuivi par un cul-terreux,
27J´lance la patte et pourquoi le taire,
J'lance la patte
Pour lui faire un "croche-pied" ou "croc-en-jambe" qui le fera tomber.
28Le cul-terreux s´retrouv´ par terre.
Cul-terreux
Paysan Larousse
Cul-terreux
Le caractère "terreux" de ce cul qui se retrouve "par terre" montre combien il est bien à sa place
Cul-terreux
Paysan, oui, mais dans le langage populaire du XIXème siècle, ce vocable ne s'appliquait qu'aux "domestiques"
(manoeuvres)
Les propriétaires étaient qualifiés de "maître" ou "Baïle en languedoc"
29Je ne fais pourtant de tort à personne,
30En laissant courir les voleurs de pommes.
Voleur de pommes
Dans le folklore traditionnel, les voleurs de pommes sont les enfants ou les Gitans, lesquels ont aussi la réputation de
"voleurs de poules". On peut souligner la parenté de la bohème que vivent les Gitans avec l'anarchisme que professait
Brassens : ni Dieu, ni Maître.
Complément
Ne pas oublier que le discours catholique dénonce Adam et Eve comme les premiers voleurs de pommes de l'Histoire...
31Mais les brav´s gens n´aiment pas que
32L´on suive une autre route qu´eux,
33Non les brav´s gens n´aiment pas que
34L´on suive une autre route qu´eux,
35Tout le monde se rue sur moi,
36Sauf les culs-de-jatte, ça va de soi.
Cul-de-jatte
La jatte (lat. gabata = plat) est un vase rond et sans rebord ; par extension, un "cul-de-jatte" est une personne privée de
ses jambes Larousse
Culs-de-jatte
Métaphore toujours filée sur les handicaps corporels. Et les références au reste du couplet sont ici évidentes:
"poursuivi", "la patte", "courir", et même le mot cul de "cul-terreux" et "culs-de-jatte".
37Pas besoin d´être Jérémie,
Jérémie
Prophète biblique dont la prédiction a préparé le peuple juif à l'épreuve de l'Exil
Jérémiades
Dans le langage courant, Jérémie passe un peu pour un prophète de malheur, un spécialiste des lamentations. Au point
que "jérémiades" a fini par prendre le sens de lamentations incessantes, pas forcément fondées et particulièrement
pénibles pour les auditeurs. Ex: "Arrête un peu tes jérémiades, tu nous casses les pieds."
38Pour d´viner l´sort qui m´est promis,
39S´ils trouv´nt une corde à leur goût,
Corde à leur goût
Littéralement : s'ils trouvent le moindre motif...
Corde
A signaler par ailleurs que la corde du pendu, peut-être par hommage au célèbre poème de Villon, revêt une importance
réelle pour les bourreaux ou les bien pensants... Se souvenir de Celui qui a mal tourné :
306
Y s'voyaient déjà partageant
Ma corde, en tout bien tout honneur
En guise de porte-bonheur
40Ils me la passeront au cou,
41Je ne fais pourtant de tort à personne,
42En suivant les ch´mins qui n´mènent pas à Rome,
Les chemins qui ne mènent pas à Rome
Appropriation du proverbe "tous les chemins mènent à Rome"
Complément
En retournant cette expression bien connue, Brassens exprime son non-conformisme, son refus de suivre le même
chemin, de vivre la même vie, que les "braves gens", qui regardent de travers ceux qui pensent autrement qu'eux.
Rome
Sur le fond, les chemins qui mènent à Rome, résidence du Pape, sont ceux de la morale catholique, dont Brassens n'était
pas un adepte enthousiaste. Voir L'Antéchrist, entre autres.
Pour comprendre l'anticléricalisme de Brassens, il faut se souvenir qu'il a passé son enfance à entendre des sermons sur
"la France fille aînée de l'Église" et des chansons du genre "Catholique et Français toujours!" sous Pétain.
43Mais les brav´s gens n´aiment pas que
44L´on suive une autre route qu´eux,
45Non les brav´s gens n´aiment pas que
46L´on suive une autre route qu´eux,
47Tout l´mond´ viendra me voir pendu,
Tout l´mond´ viendra me voir pendu,
On peut rappeler ici qu'il n'y a pas si longtemps, le spectacle du "châtiment suprême" (mise à mort d'un condamné) était
un spectacle public et très couru... Drôles de moeurs.
Pendu
Il y a une obsession de la mort par pendaison chez Brassens. Voir Le verger du Roi Louis, La messe au pendu, Le
moyenâgeux, Le grand chêne...
48Sauf les aveugles, bien entendu.
Aveugles
La symétrie de la métaphore filée se poursuit jusqu'au dernier vers. Mais il n'est pas certain que l'on puisse trouver un
quelconque rapport entre la cécité et le reste du dernier couplet. Si ce n'est que Jérémie raconte dans l'Ancien Testament
comment Nabuchodonosor, roi de Babylone, détruisit le Temple de Jérusalem, tuant les fils de son vassal, Sédécias,
sous les yeux de celui-ci, avant de les lui crever.
La non demande en mariage Brassens et Puppchen
Au début des années 1950, Brassens rencontre une jeune femme née en Estonie, Joha Heiman, surnommée Puppchen :
un amour au départ quasi-clandestin (Joha est mariée, et son mariage se disloque) mais qui va durer jusqu'à la mort de
Georges, pendant plus de 30 ans, d'une façon assez particulière.
Louis-Jean Calvet, dans sa biographie de Brassens, nous raconte qu'"ils vivront une vie commune séparée, chacun chez
soi mais toujours ensemble. Chacun en effet a son appartement. Georges téléphone tous les jours à Joha qui passe le
voir fréquemment; elle ira avec lui dans sa maison de campagne à Crespières puis à Lézardrieux, elle le suivra en
tournée, toujours là, toujours dans les coulisses, veillant à tout. Mais en même temps, chacun gardera ainsi sa distance,
sa liberté." (L-J. Calvet, Georges Brassens)
Brassens pouvait-il rendre un plus bel hommage à Puppchen en chantant La non-demande en mariage, symbole de cet
amour sans entraves ?
Complément
Détail insolite : Sur la tombe de Brassens, une faute d’orthographe s’est glissée dans le nom de Püppchen. Ecrit avec « 2
pp » la traduction est bien « Petite poupée », mais écrit avec « 1 seul p » (et c’est le cas) la traduction devient « Petit pet
» !
01Ma mie, de grâce, ne mettons
02Pas sous la gorge à Cupidon
Cupidon
Le dieu latin de l'Amour (équivalent du grec Eros). De son arc, il décochait les flèches qui inspiraient l'amour.
Complément
Ma mie:
terme littéraire ancien. En utilisant ce mot, GB joue sur la dualité entre la distance temporelle du terme et le rapport
intime avec son amie; entre la liberté et l'amour.
03Sa propre flèche,
04Tant d'amoureux l'ont essayé
05Qui, de leur bonheur, ont payé
307
06Ce sacrilège...
Sacrilège
Ici, Brassens emploie le mot "sacrilège" pour parler du mariage qui est considéré par l'église catholique comme un
"sacrement"...
Sacrilège
En sous-entendant que le mariage est un sacrilège envers Cupidon (lui mettre la flèche sous la gorge)
07J'ai l'honneur de
Métrique, prosodie
Les six vers du refrain constituent deux alexandrins coupés en trois (trimètres) avec des rimes internes. Cela rappelle
une autre expérimentation rythmique très audacieuse et savante à la fois : celle dans Le vin (voir une note à cet endroit)
08Ne pas te de-
09Mander ta main,
De de dé
GB met l'accent sur les syllabes "de" "de" "dé" pour souligner l'idée du couple. Ou comment la forme rejoint finement
le fond...
10Ne gravons pas
Antithèse
Derrière les décors, on peut croire voir une antithèse avec "graver les noms sur un arbre". Dans son interview avec
Philippe Nemo, Brassens dit bien que cette chanson concerne la "cohabitation", car "le mariage n'est rien". Le fond
sentimental de cette chanson n'est pas moins vrai pour la cohabitation hors mariage, le PACS ou toute autre
organisation de cohabitation existante ou encore à venir.
11Nos noms au bas
12D'un parchemin.
Ne gravons pas nos noms...
C'est à dire ne signons pas d'engagement ni de contrat de mariage.
Graver sur un parchemin
Le verbe "graver" est là pour marquer le caractère définitif de la signature. Car, au sens propre, on écrit sur un
parchemin et on grave le métal ou la pierre, comme dans le v.15 de L'andropause : Ils gravent sur mon mur en style
lapidaire
Alexandrin ?
Au contraire de la première partie du refrain, Brassens chante d'un seul tenant ces trois vers, ce qui en fait de fait un
alexandrin, comme si le vers canonique était le plus approprié pour exprimer cette sentence.
A propos des jeux de rimes internes, il s'agit là d'un cas d'école : si l'on en fait un alexandrin, les deux mesures de
chaque hémistiche riment entre elles ("gravons" avec "nos noms" et "au bas d'un" avec "parchemin"), et l'on peut
conserver la diction en trimètre avec la rime entre "pas" et "bas"
13Laissons le champ libre à l'oiseau,
14Nous serons tous les deux priso-
15Nniers sur parole,
16Au diable, les maîtresses queux
Maîtresses queux
Un maître queux est un cuisinier
Complément
L'expression 'maîtresses queux', résume joliment ce que GB pense du mariage qui peut transformer une amante
(maîtresse) en cuisinière.
17Qui attachent les coeurs aux queues
Clinquante allitération
queux...Qui...coeurs....queux
Des sonorités qui laissent entendre les entrechoquement des casseroles avant que le mot apparaisse.
18Des casseroles !
19J'ai l'honneur de
20Ne pas te de-
21Mander ta main,
22Ne gravons pas
23Nos noms au bas
24D'un parchemin.
25Vénus se fait vieille souvent,
Vieillesse
Allitérations en v qui soulignent et font résonner le mot "vieille" (plus une assonance en "è" dans "fait")
26Elle perd son latin devant
Vénus qui perd son latin...
Ceci est d'autant plus drôle que Vénus est une déesse romaine.
27La lèchefrite...
308
Lèchefrite
(de lèche, et ancien français "froie" = frotte) : ustensile de cuisine placé sous la broche ou le gril pour recevoir le jus et
la graisse d'une pièce de viande mise à rôtir Larousse
28À aucun prix, moi je ne veux
A aucun prix
Les expressions équivalentes "en aucun cas" "d'aucune manière" "d'aucune façon" ne manquent pas. Mais à mon sens
Brassens n'a pas choisi le mot "prix" au hasard, on pourrait l'entendre ici comme le prix marchand de l'alliance,
soulignant le matérialisme et la symbolique à deux sous dont font preuve les mariés.
29Effeuiller dans le pot-au-feu
30La marguerite.
La marguerite dans le pot-au-feu
La même idée est exprimée dans Pénélope, mais vue "côté jardin", dans l'expression "mettre la marguerite au jardin
potager = introduire la poésie dans la vie quotidienne.
Mais toujours sans mettre son nom au bas d'un parchemin.
31J'ai l'honneur de
32Ne pas te de-
33Mander ta main,
34Ne gravons pas
35Nos noms au bas
36D'un parchemin.
37On leur ôte bien des attraits,
38En dévoilant trop les secrets
39De Mélusine.
Mélusine
Personnage d'un roman du XIVième siècle de Jean d'Arras, Mélusine est une fée qui après s'être fait jeter un mauvais
sort, se changeait en sirène tous les samedis. Ce secret ne devait être connu de personne afin qu'elle puisse garder son
apparence humaine pendant les autres jours de la semaine. Elle demanda donc à son futur époux, Raymondin, de ne
jamais chercher à connaître ses origines et de ne jamais la voir les samedis.
Complément
En faisant référence à Mélusine, Brassens indique que selon lui, l'amour ne peut durer qu'en respectant le jardin secret
de l'autre, sans doute la raison pour laquelle ils avaient fait le choix, avec sa compagne, de vivre séparément.
40L'encre des billets doux pâlit
Billets doux
Les billets doux sont évidemment les lettres d'amours
41Vite entre les feuillets des li-
Livre de cuisine
Ce passage rejoint l'idée déjà entamée plus haut quand Brassens dit: "Vénus [...] perd son latin devant la lèche-frite" =>
l'amour pâlit, s'affaiblit, dans la routine de la vie quotidienne, routine de préparer la cuisine par exemple.
42Vres de cuisine
43J'ai l'honneur de
44Ne pas te de-
45Mander ta main,
46Ne gravons pas
47Nos noms au bas
48D'un parchemin.
49Il peut sembler de tout repos
50De mettre à l'ombre, au fond d'un pot
Mettre à l'ombre
Peut aussi s'apparenter à l'emprisonnement, dû au mariage : notion de liberté restreinte, d'enfermement.
51De confiture,
52La jolie pomme défendue,
Pomme
Nouvelle variation sur les stéréotypes du sentiment amoureux, ici la pomme qu'Eve tend à Adam dans le jardin d'Eden,
souvent assimilée au péché de chair.
53Mais elle est cuite, elle a perdu
Cuite
Double sens : elle est littéralement cuite si elle a été réduite en confiture, mais aussi elle est cuite au sens de "elle est
fichue".
54Son goût "nature".
Nature
La pomme a perdu son goût "nature", c'est-à-dire que la relation du couple perd de sa spontanéité, voire son goût
309
d'"interdit"
55J'ai l'honneur de
56Ne pas te de-
57Mander ta main,
58Ne gravons pas
59Nos noms au bas
60D'un parchemin.
61De servante n'ai pas besoin,
De servante
Jolie homonymie que fait Brassens avec De Cervantes, l'auteur de Don Quichotte mentionné un peu plus loin.
62Et du ménage et de ses soins
63Je te dispense...
64Qu'en éternelle fiancée,
65À la dame de mes pensées
La dame de mes pensées
C'est un des clichés que Don Quichotte emploie pour désigner Dulcinée. Cliché qui viendrait des coutumes de la
chevalerie : l'aspirant chevalier pouvait fort bien dédier ses tournois et autres hauts faits à une "dame de ses pensées"
avec laquelle il n'avait qu'une relation platonique, pour la bonne raison qu'elle était souvent déjà mariée.
66Toujours je pense...
67J'ai l'honneur de
68Ne pas te de-
69Mander ta main,
70Ne gravons pas
71Nos noms au bas
72D'un parchemin.
Le gorille "Je me suis engagé"
En réalité, je me suis engagé. Seulement, les mauvais esprits ou ceux qui sont dépourvus d’esprit ne s’en sont pas
aperçus. Pour que les gens un peu imbéciles s’imaginent que vous êtes engagé, il faut que vous énonciez des faits, il
faut que vous leur disiez, voilà : "je suis contre la peine de mort". Moi, je n’ai pas dit "je suis contre la peine de mort",
j’ai écrit Le gorille.
Traductions
On trouve aujourd'hui sur internet au moins six traductions anglaises du Gorille, certaines sont très, très réussies. La
plus belle étant, selon moi, celle l'anglais Jake Thackeray.
Complément
Il y a aussi une merveilleuse traduction en italien de Fabrizio De Andrè,qui pendant sa vie avait pris Brassens comme
son exemple et son maître.
Complément
Il existe même une version en wallon (de Philippe Antoine)
Complément
Si l'anglaise est belle et l'italienne merveilleuse, la wallonne est savoureuse. Et de plus, aussi impertinente que
l'originale...
Métaphore du Gorille
GB se sert de l'image du gorille pour représenter "la chose sexuelle", que tout le monde connaît mieux que personne (cf
"Bien des femmes vous le diront") et dont chacun parle à voix basse bien que tous soient au courant.
Par extension, le gorille est donc une espèce de boîte de Pandore dont tout le monde connaît le contenu et que l'on
idéalise tant qu'elle est close, mais qui en fait, une fois ouverte, se révèle être le reflet de ce que l'on n'ose jamais
regarder en face, et par suite, la sanction de cette ignorance entretenue.
Complément
Le gorille représente en effet la puissance du sexe, idéalisé ou craint. On peut donc voir dans l'ouverture de la cage une
dangereuse libération des instincts sexuels les plus sauvages. Certes. Il n'est que d'examiner le cas des deux personnages
qui restent pour se rendre compte que cette métaphore (qui est en réalité plutôt une allégorie) est riche de sens
concernant deux cas de non-normalité sexuelle.
Selon l'interprétation ci-dessus, le désir devrait être inconnu de la vieille puisque le gorille s'en détourne. Et ce n'est pas
le cas : "Qu'on put encore me désirer Ce serait (...) inespéré. Ou alors il faudrait prendre l'adjectif "inespéré" dans son
sens littéral [non-espéré] et non dans son sens courant [espéré bien que très peu probable]. Ce n'est pas ainsi que
l'auditeur reçoit la chanson mais ce n'est pas impossible que GB ait inséré cette piste pour une lecture du texte plus
approfondie.
