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Trouvez l’artiste caché dans ce texte mystérieux.

C’était un bonhomme grand et fou, tant qu’il ressemblait fort à un gorille.

Avec son petit cheval il était arrivé de la marine et il habitait dans un

bistrot qui se trouvait entre la rue Didot et la rue de Vanves. La patronne,

une brave Margot de Montélimar, lui offrait tout le vin dont il avait besoin.

Mais un jour, lorsqu’elle lui a fait une non demande en mariage, il s’est

enfui comme les oiseaux de passage, dans le vent. Il allait bien d’accord

avec ses voisins, une marquise, un certain don Juan et mademoiselle

Fernande.

Il suppliquait pour être enterré sur une plage et il avait comme ami

un fossoyeur, mais il aimait tellement la vie qu’il lui suffisait de passer le

pont pour être heureux comme Ulysse. Il refusa la légion d’honneur pour

ne pas partir à la guerre de 14-18 et tomba amoureux d’une maîtresse

d’école qui s’appelait Mélanie. Enfin un jour qu’il y avait un orage et qu’il

avait oublié son parapluie, comme dans un cauchemar, il est mort pour ses

idées sans laisser de testament, et les passantes lui ont jeté des bouquets de

lilas.

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Georges Brassens, Fabrizio De André e altri “poeti” Quella che lega Fabrizio De André e Georges Brassens è una relazione estremamente intensa

ed unica, caratterizzata da innumerevoli punti di contatto e dalla condivisione di ideali affini

che sfociarono in un fruttuoso rapporto simbiotico, i cui risultati vanno di gran lunga al di là

delle traduzioni, ispirate dai testi del cantautore francese, che De André ci ha lasciato.

Troppe erano le affinità che accomunavano i due cantautori: una fra tutte il fascino esercitato

da entrambi dal poeta maledetto medievale François Villon che influenzò in maniera più o

meno massiccia la loro opera o ancora la passione irrefrenabile per la libertà. Risulta quindi

naturale comprendere quella sorta di vero e proprio colpo di fulmine che De André ebbe per le

canzoni del cantautore di Sète quando le ascoltò per la prima volta, in esse si rifletteva quello

spirito libertario che sentiva assai vicino al suo animo e quella lotta continua contro ogni forma

di intolleranza e di violenza, soprattutto nei confronti dei più deboli, che anche lui condivideva,

quella tendenza a stare dalla parte dei diseredati, dei disadattati, degli emarginati, quella

voglia di dare loro una voce, attraverso le canzoni, di gridare a squarciagola il peso della

dignità umana contro false ideologie e falsi valori che altro non fanno che generare fanatismi e

violenza.

Tutti e due inoltre sono stati capaci di realizzare un fondamentale connubio tra poesia,

letteratura e musica; un connubio di rilevante importanza come sottolinea lo stesso Brassens

che, un giorno, rispondendo ad un intervistatore che gli aveva criticato il fatto che la villoniana

“Ballade de Dames du temps jadis”, da lui messa in musica e trasformata in una stupenda

canzone, non aveva alcun bisogno di essere accompagnata dalla sua melodia , rispose dicendo

“ Si. E’vero. Ma grazie alla mia canzone molta gente ha conosciuto ed amato Villon. Alcuni

operai mi hanno confessato di averlo scoperto proprio grazie a me”

(Brassens par René Fallet - 1967 – Editions Denoel)

E’ proprio questo é stato uno dei principali aspetti positivi della produzione artistica di questi

due grandi cantautori e cioè il fatto che le loro canzoni sono sempre state capaci di essere

foriere di conoscenza, di trasmettere concetti e messaggi finalizzati fondamentalmente ad una

presa di coscienza da parte degli uomini, tutti gli uomini, della dignità umana e dell’ assoluta

uguaglianza di tutti gli esseri. E dato che la poesia e le immagini che essa sa dipingere è

dotata della capacità di portare con se, fra i versi e le rime, messaggi in grado di aprire gli

occhi agli uomini e di far loro comprendere il valore della vita e della giustizia si intuisce perché

sia De André che Brassens non disdegnarono attingere al ricchissimo patrimonio poetico del

passato per rimodellarlo e plasmarlo, adattarlo alle proprie melodie utilizzandolo come

moderno strumento di conoscenza.De André, tanto per citare un esempio, trasformò in

canzone il famoso sonetto di Cecco Angiolieri "S'io fossi foco" che mostrava tutta la sua rabbia

e il suo furore, imprecava e gridava contro i potenti (Papa e imperatori), esprimendo con le

sue violente espressioni i pensieri e le idee, di tutti coloro che erano costretti al silenzio;

vengono così rivelate, con cupa ironia e brutale umorismo, molte delle sensazioni di un uomo

qualunque, vissuto in quel periodo, insofferente e incapace di tenere chiusa la propria bocca,

scalpitante e nervoso per la propria situazione sociale, inviperito e adirato con tutto e con tutti.

S'i' fosse foco arderéi 'l mondo

s' i' fosse vento lo tempesterei

s'i' fosse acqua i' l'annegherei

s'i' fosse Dio mandereil'en profondo

S'i' fosse papa, sare' allor giocondo

tutti i cristïani imbrigherei

s'i' fosse 'mperator sa' che farei

a tutti mozzarei lo capo a tondo

S'i fosse morte, andarei da mio padre

s'i' fosse vita fuggirei da lui

similemente farìa da mi' madre

s'i' fosse Cecco com'i' sono e fui

torrei le donne giovani e leggiadre

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e vecchie e laide lasserei altrui

S'i' fosse foco arderéi 'l mondo

s' i' fosse vento lo tempesterei

s'i' fosse acqua i' l'annegherei

s'i' fosse Dio mandereil'en profondo

Rabbia, impeto, disillusione, umorismo, disperazione, mancanza di fede nel potere temporale e

soprattutto in quello spirituale dei Papi: tutto questo in pochi, incisivi versi troppo spesso

erroneamente considerati solo un'alternativa, volgare e triviale, all'eleganza del "dolce Stil

novo", ma che in realtà si rivelano una delle testimonianze più attendibili della reale situazione

e dell'atmosfera che si respirava in quell'epoca ormai lontana.

Sembra esserci un antico e saldo patto, fra Cecco Angiolieri e Fabrizio De Andrè, un'intesa

profonda tra due artisti così distanti nel tempo, ma così simili e rassomiglianti sotto alcuni

aspetti. Una poesia toccante e intensa ripresa e musicata, secoli e secoli dopo, da Fabrizio De

André che ha così fatto diventare Cecco Angiolieri un contemporaneo riproponendo la

integralmente, con un semplice accompagnamento di chitarra, e permettendo a tutti di

comprenderne la straordinaria e dolorosa modernità.

Questa tendenza ad attingere ed a prendere ispirazione dall'immensa fonte costituita dal

patrimonio poetico del passato è uno dei tanti fili che contribuiscono a rafforzare il legame

indissolubile tra De André e Brassens.

Quest'ultimo, innamorato dell' uso della parola, affascinato ed ammaliato dall' universo poetico

fu a sua volta un grande poeta e versificatore, inimitabile cesellatore della lingua capace di

mettere in musica la poesia di un vastissimo numero di rappresentanti del panorama poetico e

letterario francese.

Ma esaminiamo nel dettaglio tali influenze poetiche sulla produzione brassensiana.

16 poesie vennero messe in musica da Georges Brassens nei suoi primi 12 dischi, in

particolare :

- 4 di Paul Fort: Le petit cheval, La marine, Comme hier, Si le bon Dieu l'avait voulu

- 2 di Victor Hugo: La légende de la nonne, Gastilbelza - 2 di Jean Richepin: Philistins, Oiseaux

de passage

- 1 di Louis Argon: Il n'y a pas d'amour heureux

- 1 di François Villon: Ballade des dames du temps jadis

- 1 di Paul Verlaine: Colombine

- 1 di Francis Jammes: La prière

- 1 di Théodore de Banville: Le verger du roi Louis

- 1 di Corneille per le strofe e Tristan Bernard per la conclusione: Marquise

- 1 di Alphonse de Lamartine: Pensée des morts

- 1 di Antoine Pol: Les passantes

- 10 poesie o riferimenti a poesie, figurano invece nell' ambito del disco documento numero

13, di cui:

- 4 di Aristide Bruant, Belleville-Ménilmontant, Place de Paris, A la place Maubert, A la Goutte

d'Or

- 2 di Gustave Nadaud, Carcassonne, Le roi boiteux

- 2 di Alfred de Musset, Ballade à la lune, A mon frère revenant d'Italie

- 1 di Norge et Jacques.Ivart, Jehan l'advenu

- 1 di H.Colpi per le parole e G.Delerue pour la musique, Heureux qui comme Ulysse

E' importante avere chiaro quanto sia stata rilevante l' influenza della tradizione poetica sull'

opera di Brassens poiché questa ebbe innumerevoli riflessi sulla produzione di De André.

Brassens, infatti, ha esercitato su De André una grande influenza, un influsso che spesso viene

identificato soprattutto nel primo periodo della produzione del cantautore genovese, gli inizi

della sua carriera, quando De André ha voluto rendere omaggio a quello che lui considerava il

suo maestro traducendo alcuni dei suoi testi più celebri e facendo propri temi o addirittura titoli

di Brassens; tuttavia nel considerare questa influenza diretta ed immediata di Brassens su De

André si corre il rischio di non tenere a giusta considerazione o di sottovalutare l' importanza

dell' influsso indiretto esercitato dal cantautore transalpino e rappresentato dal succitato

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bagaglio poetico che Brassens cantava e portava con se e che necessariamente ha accarezzato

la sensibilità ed influenzato la formazione di De André lasciando chiare e stupende tracce nella

sua opera.

Per quanto riguarda la "poesia in musica, ovvero il mettere in musica ed il cantare testi di poeti

più o meno famosi, questa è una tradizione assolutamente esclusiva della canzone francese

dove vengono tranquillamente musicati e cantati tutti i principali poeti del passato e

contemporanei, dal già più volte citato François Villon a Victor Hugo, da Alphonse de Lamartine

a Pierre Corneille, da Paul Fort a Paul Verlaine, da Théodore de Banville a Francis Jammes ecc.

ecc. In questo si distingue, va detto, Georges Brassens, che ha addirittura contribuito a

scuotere dall'oblio un paio di poeti, Antoine Pol e Jean Richepin, che senza le sue canzoni vi

sarebbero probabilmente rimasti. Per dare l' idea di quanto la musica francese fosse pregna di

poesia e letteratura non possiamo non nominare anche il Louis Aragon di Jean Ferrat nelle

canzoni sempre di Brassens o la vasta presenza di poesia baudelairiana in Léo Ferré. Per

comprendere meglio come questo sposalizio tra musica e poesia sia una tradizione

assolutamente esclusiva della canzone francese, si consideri il fatto che i poeti francesi non

disdegnavano affatto la canzone, non la considerano affatto una forma poetica minore e

dunque rappresentava un passaggio naturale quello di mettere in musica i propri versi più

belli. A tale riguardo, il caso più conosciuto e celebre è quello di Jacques Prévert, che

addirittura disponeva di un suo compositore di fiducia (Pierre Kosma) passando poi le sue

canzoni ad interpreti vari di quel periodo e cioè grandi artisti del calibro di Juliette Gréco,

Barbara e Boris Vian per citarne alcuni; lo stesso Boris Vian fu uno scrittore e poeta affermato, ma al tempo stesso musicista di buon livello e fama.