Pour ce qui est du juge, les choses sont bien plus claires : le gorille représente un désir homosexuel caché. Et le couplet
final expose en effet la sanction de cette ignorance entretenue. Freud parlerait sans aucun doute de refoulement. Mais ce
310
qui paraît central bien sûr, c'est l'association de l'acte sexuel et de la peine de mort (dans les deux derniers vers de la
chanson), le premier représentant une sorte de substitut de l'autre. C'est le désir sexuel qui permet de triompher de la
violence des échanges humains. "Faites l'amour et pas la guerre" en quelque sorte. Ce qui n'est pas sans rappeler le sens
de plusieurs autres chansons, par exemple Les lilas où la Porte des Lilas remplace la Porte d'Orléans, par où rentrent les
chefs de guerre (Leclerc, De Gaulle, mais aussi Jeanne d'Arc).
01C'est à travers de larges grilles,
02Que les femelles du canton,
Femelles
Relève du champ lexical de l'animal
03Contemplaient un puissant gorille,
04Sans souci du qu'en-dira-t-on ;
Qu'en dira-t-on
Ragot, cancan, commérage (il est amusant que ce soit les comméres elles-mêmes qui soient insouciantes des
commérages)
Complément
L'attitude des commères est le premier indice d'une inversion généralisée des codes : non seulement ce sont des
commères insensibles aux commérages mais de plus elles ne sont là que des "femelles" c'est-à-dire réduites au rang
d'animal.
A noter que dans cette logique de l'inversion, les commères ne parlent pas mais se contentent de regarder, puis de fuir,
alors que le gorille, lui, est doué de parole : ("C'est aujourd'hui que j'le perds"). Qui est l'humain, qui est l'animal ?
05Avec impudeur, ces commères
06Lorgnaient même un endroit précis
07Que rigoureusement ma mère
Ma mère
L'évocation de la mère à la fin de cette première longue phrase (le premier couplet) permet à Brassens d'imaginer un
personnage de narrateur de cette anecdote, personnage qui serait un jeune homme adepte des histoires grivoises et
libertaires mais en proie à la censure de la mère (cf. aussi le début du dernier couplet). Bien entendu, le contraste entre
ces deux faces du personnage de narrateur crée une tension comique (effets de censure / contenu osé).
Au passage s'instaure une opposition entre les commères et la vraie mère : les unes adulant le sexe du gorille, l'autre le
censurant.
08M'a défendu d' nommer ici...
09Gare au gorille !...
10Tout à coup, la prison bien close,
11Où vivait le bel animal,
12S'ouvre on n'sait pourquoi (je suppose
13Qu'on avait dû la fermer mal) ;
14Le singe, en sortant de sa cage
15Dit: "C'est aujourd'hui que j'le perds !"
16Il parlait de son pucelage,
17Vous aviez deviné, j'espère !
18Gare au gorille !...
19L'patron de la ménagerie
Ménagerie
Lieu où sont rassemblés des animaux rares (dans un jardin zoologique, dans les exhibitions foraines, etc.).
20Criait, éperdu : "Nom de nom !
21C'est assommant car le gorille
Assommant
Ennuyeux à l'excès
Assommant
Rappocher peut-être la force de ce mot et la puissance du gorille
22N'a jamais connu de guenon !"
Guenon
Singe femelle, ou femme très laide Larousse
Connu de guenon
"Connaître une femme" pour dire baiser, ça se trouve dans la Bible, au départ. C'est amusant de voir que dans cette
chanson carrément scandaleuse (elle a été censurée je crois), Brassens emploie la formule la plus distinguée et
pudibonde pour dire coucher. Encore un sacrilège de sa part...
Et en plus, dire "connaître" pour une guenon, c'est ravaler les hommes au rang de singe, et contredire la religion
(l'homme créé à l'image de Dieu, roi de la création, etc.)
Connu
Les deux sens, bien sûr, ont leur valeur en même temps dans la chanson. C'est un double sens, qui permet un double
311
niveau de lecture. Bref, c'est de la poésie.
23Dès que la féminine engeance
Engeance
Ensemble de personnes méprisables Larousse
Complément
Ce n'est sans doute pas ce sens du mot "engeance" qu'il faut comprendre ici, mais celui, archaïque, de "race d'animaux",
que Brassens rapproche peut-être du verbe "engendrer" (dont il est historiquement distinct) pour en faire un synonyme
de "congénère".
24Sut que le singe était puceau,
25Au lieu de profiter de la chance
26Elle fit feu des deux fuseaux !
Fuseau
Pantalon de sport dont les jambes vont en se rétrécissant vers le bas ; le port de ce pantalon rend ces femelles d'autant
moins sensuelles, et d'autant plus disposées à s'enfuir
Faire feu
Penser au coup de pistolet qui donne le départ des courses de vitesse
Faire feu des deux fuseaux
Il s'agit là d'une "métaphore-valise" au sens des "mots-valises" de Lewis Caroll : on en a deux pour le prix d'une :
- 1. Faire feu des quatre fers, c'était, pour un cheval, dont les quatre fers faisaient des étincelles sur le pavé, démarrer en
trombe.
- 2. Tricoter des fuseaux, c'est courir. Les jambes comparées à des fuseaux, c'est vieux comme les quenouilles et les
rouets (ça n'a pas attendu les sports d'hiver). Le fuseau, c'était la baguette sur laquelle s'enroulait la laine filée en prenant
la forme d'une pelote allongée, "fuselée" justement. La quenouille était l'autre baguette où était enroulée "en vrac" la
laine pas encore filée.
Expression combinée
Pour être plus précis, il s'agit de la fusion entre "faire feu des quatre fers", c-à-d "démarrer au galop" (pour un cheval,
fait référence aux étincelles causées par ses fers) et "tricoter des fuseaux" pour "courir", l'analogie fuseau/jambe ayant
déjà été expliquée.
C'est un procédé familier à GB (voir Auprès de mon arbre, fumer le tabac de la vache enragée, entre cent exemples).
Elle fit feu des deux fuseaux
Expression qui signifie "prendre ses jambes à son cou"
Piquer des deux
L'expression "piquer des deux" est une expression équestre qui signifie "lancer son cheval au galop". La similitude de
cette expression avec celle employée par GB n'est peut-être pas innocente, d'autant qu'avec un fuseau on se pique (et on
s'en trouve parfois ensommeillé pendant 100 ans...)
Fit feu des deux fuseaux
Notable allitération en [f] qui souligne la vitesse de l'action, rappelant le son dû au passage d'un objet à grande célérité.
27Gare au gorille !...
28Celles-là mêmes qui, naguère,
29Le couvaient d'un oeil décidé,
30Fuirent, prouvant qu'ell's n'avaient guère
31De la suite dans les idées ;
Ni par l'esprit
Dans cette anecdote, on assiste à une série de mauvais choix dus à un défaut d'intelligence : celui-ci, où les commères
fuient ce qu'elles devraient rechercher, celui du juge, qui reste là où il devrait fuir, en dépit du bon sens ("La suite lui
prouva que non") et bien sûr celui du gorille, qui préfère le juge à la vieille, privilégiant ainsi le viol à l'acte consenti,
puisqu'il ne brille Ni par le goût ni par l'esprit
32D'autant plus vaine était leur crainte
33Que le gorille est un luron
Luron
Personne joyeuse, sans souci, hardie en amour Larousse
34Supérieur à l'homme dans l'étreinte,
Supérieur à l'homme dans l'étreinte
Pour certains, la taille du sexe masculin en érection est un critère de "performance" sexuelle, un plus grand pénis
signifiant une meilleure "performance". Or, sauf erreur, le gorille moyen ne dépasse pas les 4 cm lorsqu'il bande.
35Bien des femmes vous le diront !
Des femmes vous le diront
Avec Beaucoup d'humour, G.B. sous entend ici, pour en tirer des comparaisons, que bien des femmes ont essayé
"l'étreinte" avec des gorilles...
Bien des femmes vous le diront
Souligne une fois de plus la contradiction féminine symbolisée plus haut...
36Gare au gorille !...
312
37Tout le monde se précipite
38Hors d'atteinte du singe en rut,
Rut
(lat. rugitus = rugissement) état physiologique des mammifères qui les pousse à rechercher l'accouplement Larousse
39Sauf une vielle décrépite
Décrépite
Affaiblie par l'âge Larousse
40Et un jeune juge en bois brut ;
En bois brut
De par ses fonctions, le juge doit rester "de bois", c'est à dire impassible, lorsqu'il décide d'envoyer un condamné en
prison ou à la guillotine. L'indifférence des juges à la souffrance des condamnés est un thème qui doit remonter à
Villon, un des maîtres de Brassens. Le dernier couplet va nous nous éclairer là-dessus.
Par rapport au "bois brut"
... mais en plus si le juge doit rester de bois, c'est le gorille qui, lui, ne le reste pas (il a la trique)
Juge en bois brut
Mal dégrossi, sans expérience, tout neuf dans sa profession, du fait de sa jeunesse. Cette inexpérience va lui être
"fatale"!
Bois brut
Bois brut... comme le bois de justice, ancienne appellation de l'échafaud.
41Voyant que toutes se dérobent,
42Le quadrumane accéléra
Quadrumane
Qui a quatre mains
Complément
Jeu amusant avec les termes zoologiques : on attendrait bien plutôt "quadrupède" opposé aux bipèdes humains. Le
gorille marche sur ses mains, se rapprochant par là du monstre.
43Son dandinement vers les robes
Dandinement
Un dandin est un homme niais, aux manières gauches Larousse
Le 'dandinement' prend sa racine dans ce mot, et la démarche en question n'est donc pas très assurée.
Complément
La démarche dénote un manque d'assurance chez un humain, mais pas chez cet animal qui, Brassens l'a rappelé, est
quadrumane. son dandinement me semble donc naturel, en course.
Complément
Ce qui est frappant avec ce "dandinement", c'est que, du coup, le gorille lui aussi est ridicule. Dans cette histoire, aucun
personnage ne mérite le respect ou l'admiration. C'est une chanson d'un Brassens persifleur, où tout (et tous) prête à rire.
44De la vieille et du magistrat !
Les robes
A noter la similitude faite entre les robes des juges et des vieilles... On pourra également songer aux robes des
ecclésiastiques, autre profession peu prisée de GB.
45Gare au gorille !...
46"Bah ! soupirait la centenaire,
47Qu'on puisse encor' me désirer,
48Ce serait extraordinaire,
49Et, pour tout dire, inespéré !"
50Le juge pensait, impassible:
Impassible
Qui ne manifeste aucun trouble, aucune émotion, aucun sentiment Larousse
51"Qu'on me prenn' pour une guenon,
52C'est complètement impossible..."
53La suite lui prouva que non !
54Gare au gorille !...
55Supposez qu'un de vous puisse être,
56Comme le singe, obligé de
Obligé
Avec humour, on note que si le choix du partenaire est laissé au gorille, celui de perdre son pucelage est un impératif...
57Violer un juge ou une ancêtre,
58Lequel choisirait-il des deux ?
59Qu'une alternative pareille,
60Un de ces quatre jours, m'échoie,
313
échoir
Arriver par hasard Larousse
61C'est, j'en suis convaicu, la vieille
62Qui sera l'objet de mon choix !
Couplet délibératif
Dans ce couplet, le narrateur fait une pause dans la narration pour examiner le choix qui s'offre au gorille. Ce faisant, il
ouvre sur deux récits possibles (violer la vieille ou le juge), ce qui est le principe même du récit édifiant du prêche :
mettre le croyant en position de choisir entre deux voies, l'une étant censée être celle de la tentation et l'autre celle de la
rédemption. Il y a donc bien ici une parodie du discours parabolique et moral de l'Eglise. Le discours moral tombe a
fortiori en quenouille au couplet suivant, où le fruit de cette réflexion délibérative est annulé par le choix réel de
l'animal, dont le narrateur semble suggérer son "goût" vicié pour ceux de son sexe plutôt que pour le sexe opposé.
Jouissive mise en faillite du discours moralisant petit-bourgeois représenté également par les incursions de la mère dans
le cours du récit.
63Gare au gorille !...
64Mais, par malheur, si le gorille
65Aux jeux de l'amour vaut son prix,
66On sait qu'en revanche il ne brille
67Ni par le goût, ni par l'esprit.
68Lors, au lieu d'opter pour la vieille,
Au lieu d'opter pour la vieille
Allégorie de l'erreur judiciaire : le gorille choisit un homme au lieu d'une femme tout comme le juge peut condamner à
mort un innocent au lieu du vrai coupable
69Comme aurait fait n'importe qui,
70Il saisit le juge à l'oreille
71Et l'entraîna dans un maquis !
72Gare au gorille !...
73La suite serait délectable,
74Malheureusement, je ne peux
75Pas la dire, et c'est regrettable,
Malheureusement / c'est regrettable
Le narrateur semble empêché de poursuivre sa narration par une force extérieure. On peut y voir un rappel du
personnage de la mère évoqué au premier couplet, et de toute façon une forme de censure moralisante interdisant gros
mots et paillardises.
76Ça nous aurait fait rire un peu ;
77Car le juge, au moment suprême,
78Criait : "Maman !", pleurait beaucoup,
79Comme l'homme auquel, le jour même,
80Il avait fait trancher le cou.
Trancher le cou
L'ironie de la situation traduit la prise de position de Brassens contre la peine de mort (qui ne fut abolie en france que le
9 octobre 1981... Brassens est mort le 29)
81Gare au gorille !...
Suite et fin ?
Trouvée sur Internet (membres.lycos.fr/textesbrassens/le_gorille.html), ce dernier couplet qui fut, parait-il, retiré de la
chanson par G. Brassens :
Nous terminerons cette histoire
Par un conseil aux chats-fourrés
Redoutant l'attaque notoire
Qu'un d'eux subit dans des fourrés :
Quand un singe fauteur d'opprob'e
Hante les rues de leur quartier
Ils n'ont qu'à retirer la robe
Ou mieux à changer de métier.
Le mécreant 01Est-il en notre temps rien de plus odieux,
02De plus désespérant, que de n'pas croire en Dieu ?
03J'voudrais avoir la foi, la foi d'mon charbonnier,
La foi du charbonnier
Vieille expression désignant "la foi humble et naïve des simples". Le Petit Robert
"Cet homme avait la foi du charbonnier. Il aimait la Sainte Vierge comme il eût aimé sa femme." (Balzac)
314
Les charbonniers étaient, avant l'époque des houillères, les paysans qui, en dehors des travaux de saison, arrondissaient
leurs fins de mois en allant faire du charbon de bois dans les forêts. Ils y vivaient en campement, dans des conditions
assez primitives.
04Qui est heureux comme un pape et con comme un panier.
05Mon voisin du dessus, un certain Blais' Pascal,
Blaise Pascal
Blaise Pascal conçut vers 1656 l'idée d'une "apologie de la religion chrétienne", mais il mourut sans l'avoir terminée.
Des fragments en furent néanmoins publiés après sa mort sous le titre de "pensées". Dans ce texte, Pascal en arrive à
conclure que seule la religion peut venir en aide à l'homme. Mais comment acquérir la foi ? Par la prière, assure-t-il.
Complément
"Si dieu n'existe pas, on ne perdra rien à croire en lui, alors que s'il existe, on perdra tout en n'y croyant pas."
Blaise Pascal
06M'a gentiment donné ce conseil amical :
07Mettez-vous à genoux, priez et implorez,
08Faites semblant de croire, et bientôt vous croirez.
Faites semblant de croire
Ce vers est une allusion directe au fameux "pari" de Pascal, qui tentait de prouver par l'argument suivant que sa
croyance en Dieu était rationnelle : "Si Dieu n'existe pas, on ne perdra rien à croire en lui, alors que s'il existe, on perdra
tout en n'y croyant pas".
Complément
Pascal n'exposait pas un argument pour prouver l'existence de Dieu. Il appliquait à notre comportement hésitant la règle
des probabilités qu'il avait découverte. Disons que Pascal a "mathématiquement" raison. C'est d'ailleurs très curieux
qu'il n'ait jamais eu de contradicteurs. Prévert (cf. Les paris stupides dans Paroles) lui oppose le mépris mais Brassens,
lui, cherche une issue par l'expérimentation.
Complément
Dire que Pascal n'a pas eu de contradicteurs dans son syllogisme dit du "pari" est un peu aventuré. Sans attendre le Curé
Meslier, ni Voltaire, ni Sade, nombreux sont les libres-penseurs qui ont dénoncé la faiblesse de l'argumentation suivant
laquelle, si Dieu n'existe pas, on ne perd rien à croire en lui ! Ils n'étaient pas en peine, au contraire, de prouver tout ce
qu'on y perd, surtout aux XVIIe et XVIIIe s. où la pratique religieuse (et pas seulement janséniste) était une école de la
mortification la plus malsaine.
09J'me mis à débiter, les rotules à terre,
10Tous les Ave Maria, tous les Pater Noster,
11Dans les ru's, les cafés, les trains, les autobus,
12Tous les De Profundis, tous les morpionibus...
De Profundis, morpionibus
C'est le refrain d'une célèbre chanson paillarde que l'on trouve sous diverses versions plus ou moins expurgées...
Tapez "morpionibus" sous votre moteur de recherche favori pour les paroles...
Voir également Les quat'z'arts
13Sur ces entrefait's-là, trouvant dans les orties
Orties
Les orties poussent volontiers dans les terrains vagues et les décharges. Jeter quelque chose aux orties, c'est s'en
débarrasser.
Se débarrasser de sa soutane, pour un curé, c'est se défroquer, c'est à dire quitter son ministère de prêtre. Le problème
des prêtres défroqués a pas mal agité l'opinion (encore très catholique) dans les années 50, en particulier à la suite du
mouvement des prêtres ouvriers. Nombre d'entre eux avaient repris une vie laïque (en même temps que leur carte de la
CGT). Rome devait donner un coup d'arrêt au mouvement en 54. Voir à ce propos le roman de Gilbert Cesbron : Les
Saints vont en Enfer, et le film de Léo Joannon : Le Défroqué, avec Pierre Fresnay.
Jeter le froc aux orties
Fig. et familièrement. Jeter le froc aux orties: renoncer à la profession monacale. 'Un compère qui avait jeté le froc aux
orties, ne devait pas être de trop bonnes moeurs', SÉVIGNY 237. [Le Littré]
Jeter le froc aux orties
Il est intéressant de noter que dans toutes les matières médicales phytothérapeutiques, spagyriques et
aromathérapeutiques, l'ortie est reconnue comme purificatrice. En effet, elle purifie les terrains où elle pousse (souvent
des terrains à gravats). Ainsi le défrocage du prêtre est-il une action purificatrice pour ce dernier. Larcin verbal peut-être
bien involontaire, mais rajoutant à l'anticléricalité de Georges Brassens.
14Un' soutane à ma taille, je m'en suis travesti
Soutane
Il s'agit probablement d'une allusion au père Duval cité nommément dans "les trompettes de la renommée".
15Et, tonsuré de frais, ma guitare à la main,
Tonsuré
Voir le commentaire sur la tonsure dans Trompettes de la Renommée
16Vers la foi salvatrice, je me mis en chemin.
315
17J' tombai sur un boisseau d'punais's de sacristie,
Boisseau
Mesure de capacité pour les grains ; sans doute brassens fait-il allusion aux chapelets égrenés par les punaises de
sacristie
Punaise de sacristie
Bigote
18Me prenant pour un autre, en choeur, elles m'ont dit :
Un autre
Probablement le Père Duval, que Brassens appelle "La calotte chantante" dans les Trompettes de la Renommée.
19Mon père, chantez-nous donc quelque refrain sacré,
20Quelque sainte chanson dont vous avez l' secret !
21Grattant avec ferveur les cordes sous mes doigts,
Grattant avec ferveur
Moi qui suis toujours séduit par le talent mélodique de GB, je fais exception pour cette chanson : je la trouve fatigante,
très courte, répétitive, très revancharde. Mais je ne peux me résigner à penser qu'il ne l'ait pas voulue ainsi. Car si le
texte n'est pas des plus méchants par rapport à la religion puisque tout y est absurde et qu'il fustige la bigotterie plutôt
que la foi, la mélodie par contre paraît hargneuse, ce qui n'est pas habituel chez GB.
Complément
Cette mélodie courte et répétititive me semble être une parodie de musique de cantique.
22J'entonnai Le Gorille avec Putain De Toi.
Auto-citations
Il semble que ce soit ici la seule fois que GB fasse allusion à des titres de ses chansons : Le gorille et P... de toi.
De même, il ne s'est qu'une seule fois nommé ou plutôt prénommé (bien qu'il parle très souvent à la première personne
du singulier), c'est dans Le bulletin de santé : Ne dites pas : "C'est Tonton Georges qui expire"
23Criant à l'imposteur, au traître, au papelard,
Papelard
Nom et adjectif : faux dévôt, tartuffe, hypocrite.
24Ells veul'nt me fair' subir le supplic' d'Abélard,
Abélard
Philosophe et théologien français du XIme siècle dont le nom est resté connu en raison de sa passion pour Héloïse,
nièce d'un chanoine qui le fit châtrer par des gens à sa solde
25Je vais grossir les rangs des muets du sérail,
Muets du sérail
Allusion aux eunuques, seuls hommes autorisés à approcher les femmes du harem dans le palais du sultan de la turquie
ottomane
26Les bell's ne viendront plus se pendre à mon poitrail,
27Grâce à ma voix coupée j'aurai la plac' de choix
Voix coupée
évocation des castrats, chanteurs qu'on castrait jadis avant la puberté pour qu'ils gardent une voix aigüe
28Au milieu des Petits Chanteurs à la Croix d'Bois.
Les Petits Chanteurs à la Croix de Bois
Manécanterie, ou chorale d'enfants, au répertoire religieux à l'origine, qui connut un certain succès en France pendant
les années 50/60, aux débuts du microsillon. Fondés en 1908 par l'Abbé Maillet, ils existent encore et ont même un site
sur le net : www.lespetitschanteursalacroixdebois.com
Chanteurs à la Croix de Bois
Il y a peut-être dans cette chanson l'expression d'un agacement face à l'envahissement dans les années 50 des chanteurs
"calotins"...
29Attirée par le bruit, un' dam' de charité,
Les Dames de Charité
01/09/1823 : L'Abbé Poirot fonde, à Château-Salins l'Association des Dames de Charité qui a pour objet "la charité à
domicile". Douze dames étaient chargées, à tour de rôle, de visiter les malades et de distribuer des secours en nature.
(Trouvé sur le site de la Gazette Vicoise)
Sous le Second Empire, cette association de bienfaisance avait des antennes dans la France entière.
30Leur dit : "Que faites-vous ? Malheureus's, arrêtez !
31Y'a tant d'hommes aujourd'hui qui ont un penchant pervers
32À prendre obstinément Cupidon à l'envers,
Homophobie
Difficile, ici, de ne pas noter, avec l'adjectif "pervers", l'homophobie de GB, qui n'avait d'ailleurs rien de "politiquement
incorrect" à l'époque.
Complément
Pour moi ces 3 dernièrs vers sont à mettre dans la bouche de la sus-dite "dame de charité" ainsi que les 2 qui suivent car
comme on le voit bien ils sont encadrés de " ... " .
316
Je ne connais pas trop l'état d'esprit de Brassens à ce sujet mais je pense qu'il fait là, comme dans le reste de son oeuvre,
son travail d'observateur et de critique de la société de son époque.
33Tant d'hommes dépourvus de leurs virils appas,
34À ceux qui en ont encor' ne les enlevons pas !"
35Ces arguments massues firent un grosse impression,
36On me laissa partir avec des ovations.
37Mais, su' l' chemin du ciel, je n' ferai plus un pas,
38La foi viendra d'ell'-même ou ell' ne viendra pas.
39Je n'ai jamais tué, jamais violé non plus,
Notion de crime
Notez que notre ami place le viol comme deuxième plus grand crime, après le meurtre, mais avant le vol (contrairement
à ce que dictent les évangiles).
40Y'a déjà quelque temps que je ne vole plus,
Je ne vole plus
Allusion aux ennuis que Brassens aurait eus avec la police dans sa jeunesse pour quelques larcins.
Voir Les quatre bacheliers. Il aimait beaucoup, dans ses premières chansons (Je suis un voyou, La mauvaise réputation,
L'Auvergnat, Putain de toi, Le mauvais sujet repenti...) sous-entendre qu'il avait eu un passé un peu agité. C'était moins
une pose qu'une façon de se ranger du côté des "voleurs de pommes" et des rejetés de la société.
41Si l'Éternel existe, en fin de compte, il voit
42Qu' je m' conduis guèr' plus mal que si j'avais la foi.
Conclusion
C'est la conclusion de cette chanson. Pied de nez à la religion.
Guère plus mal
D'où l'inutilité de tenter le pari de Pascal (voir le film Ma nuit chez Maud de Rohmer)
Le pornographe Pornographe
(du grec "pornê" = prostituée, et "graphein" = écrire) auteur spécialisé dans la représentation complaisante d'actes
sexuels, en matière littéraire, artistique ou cinématographique Larousse
01Autrefois, quand j'étais marmot,
02J'avais la phobie des gros mots,
03Et si j' pensais "merde" tout bas,
04Je ne le disais pas...
05Mais
06Aujourd'hui que mon gagne-pain
07C'est d' parler comme un turlupin,
Turlupin
Henri Le Grand, dit Belleville ou Turlupin (Paris 1587 - id. 1637) : acteur français ; farceur sur les tréteaux de la Foire
Larousse
Les turlupins
Egalement le nom d'une secte aux XIIe et XIVe siècles. Selon le GRAND DICTIONNAIRE UNIVERSEL (Larousse
1876):
"Les turlupins se rattachaient peut-être aux vaudois et aux bégards. Ils se nommaient eux-mêmes Société des pauvres,
enseignaient que l'homme peut arriver dans cette vie à l'impeccabilité et furent accusés de se livrer aux plus honteux
désordres. Excommuniés par Grégoire XI en 1372, ils furent détruits par les ordres du roi de France Charles V."
On y lit également :
"DAUBENTON, DAUBENTONNE ou DABENTONNE (Jeanne ou Pieroime), née à Paris, où elle fut brûlée vive en
1372. Elle se mêla à une bande de turlupins, au milieu desquels elle joua un rôle des plus actifs. Devenue l'éloquente
interprète de leur doctrine, elle se livra à la prédication, annonça que l'idéal de la perfection chrétienne consiste à être
pauvre et à aller à-peu près entièrement nu, que tous les devoirs religieux doivent se réduire à une simple oraison
mentale, et enfin que, pour les saints, c'est-à-dire les adeptes de ses idées, il n'y a nul péché à satisfaire ses passions et
tous les désirs des sens. Condamnée au supplice du feu, Jeanne Daubenton fut brûlée en place de Grève."
08Je n' pense plus "merde", pardi !
09Mais je le dis.
10J'suis l' pornographe
11Du phonographe,
12Le polisson
13De la chanson.
14Afin d'amuser la gal'rie
15Je crache des gauloiseries,
317
Gauloiserie
1. Caractère de ce qui est gaulois, exprimé de façon libre.
2. Propos libre ou licencieux.
Larousse
16Des pleines bouches de mots crus
17Tout à fait incongrus...
18Mais
19En m' retrouvant seul sous mon toit,
20Dans ma psyché j' me montre au doigt
Psyché
(de "Psyché" = dans la mythologie grecque, jeune fille d'une grande beauté aimée par Éros, grâce à l'amour duquel elle
deviendra immortelle après une longue suite d'épreuves)
- grand miroir mobile par rapport au châssis, posé au sol, qui le supporte
- au sens philosophique, synonyme du "moi" pris dans ses composants relationnels et affectifs Larousse
21Et m' crie : "va t'faire, homme incorrect,
22Voir par les grecs"
23J'suis l' pornographe
24Du phonographe,
25Le polisson
26De la chanson.
27Tous les sam'dis j' vais à confess'
28M'accuser d'avoir parlé d' fess's
29Et j'promets ferme au marabout
Le marabout
Ici, c'est bien sûr le curé à qui le poète confesse ses péchés. Dans le Maghreb, un marabout est un saint homme, souvent
un ermite, à qui l'on rend visite lorsqu'on a des problèmes. Il peut être un peu sorcier sur les bords, mais pas
nécessairement. Par extension, le marabout désigne aussi la petite maison carrée, blanche, dans laquelle il vit, à l'écart
de la ville ou du village.
30De les mettre tabou...
Tabou
Les langues polynésiennes (tahitien, hawaïen, maori...) nous ont donné trois mots devenus assez courants. Le "tabou",
c'est l'interdit, au sens profane autant que sacré (d'ailleurs sacré signifie bien interdit, à l'origine).
Il y a aussi le "tatau", qui, par l'anglais "tattoo", a donné notre tatouage, adopté par les baleiniers au XIXème dans les
Îles Marquises. Et enfin le "mana", pouvoir charismatique des chefs, mais aussi des lieux et des objets.
31Mais
32Craignant, si je n'en parle plus,
33D' finir à l'Armée du Salut,
L'Armée du Salut
Dissidence de l'Église Méthodiste d'Angleterre, l'Armée du Salut a été fondée en 1865 par William Booth (1829-1912)
qui s'adjugea le titre de "général". (L'organisation "militaire" n'était pas si nouvelle que ça: déjà au XVIIème siècle, les
Jésuites se voulaient soldats du Christ et sont encore à cette heure dirigés par un "général" depuis Rome.)
Le ridicule des uniformes que ses membres continuent à porter, leurs fanfares et leurs cantiques ringards ne doivent pas
faire oublier le travail considérable que l'AS fait depuis le début, c'est à dire plus d'un siècle, en direction des plus
démunis et de ceux qui sont rejetés par la société. Et ce, dans le monde entier.
Complément
GB joue ici de sa "sainte" horreur de la religion, présentant le fait de finir chez les religieux comme la pire des
sentences.
A noter d'ailleurs que c'est également chez les religieux, plus exactement chez les religieuses, au couvent, que
finissaient souvent les princesses désavouées (par leur mari ou parce qu'elles se sont déshonorées).
34Je r'mets bientôt sur le tapis
35Les fesses impies.
36J'suis l' pornographe
37Du phonographe,
38Le polisson
39De la chanson.
40Ma femme est, soit dit en passant,
41D'un naturel concupiscent
42Qui l'incite à se coucher nue
43Sous le premier venu...
44Mais
45M'est-il permis, soyons sincères,
46D'en parler au café-concert
318
Café-concert
Le café-concert, le "caf'conç'" pour les habitués, c'était dans les années 1900 l'endroit où on allait écouter les
chansonniers (Aristide Bruant au Chat Noir, à Montmartre par ex.).
Brassens, lui, n'a jamais chanté que dans des petits théâtres au début, puis de grands music-halls. Mais c'est très
intéressant de le voir encore une fois se projeter dans le passé, à la charnière du XIXème et du XXème siècle, époque
dont le vocabulaire imprègne toutes ses chansons.
Le caf'conç' reviendra à la mode sous d'autres formes dans les années 50 sur la Rive Gauche, puis dans les années 70
avec le Café de la Gare, le Splendid etc.
47Sans dire qu'elle a, suraigu,
48Le feu au cul ?
49J'suis l' pornographe
50Du phonographe,
51Le polisson
52De la chanson.
53J'aurais sans doute du bonheur,
54Et peut-être la Croix d'Honneur,
55À chanter avec decorum
56L'amour qui mène à Rome...
à rome
"l'amour qui mène à Rome" : l'amour divin, parler de religion. Ici, sans doute encore un clin d'oeil de Brassens au Père
Duval "la calotte chantante" des Trompettes de la renommée
57Mais
58Mon ang' m'a dit: "Turlututu !
Mon ange
Mon ange gardien, bien sûr. On reste dans la mythologie chrétienne, sauf que cet ange gardien-là a sans doute les pieds
fourchus et des cornes sur la tête.
59Chanter l'amour t'est défendu
60S'il n'éclôt pas sur le destin
61D'une putain."
Référence
Dans ce couplet, GB fait sans doute allusion à sa chanson Le mauvais sujet repenti...
62J'suis l' pornographe
63Du phonographe,
64Le polisson
65De la chanson.
66Et quand j'entonne, guilleret,
67À un patron de cabaret
68Une adorable bucolique,
69Il est mélancolique...
70Et
71Me dit, la voix noyée de pleurs,
72"S'il vous plaît de chanter les fleurs,
73Qu'ell's poussent au moins rue Blondel
Rue Blondel
Célèbre rue parisienne proche des Halles, un peu moins "pittoresque" depuis l'interdiction des bordels. Touristes qui
venez voir Notre-Dame, passez donc la Seine et remontez un peu le boulevard Sébastopol, c'est aussi une attraction fort
instructive...
74Dans un bordel"
75J'suis l' pornographe
76Du phonographe,
77Le polisson
78De la chanson.
79Chaque soir avant le dîner,
80À mon balcon mettant le nez,
81Je contemple les bonnes gens
Les ''bonnes gens''
L'une des expressions favorites de ce cher poète lorsqu'il ironise sur les gens qui méprisent, jugent et condamnent autrui
sans même le connaître, juste par bêtise humaine.
82Dans le soleil couchant...
83Mais
84N' me d'mandez pas d' chanter ça, si
85Vous redoutez d'entendre ici
319
86Que j'aime à voir, de mon balcon,
87Passer les cons.
Les cons
Les "braves gens" du début de ce couplet se prennent dans la foulée une singlante injure. Résultat d'un coup classique
de Brassens : le passage brutal de la langue de bois au language soutenu (politesse oblige). La sincérité brut de
décoffrage de ces termes grossiers donne toute son efficacité à l'ironie recherchée. C'est certainement ce qui apporte le
plus à l'humour des chansons de G.B.
Complément
Finir la strophe sur le mot "con" n'est pas anodin.
En effet, con signifiant également, et dans son sens premier, l'organe sexuel de la femme.
Ainsi, juste avant de reprendre qu'il est le pornographe, GB avoue qu'il aime voir passer les cons, dans son sens
premier...
88J'suis l' pornographe
89Du phonographe,
90Le polisson
91De la chanson.
92Les bonnes âmes d'ici-bas
93Comptent ferme qu'à mon trépas
94Satan va venir embrocher
Embrocher
Satan est traditionnellement muni d'une fourche avec laquelle il embroche les damnés pour les jeter dans les flammes de
l'Enfer.
95Ce mort mal embouché...