De André parlando di quello che considerò essere il suo maestro diceva: "Mi ha sconvolto la

vita. Se ho iniziato a fare questo mestiere è solo merito suo".

Una stima infinita, dunque,era quella che il cantautore genovese nutriva nei confronti del suo

collega transalpino che per lui rappresentava un vero e proprio mito.

A tale proposito é utile citare un episodio: De André che considerava Brassens , come più volte

detto, come il suo maestro ed il suo mito, ebbe la possibilità di conoscerlo personalmente.

Ma non volle incontrarlo. Girava voce, infatti che Brassens avesse un carattere scontroso e

difficile e De André, dunque, non volle rischiare di rovinare quel mito, per lui così importante,

con una conoscenza personale che forse lo avrebbe deluso.

E' lo stesso De André a sottolineare la rilevanza ed il peso che l' influenza di Brassens ha

giocato sulla sua produzione e le motivazioni del mancato incontro:

"In Brassens si intrecciavano tre culture: quella mitteleuropea, col valzer, quella francese, con

la giava, e quella napoletana, con la tarantella (sua madre Elvira Dragosa, tra l' altro, aveva

origini napoletane).

Ecco perché le mie prime canzoni vivevano su quei ritmi e su quella atmosfera.

Poi mi intrigava il fatto che trattasse temi scabrosi, di grande rilevanza sociale, buttandoli via,

cantandoli con una nonchalance da teatrante inglese, più che francese: perché il teatrante

francese è enfatico, declamatorio, quello inglese dice cose terrificanti con una specie di

indifferenza glaciale.

Brassens, insomma, fu il mio grande modello ance se, avendone avuta l' occasione, ho sempre

evitato di conoscerlo di persona: mi serviva troppo tenermelo come mito; se questo mito,

conoscendolo, fosse crollato mi sarebbe crollato il mondo. Sicché ho preferito immaginarmelo

soltanto attraverso le sue canzoni."

(Fabrizio De André - Amico Fragile - Cesare Romana - 2000)

Anche chi ha conosciuto bene De André come Fernanda Pivano, non si stupisce del mancato

incontro Brassens-De André come afferma parlando di un altro mancato incontro quello con

Bob Dylan al quale il cantautore genovese si ispirò: "Una volta Dylan ha chiesto a Fabrizio di

suonare con lui e Fabrizio non ha voluto farlo, forse per la stessa ragione per cui a suo tempo

non ha voluto incontrare Brassens; sarebbe bello credere che si incontrino un giorno negli

enormi spazi profumati dell'eternità e conoscano finalmente la realtà inafferrabile che hanno

inseguito, forse sfiorandola appena, giusto abbastanza da illudersi di poter continuare a

inseguirla.

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La loro è una realtà fatta di cose semplici, di tutti i giorni, di rispetto per l'amore e la morte, di

orrore per l'ipocrisia e la violenza."

(De andre' il corsaro di Fernanda Pivano, Cesare G. Romana, Michele Serra - interlinea edizioni

- Novara)

La stessa Pivano sottolinea l' importanza rivestita dall' influsso di Brassens sulla formazione e

sulla produzione di De André "...l' influenza francese è venuta poco dopo, quando il padreggi

ha portato i dischi di Brassens.

Brassens è diventato un suo maestro di vita già a quattordici anni, e ha confermato scelte già

maturate. (...) Così aveva cominciato a cantare le canzoni di Brassens, ma anche quelle di

Aznavour, di Gilbert Bécaud, di Moulodji: solo a diciotto anni ne ha cantato una sua.(...) Già da

adolescente era turbato dai problemi sociali suggeriti da Brassens, ma anche da quelli morali

che a volte contrastavano con quelli sociali(...). Brassens è stato per lui un esempio musicale

che gli ha dato aperture e tecniche sull' uso della chitarra. Si è ritrovato a inventare tarantelle

non prendendo spunto dalla musica napoletana ma dalle canzoni di Brassens, scoprendo solo

molto più tardi, che lo stesso Brassens aveva avuto la nonna e la mamma napoletana: cioè

imitando Brassens imitava in realtà gli italiani."

(Prefazione di Fernanda Pivano a - Fabrizio De André - Amico Fragile - Cesare G. Romana -

2000).

Come accenna la Pivano in questa Prefazione al libro di Romana fu grazie a suo padre,

Giuseppe De André, che Fabrizio ebbe modo di conoscere per la prima volta le canzoni di

Brassens. Il padre dai suoi frequenti viaggi in Francia era solito riportare un' abbondante

quantità di libri e dischi e fu lui che fece conoscere Brassens a Fabrizio De André intorno al

1954 cioè a soli due anni dall' esordio discografico dello chansonnier francese.

Dunque, con grande probabilità Fabrizio De André è stato davvero tra i primissimi in Italia ad

aver conosciuto Georges Brassens e le sue canzoni.

Bisogna dare il giusto peso a quella che era l' attitudine culturalmente aperta della famiglia De

André (in particolare il padre) dove la scoperta del nuovo, proveniente non solo dalla Francia e

l' abitudine di commentarlo come anche la grande passione per la musica in genere furono

fattori fondamentali nella formazione musicale e culturale di De André.

Le sue traduzioni ed interpretazioni non sono passate attraverso un intermediario fisico o

indiretto ma sono assolutamente il risultato del suo meticoloso lavoro e si consideri come il

francese utilizzato da Brassens, ricco di riferimenti letterari e simbologie, presupponeva una

profonda conoscenza della lingua e della letteratura francese.

Lo stesso Brassens (che capiva l' italiano) riconobbe come le sue canzoni erano state tradotte

magistralmente da De André. E se c' è una qualità che va riconosciuta alle traduzioni di De

André è proprio il fatto di essere delle fedeli trasposizioni degli originali.

Georges Brassens è poco conosciuto in Italia, dove è stimatissimo dagli intellettuali ma

scarsamente noto al grande pubblico.

Al contrario in Francia è sempre stato popolarissimo e sono innumerevoli le scuole, strade,

piazze, parchi e istituzioni culturali a lui dedicate; un' incredibile celebrazione della sua

memoria che non è avvenuta per nessun altro dei pur grandi esponenti della canzone francese.

A quasi venticinque anni dalla sua scomparsa, il suo ricordo è più che mai vivo: la maggior

parte dei francesi, che lo chiama affettuosamente Tonton Georges o (le Bon Maitre) il Buon

Maestro, conosce buona parte delle sue canzoni e la maggior parte dei critici ha riconosciuto il

valore indiscusso di un grande artista capace di rendere popolare e fruibile una vasta porzione

della poesia francese mettendola in musica.

La semplicità di Brassens ne ha fatto uno degli artisti più amati del patrimonio culturale

francese.

Il suo vasto repertorio dotato di invenzioni linguistiche uniche, immagini poetiche geniali e una

grande vivacità ironica dipinge in maniera cinica ma tenera al tempo stesso un affresco della

condizione umana. Ancora oggi, le sue canzoni vengono interpretate da artisti di tutto il mondo

e i suoi testi vengono studiati e commentati nelle scuole.

Grande è il numero di artisti che si sono cimentati nell' interpretare le canzoni di Brassens tra i

tanti citiamo Graeme Allwright in inglese, Paco Ibanez en espagnol e naturalmente Fabrizio de

André (senza dimenticare il lavoro di un altro artista italiano, Nanni Svampa, che hatradotto e

cantato in italiano l' intera discografia di Brassens); per quanto concerne gli artisti francesi, la

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lista di quanti hanno cantato o continuano a cantare Brassens è lunga, trai tanti ricordiamo:

Maxime le Forestier, Renaud e Barbara.

In Francia, le radio continuano a trasmettere le sue canzoni, la gente le ama, perché

ascoltandolo continua a divertirsi e a commuoversi, a pensare.

Del resto Brassens ha avuto i suoi estimatori anche di immenso prestigio. Basti dire che lo

scrittore spagnolo Garcia Màrquez lo riteneva il maggior poeta francese contemporaneo, e che

ad un esame di maturità, venne assegnato un tema su versi di una sua canzone, quella del

"Pauvre Martin".

Brassens è, senza dubbio, uno dei più grandi cantautori che la Francia abbia conosciuto e resta

un punto di riferimento fondamentale nel panorama musicale e poetico francese, largamente

apprezzato e celebrato in tutto il mondo francofono. I suoi personaggi sono conosciuti dal

pubblico quanto quelli di La Fontane. In materia poetica Brassens opera una vera e propria

sintesi creativa.

Il punto focale nell' ambito della sua produzione è artistica lo raggiunge quando capisce che

poesia e musica potevano viaggiare sullo stesso binario

"mi sono detto: non vale la pena insistere, non sarai mai un grande poeta, non sarai un

Rimbaud, un Mallarmé, un Villon (…) Perché non provare ad abbinare le poesie alla mia

musica?"

Fu un personaggio molto discreto, ma capace di scrivere il suo nome nel patrimonio artistico

francese, creando uno stile unico caratterizzato da melodie semplici e testi che sono dei veri e

propri capolavori poetici. Lavora alle sue canzoni fino al raggiungimento della perfezione, per

alcune se ne ritroveranno fino a 50 versioni provvisorie; le parole delle sue canzoni sono il

risultato di una ricerca estenuante, di mesi di lavoro, di correzioni e revisioni continue.

Brassens è stato, fin da subito, padrone di un vasto vocabolario poetico che gli venne

trasmesso soprattutto dalle sue numerose letture giovanili.

Tuttavia, nonostante questa grande passione per il campo letterario e la poesia il linguaggio

utilizzato da Brassens è al tempo stesso capace di restare saldamente legato al linguaggio d'

uso comune ancorato nella tradizione a volte irriverente dell' arte popolare.

Brassens nasce a Sète, la città del poeta Paul Valery, nell' ottobre del 1921.

Da suo padre, riceve i valori di un uomo semplice, l'odio verso tutte le ipocrisie e un bagaglio

fatto della gran parte delle idee laiche dell' epoca.

Al contrario, sua madre, di origine napoletana, era una convinta credente.

Tracce di questa grande devozione della madre sono riscontrabili nell' ambito dell' opera di

Brassens in cui spesso compaiono gli archetipi religiosi.

E' inoltre utile ricordare come in svariate canzone del primo periodo sia proprio l' evocazione

della madre che fa calare un velo pudico sulle espressioni più crude o scurrili, così ne "Le

Gorille":

" senza pudore, queste comari contemplavano l'animale in un posto ben preciso che, mia

madre mi ha rigorosamente impedito di citare…."