96Mais,
97Mais veuille le grand Manitou,
98Pour qui le mot n'est rien du tout,
99Admettre en sa Jérusalem,
Jérusalem
La "Jérusalem céleste", c'est le Paradis ou Dieu (le Grand Manitou) accueille les élus, c'est à dire ceux qui ont eut la
chance d'échapper à la fourche de Satan.
100À l'heure blême,
L'heure blême
L'heure de la mort. Peut-être aussi le souvenir de Verlaine (mis en musique par Charles Trenet):
Tout suffocant
Et blême quand
Sonne l'heure,
Je me souviens
Des jours anciens
Et je pleure.
101Le pornographe
102Du phonographe,
103Le polisson
104De la chanson.
Le vieux Léon Rythme du texte
Une des rares chansons en vers de 4 pieds de Brassens
Complément
C'est aussi une chansons en rimes exclusivement masculines (c'est aussi le cas de Les Copains d'Abord ). Le but est sans
doute de marquer le rythme saccadé de la java jouée par l'accordéoniste de rue qu'est le vieux Léon...
Autres compléments
1) Le fait que la pièce soit en vers de quatre « pieds » (de quatre syllabes en réalité, car le pied, au sens classique, n’est
pas forcément une syllabe et on appelle justement ces vers des quadrisyllabes) est une question de métrique et non de «
rythme du texte » (qui concerne plutôt les rimes et les assonances internes).
2) On a le droit de rêver et même de dire à quoi nous fait rêver une chanson (les chansons sont exactement faites pour
ça), mais de là à poser des choses non vérifiables ou fausses comme des vérités, il y a un pas, et c’est celui qui nous
ferait quitter, hélas ! le domaine de l’analyse :
- a) le mouvement (ou le tempo) de cette chanson est celui d’une valse et non celui d’une java ;
- b) cette valse, qui nous dit, même si c’est fort plausible, que G. B. en attribue l’exécution au personnage du vieux
Léon ? (Ou alors nous suggère-t-il aussi que l’Auvergnat, l’hôtesse et l’étranger de Chanson pour l’Auvergnat
fredonnaient tous le même air de valse en accomplissant leurs fraternelles démarches ?) ;
320
- c) la métrique des vers n’est pas toujours en rapport avec le rythme ou le tempo choisi pour la musique et l’on connaît
des javas (pour le coup) tant sur des vers courts (cf. les pentasyllabes du Bistrot) que sur des vers longs (cf. les
hendécasyllabes d’Embrasse-les tous).
01Y'a tout à l'heur'
02Quinze ans d' malheur
03Mon vieux Léon
04Que tu es parti
Synérèse (tu es = t'es)
Une petite synérèse (fusion de deux voyelles en une seule syllabe) permet de réduire à 4 pieds ce vers de 5 :
GB chante "que t'es parti"...
Synérèse
En écoutant attentivement ce vers nous pouvons constater que la synérèse ne s'actualise pas vraiment. Chaque vers de
cette chanson emprunte à travers une mesure ternaire à 6 croches la figure rythmique suivante (croche-croche-croche-
noire pointée), alors que ce vers fait plutôt entendre ce rythme (croche et double croche en triolet + croche-croche-noire
pointée), ce qui donne 5 figures rythmiques au lieu de 4 comme le ferait entendre ici la synérèse si elle était vraiment
appliquée (tu es - t'es).
Synérèse, graphie
La digression qui suit peut avoir quelque importance pour ceux qui pensent, à juste titre, à la chanson (qui se capte par
les oreilles) plus qu’au livre (enfermé « dans sa typographie », comme disait si bien Léo Ferré)
Il est dommage (et dommageable) de transcrire une synérèse soit comme une élision (« t’es »), soit comme une…
diérèse (« tu / es »).
En effet, la synérèse et la diérèse « sauvages » sont courantes dans les interprétations par Brassens de ses propres
œuvres, et bien des chanteurs s’y trompent lorsqu’ils déchiffrent un texte pour lui redonner la vie : le chant naît
difforme.
L’apostrophe indique depuis toujours une élision, et (en dehors des outils spécifiques des phonéticiens) il me semble
qu’aucun signe courant n’a été choisi pour indiquer une synérèse, une diérèse ou simplement une liaison. Est-ce une
raison pour détourner l’apostrophe, qui a un sens précis et un seul, et l’appliquer à une multitude de cas différents, voire
contradictoires ? Sans y gagner aucune précision, on y perdrait celle de l’apostrophe.
N. B. : peut-être existe-t-il déjà des conventions, des protocoles quant à la graphie (pas trop ésotérique et accessible à
tout « parfait honnête homme ») des textes destinés à être articulés (pour le chant ? l’opéra ? le théâtre ? la politique ? la
radio ou la télé ?).
05Au paradis
Syntaxe
Partir à tel endroit, bien que très fréquent, est incorrect. On part pour ou vers tel endroit, et il eût donc fallu :
Que t(u) es parti
Pour l'paradis
06D' l'accordéon,
07Parti bon train
08Voir si l' bastrin-
09Gue et la java
Le bastringue et la java
Ces éléments datent assez précisément les activités musicales du Vieux Léon. Le bastringue était une guinguette, un bal
musette, puis le mot a fini par désigner l'orchestre qui y jouait. La java, qui est une valse un peu saccadée, a connu une
grande vogue dans les années 1920-30 et les bals populaires. Elle se jouait surtout à l'accordéon.
10Avaient gardé
11Droit de cité
12Chez Jéhovah.
Jéhovah
Yaveh, Jéhova... C'est le même nom. "Chez Jéhova" veut donc dire que le musicien est mort et part jouer de la musique
auprès de Dieu.
13Quinze ans bientôt
14Qu' musique au dos
Musique au dos
Musique, ici, dans le sens vieilli d'instrument de musique. Le Vieux Léon portait son "piano à bretelles" sur l'épaule ou
sur le dos (dans sa boîte noire en carton bouilli).
Musique au dos
Allusion également à "sac au dos". Toute la première strophe évoque des locutions de départ et d'ailleurs d'un départ
HEUREUX, plein d'espoirs et d'attentes : partir au paradis, partir bon train, partir en java (allusion indirecte), partir/s'en
aller sac au dos, s'en aller mener le bal... A la fin, Léon "SE PLAIT (sûrement) au firmament". Brassens ne dit pas que
Léon EST au firmament, mais il ne se permet pas d'ôter à Léon sa croyance "de départ", histoire d'honorer son souvenir,
et il va même si loin de lui demander sa propre place : "Quel temps fait-il chez les gentils...?" Quoi de plus émouvant...
15Tu t'en allais
321
16Mener le bal
17À l'amical'
18Des feux follets,
L'amicale des feux follets
C'est le cimetière, l'endroit où, en ville du moins, on risque le plus de voir des feux follets ("exhalaison d'hydrogène
phosphoré spontanément combustible". Le Petit Robert). On en voit parfois aussi dans les marais, la nuit.
La danse des âmes
Une fois encore le génie de Brassens entre en résonance avec sa force créatrice. Il parle des morts, d'un Léon qu'il
verrait bien en maître de cérémonie, et aux honneurs, à l'inverse d'ici "bien bas" ("c'est une erreur, mais les joueurs
d'accordéon, au grand jamais on ne les met au Panthéon")...
Comment évoquer la danse des âmes si ce n'est par ce phénomène presque surnaturel qui sévit dans les cimetières...
limpide !
19En cet asile
20Par Saint' Cécile
Ste Cécile
Sainte Cécile est la patronne des musiciens.
Par Saint' Cécil'
L'élision du "e" muet final permet de maintenir la rime masculine.
21Pardonne-nous
22De n'avoir pas
23Su faire cas
24De ton biniou.
Biniou
Cf. Élégie pour un Rat de Cave
25C'est une erreur
26Mais les joueurs
27D'accordéon
28Au grand jamais
29On ne les met
30Au Panthéon,
Panthéon
à l'origine un panthéon était un temple dédié à tous les dieux. À Paris, le Panthéon est le grand édifice à coupole, en
haut de la rue Soufflot, près du Boulevard St Michel, où reposent les grands hommes, ou ceux qui ont, à des titres
divers, bien mérité de la patrie reconnaissante: Napoléon, Victor Hugo, Jean Moulin, sont au Panthéon. On y a
récemment transféré les cendres d'Alexandre Dumas, l'auteur des Trois Mousquetaires, ce qui l'aurait sans doute
beaucoup amusé.
31Mon vieux tu as dû
Synérèse (tu as = t'as)
Une petite synérèse (fusion de deux voyelles en une seule syllabe) permet de réduire à 4 pieds ce vers de 5 :
GB chante "Mon vieux t'as dû"...
32T' contenter du
33Champ de navets,
Champ de navets
Cimetière (voir Les Quat'Z'arts et le Revenant).
34Sans grandes pom-
35Pes, et sans pompons
Pe(s), et sans pompons
Le maintien du pluriel forcerait une prononciation : pompes z'et sans pompons que GB ne fait pas conformément à la
langue populaire utilisée dans cette chanson.
Complément
Difficulté de transcription aussi, car le vers implique l'élision de l'e muet de pomp's : Une autre raison pourrait être
l'enchaînement de "ET" qui va suivre et qui réclame une espèce de détachement :
Sans grandes pomp's -- ET sans pompons -- ET sans ave
36Et sans Ave.
Et sans ave
Brassens fait ici allusion à la tradition de l'Eglise catholique qui se refusait à enterrer avec une cérémonie officielle les
comédiens et autres artistes (voir par exemple l'inhumation quasi clandestine de Molière), car les métiers de théâtre
étaient considérés comme blasphématoires.
Ave : premier mot de l'Ave Maria (Je vous salue Marie)
37Mais les copains
38Suivaient l' sapin
322
Le sapin
Figure métonymique. Le sapin, c'est le cercueil, et particulièrement le cercueil des pauvres, car le sapin est un des bois
les moins chers. On dit de quelqu'un "Il sent le sapin" quand, de toute évidence, il n'en a plus pour longtemps à vivre.
Complément
Dans Le testament :
Est-il encore debout le chêne
Ou le sapin de mon cercueil ?
39Le coeur serré
40En rigolant
41Pour fair' semblant
42De n' pas pleurer,
43Et dans nos coeurs
44Pauvre joueur
45D'accordéon
46Il fait ma foi
47Beaucoup moins froid
48Qu'au Panthéon.
49Depuis mon vieux
50Qu'au fond des cieux
51Tu as fait ton trou
Synérèse (tu as = t'as)
Une petite synérèse (fusion de deux voyelles en une seule syllabe) permet de réduire à 4 pieds ce vers de 5 :
GB chante "T'as fait ton trou"...
Complément
Opposition amusante entre les cieux qui sont au-dessus de nous et un trou qu'on verrait plutôt en dessous.
De même il fait apparaître un fond aux cieux qui sont par nature infinis.
52Il a coulé
53De l'eau sous les
54Ponts de chez nous,
55Les bons enfants
56D' la ru' de Van-
57Ve' à la Gaîté
La rue de Vanves
Voir aussi la chanson Entre la rue Didot et la rue de Vanves
Complément
Ce sont deux rues qui encadrent l'impasse Florimont (chez Jeanne)
Rue de la Gaîté
Cette rue était avant le XIXème siècle en dehors de Paris. Des bistrots y étaient installés en raison d'exemptions de
taxes. Et avec ceux-ci, quelques guinguettes. D'où le nom de cette rue (qui se justifie maintenant pour des plaisirs peut
être moins terrestres qu'autrefois).
58L'un comme l'au-
59Tre au gré des flots
60Fur'nt emportés.
61Mais aucun d'eux
62N'a fait fi de
63Son temps jadis
64Tous sont restés
65Du parti des
66Myosotis,
Le parti des myosotis
Le parti des myosotis ("ne m'oubliez pas", dans le langage des fleurs ; voir Les Deux Oncles), c'est la bande des copains
qui n'oublient pas le disparu. Voir aussi dans Les Copains d'Abord: "Oui mais jamais... son trou dans l'eau ne se
refermait".
La fidélité aux copains, vivants ou morts, semble bien être une des vertus majeures, pour Brassens.
67Tous ces Pierrots
Pierrot
Pierrot, c'est le clown blanc, l'enfariné, éternel amoureux (de Colombine), que l'on représente souvent une guitare à la
main et la larme à l'oeil.
Pierrot
Le pierrot, c'est aussi le moineau dit "franc", le piaf de base, qui fait partie de la mythologie parisienne.
À la fin du XIXème, c'était aussi une façon de désigner les "bleus" dans l'armée.
323
Aujourd'hui, c'est souvent un synonyme de guignol, d'ahuri.
68Ont le coeur gros
69Mon vieux Léon
70En entendant
71Le moindre chant
72D'accordéon.
73Quel temps fait-il
74Chez les gentils
Les gentils
Hist. relig. Nom que les juifs et les premiers chrétiens donnaient aux païens. [Le Petit Robert]
Complément
Les premiers chrétiens ayant été, par la force des choses, des Juifs, il semble que le Petit Robert se plante un peu, là. Au
commencement, les Gentils étaient bien uniquement les non-Juifs, et il y a eu tout un débat dans l'Eglise Primitive pour
savoir 1. si on pouvait intégrer les Gentils, et 2. si pour les intégrer il était nécessaire de les faire d'abord souscrire à la
loi juive (la loi de Moïse). Paul, "l'apôtre des Gentils", s'est violemment fait attaquer par les premiers Chrétiens (Juifs):
voir Actes XXII, 21-22. L'Eglise n'a vraiment commencé à avoir du succès qu'avec la prédication de Paul, et l'ouverture
du message évangélique aux Gentils (Actes XV, 1-29). Sans Paul, d'ailleurs, elle serait vraisemblablement restée une
des nombreuses "sectes" juives comme il en existait des dizaines à l'époque, la plus connue étant celle des Esséniens.
(Pour ceux que ça intéresse, voir les livres Jésus contre Jésus, et Jésus après Jésus de Gérard Mordillat et Jérôme Prieur,
Editions du Seuil)
Complément
Le Littré : "Il se dit des anciens polythéistes, par opposition aux Juifs et aux Chrétiens. C'était un gentil. Nous avons été
baptisés dans le même esprit, pour n'être tous ensemble qu'un même corps, soit juifs ou gentils, soit esclaves ou libres,
SACI, Bible, St Paul, 1re épît. aux Corinth. XII"
Le terme "gentils" est important pour la chanson Le vieux Léon qui est une chanson polythéiste (images et notions "non
terrestres" depuis les feux follets jusqu'à la Sainte Cécile en passant par Jéhovah...).
En allemand, par exemple, il n'y a qu'un seul terme pour "gentils" et "paiens".
75De l'au-delà ?
76Les musiciens
77Ont-ils enfin
78Trouvé le la ?
Le la
Le LA 440 donné par le diapason.
79Et le p'tit bleu
Le p'tit bleu
Ou le gros bleu, c'est le vin de tous les jours, à l'origine "le gros rouge qui tache bleu" sans doute parce qu'on a forcé sur
le tanin pour lui donner de la couleur.
Du gros bleu qui tache
Voir Le vin :
Hélas il ne pleut - jamais du gros bleu - qui tache
80Est-c' que ça n' le
81Rend pas meilleur
82D'être servi
83Au sein des vi-
84Gnes du Seigneur ?
Les vignes du Seigneur
à l'origine, travailler à la vigne du Seigneur c'est travailler pour Dieu, c'est à dire convertir des païens.
Par détournement de sens, "être dans les vignes du Seigneur" en est venu à signifier "être ivre".
Encore une fois GB détourne une expression toute faite : le vieux Léon est mort, il est donc au Paradis, chez Dieu, où il
continue à fréquenter les vignes du Seigneur.
85Si d' temps en temps
86Un' dam' d'antan
87S' laisse embrasser
88Sûr'ment papa
Papa
Je suis toujours intrigué par le fait de savoir si cette chanson est tout entière dédiée au père de GB. 'Mon vieux' est déjà
une évocatoin familère au paternel. Je ne comprends pas car les dates ne correspondent pas. Son père est décédé en
1965 alors qu'il avait déjà enregistré la chanson en octobre 1958...
Complément
Voici ce que GB disait à ce sujet lors d'une entrevue sur Europe No1 le 9 février 1974:
"Le vieux Léon", évidemment, c'est l'histoire d'un type qui jouait de l'accordéon dans la rue de Vanves dans le XIVe et
dont, nous autres, nous nous foutions un petit peu, quoi. Parce que nous n'aimions pas l'accordéon. Et puis, il est mort et
324
alors là, on s'est aperçu qu'on aimait l'accordéon et qu'on l'aimait. C'est une déclaration d'amour "le vieux Léon",
malheureusement qui arrive trop tard puisque celui à qui elle s'adresse ne peut l'entendre.
Complément
En argot, et aujourd'hui en français familier, on appelle "Papa" quiconque est plus (ou moins) vieux que vous. Il ne
s'agit pas ici de paternité. Le chauffeur de taxi s'écrie volontiers (ou s'écriait à l'époque de Brassens) à l'adresse d'un
automobiliste trop lent à démarrer au feu vert : "Alors Papa, on roupille?"
89Que tu r'grett's pas
90D'être passé,
Passer
Mourir
Complément
Superbe jeu de mots ici avec les sonorités qui font comprendre "être passé" en même temps que "trépassé".
91Et si l' Bon Dieu
92Aim' tant soit peu
93L'accordéon
94Au firmament
95Tu t' plais sûr'ment
96Mon vieux Léon !
Les amours d’antan Antan
Fait écho aux "neiges d'antan" de la Ballade des Dames du Temps Jadis
Les amours d'antan
Cette chanson évoque selon moi les "Scènes de la vie de Bohème" de Henry Murger, que Brassens connaissait
certainement, et dont Puccini a tiré son célèbre opéra. On y retrouve les prénoms des héroïnes : Mimi, Musette, ainsi
que les lieux : la barrière.
Dans sa préface, Murger cite Villon et Pierre Gringoire (Le poète de "Notre Dame de Paris" de V. Hugo). Brassens
revendique son appartenance à cette famille, à cette lignée. En 2005 a été donné à l'opéra de Tours une très belle version
de "La Bohème". Le metteur en scène avait transposé l'action dans le Paris des années 50, celui de Brassens.
01Moi, mes amours d'antan c'était de la grisette
Grisette
On le disait par mépris de toutes les femmes ou filles de basse condition, vêtues ou non de cette étoffe de peu de valeur
appelée du même nom, à cause de sa couleur (Trévoux)
02Margot, la blanchecaille, et Fanchon, la cousette...
Blanchecaille
En argot, une blanchisseuse
Margot
L'utilisation de "Margot " est doublement significative :
- c'est le diminutif de Marguerite, un prénom symbolique dans les jeux amoureux où l'on effeuille la marguerite
- le caractère familier du diminutif suggère la simplicité, la fraîcheur de la fille et de la relation entretenue avec elle
Cette symbolique est peut-être inspirée à Brassens par Musset, poète qu'il affectionne , et auquel on doit le vers :
Vive le mélodrame où Margot a pleuré dans Après une lecture
03Pas la moindre noblesse, excusez-moi du peu,
Excusez du peu !
Allusion à "excusez du peu" (dit par le chanteur à lui-même).
Il paraît que l'excuse n'est pas vraiment une excuse, mais oppose l'ambition (préconçue) à la réalité (rencontrée), ce que
les deux vers suivants illustrent (grâces... oui, mais rôturière ; Vénus... oui, mais de barrière ; nymphes... oui, mais de
ruisseau)
04C'étaient, me direz-vous, des grâces roturières,
Imparfait et futur
Admirable formule qui m'avait frappé à la première écoute -- imparfait et futur si étroitement lié avec toute une gamme
de possibilités d'interprétations selon le goût de l'auditeur : "vous" peut être le "prince" du dernier vers, mais également
"tout le monde" ; le futur "me direz-vous" peut être avenir (entrée dans le paradis de la nostalgie) ou hypothèse...
En six syllabes (hémistiche), Brassens mélange passé (= nostalgie), présent (= cette chanson) et avenir (= la
postériorité), ce qui évoque... une éternité !
05Des nymphes de ruisseau, des Vénus de barrière...
Vénus de barrière
Dans un sens vieilli ou littéraire, une "Vénus de barrière" désigne une femme de plaisir, une fille de joie...
Complément
...oui, parce que les barrières étaient ici les portes de la ville (voir Le Petit Robert), près des "fortifs", les fortifications
de Paris que chantait Bruant, lieux fréquentés par le bas peuple et les filles légères. Quant aux ruisseaux, on les
325
appellerait aujourd'hui des caniveaux.
Complément
Dans le midi de la France, à Bordeaux et à Albi notamment, les "barrières", anciennement d'octroi, désignent toujours
les anciens accès à la ville. Les habitants de ces quartiers qu'on dirait aujourd'hui "de banlieue" n'étaient pas des plus
fortunés car les loyers y étaient plus modestes qu'en ville.
06Mon Prince, on a les dam's du temps jadis qu'on peut...
07Car le coeur à vingt ans se pose où l'oeil se pose,
08Le premier cotillon venu vous en impose,
09La plus humble bergère est un morceau de roi.
10Ça manquait de marquise, on connut la soubrette,
11Faute de fleur de lys on eut la pâquerette,
12Au printemps Cupidon fait flèche de tout bois...
Faire flèche de tout bois
Brassens s'approprie l'expression "faire feu de tout bois", qui signifie "utiliser toutes les possibilités", et l'associe aux
flèches de Cupidon pour marquer le fait que le printemps rend les amours volages
Complément
... et surtout qu'à vingt ans (le printemps de la vie), lorsqu'on est pauvre, on ne fait pas le/la difficile, du moins quant à la
condition sociale du/de la partenaire.
Complément
En fait, non, l'expression originelle est bien "faire flèche (et non pas feu) de tout bois" : utiliser tous les morceaux de
bois pour dont on peut disposer pour les tirer à l'arc en direction de l'objectif à atteindre. Brassens démontre encore là sa
grande connaissance de la langue française et, c'est vrai, trousse encore une jolie association d'images entre l'arc, arme
mortelle et les flèches de Cupidon, tout aussi mortelles mais pour d'autres raisons...
Claude Gagnière, pour tout l'or des mots col. Bouquins, Ed. Robert Lafont, Paris 1996, page 468.
13On rencontrait la belle aux Puces, le dimanche :
14"Je te plais, tu me plais..." et c'était dans la manche,
15Et les grands sentiments n'étaient pas de rigueur.
16"Je te plais, tu me plais... viens donc beau militaire..."
17Dans un train de banlieue on partait pour Cythère,
Embarquement de Cythère
Tel est le nom d'une peinture d'Antoine Watteau de 1717. Dans cette chanson merveilleuse, Brassens crée une collision
permanente entre la sublimité/noblesse (l'art) et la réalité terre-à-terre (la vie). Les grâces... ne sont que roturières, les
nymphes... que de ruisseau, les Vénus... que de barrière. Cythère... n'est que la station d'un train de banlieue... (et, de
l'autre côté : Psyché se retrouve dans la "moindre des mortelles", comme Goethe l'a dit dans une merveilleuse élégie : il
faut que je touche à la chair de femme pour comprendre la beauté de la statue antique).
Quelle beauté, cette chanson de Brassens !
18On n'était pas tenu mêm' d'apporter son coeur...
19Mimi, de prime abord, payait guère de mine,
Mi-Mi
On peut noter l'allitération de [m] et l'assonance en [i] : Mimi de prime abord payait guère de mine. Tout se passe
comme si le prénom "Mimi" de la jeune fille se diffusait dans le vers, le premier "mi" inversé dans "prime" et le second
"mi" dans "mine". En se servant de peu de sonorités, ce vers se fait aussi simple et peu sophistiqué que la jeune fille. Or
il s'agit surtout de faire ressortir la beauté du son même des mots, dans une chanson plus dite que chantée.
20Chez son fourreur sans doute on ignorait l'hermine,
Fourrure
L'hermine était la fourrure réservée au manteau royal (voir le portrait de Louis XIV par Hyacinthe Rigaud, au Louvre),
et donc le top du luxe. Il est douteux, d'autre part, que Mimi ait eu un fourreur attitré, ce qui était l'apanage des
bourgeoises, ni même porté de la fourrure, qui a toujours été hors de prix.
21Son habit sortait point de l'atelier d'un dieu...
Atelier d'un dieu
Cela me semble faire référence à l"Iliade" : quand Achille a perdu ses armes, sa mère Thétis lui en "commande" de
nouvelles à Héphaïstos (Vulcain). Il s'agit donc d'une évocation héroïque placée dans un contexte terre-à-terre.
22Mais quand, par-dessus le Moulin de la Galette,
Le Moulin de la Galette
Lieu parisien immortalisé par Renoir en 1876 (Le Bal Du Moulin De La Galette), qui évoque une atmosphère égrillarde
et festive
23Elle jetait pour vous sa parure simplette,
Jeter par-dessus le moulin
Calque probable sur l'expression Jeter son bonnet par-dessus les moulins : "braver l'opinion, la bienséance (surtout en
parlant d'une femme, d'une jeune fille)." Grand Robert
Complément
326
Comme "Jeter sa soutane aux orties..."
24C'est Psyché tout entièr' qui vous sautait aux yeux.
Psyché
Dans la mythologie grecque, Psyché est une jeune fille d'une grande beauté, aimée par Éros. Une nuit, elle alluma une
lampe, désobéissant au dieu qui lui avait interdit de voir son visage ; Éros la quitta et elle ne le retrouva qu'au terme
d'une longue suite d'aventures.
Le mythe de Psyché a figuré par la suite le destin de l'âme déchue, qui, après des épreuves purificatrices, s'unit pour
toujours à l'amour divin. Larousse
25Au second rendez-vous y' avait parfois personne,
26Elle avait fait faux bond, la petite amazone,
Amazone
Outre le sens de femme guerrière montant à cheval, le sein droit coupé pour mieux pouvoir tirer à l'arc (ainsi que le veut
la légende), et ne s'unissant qu'à des inconnues, l'amazone désigne aussi, dans son sens argotique, une prostituée en
voiture.
Les bonds de l'amazone
Au vu des deux sens donnés ci-dessus au terme "amazone", le jeu de mots avec "bond" est d'autant plus amusant : quoi
de plus naturel en effet pour une cavalière ou une prostituée, que de faire des bonds...
27Mais l'on ne courait pas se pendre pour autant...
28La marguerite commencée avec Suzette,
29On finissait de l'effeuiller avec Lisette
30Et l'amour y trouvait quand même son content.
Trouver son content
Signifie "être satisfait " (contentement).
31C'étaient, me direz-vous, des grâces roturières,
Roturier
Qui n'est pas noble
32Des nymphes de ruisseau, des Vénus de barrière,
33Mais c'étaient mes amours, excusez-moi du peu,
34Des Manon, des Mimi, des Suzon, des Musette,
35Margot la blanche caille, et Fanchon, la cousette,
36Mon Prince, on a les dam's du temps jadis qu'on peut...
Mon prince
Référence au "Prince" à qui sont traditionnellement adressées les ballades (voir la Ballade des Dames du Temps Jadis)
Les ricochets 01J'avais dix-huit ans
18 ans
C'est en février 1940, que Georges Brassens quitte Sète et prend le train pour Paris. GB a donc 18 ans depuis octobre
1939.
02Tout juste et quittant
03Ma ville natale,
Ma ville natale
Ne retrouve t-on pas ici la thématique d'Aznavour dans "Je m'voyais déjà" (1960) :
A dix-huit ans j'ai quitté ma province
Bien décidé à empoigner la vie
Le coeur léger et le bagage mince
J'étais certain de conquérir Paris !
04Un beau jour, ô gué !
05Je vins débarquer
06Dans la capitale.
07J'entrai pas aux cris
08D'"À nous deux, Paris !"
A nous deux, Paris !
Brassens paraphrase ici Rastignac, personnage Balzacien qui, surplombant Paris, lance à la ville la formule suivante :
"A nous deux maintenant !"
09En Île-de-France,
10Que ton Rastignac
Rastignac
Personnage créé par Balzac dans 'Le Père Goriot'. Type de l'arriviste élégant, qui reparaît dans la plupart des romans se
déroulant dans la société parisienne (entre autres dans 'Les Illusions perdues', 'Etude de femme', 'La Peau de chagrin',
327
'La Maison Nuncigen'...)
11N'ait cure, ô Balzac,
12De ma concurrence,
13De ma concurrence.
14Gens en place, dormez
15Sans vous alarmer,
16Rien ne vous menace :
17Ce n'est qu'un jeune sot
18Qui monte à l'assaut
19Du p'tit Montparnasse.
Le Petit Montparnasse
Théâtre parisien de la rue de la Gaîté située dans le 14me arrondissement (où vécut Brassens)
P'tit Montparnasse
Il me semble que volontairement Brassens n'a pas mis de majuscule à p'tit (de "p'tit Montparnasse"), il s'agit donc à mon
avis bel et bien de la colline Montparnasse et qu'il a voulu ainsi atténuer ou tourner en ridicule par une antithèse le vers
"qui monte à l'assaut". Ainsi, le parallèle est fait avec le début où il ne fait montre d'aucune ambition démesurée.
20On n's'étonn'ra pas
21Si mes premiers pas
22Tout droit me menèrent
23Au pont Mirabeau
Le Pont Mirabeau
Le Pont Mirabeau est le titre d'un poème de Guillaume Apollinaire, inclus dans le recueil 'Alcools', débutant ainsi :
Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Et nos amours
Le Pont Mirabeau
Pont parisien construit entre 1895 et 1897. Il a été classé monument historique en 1975. Le pont enjambe la Seine du
15e arrondissement (situé sur la rive gauche de la Seine), au 16e arrondissement. Il relie la rue de la Convention et la
place Mirabeau, sur la rive gauche, à la rue de Rémusat, et est desservi par les stations de métro Mirabeau et Javel -
André Citroën. La décision de construire un nouveau pont au droit du carrefour formé par l'avenue de Versailles et la
rue Mirabeau, est prise par le président de la République Sadi Carnot, le 12 janvier 1893. La longueur du pont est de
173 m, la largeur de 20 m.
Le Pont Mirabeau - Poésie - Guillaume Apollinaire
C'est le Pont Mirabeau de Paris qui le fait se souvenir. Le poème Le Pont Mirabeau est un extrait du recueil Alcools
paru en 1913. L'auteur y fait allusion à sa rupture avec Marie Laurencin et au-delà, évoque la fuite du temps semblable à
l'eau qui s'en va. Apollinaire et Marie Laurencin passaient souvent par le pont Mirabeau.
24Pour un coup d' chapeau
25À l'Apollinaire,
26À l'Apollinaire.
27Bec enfariné
Bec enfariné
On retrouve ici la même racine que dans "Blanc bec", façon de désigner un oiseau très jeune et ne sachant pas encore
voler (et dont le bec n'est pas coloré), mais aussi un jeune homme sans expérience.
Bec enfariné
Ayant une confiance naïve ou ridicule
28Pouvais-je deviner
29Le remue-ménage
30Que dans mon destin
31Causerait soudain
32Ce pélerinage ?
33Que circonvenu
34Mon coeur ingénu
35Allait faire des siennes
36Tomber amoureux
37De sa toute pre-
38Mière parisienne,
39Mière parisienne.
40N'anticipons pas,
41Sur la berge en bas
42Tout contre une pile,
43La belle tâchait
44D' fair' des ricochets
45D'un' main malhabile.
328
46Moi, dans ce temps-là
47— Je n' dis pas cela
48En bombant le torse,
49L'air avantageux —
50J'étais à ce jeu
51De première force,
52De première force.
53Tu m' donn's un baiser,
54Ai-je proposé
55À la demoiselle ;
56Et moi, sans retard
57J' t'apprends de cet art
58Toutes les ficelles.
59Affaire conclue,
60En une heure elle eut,
61L'adresse requise.
62En échange, moi,
63J' cueillis plein d'émoi
64Ses lèvres exquises,
65Ses lèvres exquises.
66Et durant un temps
67— Les journaux d'antan
68D'ailleurs le relatent —
69Fallait se lever
70Matin pour trouver
71Une pierre plate.
72On redessina
73Du pont d'Iéna
74Au pont Alexandre
75Jusqu'à Saint-Michel,
Saint-Michel
Le quartier Saint Michel est situé dans le quartier latin de Paris (5è arrondissement). Quartier très agréable pour visiter
Paris, il est aussi réputé pour ses nombreux restaurants et cafés.
76Mais à notre échelle,
77La Carte du Tendre,
La Carte du Tendre
Carte bien réelle d'un pays imaginaire où la géographie était celle des émotions et des démarches amoureuses. Elle fut
mise au point par les Précieuses (celles que Molière trouvait ridicules) au XVIIème siècle. Le chemin de Jalousie, par
exemple, y menait au lac d'Indifférence, etc.
La Carte du Tendre
La carte du tendre a été tracée par Mlle de Scudéry dans son roman Clélie (1654-1660)
78La Carte du Tendre.
79Mais c'était trop beau :
80Au pont Mirabeau
81La belle volage
82Un jour se perchait
83Sur un ricochet
84Et gagnait le large.
Gagner le large
Dans le poème 'Le Pont Mirabeau' d'Apollinaire, est entre autres le vers suivant :
L'amour s'en va comme cette eau courante
85Ell' me fit faux-bond
Faux-bond
Expression amusante utilisée en miroir des bonds que font les ricochets
86Pour un vieux barbon,
Barbon
Homme d'âge plus que mûr, le barbon est souvent le pivot des pièces de Molière : il est riche, s'appelle Sganarelle ou
George Dandin, et veut épouser l'ingénue (qui évidemment est amoureuse du jeune premier).
Barbon (bis)
Ici, GB inverse le schéma consacré par Molière. Comme dans Le Père Noël et la Petite Fille et dans Comme une soeur,
l'ingénue se retrouve dans le lit du barbon.
87La petite ingrate,
329
88Un Crésus vivant,
Crésus
Roi de Lydie (une des provinces côtières de l'actuelle Turquie, sur la mer Égée) environ 450 ans av. JC, il était
immensément riche car le fleuve qui traversait son pays (le fameux Pactole) contenait des sables aurifères.
89Détail aggravant,
90Sur la Rive Droite,
Rive droite
Non seulement il était vieux, mais il était riche, et en plus il n'habitait pas la Rive Gauche, résidence habituelle des
artistes, poètes et étudiants. En passant Rive Droite, la donzelle change de milieu mais, ce qui est plus grave, elle
commet une faute de goût.