Frequentò il collegio di Sète, abbandonandolo quando aveva 15 anni e conservando il ricordo di

un professore in particolare, Alphonse Bonnafe, divenuto poi il suo primo biografo,che gli

trasmise l' amore per la poesia declamando i versi con grande partecipazione e seppe iniziarlo

con passione alla poesia di Verlaine, Baudelaire, Valery e Mallarmé . Nel 1939 lascia il suo

paese natale per trasferirsi a Parigi, aveva 18 anni come cita lui stesso nella canzone "Le

ricochets" Avevo appena 18 anni E lasciando il mio paese natale Un bel giorno arrivai a Parigi

Non sono entrato al grido A noi due Parigi Che il tuo Rastignac, o Balzac non si preoccupi della

mia concorrenza Arrivato nella capitale, Brassens vive da una parente e passa le sue giornate

nelle biblioteche, leggendo i più grandi poeti; ma il giovane Brassens arriva a Parigi in un

periodo particolarmente difficile, è il periodo della guerra e dell' occupazione e così nel 1943 fu

costretto a partire in Germania per svolgere il servizio di lavoro obbligatorio (S.T.O. - Service

Travail Obligatoire).

Tornato a Parigi si stabilirà in un pensionato, presso Jeanne e Marcel, una coppia tanto

generosa quanto povera, la cui atmosfera compare spesso nelle sue canzoni. Il successo arrivò

quando Brassens aveva superato i 31 anni, cioè intorno al 1952 e fu un successo immediato,

nonostante la radio di stato non trasmetteva buona parte delle sue canzoni considerate troppo

sovversive o scandalose. In quell' anno Brassens incontra il grande chansonnier Jacques Grello

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che, sedotto dalle sue canzoni, lo invita a continuare a scrivere ed a cantare.

Grello apprezza molto le canzoni di Brassens e così prova ad organizzare i primi spettacoli per

farlo conoscere al grande pubblico; ma il vero successo arrivò quando Grello lo presentò a

Patachou che affascinata dalle sue canzoni, decise di interpretarle nel suo famoso cabaret-

ristorante di Montmartre. Brassens aveva così raggiunto il successo come autore di canzoni.

Ma canzoni come "Le gorille" o "La mavaise réputation" di certo non erano state scritte per

essere interpretate da una voce femminile come quella di Patachou; e così fu lei stessa ad

incitare e convincere Brassens ad interpretare le proprie canzoni esibendosi in pubblico.

Brassens passò il resto della sua vita a studiare, leggere e comporre, apparendo in pubblico

solo in occasione di concerti; nel 1967 gli fu attribuito il Grande Premio della poesia della prestigiosa "Académie Française". Morì a 61 anni stroncato da un male incurabile.

Come più volte ribadito, De André era rimasto positivamente colpito dalla musica di

Leo Ferré , Charles Aznavour, Jacques Brél e i principali chansonnier francesi di quel

periodo ma è per che Brassens ebbe una vera e propria folgorazione.

La comunione intellettuale con Brassens non è casuale ma legata a tutta una serie di

affinità e condivisione d' ideali, lo spirito libertario primo tra tutti.

L' influsso di Brassens ha lasciato evidenti tracce sulla produzione di De André, tracce

talvolta evidenti come nel caso delle più famose traduzioni del cantautore genovese in

particolare: Il gorilla (Le gorille - 1952), Marcia Nuziale (Marche nuptial - 1955), Nell'

acqua della chiara fontana (Dans l' eau de la claire fontane - 1962), Delitto di paese

(L' assassinat - 1963), Le passanti (Les passantes - 1972, che in realtà è una poesia

di Antoine Pol), Morire per delle idee (Mourir pour des idées - 1972).

Altre volte poi l' influsso brassensiano sulla produzione di De André non è

immediatamente evidente, non è percettibile ad un primo ascolto ma è pur sempre

presente e può essere carpito grazie ad un' analisi più attenta.

Si pensi, solo per citare alcuni esempi al caso di "Leggenda di Natale", la canzone di

De André non è una traduzione ma la canzone ispiratrice può abbastanza chiaramente

essere identificata ne "Le père Noel et la pètite fille" del 1958; l' influenza diretta di

Brassens su De André è non solo testuale, ma anche musicale.

Il più tipico esempio è "La morte", nella quale De André utilizzo la partitura musicale

di "Le Verzier du roi Louis", registrata da Brassens nel 1960, inserendovi un testo di

sua composizione autonoma. Stesso discorso può farsi anche per "La città vecchia"

che riprende il tema musicale di "Le bistrot" di Brassens.

Volendo allungare ancora la lista di esempi, possiamo citare anche "Preghiera in

Gennaio" che presenta delle reminiscenze precise di un' altra canzone di Brassens "La

Prière" ispirata al testo di una poesia di Francis Jammes.

Ma esaminiamo in modo più preciso e dettagliato quelli che sono i risultati dell'

influenza di Brassens sulla produzione di De André partendo da quella che con tutta

probabilità fu la prima traduzione nella quale si cimentò De Andrè e cioè il Gorilla (Le

Gorille). Si tratta della canzone più famosa di Brassens, quella che l' orchestra

intonava ogni volta che si presentava sulla scena, il "Gare au Gorille" di Brassens ed il

pubblico presente in sala, all'alzarsi del sipario lo accoglieva intonando il famoso

ritornello; è un grido di denuncia e di netta lotta contro le ingiustizie ed in particolare

contro la pena di morte che si concreta dal punto di vista figurativo nella scelta del

gorilla di violentare il giudice, che il giorno prima aveva fatto tagliare il collo ad alcuni

condannati giudicandoli colpevoli, piuttosto che l' anziana signora.

La traduzione di De André è abbastanza fedele all'originale di Brassens riuscendo a

mantenere il valore e la simbologia delle vivide immagini cantate dal collega francese.

Pochi sono i punti in cui De André si discosta dal testo di Brassens per cimentarsi in

una traduzione più libera, in particolare:

Sulla piazza d'una città la gente guardava con ammirazione

un gorilla portato là dagli zingari d'un baraccone

con poco senso del pudore le comari di quel rione

contemplavano l'animale non dico come non dico dove

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Attenti al gorilla (De André)

In De André viene introdotta la figura degli "zingari di un baraccone", che non

troviamo in Brassens, a voler colorare e rendere ancor più originale il contesto in cui si

svolge la scena.

E' attraverso le larghe sbarre che le donne del quartiere,

contemplavano un potente gorilla, senza preoccuparsi della morale;

quelle comari, senza pudore fissavano un punto preciso che,

mia madre mi ha impedito rigorosamente di citare

Attenti al gorilla ! (Brassens)

Inoltre mentre De André nel censurare ironicamente alcuni elementi

eccessivamentescabrosi del testo lo fa attraverso "non dico come non dico dove"

Brassens lo fa citando sua madre, quasi come simbolo della moralità e della

morigeratezza, valori che la madre di Brassens molto devota e credente di certo

possedeva.

Per il resto il testo di De André segue in maniera abbastanza aderente la versione

originale di Brassens.

Si tratta di una canzone che risente dell' influsso che Rabelais esercitò sulla poetica di

Brassens e la cui genesi affonda le sue radici al 1948, anno in cui Brassens si trovava

in Germania, a Basdorf, obbligato dal S.T.O., il servizio di lavoro forzato: costretto a

stare in un campo di lavoro fatto di baracche, Brassens aveva composto tutta una

serie di canzoni ironiche e orecchiabili con le quali improvvisava degli spettacoli

finalizzati a distrarre i suoi compagni lavoratori dalla monotona vita del campo di

lavoro.

Una di queste canzoni che portava il titolo di "La linea spezzata" aveva riscosso

parecchio successo tra gli altri lavoratori e ciò spinse Brassens a qualche anno di

distanza di riprendere quella canzone e rimodellarla e renderla più accessibile al

pubblico. Ma le innumerevoli correzioni e revisioni del testo originale fecero si che

venne conservato soltanto il ritornello "Gare au Gorille" come anche la musica che è

rimasta la stessa della prima versione e che viene ripresa interamente da De André.

Sono queste dunque le origini lontane de "Il gorilla" ma l' ispirazione immediata di

Brassens è facilmente individuabile nel desiderio di comunicare non in maniera diretta

ed aperta, ma attraverso metafore e colorate immagini, il suo disaccordo contro l'

autorità, contro la macchina del potere, contro la pena di morte.

Il messaggio che scorre tra le righe della canzone, dunque, non è diretto ma mediato

da quel linguaggio figurato e metaforico tanto utilizzato da Brassens, tuttavia quando

la canzone fece la sua apparizione venne boicottata dalle principali radio e soltanto

con la nascita della radio "Europe 1" venne diffusa apertamente.

Addirittura, come rivela Brassens, la canzone comprendeva una strofa, non conosciuta

dal grande pubblico, che è stata eliminata poiché giudicata troppo aggressivo; anche il

titolo originario che Brassens aveva scelto per la sua canzone "Gorille vendetta" è

stato modificato dallo chansonnier per le stesse ragioni.

(André Sève, dans une biographie intitulée "Brassens, toute une vie pour la chanson -

Ed. du Centurion - 1975)

Troviamo un equivalente fedeltà nella traduzione di "la marcia nuziale", inclusa nell'

album Volume I del 1967 (Marche Nuptiale); si tratta di un altro omaggio che De

André volle fare a quello che riteneva il suo maestro.

Pochissimi sono i punti in cui De André si discosta da una traduzione quasi letterale

attraverso cui traspone i ventotto alessandrini con cui Brassens dipinge un affresco di

rara bellezza nel quale viene descritto l' originale e molto umile matrimonio dei

genitori del poeta e cantautore.

Ma pure se vivrò fino alla fine del tempo io

sempre conserverò il ricordo contento del giorno

delle povere nozze di mio padre e mia madre

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che andarono a sposarsi dinanzi al sindaco (Brassens)

Ma pure se vivrò fino alla fine del tempo

io sempre serberò il ricordo contento

delle povere nozze di mio padre e mia madre decisi a regolare il loro amore sull'altare.

(De André)

Se Brassens cita il sindaco come la figura istituzionale che sancirà il matrimonio fra i

due sposi De André canta invece di un altare. Anche per quanto riguarda Morire per

delle idee, contenuta nell' album Canzoni del 1974 (Mourir pour des idées) si riscontra

un' assoluta fedeltà nella traduzione di De André a parte il fatto che nell' originale di

Brassens compare una strofa in più che il cantautore genovese ha preferito non

tradurre. Se bastasse qualche ecatombe perché alla fine tutto cambi,tutto si sistemi

dopo " grandi serate " e teste cadute avremmo già il paradiso sulla terra ma l'età

d'oro sfugge incessantemente Gli dei hanno sempre sete, non ne hanno mai

abbastanza ed è la morte, la morte che ricomincia sempre, moriamo per delle idee,

ma di morte lenta, ma di morte lenta Si tratta di una canzone contro tutte le guerre e

soprattutto quelle generate da falsi ideali o valori dettati da gente senza scrupoli,

pronta a far partire gli altri a rischiare la vita ma non a mettere in gioco la propria.

Risulta naturale comprendere perché De André, profondamente antimilitarista, sia

stato attirato dal testo di questa canzone fino al punto di tradurla e di farne una

canzone propria: ne condivideva il messaggio pacifista ed antiviolento che aveva già

manifestato in canzoni come "Girotondo" e "la Guerra di piero" dove il soldato

protagonista della canzone sceglieva di morire piuttosto che uccidere: "E se gli sparo

in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire ma il tempo a me resterà per

vedere vedere gli occhi di un uomo che muore". In Morire per delle idee si sentono

anche gli echi dell' opera di un altro grande chansonnier francese, Boris Vian,

dichiaratamente pacifista che ne "Il disertore" invitava, inviandogli un a lettera, il

Presidente della Repubblica a partire in guerra (la guerra in questione è quella d'

Algeria) ed a mettere in gioco la propria vita .