Rive droite / rive gauche
Le pont Mirabeau était le lieu où se retrouvaient (et se quittaient?) Guillaume Apollinaire, qui habitait un quartier
bourgeois sur la rive droite, et Marie Laurencin qui, artiste, vivait sur la rive gauche.
91Sur la Rive Droite.
92J'en pleurai pas mal,
93Le flux lacrymal
94Me fit la quinzaine ;
95Au viaduc d'Auteuil
Viaduc d'Auteuil
Bien connu des artistes et souvent représenté par les peintres impressionnistes
96Paraît qu'à vue d'oeil
Ajout plus tardif
Brassens continuait à travailler ses chansons bien après leur enregistrement. Il lui arrivait d'ailleurs fréquemment de se «
tromper » sur scène.
Voici un ajout plus tardif que j'ai entendu sur un enregistrement radio.
Bonnes gens dormez
sans peur qu'avec mes
déluges de larmes
on voit l'niveau d'eau
atteindre bientôt
la côte d'alarme.
Dormez riverains
si tous les chagrins
qui dans son lit pleuvent
provoquaient des crues
y'a longtemps qu'vos rues
seraient sous le fleuve.
97Grossissait la Seine.
98Et si, pont d' l'Alma,
99J'ai pas noyé ma
100Détresse ineffable,
101C'est qu' l'eau coulant sous
102Les pieds du zouzou
Les pieds du zouzou
Sur l'un des piliers du pont de l'Alma se trouve la scuplture d'un zouave, par Dieboldt, faite en hommage aux Zouaves
de la campagne de Crimée (1854-1855), et qui étalonne les crues de la Seine (il est plus ou moins noyé selon leur
importance).
103Était imbuvable,
104Était imbuvable.
Imbuvable
à rapprocher de la chanson Le Vin :
Que vienne le temps
Du vin coulant dans
La Seine
Les gens, par milliers,
Courront y noyer
Leur peine
105Et qu' j'avais acquis
106Cett' conviction qui
107Du reste me navre,
108Que mort ou vivant
109Ce n'est pas souvent
330
110Qu'on arrive au havre.
Havre
Deux définitions :
1 - Petit port bien abrité.
2 - Refuge sûr et tranquille.
Au havre
Jeu de mot avec Le Havre, ville portuaire située à l'embouchure de la Seine
111Nous attristons pas,
112Allons de ce pas
113Donner, débonnaires,
114Au pont Mirabeau
115Un coup de chapeau
116À l'Apollinaire,
117À l'Apollinaire.
Oncle Archibald 01Ô vous, les arracheurs de dents,
Arracheurs de dents
De l'expression 'mentir comme un arracheur de dents' = mentir effrontément
02Tous les cafards, les charlatans,
Cafard
(de l'arabe 'kafir' = renégat) Personne qui cafarde : mouchard, rapporteur
Complément
Voir La ballade à la lune : es-tu l'oeil du ciel borgne ? / quel chérubin cafard / nous lorgne / sous ton masque blafard.
Prophètes
à rapprocher des "jeteurs de sort" dans Les Copains d'Abord (vers 12)
03Les prophètes,
04Comptez plus sur Oncle Archibald
05Pour payer les violons du bal
Payer les violons du bal
Payer pour une chose dont on ne profite pas soi-même
Complément
Reste à dresser le profil de l'oncle Archibald : un brave type, bon vivant et généreux, qui payait les pots cassés, sachant
mal se défendre contre les faux-culs en tous genres qui profitaient sans vergogne de ce qu'ils croyaient être sa naïveté. Il
se pourrait que GB se dépeigne lui-même...
06À vos fêtes... (bis)
07En courant sus à un voleur
Courir sus
Poursuivre avec des intentions hostiles. Larousse
08Qui venait de lui chiper l'heure
Chiper l'heure
Deux interprétations :
1 - du fait qu'il n'a plus l'heure, Oncle Archibald semble fort avoir vécu sa dernière heure
2 - jeu de mots sur l'expression courante 'donner l'heure', qui rend la situation absurde (mais il n'y a pas d'heure pour
mourir - et là, il n'y en a plus)
09À sa montre,
10Oncle Archibald, - coquin de sort !
11Fit, de Sa Majesté La Mort,
12La rencontre... (bis)
13Telle un' femm' de petit' vertu,
Putain de mort
L'image de la mort en tant que prostituée qui couche avec tout le monde est une image assez traditionnelle. Il est donc
intéressant de voir que la putain sera devenue la "compagne" à la fin de la chanson.
14Elle arpentait le trottoir du
15Cimetière,
16Aguichant les homm's en troussant
17Un peu plus haut qu'il n'est décent
18Son suaire... (bis)
Trousser son suaire
De la coquetterie des macchabées femelles. Cf. Le fantôme :
J'aurai bonn' mine avec mon drap
331
Plein de faux-plis et de coutures
19Oncle Archibald, d'un ton gouailleur,
20Lui dit : "va-t'en fair' pendre ailleurs
Pendre ton squelette
On a l'impression que l'oncle demande à la Camarde d'aller faire pendre son squelette dans une salle de cours : il n'y a
bien que là qu'on voit pendre des os.
21Ton squelette...
22Fi des femelles décharnées !
Maigreur
Cf. La fille à cent sous : ça n'me concerne pas d'étreindre les squelettes
23Vive les bell's un tantinet
24Rondelettes !" (bis)
25Lors, montant sur ses grands chevaux,
Montant sur ses grand chevaux
La mort est souvent représentée comme un squelette à cheval. Mais, comme souvent, GB joue sur le double-sens :
"monter sur ses grands chevaux" est une expression signifiant "se mettre dans une violente colère".
26La mort brandit la longue faux
Phonétique
On notera dans ces deux vers le choix des phonèmes en R et en O, qui induisent un ton théâtral à la Mounet-Sully, ici
tragi-comique.
27D'agronome
Faux d'agronome
Passons rapidement sur le fait que la faux est plutôt l'instrument de l'agriculteur (l'agronome étant celui qui étudie les
relations entre les plantes, le milieu, les techniques agricoles...).
Complément
A part le contenu concret et la forme concrète (rime avec "bonhomme"), "agronome" semble s'inscrire dans la ligne
notionnelle "grands chevaux -- longue faux", l'image de la Mort en cheval étant celle de la mort collective et terrifiante
(apocalyptique) et "agronome" étant un "grand" nom. La première partie de la strophe évoque la mort collective
(planant sur tout le monde) qui finit par s'abattre sur l'individu.
28Qu'elle serrait dans son linceul,
29Et faucha d'un seul coup, d'un seul,
Mourir de sa belle mort
Toute la chanson joue sur la notion de "belle mort" (cf. vers 56) :
Loc. Mourir de sa belle mort, de vieillesse et sans souffrance" (GRAND ROBERT).
Ici, "d'un seul coup d'un seul" (registre familier) souligne l'absence de souffrance et s'oppose aux trois premiers vers qui
dessinent la mort brutale et violente (grands chevaux -- longue faux).
Faucha
"faucher" n'est pas mis par hasard, puisqu'on fauche avec une faux, et la faux est l'allégorie du temps et de la mort.
30Le bonhomme... (bis)
31Comme il n'avait pas l'air content,
32Elle lui dit : "Ça fait longtemps
33Que je t'aime...
34Et notre hymen à tous les deux
Hymen
Selon le Grand Robert :
Dans la poésie classique; littér. Mariage, union conjugale.
Fig., littér. Alliance, association, union.
Le terme anatomique, la virginité intacte (autrefois une condition rigoureuse pour un mariage), semble également
s'emmêler un tout petit peu. Le dernier vers ajoute le baptême comme troisième élément symbolisant l'initiation. La
Mort (d'abord Majesté, puis femme de petite vertu commence à redevenir vierge en quelque sorte.
35Était prévu depuis l' jour de
36Ton baptême... (bis)
Depuis ton baptême
A moins d'inventer ici une connotation religieuse qui ne serait nulle part ailleurs attestée, il faut comprendre "baptême"
dans le sens de "naissance". On baptisait d'ailleurs souvent les enfants le jour même de leur naissance.
37Si tu te couches dans mes bras,
38Alors la vie te semblera
39Plus facile...
40Tu y seras hors de portée
41Des chiens, des loups, des homm's et des
Optimiste
C'est pour moi une touche très optimiste de Brassens. Il distingue ici l'Homme non seulement de l'animal, mais
332
également des imbéciles. Pour lui, l'humanité n'est donc pas intrinsèquement imbécile...
Complément
Sauf le respect, je verrais plutôt dans ce vers une graduation croissante du danger, d'où un sens fort peu estimable pour
l'homme.
Chien et loup
GRAND ROBERT: "Entre chien et loup : au crépuscule, quand la nuit commence à tomber et que l'on ne saurait
distinguer un chien d'un loup. "
LE LITTRÉ : "On ne lui demande pas es-tu chien ? es-tu loup ? se dit d'un misérable qu'on abandonne."
42Imbéciles... (bis)
43Nul n'y contestera tes droits,
44Tu pourras crier : viv' le roi !
45Sans intrigue...
46Si l'envie te prend de changer,
47Tu pourras crier sans danger
48Viv' la Ligue ! (bis)
Roi et Ligue
Le roi est Henri III, et la Ligue est l'association de catholiques zélés dirigée par le duc de Guise vers 1580, qui voulait
mettre sur le trône le cardinal de Bourbon (oncle du futur Henri IV).
Vive la Ligue
Le sage dit, selon les gens :
Vive le Roi! Vive la Ligue!
La chauve-souris et les deux belettes, Jean de La Fontaine
Complément
Il y a maldonne quant à l'auteur de cette note, très intéressante. Par ailleurs, il faudrait noter le rapprochement avec
"Mourir pour des idées" : coucher avec la mort rend la vie plus facile, et c'est le seul moyen de pouvoir "sans danger"
changer d'opinion! Sauf à être de ces révolutionnaires, évêques ou ayatollahs cacochymes dont il dit que "mourir pour
des idées, c'est leur raison de vivre, ils ne s'en privent pas". GB a rarement atteint cette virtuosité dans le paradoxe.
49Ton temps de dupe est révolu,
50Personne ne se payera plus
51Sur ta bête...
Payer sur sa bête
L'expression semble venir de ce que, aux gens fauchés qui ne pouvaient payer l'aubergiste, celui-ci disait: "Laissez-moi
votre cheval, je me paierai sur votre bête."
Complément
GB revient ici sur l'idée du v. 5 : Archibald "payait les violons du bal" de tous les menteurs de son entourage.
52Les "Plaît-il, maître?" auront plus cours,
Plaît-il, maître ?
Expression tirée du langage des serviteurs au XVIIIe s. = marque de soumission contrainte envers un plus puissant ou
plus fortuné.
A noter qu'il manque la négation "n'", pourtant présente supra et infra.
Complément
J'ai connu dans les années 1950 une vieille demoiselle, originaire du Midi, qui disait encore "Plaît-il?" là où nous disons
"Pardon?" pour demander à l'interlocuteur de répéter ce qu'il vient de dire.
53Plus jamais tu n'auras à cour-
Enjambement
C'est un enjambement : le vers est coupé en deux, la seconde partie complète la première qui fait la rime au vers
précédent.
54-ber la tête..." (bis)
55Et mon oncle emboîta le pas
56De la bell', qui ne semblait pas,
La belle
La Mort sous forme de "belle mort" (cf. vers 29) est rapprochée à la belle des contes de fées (p. ex. par opposition à bête
en vers 51) et des chansons. Comme souvent, les rimes de Brassens tissent des liens "cachés" dans une trame
intérieure...
57Si féroce...
Revirement féminin
Comme souvent dans les scènes de ménage, après être "montée sur ses grands chevaux", "la belle" se fait moins féroce
et passe au registre sentimental : il s'agit bien, entre l'homme et la mort, d'un rapport haine-séduction.
58Et les voilà, bras d'ssus, bras d'ssous,
59Les voilà partis je n' sais où
333
Je ne sais où
Le scepticisme de GB quant à l'au-delà pointe ici son nez.
60Fair' leurs noces... (bis)
Faire leurs noces
L'idée est la même que dans Le fantôme (Ces belles dames de jadis - Sont de satanées polissonnes) mais le ton est ici un
peu plus grave, car ce n'est pas un rêve.
61Ô vous, les arracheurs de dents,
62Tous les cafards, les charlatans,
63Les prophètes,
64Comptez plus sur Oncle Archibald
65Pour payer les violons du bal
66À vos fêtes... (bis)
Supplique pour être enterré sur une plage de Sète Consonne d'appui
Comme dans beaucoup de ses textes, Brassens utilise la consonne d'appui pour faire ses rimes. Il ne se base pas
uniquement sur la dernière intonation pour rimer mais aussi sur la dernière syllabe.
Complément
Un point principal chez Brassens c'est la connaissance et la mise en oeuvre des principes poétologiques : rimes riches
(avec consonnes d'appui), alternance masculine-féminine etc. Parmi les chanteurs-poètes, il est le seul à l'avoir fait avec
cette conscience poétologique. Ce n'est pas la rime riche en soi qui est étonnante (elle est normale pour la poésie de
plusieurs siècles de poésie française), mais le fait de la retrouver dans la chanson.
C'est là le grand mérite de Brassens : faire aimer la poésie aux adeptes de la chanson et faire aimer la chanson aux
adeptes de la poésie. Cette poésie (au niveau strict des formes poétiques) ne se retrouve pas dans le monde de la
chanson, ni chez Brel, ni chez Ferré, ni chez quiconque.
Complément
Il y a au moins un autre chanteur qui, au XXme siècle, et avant lui, s'est astreint (et avec une étonnante légèreté) à
l'exigence prosodique du vers classique (rimes riches masculines/féminines alternées). C'est Théodore Botrel, auteur de
"la Paimpolaise", "Kénavo", "le Petit Grégoire", etc., toutes chansons très connues. Même chez Charles Trenet, mais de
façon moins assidue, on sent cette exigence. Par contre, je crois que Brassens, contrairement à eux, n'a pas craint de
livrer la chanson à cette institution poétique qu'est l'alexandrin.
Pourquoi Sète
"Je te signale que je m'en fous d'être enterré à la plage de Sète, ça m'est complètement égal. J'ai fait ça pour m'amuser,
pour aller aux bains de mer..."
Brel-Ferré-Brassens, 1969
01La Camarde, qui ne m'a jamais pardonné
Camarde
De "camard" : qui a le nez plat et comme écrasé.
La Camarde = la Mort.
02D'avoir semé des fleurs dans les trous de son nez,
Les trous de son nez
Jeu de mot avec "camarde" : les trous sont d'autant plus apparents
Semer des fleurs
Jeu sur l'expression "semer des fleurs sur la tombe de qqn", selon le Littré (1872): Fig. Semer, jeter, répandre des fleurs
sur la tombe de quelqu'un, lui donner des louanges, rendre un culte à sa mémoire.
Semer des fleurs
Sans doute une allusion à la propension de GB à s'amuser des sujets morbides (Le fossoyeur, Le testament, etc.) pour en
faire des éléments poétiques... en quelque sorte. Cette prouesse couvre de ridicule la fameuse Camarde qui poursuit
ainsi l'auteur d'un zèle qui s'avéra payant (cependant ni plus ni moins que pour les autres croquants).
03Me poursuit d'un zèle imbécile.
Zèle imbécile.
Imbécile, parce que bien inutile.
04Alors cerné de près par les enterrements,
Cerné de près par les enterrements,
Peut-être peut-on rapprocher cette chanson de Les Quat'z'arts, où Brassens constate avec amertume que "Les vrais
enterrements viennent de commencer"
Complément
Georges Brassens évoque plus particulièrement le décès de son propre père le 28 mars 65 et celui de Marcel Planche,
"l'Auvergnat" le 7 mai 65.
05J'ai cru bon de remettre à jour mon testament,
334
Mon testament
Son premier "testament ", en référence à la chanson du même nom écrite en 1955
Complément
Lettre du 13 juillet 1948 à Toussenot...
06De me payer un codicille.
Codicille
Acte postérieur ajouté à un testament pour le modifier Larousse
Codicille
Par tradition, on a appelé "le Codicille" les poèmes de François Villon qui ne sont pas contenus dans "Le Testament".
Brassens fait donc une fois de plus référence à Villon. Voir : Le testament, la Ballade des dames du temps jadis, Le
moyenâgeux
Un codicille
Brassens avait déjà écrit une chanson intitulée Le testament. Il était donc logique qu'il annonce qu'il voulait "[s]e payer
un codicille".
D'ailleurs, il me semble qu'il avait prévu au départ que la Supplique pour être enterré sur la plage de Sète devait
s'appeler "Le codicille".
Les surprenantes rimes
Une qualité, et non des moindres, de la poésie de Brassens est de réunir dans la rime des mots que l'on ne s'attend pas à
voir associés (imbécile / codicille, pardonné / trous de nez, etc.). Cela ajoute à la force du poème que d'être étonnant par
la rime qui surgit comme une surprise.
07Trempe dans l'encre bleue du Golfe du Lion,
Le golfe du Lion
C'est au bord de la Méditerrannée, est plus exactement sur le Golfe du Lion que Sète s'étend. L'encre bleue, c'est la mer
bleu marine si chère à Brassens, et au bord de laquelle il veut reposer.
08Trempe, trempe ta plume, ô mon vieux tabellion,
Tabellion
Deux sens selon Larousse :
1. Fonctionnaire chargé de mettre en grosse les actes dont les minutes étaient dressées par les notaires.
2. Officier public jouant le rôle de notaire dans les juridictions subalternes
Tabellion
Dans l'Empire romain, ainsi qu'en France sous l'Ancien Régime, le tabellion est un notaire. Vu le contexte, c'est dans ce
sens qu'il faut prendre le mot ici, mais avec l'idée de l'archaïsme, d'une certaine préciosité. Brassens le choisit aussi pour
ses sonorités.
09Et, de ta plus belle écriture,
10Note ce qu'il faudrait qu'il advînt de mon corps,
Advînt
Le subjonctif imparfait est appelé par le conditionnel qui précède, selon les règles aujourd'hui peu respectées de la
concordance des temps.
Complément
Il faut noter par ailleurs que les gens du Midi de la France ont gardé plus longtemps qu'ailleurs l'usage quotidien du
passé simple et de l'imparfait du subjonctif. J'ai personnellement entendu dans les années 60 un Camarguais de souche
employer ces deux temps couramment dans la conversation, sans affectation aucune, et j'ai deux amis toulousains qui
les manient de même, avec simplicité. Je me demande si les gens de langue d'oc ne mettaient pas un point d'honneur à
manier parfaitement le français, cette langue qu'on leur a imposée au 19ème siècle, pour tenir la dragée haute aux
fonctionnaires qu'on leur envoyait de Paris. Un peu comme le font, aujourd'hui encore, certains Antillais et certaines
élites de nos ex-colonies.
Complément
En langue d'Oc, comme en espanol, les temps du subjonctif sont tous usités, même si la langue d'Oc est assez peu
parlée.
11Lorsque mon âme et lui ne seront plus d'accord
12Que sur un seul point : la rupture.
La rupture
Nous voyons ici la présence des 2 points ":" qui indiquent que la rupture est belle et bien ce seul et unique point.
Complément
L'être humain: corps et âme. Ici, une façon {i(grecque-classique)i} de décrire la mort.
13Quand mon âme aura pris son vol à l'horizon
Prendre son vol
Double sens : s'envoler et "améliorer sa position, sa situation" Petit Robert.
Corps et âme
Cette strophe réalise la rupture annoncée dans la strophe précédée. L'âme s'envole "à l'horizon" en "s'ennoblissant" en
toute modestie (à la Gavroche: l'éternel gamin chantant au moment de la mort) et tout le reste de la chanson ne
335
concernera que le corps (les restes mortels) et l' écho des bons moments de la vie physique et des joies terre-à-terre.
14Vers celles de Gavroche et de Mimi Pinson,
Gavroche
Personnage des Misérables de Victor Hugo : gamin de Paris railleur, à la chanson facile, il meurt sur les barricades de
l'insurrection de 1832.
Aujourd'hui : gamin de Paris, malicieux et effronté (Larousse)
Mimi pinson
Titre d'une chanson tirée du recueil "Poésies nouvelles" d'Alfred de Musset, dans laquelle Mimi Pinson est une jeune
couturière républicaine qui sait entre autres faire "sortir la chanson de la bouteille"
(ce texte a été mis en musique par Frédéric Bérat en 1846)
Mimi Pinson
Chanteuse accordéoniste qui fait scandale dans "Le coeur sur la main", une comédie d'André Berthomieu réalisée en
1948 qui met en scène Bourvil
Celle(s)
Si "celles" est bien au pluriel dans les manuscrits, on ne peut passer sous silence que l'auditeur de la chanson entend le
pluriel comme le singulier. C'est particulièrement intéressant que l'équivoque demeure car le singulier suppose la
présence d'une seule âme globale, celle du chanteur provocateur, dans laquelle viennent se fondre Gavroche, Mimi
Pinson... et Brassens lui-même.
De toute manière, si c'est un pluriel, il est possible de dire que Brassens conçoit le paradis comme un panthéon de
chanteurs provocateurs, annonçant en cela une chanson comme Mon Bistrot Préféré de Renaud :
www.paroles.net/chansons/25476.htm
15Celles des titis, des grisettes,
Titi
Gamin de Paris, effronté et gouailleur ; gavroche Larousse
Grisette
Jeune fille coquette de condition modeste, généralement ouvrière de mode Larousse
Grisette
La grisette désignait, au siècle dernier, les "petites mains" couturières, qui valurent ce surnom aux demoiselles de
Montpellier, et, plus largement, aux "ouvrières jeunes et coquettes".
La grisette est aujourd'hui une confiserie ronde comme une bille, de la taille d'un petit pois, faite à partir de deux
produits emblématiques de la région : le miel (celui de Narbonne est réputé au XIIIe), et la réglisse, spécialité de
Montpellier dès le XVIIIe.
Complément
Titi et Grisette ; ne ce pourrait il pas que cela soit aussi une référence à la race féline , car en effet , titi et grisette sont
des noms que nous donnons volontié à cette animal de companie qu'es le chat ... miaou !
16Que vers le sol natal mon corps soit ramené
Le sol natal
Si l'on tient à tirer ce texte vers le manifeste régionaliste (ce qu'il n'est qu'en partie à mon avis), on pourra considérer
que l'emploi de l'article "le" là où l'on attendrait plutôt le déterminant possessif "mon" relève d'un régionalisme. Les
langues méridionales, de même que la plupart des langues latines et le latin lui-même, ne précisent pas le possesseur
lorsque son identité est évidente.
Complément
Il s'agit ici du sol natal du corps, le possessif n'est pas nécessaire, d'autant que le possessif pour désigner le sol natal
devait très vraisemblablement aller à l'encontre de l'esprit de Brassens, lequel ne devait sans doute pas défendre
mordicus la possession du sol, la terre appartenant à tous.
17Dans un sleeping du "Paris-Méditerranée"
Sleeping
Train-couchettes Larousse
Sleeping Paris-Méditerranée
On peut se demander pourquoi un transfert funèbre devrait se faire par wagon "sleeping" (angl. to sleep = dormir).
Allusion au "dernier sommeil"?
L'emploi de mots anglais, chez GB, est rare : il y a bien le pléonasme "une étoile une star" dans "Les trompettes de la
renommée" ; mais le mot était plus couramment admis en français, en tout cas dans le monde du spectacle.
Quant au "Paris-Méditerranée", c'est une adaptation du P.L.M. d'avant-guerre (Paris-Lyon-Marseille) dont, d'ailleurs,
Sète ne fut jamais un terminus.
Complément
Sleeping : "Anglic. Vx Voiture-couchette." (Le Petit Robert)
L'image ferroviaire (sleeping -- terminus) est une "voiture directe pour Sète", voiture en queue de train qui sera
décrochée (par ex. à Marseille) et rattelée à un autre train.
Un autre anglicisme se trouve dans Le fantôme : at home.
Complément
N'oublions pas le "reconduire at home" du Fantôme. Brassens quelquefois a tout de même employé ainsi des
336
expressions anglaises, ne manquant d'ailleurs pas de souligner leur exotisme.
18Terminus en gare de Sète.
Sète
Sète (34200), ville natale de Georges Brassens, dans l'Hérault
Complément
Jusque vers 1925 le nom de la ville s'écrivait "Cette".
Complément
Dans Jeanne Martin, les quatre premiers couplets sont une lamentation de ce changement d'orthographe (de Cette à
Sète), sa première tristesse d'Olympio.
19Mon caveau de famille, hélas, n'est pas tout neuf.
20Vulgairement parlant il est plein comme un oeuf
21Et, d'ici que quelqu'un n'en sorte,
Complément
Allusion à une possible résurrection, partie intégrante du thème délicat de la religion chez Brassens.
22Il risque de se faire tard et je ne peux
23Dire à ces braves gens : "Poussez vous donc un peu !
Braves gens
Ici, contrairement à La mauvaise réputation et La mauvaise herbe, l'expression "braves gens" semble bien être
dépourvue d'ironie...
24Place aux jeunes !" en quelque sorte.
Place aux jeunes
L'amusant de l'idée est qu'il y ait des "jeunes morts" au-dessus des vieux. Quant à affirmer qu'on ne peut dire aux
"vieux" de se pousser un peu pour leur faire de la place, c'est contredit par la pratique des cimetières où l'on fait
couramment des "compressions". Peu importe. Peut-être aussi GB entendait-il souvent l'expression "place aux jeunes"
dans la bouche d'organisateurs de spectacles qui lui préféraient les chanteurs "yé-yé" ? Ce serait alors ironie à leur
endroit.
25Juste au bord de la mer, à deux pas des flots bleus,
26Creusez, si c'est possible, un petit trou moelleux,
27Une bonne petite niche,
28Auprès de mes amis d'enfance, les dauphins,
Mes amis d'enfance, les dauphins
Enfant, et comme tout Sétois qui se respecte, Brassens (bati comme un athlète) était un bon nageur. Il a donc dû bien
souvent se baigner avec ses camarades dans lé Méditerranée, où il arrive que l'on croise des dauphins ...
Complément
C'est le nom officiel de l'équipe de nageurs de la ville de Sète (reste à savoir si ça l'était aussi dans le jeune temps de
Georges Brassens)
Complément
A noter qu'un cétacé (dauphin ou baleine) en train de souffler figure sur les armoiries de la ville de Sète.
29Le long de cette grève où le sable est si fin,
Grève
La grève, plage en pente douce, servait de port fluvial pour le déchargement du
blé et du bois
Complément
Licence poétique, car une grève doit être faite de graviers, comme son nom l'indique et pas de sable, a fortiori de sable
fin
Complément
La contradiction peut être voulue : le "petit trou moelleux" peut bien être inconfortable, pourvu qu'il soit à Sète.
Du reste, qui de son âme et de son corps profitera du confort lorsqu'ils ne seront plus tout à fait d'accord...
30Sur la plage de la Corniche.
Plage de la Corniche
Nom d'une plage sètoise très fréquentée
Corniche
Terme quelque peu usurpé puisque cette plage se situe, à la différence du quartier de la Corniche, sur le cordon littoral
qui sépare l'étang de Thau de la Méditerranée. Une plage et une mer avec peu de relief, donc.
31C'est une plage ou même, à ses moments furieux,
32Neptune ne se prend jamais trop au sérieux,
Neptune
Dieu de l'Eau chez les Romains. Il devint le dieu de la Mer lorsqu'il fut assimilé au dieu grec Poséidon Larousse
Complément
Le parc du Château d'Eau, à deux pas de la maison de naissance de G. Brassens à Sète, possède une statue de Neptune.
33Où, quand un bateau fait naufrage,
34Le capitaine crie : "Je suis le maître à bord !
337
35Sauve qui peut ! Le vin et le pastis d'abord !
Le vin et le pastis d'abord !
Allusion transparente à l'expression "Les femmes et les enfants d'abord !" utilisée lors des naufrages.
Complément
La paraphrase de l'expression "les femmes et les enfants d'abord" est aussi une allusion aux "Copains d'abord", autre
paraphrase.
36Chacun sa bonbonne et courage !"
37Et c'est là que jadis, à quinze ans révolus,
38À l'âge où s'amuser tout seul ne suffit plus,
S'amuser tout seul
Brassens évoque ici les plaisirs solitaires d'une façon bien plus chaste que dans La Religieuse par exemple
39Je connus la prime amourette.
Prime
Adjectif, bien entendu - variante archaïque ou littéraire (Larousse) de "première".
Prime
C'est le cousin germain du "prime" anglais (Prime Minister), qui nous est revenu récemment dans l'incontournable
"prime time". Noter cependant que le prime français n'est plus guère que féminin (prime jeunesse). Il y a aussi "de
prime abord" et le signe mathématique A', B' = A prime, B prime...
40Auprès d'une sirène, une femme-poisson,
Une femme-poisson
A noter que Charles Trénet avait écrit une chanson intitulée Le fils de la femme-poisson, (voir sur
www.paroles.net/chansons/15116.htm).
Peut-être s'agit-il d'un hommage ou d'une réminiscence de la part de Brassens...
Complément
Une femme-poisson n'est ni plus ni moins qu'une sirène, celle à qui on ne résiste pas.
41Je reçus de l'amour la première leçon,
Double sens de 'leçon'
- Conseils, règle de conduite qu'on donne à une personne.
- enseignement profitable qu'on peut tirer de qqch., et spécialement d'une erreur, d'une faute, d'une mésaventure.
(d'après le Petit Robert)
Complément
Il y a un 3e sens à "leçon" : se dit de la version donnée par un manuscrit dont on commente savamment le texte. La
première, même si c'est la plus ancienne, n'est pas toujours la meilleure. Il se peut que GB y ait aussi pensé.
42Avalai la première arête.
Avalai
Brassens joue avec le sens de cette phrase. Il conserve pour ce verbe le passé simple et supprime le sujet. Ce qui nous
laisse penser que "avalai la première arête" est une répétition de "recevoir de l'amour la première leçon" et non que
"avaler la première arête" est la première leçon. Il laisse donc le doute sur ce qu'est la première leçon de l'amour.
Raisonnement un peu abscons
Si Brassens élide le sujet "je", c'est pour renforcer la cohésion avec ce qui précède ("j'avalai la première arête" aurait
donné le même nombre de pieds). De plus, l'utilisation de ces deux passés simples montre le parallèle entre "la première
leçon" et "la première arête" (souligné par "première"). Enfin, "avaler", au mode infinitif, me semble grammaticalement
impossible. Au pire, "avalé", participe passé, aurait-il eu sa place, après deux points, ou un point virgule.
Avalai la première arête
Notez, en particulier, qu'il parle d'une "femme poisson" ; le jeu de mots, ici, souligne le fait qu'il s'agit d'un être moitié-
femme et moitié-poisson.
Avalai la première arête
Le sujet n'est pas supprimé, il est ce que l'on appelle "filé", c'est celui de la proposition précédente qui tient lieu de sujet.
Complément
L'absence, ici, du sujet, crée presque phonétiquement un effet de déglutition ; s'il est voulu, il est évidemment tout-à-fait
à propos.
Complément
En outre, l'absence du sujet crée un effet de coïncidence des deux actions : recevoir la leçon d'amour est inséparable
d'en subir les conséquences néfastes. Cette idée est un lieu commun littéraire, en particulier dans la métaphore de la
rose, que reprend Brel par exemple en constatant amèrement qu'il y a des épines aux rosa (Rosa).
La référence à la sirène pourrait renvoyer à L'Odyssée, où Homère nous dépeint des sirènes au chant agréable et
meurtrier tout à la fois. Le problème étant que la sirène de Brassens ne chante pas... (ou alors on considère "leçon" dans
son acception littéraire, et l'initiation ne serait alors pas amoureuse mais poétique ; mais le texte le dit-il vraiment ?)
Avalai la première arête
Je pense qu'il y a aussi un jeu de mots sur "arête" puisqu'on peut entendre "arrête ! ", terme que les jeunes filles utilisent
parfois quand l'amoureux se fait un peu trop pressant...
Il me semble que la manière dont Brassens prononce ce terme dans la chanson peut faire penser à une expérience de ce
338
type là.
Et tous les hommes savent que quand la jeune fille dit "Arrête !", c'est dur à avaler...
La première arête
Personnellement, j'y vois plutôt un détournement de l'expression "avaler la pilule", expression probablement tiré du
lexique médical ("la pilule est amère"). Dans ce contexte, cela signifie : mal vivre queque chose, et en garder un goût
amer dans la bouche. Ce point de vue reviendrait à donner à la "1ère leçon" le sens de mésaventure.
43Déférence gardée envers Paul Valéry,
Paul Valéry
Poète, critique littéraire, essayiste né à Sète en 1871, mort en 1945, et inhumé à Sète au cimetière marin (qui est le titre
de l'un de ses poèmes). Il a été élu à l'Académie Française en 1925.
44Moi, l'humble troubadour, sur lui je renchéris,
Moi, l'humble troubadour
C'est à la poésie que s'est ouvert et essayé Brassens en tout premier lieu (depuis la classe de troisième et grâce à son
professeur de littérature d'alors, Alphonse Bonnafé). En toute humilité et peut-être même avec le souvenir de ces (ses)
premières aspirations, "prétentions" poétiques, Brassens retrace là (peut-être inconsciemment...) son cheminement de la
poésie à la chanson qui l'a révélé et lui offre l'occasion de côtoyer les Grands de la Poésie, sans la moindre prétention!
Complément
Il faut noter que Brassens utilise correctement ici le terme de "troubadour". En effet, les troubadours étaient non pas des
jongleurs ou des menestrels, mais des auteurs-compositeurs (parfois interprètes). Il s'exprimaient en langue occitane et
on créé la notion de Fin'Amor, que les Trouvères français ont ensuite repris et modifié sous le nom d'Amour Courtois.
Enfin, les Troubadours, peu soucieux de l'avis de l'Eglise, n'hésitaient pas à consommer leur relation avec leur Dame.
Des anti-conformistes avant l'heure, comme Brassens à son époque.