Si tratta di una canzone che Brassens scrisse in funzione antimilitarista per

stigmatizzare ed enfatizzare l' inutilità di tutte le guerre, capaci solo di creare morte,

distruzione e vantaggiose esclusivamente ai fabbricanti di armi ed agli interessi politici

dei potenti.

Tuttavia il messaggio che Brassens voleva divulgare non venne facilmente carpito da

tutti e contraddittoriamente il suo pezzo venne accusato di gettare un' ombra d'

indifferenza e di dispregio nei confronti di tutti coloro i quali hanno perso la vita in

guerra, combattendo fino in fondo per gli ideali nei quali credevano.

In realtà il testo di Brassens vuole invitare gli uomini a riflettere lucidamente e

razionalmente su come tutte le guerre, tutti i conflitti bellici che vedono uccidersi tra

di loro migliaia di uomini, ogni volta per cause ed ideali diversi, sarebbero evitabili se

soltanto si facesse tutto il possibile per cercare di trovare un accordo, una soluzione

che scongiuri il ricorso alla violenza.

Si tratta sicuramente di una riflessione quasi utopica ma che vuole porre l' attenzione

sull' insensatezza della guerra, sul fatto che spesso gli ideali che spingono migliaia di

vite umane al sacrificio sono frutto delle manipolazioni da parte di "sputafuoco e nuovi

santi" in grado di cambiare bandiera repentinamente e di predicare valori ed ideali che

hanno perso il loro effimero significato il giorno dopo.

Ed è così che quando una guerra termina, quando viene raggiunto l' armistizio, un'

intesa tra le parti in lotta si riflette sul senso del prezzo di vite umane che quel

conflitto ha comportato.

Tanto per citare un esempio, si pensi alla guerra del Vietnam, durante la quale decine

di migliaia di giovani americani pieni di forza e di speranze nel futuro persero la vita e

quelli che rifiutarono di partire e dare il loro apporto al conflitto vennero imprigionati

insieme a tutti coloro i quali avevano tacciato di assurdità questa guerra.

Ebbene, a più di quarant'anni di distanza da quel tragico avvenimento, lo stesso

governo americano ha riconosciuto che quel conflitto bellico rappresentò un tremendo

errore ingiustificabile e chi, all' epoca, aveva gridato contro l' assurdità di quella

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guerra e lottato affinché si facesse di tutto per fermarla è stato giudicato

positivamente ed apprezzato per la sua lucidità lungimirante con la quale si era reso

conto dell' insensato massacro in atto; ma nulla potrà ridare giustizia e vita ai milioni

di americani e vietnamiti morti durante il conflitto, a causa di idee sbagliate, di valori

errati perseguiti al caro prezzo della vita.

Al di là delle splendide e fedeli traduzioni realizzate da De André si considerino inoltre i

numerosi riferimenti indiretti a Brassens disseminati nel corso della sua opera e delle sue

canzoni. Per citare qualche esempio l’ intero testo de “Il fannullone”

Senza pretesa di voler strafare

io dormo al giorno quattordici ore

anche per questo nel mio rione

godo la fama di fannullone

ma non si sdegni la brava gente

se nella vita non riesco a far niente

Tu vaghi per le strade quasi tutta la notte

sognando mille favole di gloria

e di vendetta racconti le sue storie

a pochi uomini ormai stanchi

che ridono fissandoti

con vuoti sguardi bianchi

tu reciti una parte fastidiosa alla gente facendo della vita una commedia divertente

Ho anche provato a lavorare

senza risparmio mi diedi da fare

ma il sol risultato dell'esperimento

fu della fame un tragico aumento

non si risenta la gente per bene se non mi adatto a portar le catene

richiama chiaramente “La mauvaise réputation” dove Brassens canta

Nel mio paese senza pretese

ho una cattiva reputazione,

faccia quello che faccia è la stessa cosa

tutti lo considerano male,

io non penso arrecare nessun danno

volendo vivere fuori della massa,

no, alla gente non gli piace che

ognuno abbia una propria fede,

tutti, tutti mi guardano male,

escluso i ciechi, è naturale.

Il giorno del quattordici luglio

io rimango nel letto allo stesso modo,

e la musica militare

non è mai riuscita a farmi alzare,

e poi nel mondo non c'è maggior peccato

che quello di non seguire chi porta la bandiera,

no, alla gente non gli piace che

ognuno abbia una propria fede,

tutti m'indicano con il dito, escluso i "monchi", voglio e non posso

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Dove al di la della chiara convergenza a livello dei contenuti e della tematica trattata si trovano

anche tutta una serie di rimandi dove il “senza pretesa” di De Andrè richiama in modo palese il

“sans pretention” del ritornello brassensiana o ancora è sintomatico il fatto che il fannullone di

De André dorma quattordici ore al giorno un numero che rimanda direttamente al quattordici

luglio, la festa nazionale francese, che viene citata nel testo di Brassens.

http://www.nakataimpastato.com/inner/fda/fda/inside/french/pages/brassens_4.htm

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ANALYSE ET APPRÉCIATION D’UNE CHANSON DATE:____/____/____

Titre de la chanson (chanteur, auteurs de la musique et des paroles, date de production):

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

Signification du titre:

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________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

Concepts/idées/messages fondamentaux véhiculés par la chanson:

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________________________________________________________________________________

Observations sur le texte de la chanson (forme et contenu):

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Observations sur la musique de la chanson:

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Appréciation personnelle

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Notes sur l’auteur/chanteur

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I testi di tutte le canzoni di

Georges Brassens (1921-1981)

work in progress

LA LISTA IPERTESTUALE (ORDINE ALFABETICO)

I testi sono raccolti seguendo i programmi dei CD della raccolta Georges Brassens – La mauvaise réputation

(coffret 13 CD Philips, 2001). I collegamenti multimediali con i brani musicali presuppongono che il lettore CD

corrisponda all’unità D:

CD 1: LA MAUVAISE RÉPUTATION

CD 2: LES AMOUREUX DES BANCS PUBLICS

CD 3: CHANSON POUR L’AUVERGNAT

1. A l’ombre des maris

2. A l’ombre du coeur de ma mie

3. A Mireille dit “Petit verglas”

4. A mon frère revenant d’Italie

5. Au bois de mon coeur

6. Auprès de mon arbre

7. Ballade à la lune

8. Ballade des dames du temps jadis

9. Bécassine

10. Bonhomme

11. (Le) Boulevard du temps qui passe

12. Brave Margot

13. Carcassonne

14. Ce n’est pas tout d’être mon père

15. Celui qui a mal tourné

16. C’était un peu leste

17. Ceux qui ne pensent pas comme nous

18. Chanson pour l’Auvergnat

19. Chansonnette à celle qui reste pucelle

20. Charlotte ou Sarah?

21. Clairette et la fourmi

22. Colombine

23. Comme hier

24. Comme une soeur

25. Concurrence déloyale

26. Corne d’Aurochs

27. Cupidon s’en fout

28. Dans l’eau de la claire fontaine

29. Dieu, s’il existe

30. Discours des Fleurs

31. Don Juan

32. Elégie à un rat de cave

33. Embrasse-les tous

34. Entre la rue Didot et la rue de Vanves

35. Entre l’Espagne et l’Italie

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36. Fernande

37. Gastibelza (L’homme à la carabine)

38. Germaine Tourangelle

39. Grand-pére

40. Hécatombe

41. Heureux qui comme Ulysse

42. Histoire de(s) faussaire(s)

43. Honte à qui peut chanter

44. Il n’y a pas d’amour heureux

45. Il suffit de passer le pont

46. J’ai rendez-vous avec vous

47. Je bivouaque au pays de Cocagne

48. Je me suis fait tout petit

49. Je rejoindrai ma belle

50. Je suis un voyou

51. Jean rentre au village

52. Jeanne

53. Jeanne Martin

54. Jehan l’advenu

55. L’amandier

56. L’ancêtre

57. L’andropause

58. L’Antéchrist

59. L’arc-en-ciel d’un quart d’heure

60. L’assassinat

61. L’enterrement de Paul Fort

62. L’enterrement de Verlaine

63. L’épave

64. L’inestimable sceau

65. L’orage

66. L’orphelin

67. La ballade des cimetières

68. La ballade des gens qui sont nés quelque part

69. La cane de Jeanne

70. La chasse aux papillons

71. La complainte des filles de joie

72. La femme d’Hector

73. La fessée

74. La file indienne

75. La fille à cent sous

76. La guerre

77. La guerre de 14-18

78. La légende de la nonne

79. La légion d’honneur

80. La maîtresse d’école

81. La marche nuptiale

82. La marguerite

83. La marine

84. La mauvaise herbe

85. La mauvaise réputation

86. La messe au pendu

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87. La non demande en mariage

88. La nymphomane

89. La passéiste

90. La première fille

91. La prière

92. La princesse et le croque-note

93. La religieuse

94. La ronde des jurons

95. La rose, la bouteille et la poignée de main

96. La route aux quatres chansons

97. La tondue

98. La traîtresse

99. La visite

100. Le bistrot

101. Le blason

102. Le bricoleur

103. Le bulletin de santé

104. Le cauchemar

105. Le chapeau de Mireille

106. Le cocu

107. Le coeur à l’automne

108. Le fantôme

109. Le fidèle absolu

110. Le fossoyeur

111. Le gorille

112. Le grand chêne

113. Le grand Pan

114. Le mauvais sujet repenti

115. Le mécréant

116. Le mérinos

117. Le modeste

118. Le mouton de Panurge

119. Le moyenâgeux

120. Le myosotis

121. Le nombril

122. Le parapluie

123. Le pêcheur

124. Le Père Noël et la petite fille

125. Le petit cheval

126. Le petit joueur de flûteau

127. Le petit-fils d’Oedipe

128. Le pince-fesse

129. Le pluriel

130. Le pornographe

131. Le progrès

132. Le revenant

133. Le roi

134. Le roi boiteux

135. Le sceptique

136. Le sein de chair et le sein de bois

137. Le temps ne fait rien à l’affaire

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138. Le temps passé

139. Le testament

140. Le vent

141. Le verger du roi Louis

142. Le vieux fossile

143. Le vieux Léon

144. Le vieux Normand

145. Le vin

146. Le vingt-deux septembre

147. Lèche-cocu

148. Les amoureux des bancs publics

149. Les amours d’antan

150. Les casseuses

151. Les châteaux de sable

152. Les copains d’abord

153. Les croquants

154. Les croques-morts améliorés

155. Les deux oncles

156. Les funérailles d’antan

157. Les illusions perdues

158. Les lilas

159. Les oiseaux de passage

160. Les passantes

161. Les patriotes

162. Les philistins

163. Les quat’z’arts

164. Les quatre bacheliers

165. Les radis

166. Les ricochets

167. Les sabots d’Helène

168. Les trompettes de la renommée

169. Les voisins

170. Maman, Papa

171. Marinette (J’avais l’air d’un con)

172. Marquise

173. Méchante avec de jolies seins

174. Mélanie

175. Misogynie à part

176. Montélimar

177. Mourir pour des idées

178. Oncle Archibald

179. P... de toi

180. Pauvre Martin

181. Pénélope

182. Pensée des morts

183. Quand les cons sont braves

184. Quatre-vingt-quinze pour cent

185. Retouche à un roman d’amour de quatre sous

186. Rien à jeter

187. Sale petit bonhomme

188. Saturne

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189. Sauf le respect que je vous dois

190. S’faire enculer

191. Si le bon Dieu l’avait voulu

192. Si seulement elle était jolie

193. Stances à un cambrioleur

194. Supplique pour être enterré à la plage de Sète

195. Sur la mort d’une cousine de sept ans

196. Tant qu’il y a des Pyrénées

197. Tempête dans un bénitier

198. Tonton Nestor (la noce de Jeannette)

199. Trompe la mort

200. Une jolie fleur (dans une peau d’vache)

201. Une ombre au tableau

202. Une petite Eve en trop

203. Vendetta

204. Vénus callipyge

APPROFONDIMENTI – ANALISI TESTUALE

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I TESTI

***

CD 1: LA MAUVAISE RÉPUTATION

La mauvaise réputation CD 1 TRACK 01

Au village, sans prétention,

J’ai mauvaise réputation:

Qu’ je m’ démène ou qu’ je reste coi,

Je pass’ pour un je ne sais quoi!

Je ne fais pourtant de tort à personne,

En suivant mon ch’min de petit bonhomme;

Mais les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Non, les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Tout le monde médit de moi,

Sauf les muets, ça va de soi.

Le jour du quatorze juillet

Je reste dans mon lit douillet.

La musique qui marche au pas,

Cela ne me regarde pas.

Je ne fais pourtant de tort à personne,

En n’écoutant pas le clairon qui sonne;

Mais les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Non, les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Tout le monde me montre au doigt,

Sauf les manchots, ça va de soi.

Quand j’ crois’ un voleur malchanceux,

Poursuivi par un cul-terreux,

j’ lanc’ la patte et, pourquoi le tair’,

Le cul-terreux s’ retrouv’ par terr’.

Je ne fais pourtant de tort à personne,

En laissant courir les voleurs de pommes;

Mais les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Non, les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Tout le monde se rue sur moi,

Sauf les culs-d’jatt’, ça va de soi.

Pas besoin d’être Jérémie

Pour d’viner l’sort qui m’est promis:

s’ils trouv’nt une corde à leur goût,

Ils me la passeront au cou.

Je ne fais pourtant de tort à personne,

La cattiva reputazione

Al mio paese, senza presunzione,

ho una cattiva reputazione:

che io mi agiti o rimanga cheto,

passo per uno che non so dirvi!

Eppure non faccio torto a nessuno,

se tiro dritto per la mia strada;

ma alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

No, alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

Tutti parlano male di me

(salvo i muti, ben inteso).

Il giorno del quattordici luglio

rimango a letto spaparanzato:

la musica della fanfara militare

proprio non mi interessa.

Eppure non faccio torto a nessuno,

se non ascolto lo squillar di trombe;

ma alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

No, alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

Tutti mi segnano a dito

(salvo i monchi, ben inteso).

Quando incrocio un ladruncolo sfortunato

inseguito da un “terrone”,

allungo uno sgambetto e, perché negarlo,

il “terrone” vola per terra.

Eppure non faccio torto a nessuno,

se lascio scappare i ladri di mele;

ma alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

No, alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

Tutti mi si scagliano addosso

(salvo gli storpi, ben inteso).

Non c’è bisogno di essere Geremia

per indovinare la sorte che mi è promessa:

se troveranno una corda di loro gusto,

me la passeranno al collo.

Eppure non faccio torto a nessuno,

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En suivant les ch’mins qui n’ mèn’t pas à Rome;

Mais les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Non, les brav’s gens n’aiment pas que

L’on suive une autre route qu’eux.

Tout l’ mond’ viendra me voir pendu,

Sauf les aveugl’s, bien entendu.

1952

se scelgo delle strade che non portano a Roma;

ma alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

No, alle persone per bene non piace che

si scelga una strada diversa dalla loro.

Tutti verranno a vedermi impiccato

(salvo i ciechi, ben inteso).

2010

Vedi approfondimento

Le fossoyeur CD1 TRACK02

Dieu sait qu’ je n’ai pas le fond méchant,

Je ne souhait’ jamais la mort des gens;

Mais si l’on ne mourait plus,

J’ crèverais d’faim sur mon talus...

J’suis un pauvre fossoyeur.

Les vivants croient qu’ je n’ai pas d’ remords

A gagner mon pain sur l’ dos des morts;

Mais ça m’ tracasse et, d’ailleurs,

J’ les enterre à contrecoeur...

J’suis un pauvre fossoyeur.

Et plus j’ lâch’ la bride à mon émoi,

Et plus les copains s’amus’nt de moi;

I’ m’ dis’nt: “Mon vieux, par moments,

T’as un’ figur’ d’enterrement...”

J’suis un pauvre fossoyeur.

J’ai beau m’ dir’ que rien n’est éternel,

J’ peux pas trouver ça tout naturel;

Et jamais je ne parviens

A prendr’ la mort comme ell’ vient...

J’ suis un pauvre fossoyeur.

Ni vu ni connu, brav’ mort, adieu!

Si du fond d’ la terre on voit l’ Bon Dieu,

Dis-lui l’mal que m’a coûté

La dernière pelletée...

J’suis un pauvre fossoyeur.

J’suis un pauvre fossoyeur.

1952

Il becchino

Dio sa che non ho l’animo cattivo,

non mi auguro mai la morte della gente,

ma se non si morisse più

io creperei di fame tra le mie fosse:

sono un povero becchino.

I vivi credono che io non abbia rimorsi

nel guadagnarmi il pane alle spalle dei morti,

e invece mi secca e, per di più,

li seppellisco controvoglia...

sono un povero becchino.

E più lascio andare il turbamento

e più gli amici mi prendono in giro:

mi dicono: “Vecchio mio, certe volte

hai proprio una faccia da funerale...”

Sono un povero becchino.

Non serve ch’io mi dica che niente è eterno,

non ce la faccio a trovar la cosa naturale;

e non riesco mai

a prendere la morte come viene...

sono un povero becchino.

Mai visto né conosciuto, caro morto, addio!

Se dal profondo della terra si vede il buon Dio,

digli la pena che mi è costata

l’ultima palata...

sono un povero becchino.

Sono un povero becchino.

2010

Le gorille CD1 TRACK03

C’est à travers de larges grilles,

Que les femelles du canton,

Contemplaient un puissant gorille,

Sans souci du qu’en-dira-t-on;

Il gorilla

Attraverso una grande inferriata

le femmine del paese

contemplavano un possente gorilla,

senza preoccuparsi delle malelingue.

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Avec impudeur, ces commères

Lorgnaient même un endroit précis

Que, rigoureusement ma mère

M’a défendu d’nommer ici...

Gare au gorille!...

Tout à coup, la prison bien close,

Où vivait le bel animal,

S’ouvre on n’sait pourquoi (je suppose

Qu’on avait du la fermer mal);

Le singe, en sortant de sa cage

Dit: “C’est aujourd’hui que j’le perds!”

Il parlait de son pucelage,

Vous avez deviné, j’espère!

Gare au gorille!...

L’patron de la ménagerie

Criait, éperdu: “Nom de nom!

C’est assomant car le gorille

N’a jamais connu de guenon!”

Dès que la féminine engeance

Sut que le singe était puceau,

Au lieu de profiter de la chance

Elle fit feu des deux fuseaux!

Gare au gorille!...

Celles-là même qui, naguère,

Le couvaient d’un oeil décidé,

Fuirent, prouvant qu’ell’s n’avaient guère

De la suite dans les idées;

D’autant plus vaine était leur crainte,

Que le gorille est un luron

Supérieur à l’homme dans l’étreinte,

Bien des femmes vous le diront!

Gare au gorille!...

Tout le monde se précipite

Hors d’atteinte du singe en rut,

Sauf une vieille décrépite

Et un jeune juge en bois brut;

Voyant que toutes se dérobent,

Le quadrumane accéléra

Son dandinement vers les robes

De la vieille et du magistrat!

Gare au gorille!...

“Bah! soupirait la centenaire,

Qu’on puisse encore me désirer,

Ce serait extraordinaire,

Et, pour tout dire, inespéré!”

Le juge pensait, impassible,

Senza pudore, quelle comari

fissavano tutte una stessa cosa,

che mia madre mi ha proibito

assolutamente di dire qui...

Occhio al gorilla!

Tutto ad un tratto, la sicura prigione

in cui viveva il bell’animale,

s’apre – non si sa perché (suppongo

che l’avessero chiusa male).

La scimmia, uscendo dalla gabbia

disse: “Oggi è il giorno che la perdo!”.

Parlava della verginità,

spero che abbiate indovinato!

Occhio al gorilla!

Il padrone del serraglio

gridava, sconvolto: “In nome del Cielo!

Questo è un bel guaio, poiché il gorilla

non ha mai conosciuto una femmina!”

Non appena le donne

seppero che lo scimmione era vergine,

invece di approfittare dell’occasione,

se la dettero a gambe levate!

Occhio al gorilla!

Anche quelle che poco prima

lo concupivano con uno sguardo deciso

fuggirono dimostrando di non essere

molto coerenti;

e tanto più sciocco era il loro timore

in quanto il gorilla è un giocherellone

ben superiore all’uomo, nella presa

(parecchie donne possono confermarlo!).

Occhio al gorilla!

Tutti si precipitano

fuori della portata dello scimmione in fregola,

tranne una vecchia decrepita

e un giovane giudice tutto d’un pezzo.

Vedendo che tutte se la svignano,

il quadrumane accelerò,

con l’andatura ondeggiante, verso i vestiti

della vecchia e del magistrato!

Occhio al gorilla!

“Mah! sospirava la centenaria,

che mi si possa ancora desiderare,

sarebbe davvero straordinario

e, a dirla tutta, insperato!”

Il giudice pensava impassibile:

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“Qu’on me prenne pour une guenon,

C’est complètement impossible...”

La suite lui prouva que non!

Gare au gorille!...

Supposez que l’un de vous puisse être,

Comme le singe, obligé de

Violer un juge ou une ancètre,

Lequel choisirait-il des deux?

Qu’une alternative pareille,

Un de ces quatres jours, m’échoie,

C’est, j’en suis convaicu, la vieille

Qui sera l’objet de mon choix!

Gare au gorille!...

Mais, par malheur, si le gorille

Aux jeux de l’amour vaut son prix,

On sait qu’en revanche il ne brille

Ni par le goût, ni par l’esprit.

Lors, au lieu d’opter pour la vieille,

Comme aurait fait n’importe qui,

Il saisit le juge à l’oreille

Et l’entraîna dans un maquis!

Gare au gorille!...

La suite serait délectable,

Malheureusement, je ne peux

Pas la dire, et c’est regrettable,

Ca nous aurait fait rire un peu;

Car le juge, au moment suprême,

Criait: “Maman!”, pleurait beaucoup,

Comme l’homme auquel, le jour même,

Il avait fait trancher le cou.

Gare au gorille!...