45Le bon maître me le pardonne,
46Et qu'au moins, si ses vers valent mieux que les miens,
Les vers
Quelle est l'étoffe dont est fait l'homme ? Cette question est posée par "les vers" de cette strophe (dont le thème est à la
fois la poésie et la mort). Quel est donc le singulier : "le vers" (poésie) ou "le ver" (qui ronge les cadavres) ?
A mon sens, les deux acceptions coexistent. Poète ou non, peu importe pour les vers des cimetières (marins ou non)...
Hardi, Brassens détruit, une fois de plus, l'un des mythes trompeurs de la civilisation : celui du poète ayant plus de
valeur que le commun des mortels ; et ce uniquement par son adresse à faire des "paroles peintes". C'est toujours la vie
réelle qui compte, être grand à quoi bon : "Vous envierez l'éternel estivant..."
Vers
S'adressant au "bon maître" Valéry, GB lui parle certainement de poésie plutôt que d'asticots.
A ce propos, quelqu'un connaît-il le poète auteur de cette épitaphe célèbre :
Passants qui scrutez cette pierre
Voyez l'inanité des choses
Jadis je composais des vers
Ici les vers me décomposent
47Mon cimetière soit plus marin que le sien,
Cimetière plus marin que le sien
Jeu de mots sur le Cimetière Marin : nom du cimetière dans lequel a été enterré Paul Valéry à Sète
Cimetière marin
Plus que le nom du cimetière où Valéry est enterré, c'est surtout le nom du plus célèbre de ses poèmes
Mon cimetière marin
A Sète, il y a en fait deux cimetières. Le cimetière dit marin se nomme Saint Charles , c'est là où repose Paul Valéry.
Brassens est enterré quant à lui au cimetière Le Py, dit le cimetière des pauvres. Du cimetière Le Py, on voit aussi la
mer (remarque personnelle : on la voit même mieux !)
Complément
Petite correction : depuis le cimetière Le Py on ne voit pas la mer mais l'étang de Thau
Cimetière marin
Il y a là un lien à faire avec la La ballade des cimetières : GB aurait des tombeaux jusqu'au fond de ce cimetière bien
particulier.
48Et n'en déplaise aux autochtones.
Les autochtones
Je pense qu'ici Brassens fait allusion à la bourgeoisie locale qui enterrait les siens dans de luxueuses sépultures,
exposant ainsi aux yeux de tous la richesse familiale.
Sa tombe -à l'opposé- est collective et très modeste.
De plus les 'riches' étaient plutôt enterrés au cimetière Saint Charles.
Complément
"N'en déplaise aux autochtones, cette tombe (...) ne donnera pas une ombre triste..." M'est avis que, malgré le saut de
couplet, il conviendrait de relier grammaticalement ce vers au suivant et, donc, si l'on tient à ponctuer, mettre une
virgule et non un point après autochtones. GB réfute par avance les objections que feront, craint-il, les bourgeois de
339
Sète (ceux qui se font enterrer à Saint Charles et qu'il n'aime guère) à sa supplique. Analysé autrement, le "Et" initial de
ce vers n'a guère de sens, ni grammatical, ni logique.
Complément
Je pense qu'il faut remonter plus haut pour analyser en profondeur ce vers.
Le vers 43 "Déférence gardée envers Paul Valéry" montre un respect certain de GB pour PV. On le retrouve aussi dans
le vers 44 "Moi, l'humble troubadour, sur lui je renchéris" où le verbe renchérir a une tres grande importance.
En effet, PV a gravé son nom dans l'histoire de Sète par la qualité de ses vers, et GB ne pouvant espérer dépasser "le
bon maître" (vers 45 et 46), gravera son nom dans l'histoire de Sète par l'originalité de sa sépulture (d'où la comparaison
du vers 47)
Tout cela pour arriver au vers 48 "Et n'en déplaise aux autochtones" car il se pourrait que le fait de renchérir sur PV ne
plaise pas au bourgeois, tout comme le fait qu'un enfant du peuple puisse graver son nom dans l'histoire de la ville.
Complément
Ici, GB se plait une troisième fois à égratigner ses concitoyens.
Dire que les vertus faiblissent à Lourdes comme à Sète (Tempête dans un bénitier) n’est pas bien méchant, mais il leur
fait vraiment jouer le mauvais rôle lorsqu’il parle des sycophantes du pays et des chrétiens du pays (voyez le rappel :
‘du pays’) dans Les quatre bacheliers.
Il n’hésite pas à traiter d’imbéciles heureux ceux qui de Paris ou de Sète nous font voir du pays natal jusqu’à loucher
(La ballade des gens qui sont nés quelque part)
Exilé à Paris, il avait peut être gardé la dent dure contre les Sétois.
Une interprétation plus évidente à mon sens
Le cimetière Saint Charles change de nom en 1946. Un hommage des Sétois au poème de Paul Valéry : Le cimetière
marin.
Brassens, s'il avait été enterré sur la plage de Sète, aurait connu un cimetière plus marin que l'original, de telle sorte que
le "vrai" cimetière marin serait le sien et non celui que les autochtones ont coutume de désigner par ces mots.
Complément
C'est bien évidemment cette intreprétation-là qui semble la plus pertinente : le souhait de GB est on ne peut plus clair
dans la chanson : être enterré "sur la plage de la corniche", "le long de cette grève(..)", "en sandwich entre le ciel et
l'eau". De là, la petite revanche amicale du "modeste troubadour", et sa satisfaction d'avoir trouvé un cimetière marin
encore plus approprié que celui du "bon maître"..
49Cette tombe en sandwich entre le ciel et l'eau,
Sandwich
Nouveau mot anglais dans ce texte , et nouvelle référence alimentaire (après avoir avalé la première arête et évoqué un
oeuf)
50Ne donnera pas une ombre triste au tableau,
51Mais un charme indéfinissable.
52Les baigneuses s'en serviront de paravent
53Pour changer de tenue, et les petits enfants
54Diront : "Chouette, un château de sable !"
55Est-ce trop demander...? Sur mon petit lopin
56Plantez, je vous en prie, une espèce de pin
Plantez un pin
Georges Brassens est enterré à Sète au cimetière du Py (surnommé le "cimetière des pauvres"), où la municipalité a
depuis planté un pin parasol
Pin parasol
Ce couplet avait inspiré à Maxime Le Forestier une chanson hommage, "La Visite", mise en musique par Joël Favreau.
Il y dit de ce pin :
"C'est un pin parasol qui n'aura pas éclos
Tant viennent les amis piétiner cet enclos
J'ai peu d'espoir qu'il ne grandisse."
Les amis se seraient-ils faits plus rares ? Le pin parasol a bien grandi.
Une espèce de pin
On ne peut manquer de souligner que Brassens fait ici allusion au poème de Musset :
Mes chers amis, quand je mourrai,
Plantez un saule au cimetière
57Pin parasol, de préférence,
Pin parasol, de préférence,
Le pin parasol, outre qu'il soit une essence méditerranéenne par excellence, est aussi l'abri rêvé ... pour une sieste !
Complément
Le pin parasol est aussi évoqué dans la chanson Le modeste :
Suivi de son pin parasol,
S'il fuit sans mêm' toucher le sol
Le moindre effort comme la peste
340
Pin Parasol
Il me semble d'ailleurs qu'un pin parasol fut effectivement planté près de la tombe de Brassens, au cimetière de Sète,
Complémént
Ici, la sieste est plutôt un repos éternel. Mais quoi de mieux qu'un parasol pour quelqu'un qui se "repose" sur une plage
dans le midi.
58Qui saura prémunir contre l'insolation
59Les bons amis venus fair' sur ma concession
60D'affectueuses révérences.
61Tantôt venant d'Espagne, et tantôt d'Italie,
Espagne, Italie
L'idée de ce tiraillement a été reprise de façon plus ludique dans l'une de ses dernières chansons : Entre l'Espagne et
l'Italie
62Tout chargés de parfums, de musiques jolies,
63Le mistral et la tramontane
Mistral et tramontane
Le mistral est un vent froid, sec et violent lié à la présence d'une dépression sur le golfe de Gènes.
La tramontane s'accélère en passant entre les Pyrénées et le sud du Massif Central.
Le mistral, italien, apporte la villanelle, et la tramontane, espagnole, le fandango.
Mistral et tramontane
Le mistral souffle du nord-ouest et la tramontane du nord-est. Dans ces conditions, difficile pour le premier d'apporter
des musiques espagnoles (puisque l'Espagne se situe au sud ouest de Sète), et pour le second d'apporter des musiques
italiennes (l'Italie étant à l'est et Naples, au sud-est de Sète) !
Rien de bien grave cependant, car l'image est bien belle...
Complément
Le mistral souffle en fait du nord vers le sud, la tramontane du nord-ouest vers le sud-est. [source: wikipedia]
Complément
Le Mistral, est lié à un équilibrage de masses d'airs, l'une chaude, en côte d'Azur, l'autre froide, dans les Landes.
Le Mistral contourne le Massif Central par le Nord, puis, arrivé à Lyon, descend la vallée du Rhône, ce qui a pour effet
de l'accélérer.
Arriver en Méditerranée (à l'embouchure du Rhône), il se disperse dans les 3 directions : vers le Sud, l'Est (côte d'Azur),
et l'Ouest (Sète).
La Tramontane est un vent longeant les Pyrénées, au sud du Massif Central.
Donc, même si ces deux vents ne passent pas par les pays cité, du point de vue "scientifique", pour le peuple il provient
l'un de l'Ouest (Espagne), l'autre de l'Est (Italie).
Annecdote : à l'inverse du Mistral, il existe le Foehn, un vent chaud remontant les Alpes.
64Sur mon dernier sommeil verseront les échos
65De villanelle un jour, un jour de fandango,
Villanelle
Deux sens :
1. Composition polyphonique de caractère populaire, originaire de Naples, en vogue aux XVe et XVIe siècles
2. Chanson pastorale et populaire, sous forme de poème à forme fixe composé d'un nombre impair de tercets et terminé
par un quatrain
Larousse
Fandango
Danse et air de danse espagnols de rythme assez vif avec accompagnement de guitare et de castagnettes Larousse
Fandango
En espagnol, fandango désigne aussi familièrement un vacarme
66De tarantelle, de sardane...
Tarantelle
Danse rapide, air à danser de l'Italie méridionale Larousse
Sardane
Air et ronde dansée, populaires en Catalogne Larousse
Tarentelle et sardane
Voir la chanson Entre l'Espagne et l'Italie. Brassens a toujours eu conscience de faire partie de cette culture latine,
méditerranéenne, occitane. Ce qui ne l'a pas empêché par ailleurs d'acheter une maison en Bretagne. Car il ne se voulait
pas "né quelque part" pour autant.
67Et quand, prenant ma butte en guise d'oreiller,
Ma butte en guise d'oreiller
Faut-il qu'elle soit modeste, pour pouvoir servir d'oreiller !
Choix du mot
Est il possible que Brassens aie choisi ici le mot butte, si proche phonétiquement d'un mot d'argot désignant le pénis, par
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hasard ? Compte tenu du sens du reste du couplet, j'en doute....
68Une ondine viendra gentiment sommeiller
Une ondine
Une ondine est une jeune nageuse très gracieuse.
Ondine
Une ondine est une nymphe des eaux, qui cherche en général à s'incarner en humaine dans les mythes celtes et
germaniques.
Cf. Ondine, de Giraudoux (1939)
69Avec moins que rien de costume,
70J'en demande pardon par avance à Jésus,
J'en demande pardon par avance à Jésus
Délicatesse un peu surprenante de la part d'un athée ... C'est que c'est tout de même sa croix, qui "s'y couche un peu
dessus", et que cette croix est le symbole du supplice de Jésus. Brassens s'excuse donc de cette utilisation un peu
désinvolte d'un symbole chrétien fort.
71Si l'ombre de ma croix s'y couche un peu dessus
La croix
Mais effectivement, une croix chrétienne vue à l'envers a une forme tout à fait caractéristique et intéressante.
Complément
Il y a peut-être aussi l'idée sous-jacente que la course du soleil déclinant amènera l'ombre de la croix à caresser son
corps, l'ombre étant une métaphore de celui qui est dessous, "au royaume des ombres". Et si l'on retient l'image
phallique, plus le soleil s'incline sur l'horizon, plus l'ombre grandit.
Complément
Je ne crois pas à l'allusion phallique mais je remarque la syntaxe anormale ; en français correct : "se couche un peu
dessus", on dirait une tournure occitane
Complément
D'autant que l'idée de la course du soleil est précédée par la douce et caressante sensation du Mistral (vent de Nord-est
sur les côtes Languedociennes) et de la Tramontane (vent de Nord-ouest) qui rappelle donc le levant et le couchant
S'y couche
"Si" et "s'y" placés au début de chaque hémistiche de l'alexandrin, il se peut que GB ait simplement voulu jouer avec les
mots, en accentuant la précision qui peut être, en outre, un clin d'oeil au parler du Sud.
Se coucher
Je pense qu'il y a une allusion très fantomatiquement sexuelle dans ce vers.
Brassens reprend une évocation faite dans Il n'y a pas d'amour heureux : "Ouvrir ses bras son ombre est celle d'une
croix", Ainsi, son esprit fantôme vient-il profiter de quelques bonheurs posthumes...
72Pour un petit bonheur posthume.
Petit bonheur posthume
Ce petit pied de nez est admirable, l'un des plus beaux de l'oeuvre de Brassens. Il est parfaitement amené, d'abord par
l'Ondine, puis par l'évocation de Jésus, de la croix... bref, il y a autant à dire sur ces quelques vers que sur toute la
chanson. De plus, ce petit bonheur n'est pas sans rappeler la "bosse dérisoire" qui conclut le livre de Boris Vian, J'irai
cracher sur vos tombes.
Complément
A l'origine, l'image poétique que voulait donner le Maître est celle de l'ombre de l'ondine qui viendrait caresser sa butte
(source interview chez Jacques Chancel). Ce n'est que plus tard, lorsqu'il en était à la fin de l'écriture de la chanson, qu'il
inversa l'image et retint celle de la croix qui se coucherait sur l'ondine.
Cette idée vient peut-être du désir de signifier que même mort, on peut ne pas être inanimé et même recouvrer vigueur
lorsque les circonstances s'y prêtent.
73Pauvres rois pharaons ! Pauvre Napoléon !
74Pauvres grands disparus gisant au Panthéon !
Panthéon
Du grec "pan" = tout, et "theos" = dieu
1. Temple que les Grecs et les Romains consacraient à tous leurs dieux
2. Ensemble des dieux d'une mythologie, d'une religion
3. Monument où sont déposés les corps des hommes illustres d'une nation
Larousse
Panthéon
Monument de Paris, sur la montagne Sainte-Geneviève (Ve arrond.). Construit à partir de 1764 par Soufflot, achevé v.
1790 par Jean-Baptiste Rondelet, ce devait être une église dédiée à la patronne de Paris. La Révolution en fit un temple
destiné à abriter les tombeaux des grands hommes et lui donna ce nom de Panthéon. Il fut église sous la Restauration et
le second Empire. La IIIe République l'a rendu au culte des hommes illustres à l'occasion des funérailles de Victor
Hugo. Peintures murales, dont celles de Puvis de Chavannes.
Complément
Allusion au caractère froid (pierres, marbres, lumières sans chaleur...) et lugubre du Panthéon, ennuyeux à force d'être
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silencieux, on ne s'y amuse pas beaucoup d'autant que les sépultures paraissent si distantes les unes des autres... La
solitude des grands de ce monde...
Quel contraste avec la proximité et l'accessibilité de la butte de GB sur la plage !
Panthéon
Les guides du Panthéon vous le confirmeront: il y a toujours quelqu'un pour se pleindre qu'on ne lui ai pas fait voir le
tombeau de Napoléon; qui est au Invalides, doit on le rappeler....
La péroraison
Brassens connaît sa rhétorique sur le bout des ongles, il achève sa chanson comme un poème, par une péroraison habile,
qui s’enfle de l’évocation des « grands disparus ». À partir de « Trempe dans l’encre bleu du Golfe du Lion », Brassens
joue avec les codes rhétoriques du grand discours pour les détourner. Ici, par exemple, les procédés oratoires de la
péroraison mettent en évidence la vaine pompe des nécropoles en opposition avec la simplicité riante du cimetière qu’il
se choisit.
75Pauvres cendres de conséquence !
Cendres de conséquence
Dérivation de l'expression "Gens de conséquence", qui désignait les personnes détentrices de pouvoirs ou d'entregent,
toutes choses évidemment perdues dans leurs cendres, fussent-elles au Panthéon.
76Vous envierez un peu l'éternel estivant,
77Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant,
78Qui passe sa mort en vacances...
Variante
Dans le livre La marguerite et le chrysanthème, l'auteur Pierre Berruer écrit ce dernier vers : Qui fait du pédalo en
rêvant qu'il passe sa mort en vacances
79Vous envierez un peu l'éternel estivant
Hommage
Maxime le Forestier a écrit une magnifique épitaphe à ces vers de Georges sur le disque Né quelque part: "la visite" Joël
Favreau à la 2ème guitare (ancien guitariste de Brassens)
80Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant
81Qui passe sa mort en vacances...
Analisi di altre canzoni e aggiornamenti