1952

“Che mi si prenda per una scimmia,

è completamente impossibile...”

Il seguito gli dimostrò di no!

Occhio al gorilla!

Immaginate che uno di voi sia obbligato,

come lo scimmione, a

violentare un giudice o una vecchietta,

quale dei due sceglierebbe?

Se uno di questi giorni

mi capitasse un dilemma simile,

sarebbe la vecchia – ne sono convinto,

l’oggetto della mia scelta!

Occhio al gorilla!

Ma, sfortunatamente, se il gorilla

agli occhi dell’amore vale il suo prezzo,

si sa che al contrario non è che brilli

né per il buon gusto, né per lo spirito.

E allora, invece di optare per la vecchia,

come avrebbe fatto chiunque,

afferrò il giudice per un orecchio

e lo strascinò dentro un cespuglio.

Occhio al gorilla!

Il seguito sarebbe dilettevole,

sfortunatamente non posso

raccontarlo, ed è un vero peccato

perché ci avrebbe fatto ridere un po’,

infatti il giudice, nel momento supremo,

gridava: “Mamma!” e piangeva parecchio,

come l’uomo al quale, quello stesso giorno,

aveva fatto tagliare la testa.

Occhio al gorilla!

2010

Vedi approfondimento

Le petit cheval CD1 TRACK04

(Poème de Paul Fort)

Le p’tit ch’val dans le mauvais temps

Qu’il avait donc du courrage!

C’était un petit cheval blanc

Tous derrière, tous derrière

C’était un petit cheval blanc

Tous derrière et lui devant!

Il n’y avait jamais d’ beau temps

Dans ce pauvre paysage!

Il n’y avait jamais d’ printemps

Il cavallino

(Poesia di Paul Fort)

testo

2010

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Ni derrière, ni derrière,

Il n’y avait jamais d’ printemps

Ni derrière ni devant!

Mais toujours il était content

Menant les gars du village

A travers la pluie noire des champs

Tous derrière, tous derrière

A travers la pluie noire des champs

Tous derrière et lui devant!

Sa voiture allait poursuivant

Sa bell’ petit’ queue sauvage

C’est alors qu’il était content

Tous derrière, tous derrière

C’est alors qu’il était content

Tous derrière et lui devant!

Mais un jour dans le mauvais temps,

Un jour qu’il était sage

Il est mort par un éclair blanc

Tous derrière, tous derrière

Il est mort par un éclair blanc

Tous derrière et lui devant!

Il est mort sans voir le beau temps

Qu’il avait donc du courrage!

Il est mort sans voir le printemps

Ni derrière, ni derrière

Il est mort sans voir le printemps

Ni derrière, ni devant!

1952

Ballade des dames

du temps jadis (Poème de François Villon)

texte original Dictes moy ou, n'en quel pays, Est Flora, la belle Rommaine,

Archipiada, ne Thaïs, Qui fut sa cousine germaine;

Echo, parlant quand bruyt on maine Dessus rivière ou sus estan,

Qui beaulté ot trop plus qu'humaine? Mais ou sont les neiges d'antan?

Ou est la très sage Helloïs, Pour qui fut chastré, puis moyne Pierre Esbaillart a Saint Denis? Pour son amour ot cest essoyne. Semblablement ou est la royne

Qui commanda que Buridan Fust gecté en ung sac en Saine?

CD1 TRACK05

texte chanté par Brassens Dites-moi où, n’1en quel pays,

Est Flora la belle Romaine, Archipiada né Thaïs,

Qui fut sa cousine germaine, Écho parlant quand bruit on mène

Dessus rivière ou sur étang, Qui beauté eut trop plus qu’humaine.

Mais où sont les neiges d’antan? Qui beauté eut trop plus qu’humaine.

Mais où sont les neiges d’antan?

Où est la très sage Hélois, Pour qui châtré fut et puis moine

Pierre Esbaillart à Saint Denis? Pour son amour eut cette essoyne.

Semblablement où est la reine

Ballata delle dame

dei tempi antichi (Poesia di François Villon)

traduzione Ditemi dove, e in quale paese,

è Flora, la bella Romana,

e Alcibiade, e Thais,

che fu sua gemella nella bellezza;

ed Eco, che parla quando si fan rumori

sui fiumi o presso gli stagni,

e che ebbe bellezza sovrumana....

Ma dove sono le nevi dell’anno passato?

... che ebbe bellezza sovrumana....

Ma dove sono le nevi dell’anno passato?

Dov’è la virtuosissima Eloisa,

per la quale Pietro Abelardo fu evirato

e poi divenne monaco a Saint Denis?

A causa del suo amore ebbe questa sventura.

E allo stesso modo, dov’è la regina

1 Antica congiunzione “ne” (pronuncia: [né]), utilizzata come sinonimo di “et”. Vedi anche, più sotto, “né Thaïs” e “né

de cet an”.

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Mais ou sont les neiges d'antan?

La royne blanche comme lis, Qui chantoit a voix de seraine;

Berte au grant pié, Bietris, Alis; Haremburgis qui tint le Maine, Et Jehanne, la bonne Lorraine, Qu'Englois brulerent a Rouan;

Ou sont ilz, ou, Vierge souvraine? Mais ou sont les neiges d'antan?

Prince, n’enquérez de sepmaine

Ou elles sont, ne de cest an,

Qu’a ce reffrain [je] ne vous remaine:

Mais ou sont les neiges d’antan?

Qui commanda que Buridan Fut jeté en un sac en Seine?

Mais où sont les neiges d’antan?

Fut jeté en un sac en Seine? Mais où sont les neiges d’antan?

La reine Blanche comme lys Qui chantait à voix de sirène,

Berthe au grand pied, Biétris, Alis, Haremburgis qui tint le Maine,

Et Jeanne la bonne Lorraine Qu’Anglais brulèrent à Rouen;

Où sont-ils, Vierge souveraine? Mais où sont les neiges d’antan?

Où sont-ils, Vierge souveraine? Mais où sont les neiges d’antan?

Prince, n'enquerrez de semaine Où elles sont, né de cet an,

Que ce refrain [je] ne vous ramène : Mais où sont les neiges d'antan?

1953

che ordinò che Buridano

fosse buttato in un sacco nella Senna?

Ma dove sono le nevi dell’anno passato?

... fosse buttato in un sacco nella Senna?

Ma dove sono le nevi dell’anno passato?

La regina Bianca come un giglio

che cantava con voce di sirena,

Berta dai grandi piedi, Beatrice, Alice,

Haremburgis che possedeva il Maine,

e Giovanna, la buona Lorenese,

che gli Inglesi bruciarono a Rouen...

dove sono, Vergine Sovrana?

Ma dove sono le nevi dell’anno passato?

Dove sono, Vergine Sovrana?

Ma dove sono le nevi dell’anno passato? Principe, non domandatemi per questa settimana, e neppure per quest’anno, dove esse siano, affinché non abbia a ripetervi questo ritornello: “Ma dove sono le nevi dell’anno passato?”

2010

Hécatombe CD1 TRACK06

Au marché de Briv’-la-Gaillarde

À propos de bottes d’oignons,

Quelques douzaines de gaillardes

Se crêpaient un jour le chignon.

À pied, a cheval, en voiture,

Les gendarmes mal inspirés

Vinrent pour tenter l’aventure

D’interrompre l’échauffourée.

Or, sous tous les cieux sans vergogne,

C’est un usag’ bien établi,

Dès qu’il s’agit d’rosser les cognes

Tout le monde se réconcilie.

Ces furies perdant tout’ mesure

Se ruèrent sur les guignols,

Et donnèrent je vous l’assure

Un spectacle assez croquignol.

En voyant ces braves pendores

Être à deux doigts de succomber,

Moi, j’ bichais car je les adore

Sous la forme de macchabées,

De la mansarde où je réside

J’exitais les farouches bras

Des mégères gendarmicides

En criant: «Hip, hip, hip, hourra!»

Frénétiqu’ l’un’ d’elles attache

Le vieux maréchal des logis

Et lui fait crier: «Mort aux vaches,

Mort aux lois, vive l’anarchie!»

Une autre fourre avec rudesse

Le crâne d’un de ces lourdauds

Ecatombe

Al mercato di Brive-la-Gaillarde,

per via di qualche mazzo di cipolle,

alcune dozzine di donnone

si accapigliavano un giorno.

A piedi, a cavallo, in macchina,

i gendarmi ebbero la cattiva idea

di accorrere per tentare l’avventura

d’interrompere il tafferuglio.

Ora, sotto tutti i cieli, e senza vergogna,

è un costume ben stabilito:

quando si tratta di menare qualcuno

tutti quanti fanno la pace.

Quelle furie, perdendo ogni controllo,

si avventarono sui fantoccini

e dettero, ve l’assicuro,

uno spettacolo assai grazioso.

Vedendo che quella brava sbirraglia

era sul punto di soccombere,

io ero contento poiché gli sbirri mi piacciono

sotto forma di cadaveri:

dalla mansarda in cui abito

eccitavo le feroci braccia

delle megere gendarmicide

gridando: «Hip, hip, hurrà!».

Una di loro attacca con frenesia

il vecchio maresciallo di quartiere

e gli fa gridare: «Abbasso la polizia,

abbasso le leggi, viva l’anarchia!».

Un’altra ficca violentemente

il cranio di uno di quei tangheri

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Entre ses gigantesques fesses

Qu’elles serre comme un étau.

La plus grasse de ces femelles

Ouvrant son corsage dilaté

Matraque à grand coup de mamelles

Ceux qui passent à sa portée.

Ils tombent, tombent, tombent, tombent,

Et s’lon les avis compétents

Il paraît que cette hécatombe

Fut la plus bell’ de tous les temps.

Jugeant enfin que leurs victimes

Avaient eu leur content de gnons,

Ces furies comme outrage ultime

En retournant à leurs oignons,

Ces furies à peine si j’ose

Le dire tellement c’est bas,

Leur auraient mêm’ coupé les choses,

Par bonheur ils n’en avait pas.

Leur auraient mêm’ coupé les choses,

Par bonheur ils n’en avait pas.

1952

tra le sue gigantesche natiche

e poi le stringe come una morsa.

La più grassa di quelle femmine,

aprendo la camicetta deformata

randella con gran colpi di mammelle

quelli che passano alla sua portata:

e cadono, cadono, cadono, cadono...

Secondo il giudizio degli esperti

sembra che quella ecatombe

fu la più bella di tutti i tempi.

Giudicando infine che le loro vittime

avevano avuto le botte che meritivano,

quelle furie, come estremo oltraggio,

ritornando alle loro cipolle,

quelle furie (quasi non oso

dirlo per quanto è volgare)

avrebbero loro perfino tagliato i “ cosi”:

meno male che non ce li avevano!

Avrebbero loro perfino tagliato i “cosi”:

meno male che non ce li avevano!

2010

Vedi approfondimento

La chasse aux papillons CD1 TRACK07

Un bon petit diable à la fleur de l’âge,

La jambe légère et l’oeil polisson,

Et la bouche plein’ de joyeux ramages,

Allait à la chasse aux papillons.

Comme il atteignait l’oré du village,

Filant sa quenouille, il vit Cendrillon,

Il lui dit: « Bonjour, que Dieu te ménage,

J’ t’emmène à la chasse aux papillons. »

Cendrillon, ravi’ de quitter sa cage,

Met sa robe neuve et ses botillons;

Et bras d’ssus bras d’ssous vers les frais bocages

Ils vont à la chasse aux papillons.

Ils ne savaient pas que, sous les ombrages,

Se cachait l’amour et son aiguillon,

Et qu’il transperçait les coeurs de leur âge,

Les coeurs des chasseurs de papillons.

Quand il se fit tendre, ell’ lui dit: « J’ présage

Qu’ c’est pas dans les plis de mon cotillon,

Ni dans l’échancrure de mon corsage,

Qu’on va-t-à la chasse aux papillons. »

La caccia alle farfalle

testo

2010

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Sur sa bouche en feu qui criait: « Sois sage! »

Il posa sa bouche en guis’ de bâillon,

Et c’ fut l’ plus charmant des remu’-ménage

Qu’on ait vu d’ mémoire de papillon.

Un volcan dans l’âme, i’ r’vinr’nt au village,

En se promettant d’aller des millions,

Des milliards de fois, et mêm’ d’avantage,

Ensemble à la chasse aux papillons.

Mais tant qu’ils s’aim’ront, tant que les nuages

Porteurs de chagrins, les épargneront,

I’ f’ra bon voler dans les frais bocages,

I f’ront pas la chasse aux papillons.

1952

Le parapluie CD1 TRACK08

Il pleuvait fort sur la grand-route,

Ell’ cheminait sans parapluie,

J’en avait un, volé sans doute

Le matin meme à un ami.

Courant alors à sa rescousse,

Je lui propose un peu d’abri

En séchant l’eau de sa frimousse,

D’un air très doux ell’ m’a dit oui.

Refrain

Un p’tit coin d’ parapluie,

Contre un coin d’ Paradis.

Elle avait quelque chos’ d’un ange,

Un p’tit coin d’ Paradis,

Contre un coin d’ parapluie.

Je n’ perdait pas au change,

Pardi!

Chemin faisant que se fut tendre

D’ouir à deux le chant joli

Que l’eau du ciel faisait entendre

Sur le toit de mon parapluie.

J’aurais voulu comme au déluge,

voir sans arret tomber la pluie,

Pour la garder sous mon refuge,

Quarante jours, Quarante nuits.

(au refrain)

Mais betement, meme en orage,

Les routes vont vers des pays.

L’ombrello

testo

2010

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Bientot le sien fit un barrage

A l’horizon de ma foli.

Il a fallut qu’elle me quitte,

Après m’avoir dit grand merci.

Et je l’ai vue toute petite

Partir gaiement vers mon oubli.

(au refrain)

1952

La marine CD1 TRACK09

(Poème de Paul Fort)

On les r’trouve en raccourci

Dans nos p’tits amours d’un jour,

Tout’s les joies, tous les soucis,

Des amours qui dur’nt toujours

C’est là l’sort de la marine

Et de tout’s nos petit’s chéries.

On accoste, vite un bec,

Pour nos baisers, l’corps avec!

Et les joies et les boud’ries,

Les fâcheries, les bons retours,

On les r’trouve en raccourci

Dans nos p’tits amours d’un jour.

On a ri, on s’est baisé,

sur les neunœils, sur les nénés,

Dans les ch’veux à pleins bécots

Pondus comm’ des œufs, tout chauds!

Tout c’qu’on fait dans un seul jour

Et comme on allong’ le temps,

Plus d’trois fois dans un seul jour,

Contents, pas contents, contents!

Y a dans la chambre une odeur

D’amour tendre et de goudron.

Ça vous met la joie au cœur

La peine aussi et c’est bon.

On n’est pas là pour causer,

Mais on pens’ mêm’ dans l’amour

On pens’ que d’main y f’ra jour

Et qu’c’est un’ calamité.

C’est là l’sort de la marine,

Et de tout’s nos petit’s chéries,

On accost’ mais on devine

Qu’ça s’ra pas le paradis!

On aura beau s’dépêcher

Paese di mare

(Poesia di Paul Fort)

Si ritrovano concentrate

nei nostri amoretti di un giorno,

tutte le gioie, tutte le pene

degli amori che durano per sempre.

E’ questa, la sorte dei paesi di mare,

e di tutte le nostre veloci conquiste d’amore:

ci si accosta e poi... presto, una bocca,

e pure un corpo, per i nostri baci!

E le gioie, i volti imbronciati,

i litigi, l’intesa ritrovata...

tutto si ritrova, concentrato,

nei nostri amoretti di un giorno.

Abbiamo riso, ci siamo baciati,

sugli occhietti belli e sulle tettine,

in mezzo ai capelli con infiniti baciotti

caldi caldi, come uova di giornata!

Tutto quello che si fa in un solo giorno

e (poiché si rallenta il tempo)

più di tre volte in un solo giorno:

felici, infelici, felici!

Nella stanza c’è odore

di amor tenero e di catrame,

e quanta gioia vi mette in cuore,

assieme ad un cruccio, ma va bene così.

Non si è venuti fin là per parlare,

ma perfino nell’amore, si pensa...

si pensa che domani si farà giorno,

ed è una vera sciagura.

E’ questa, la sorte dei paesi di mare,

e di tutte le nostre veloci conquiste d’amore:

ci si accosta, ma già si sa

che non sarà questo, il paradiso!

Non servirà a nulla fare presto,

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Fair’ bon dieu, la pige au temps,

Et l’bourrer d’tous nos pêchés

Ça n’s’ra pas ça et pourtant...

Tout’s les joies, tous les soucis,

Des amours qui dur’nt toujours,

On les r’trouvent en raccourci

Dans nos p’tits amours d’un jour.

1953

buon Dio, e sorpassare il tempo nella corsa,

e caricarlo di tutti i nostri peccati.

Non funzionerà, e tuttavia...

tutte le gioie, tutte le pene

degli amori che durano per sempre,

le ritroviamo, concentrate,

nei nostri amoretti di un giorno.

2010

Corne d’Aurochs CD1 TRACK10

Il avait nom Corne d’Aurochs, au gué, au gué

Tout l’ mond’ peut pas s’app’ler Durand, au gué,

au gué

En le regardant avec un oeil de poète,

On aurait pu croire à son frontal de prophète,

Qu’il avait les grand’s eaux de Versaill’s dans la

tête

Corne d’Aurochs.

Mais que le bon dieu lui pardonne, au gué, au

gué

C’étaient celles du robinet; au gué, au gué

On aurait pu croire en l’ voyant penché sur

l’onde

Qu’il se plongeait dans des méditations

profondes,

Sur l’aspect fugitif des choses de se monde

Corne d’Aurochs.

C’étaient hélas pour s’assurer, au gué, au gué

Qu’ le vent n’ l’avait pas décoiffé, au gué, au gué

Il proclamait à son de trompe à tous les

carrefours

"Il n’y a qu’ les imbéciles qui sachent bien faire

l’amour,

La virtuosité c’est une affaire de balourds!"

Corne d’Aurochs.

Il potassait à la chandelle, au gué, au gué

Des traités de maitien sexuel, au gué, au gué

Et sur les femm’s nues des musées, au gué, au

gué

Faisait l’ brouillon de ses baisers, au gué, au gué

Et bientôt petit à petit, au gué, au gué

On a tout su, tout su de lui, au gué, au gué

Corne d’Auroch

testo

2010

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On a su qu’il était enfant de la Patrie

Qu’il était incapable de risquer sa vie

Pour cueillir un myosotis à une fille

Corne d’Aurochs.

Qu’il avait un p’tit cousin, au gué, au gué

Haut placé chez les argousins, au gué, au gué

Et que les jours de pénurie, au gué, au gué

Il prenait ses repas chez lui, au gué, au gué

C’est même en revenant d’ chez cet antipathique

Qu’il tomba victime d’une indigestion critique

Et refusa l’ secours de la thérapeutique

Corne d’Aurochs.

Parce que c’était un All’mand, au gué, au gué

Qu’on devait le médicament, au gué, au gué

Il rendit comm’ il put son âme machinale

Et sa vie n’ayant pas été originale

L’Etat lui fit des funérailles nationales

Corne d’Aurochs.

Alors sa veuve en gémissant, au gué, au gué

Coucha avec son remplaçant, au gué, au gué.

1952

Il suffit de passer le pont CD1 TRACK11

Il suffit de passer le pont,

C’est tout de suite l’aventure!

Laisse-moi tenir ton jupon,

J’ t’emmèn’ visiter la nature!

L’herbe est douce à Pâques fleuri’s...

Jetons mes sabots, tes galoches,

Et, légers comme des cabris,

Courons après les sons de cloches!

Dinn din don! les matines sonnent

En l’honneur de notre bonheur,

Ding ding dong! faut l’ dire à personne:

J’ai graissé la patte au sonneur.

Laisse-moi tenir ton jupon,

Courons, guilleret, guillerette,

Il suffit de passer le pont,

Et c’est le royaum’ des fleurettes...

Entre tout’s les bell’s que voici,

Je devin’ cell’ que tu préfères...

C’est pas l’ coquelicot, Dieu merci!

Basta passare il ponte

testo

2010

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31

Ni l’ coucou, mais la primevère.

J’en vois un’ blotti’ sous les feuilles,

Elle est en velours comm’ tes jou’s.

Fais le guet pendant qu’ je la cueille:

" Je n’ai jamais aimé que vous! "

Il suffit de trois petits bonds,

C’est tout de suit’ la tarantelle,

Laisse-moi tenir ton jupon,

J’saurai ménager tes dentelles...

J’ai graissé la patte au berger

Pour lui fair’ jouer une aubade.

Lors, ma mi’, sans croire au danger,

Faisons mille et une gambades,

Ton pied frappe et frappe la mousse...

Si l’ chardon s’y pique dedans,

Ne pleure pas, ma mi’ qui souffre:

Je te l’enlève avec les dents!

On n’a plus rien à se cacher,

On peut s’aimer comm’ bon nous semble,

Et tant mieux si c’est un péché:

Nous irons en enfer ensemble!

Il suffit de passer le pont,

Laisse-moi tenir ton jupon.

Il suffit de passer le pont,

Laisse-moi tenir ton jupon.

1953

Comme hier CD1 TRACK12

Hé! donn’ moi ta bouche, hé! ma jolie fraise!

L’aube a mis des frais’s plein notr’ horizon.

Garde tes dindons, moi mes porcs, Thérèse.

Ne r’pouss’ pas du pied mes p’tits cochons.

Va, comme hier! comme hier! comme hier!

Si tu ne m’aimes point, c’est moi qui t’aim’rons.

L’un tient le couteau, l’autre la cuiller:

La vie, c’est toujours les mêmes chansons.

Pour sauter l’ gros sourceau de pierre en pierre,

Comme tous les jours mes bras t’enlèv’ront.

Nos dindes, nos truies nous suivront légères.

Ne r’pouss’ pas du pied mes p’tits cochons.

Va, comme hier! comme hier! comme hier!

Si tu ne m’aimes point, c’est moi qui t’aimerons.

La vie, c’est toujours amour et misère.

Come ieri

testo

2010

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32

La vie, c’est toujours les mêmes chansons.

J’ai tant de respect pour ton coeur, Thérèse.

Et pour tes dindons, quand nous nous aimons.

Quand nous nous fâchons, hé! ma jolie fraise,

Ne r’pouss’ pas du pied mes p’tits cochons.

Va, comme hier! comme hier! comme hier!

Si tu ne m’aimes point, c’est moi qui t’aim’rons.

L’un tient le couteau, l’autre la cuiller:

La vie, c’est toujours la même chanson.

1953

Maman, Papa CD1 TRACK13

(en duo avec Patachou)

Maman, maman, en faisant cette chanson,

Maman, maman, je redeviens petit garçon,

Alors je suis sage en classe

Et, pour te fair’ plaisir,

J’obtiens les meilleures places,

Ton désir.

Maman, maman, je préfère à mes jeux fous,

Maman, maman, demeurer sur tes genoux,

Et, sans un mot dire, entendre tes refrains

charmants,

Maman, maman, maman, maman.

Papa, papa, en faisant cette chanson,

Papa, papa, je r’deviens petit garçon,

Et je t’entends sous l’orage

User tout ton humour

Pour redonner du courage

A nos coeurs lourds.

Papa, papa, il n’y eut pas entre nous,

Papa, papa, de tendresse ou de mots doux,

Pourtant on s’aimait, bien qu’on ne se l’avouât

pas,

Papa, papa, papa, papa.

Maman, papa, en faisant cette chanson,

Maman, papa, je r’deviens petit garçon,

Et, grâce à cet artifice,

Soudain je comprends

Le prix de vos sacrifices,

Mes parents.

Maman, papa, toujours je regretterai,

Maman, papa, de vous avoir fait pleurer

Au temps où nos coeurs ne se comprenaient

encor’ pas,

Mamma, papà

(in duo con Patachou)

testo

2010

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33

Maman, papa, maman, papa.

1953

Le mauvais sujet repenti CD1 TRACK14

Elle avait la taill’ faite au tour,

Les hanches pleines, Et chassait l’ mâle aux

alentours

De la Mad’leine...

A sa façon d’ me dir’: "Mon rat,

Est-c’ que j’ te tente?"

Je vis que j’avais affaire à

Un’ débutante...

L’avait l’ don, c’est vrai, j’en conviens,

L’avait l’ génie,

Mais sans technique, un don n’est rien

Qu’un’ sal’ manie...

Certes, on ne se fait pas putain

Comme on s’ fait nonne.

C’est du moins c’ qu’on prêche, en latin,

A la Sorbonne...

Me sentant rempli de pitié

Pour la donzelle,

J’ lui enseignai, de son métier,

Les p’tit’s ficelles...

J’ lui enseignai l’ moyen d’ bientôt

Faire fortune,

En bougeant l’endroit où le dos

R’ssemble à la lune...

Car, dans l’art de fair’ le trottoir,

Je le confesse,

Le difficile est d’ bien savoir

Jouer des fesses...

On n’ tortill’ pas son popotin

D’ la mêm’ manière,

Pour un droguiste, un sacristain,

Un fonctionnaire...

Rapidement instruite par

Mes bons offices,

Elle m’investit d’une part

D’ ses bénéfices...

On s’aida mutuellement,

Comm’ dit l’ poète.

Ell’ était l’ corps, naturell’ment,

Puis moi la tête...

Il cattivo soggetto pentito

testo

2010

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Un soir, à la suite de

Manoeuvres douteuses,

Ell’ tomba victim’ d’une

Maladie honteuses...

Lors, en tout bien, toute amitié,

En fille probe,

Elle me passa la moitié

De ses microbes...

Après des injections aiguës

D’antiseptique,

J’abandonnai l’ métier d’ cocu

Systématique...

Elle eut beau pousser des sanglots,

Braire à tu’-tête,

Comme je n’étais qu’un salaud,

J’ me fis honnête...

Sitôt privé’ de ma tutell’,

Ma pauvre amie

Courrut essuyer du bordel

Les infamies...

Paraît qu’ell’ s’ vend même à des flics,

Quell’ décadence!

Y’a plus d’ moralité publiqu’

Dans notre France...

1952

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35

***

CD 2: LES AMOUREUX DES BANCS PUBLICS

Les amoureux des bancs publics CD2 TRACK01

texte

1953

Gli innamorati delle panchine pubbliche

testo

2010

Les gens qui voient de travers

Pensent que les bancs verts

Qu’on voit sur les trottoirs

Sont faits pour les impotents ou les ventripotents

Mais c’est une absurdité

Car à la vérité

Ils sont là c’est notoir’

Pour accueillir quelque temps les amours débutants

Les amoureux qui s’ bécott’nt sur les bancs publics,

Bancs publics, bancs publics,

En s’ fouttant pas mal du regard oblique

Des passants honnetes

Les amoureux qui s’ bécott’nt sur les bancs publics,

Bancs publics, bancs publics,

En s’ disant des " Je t’aim’ " pathétiqu’s

Ont des p’tit’s gueul’ bien sympatiqu’s.

Ils se tiennent par la main

Parlent du lendemain

Du papier bleu d’azur

Que revetiront les murs de leur chambre à coucher.

Ils se voient déjà doucement

Ell’ cousant, lui fumant,

Dans un bien-etre sur

Et choisissant les prénoms de leur premier bébé

Quand les mois auront passé

Quand seront apaisés

Leurs beaux reves flambants

Quand leur ciel se couvrira de gros nuages lourds

Ils s’apercevront émus

Qu’ c’est au hasard des rues

Sur un d’ ces fameux bancs

Qu’ils ont vécu le meilleur morceau de leur amour.

Quand la saint’ famill’ machin

Croise sur son chemin

Deux de ces malappris

Ell’ leur déoche en passant des propos venimeux

N’empech’ que tout’ la famille

Le pér’ la mér’ la fille

Le fils le saint esprit

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Voudrait bien de temps en temps pouvoir s’ conduir’ comme eux.

Brave Margot CD2 TRACK02

texte

1953

Brava Margot

testo

2010

Margoton la jeune bergère

Trouvant dans l’herbe un petit chat

Qui venait de perdre sa mère

L’adopta

Elle entrouvre sa collerette

Et le couche contre son sein

c’était tout c’ quelle avait pauvrette

Comm’ coussin

Le chat la prenant pour sa mère

Se mit à téter tout de go

Emue, Margot le laissa faire

Brav’ margot

Un croquant passan à la ronde

Trouvant le tableau peu commun

S’en alla le dire à tout l’ monde

Et le lendemain

Refrain

Quand Margot dégrafait son corsage

Pour donner la gougoutte à son chat

Tous les gars , tous les gars du village

Etaient là, la la la la la la

Etaient là, la la la la la

Et Margot qu’était simple et très sage

Présumait qu’ c’était pour voir son chat

qu’les gars , tous les gars du village

Etaient là, la la la la la la

Etaient là, la la la la la.

L’ maitre d’école et ses potaches

Le mair’, le bedeau, le bougnat

Négligeaient carrément leur tache

Pour voir ça

Le facteur d’ordinair’ si preste

Pour voir ça, n’ distribuait plus

Les lettre que personne au reste

N’aurait lues.

Pour voir ça, Dieu le pardonne,

Les enfants de coeur au milieu

Du Saint Sacrifice abondonnent

Le Saint lieu.

Les gendarmes, mem’ mes gendarmes

Qui sont par natur’ si ballots

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Se laissaient toucher par les charmes

Du joli tableau.

(au refrain)

Mais les autr’s femm’s de la commune

Privé’s d’leurs époux, d’leurs galants,

Accumulèrent la rancune

Patiemment…

Puis un jour, ivres de colère,

Elles s’armèrent de bâtons

Et, farouch’s, elles immolèrent

Le chaton…

La bergère, après bien des larmes

Pour s’consoler prit un mari

Et ne dévoila plus ses charmes

Que pour lui…

Le temps passa sur les mémoires,

On oublia l’événement,

Seuls des vieux racontent encore

A leurs p’tits enfants…

(au refrain)

Pauvre Martin CD2 TRACK03

texte

1953

Povero Martino

testo

2010

Avec une bêche à l’épaule,

Avec, à la lèvre, un doux chant,

Avec, à la lèvre, un doux chant,

Avec, à l’âme, un grand courage,

Il s’en allait trimer aux champs

Pauvre Martin, pauvre misère,

Creuse la terr’, creuse le temps

Pour gagner le pain de sa vie,

De l’aurore jusqu’au couchant,

De l’aurore jusqu’au couchant,

Il s’en allait bêcher la terre

En tous les lieux, par tous les temps!

Pauvre Martin, pauvre misère,

Creuse la terr’, creuse le temps

Sans laisser voir, sur son visage,

Ni l’air jaloux ni l’air méchant,

Ni l’air jaloux ni l’air méchant,

Il retournait le champ des autres,

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Toujours bêchant, toujours bêchant!

Pauvre Martin, pauvre misère,

Creuse la terr’, creuse le temps

Et quand la mort lui a fait signe

De labourer son dernier champ,

De labourer son dernier champ,

Il creusa lui-même sa tombe

En faisant vite, en se cachant...

Pauvre Martin, pauvre misère,

Creuse la terr’, creuse le temps

Il creusa lui-même sa tombe

En faisant vite, en se cachant,

En faisant vite, en se cachant,

Et s’y étendit sans rien dire

Pour ne pas déranger les gens...

Pauvre Martin, pauvre misère,

Dors sous la terr’, dors sous le temps!

La première fille CD2 TRACK04

texte

1954

La prima ragazza

testo

2010

J’ai tout oublié des campagnes

D’Austerlitz et de Waterloo

D’Itali’, de Prusse et d’Espagne,

De Pontoise et de Landerneau

Jamais de la vie

On ne l’oubliera,

La première fill’

Qu’on a pris’ dans ses bras,

La première étrangère

A qui l’on a dit "tu "

Mon coeur, t’en souviens-tu?

Comme ell’ nous était chère...

Qu’ell’ soit fille honnête

Ou fille de rien,

Qu’elle soit pucelle

Ou qu’elle soit putain,

On se souvient d’elle,

On s’en souviendra,

D’la première fill’

Qu’on a pris’ dans ses bras.

Ils sont partis à tire-d’aile

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Mes souvenirs de la Suzon,

Et ma mémoire est infidèle

A Juli’, Rosette ou Lison

Jamais de la vie

On ne l’oubliera,

La première fill’

Qu’on a pris’ dans ses bras,

C’était un’ bonne affaire

Mon coeur, t’en souviens-tu?

J’ai changé ma vertu

Contre une primevère...

Qu’ ce soit en grand’ pompe

Comme les gens "bien",

Ou bien dans la ru’,

Comm’ les pauvre’ et les chiens,

On se souvient d’elle,

On s’en souviendra,

D’la première fill’

Qu’on a pris’ dans ses bras.

Toi, qui m’as donné le baptême

D’amour et de septième ciel,

Moi, je te garde et, moi, je t’aime,

Dernier cadeau du Pèr’ Noël!

Jamais de la vie

On ne l’oubliera,

La première fill’

Qu’on a pris’ dans ses bras,

On a beau fait’ le brave,

Quand ell’ s’est mise nue

Mon coeur, t’en souviens-tu?

On n’en menait pas large...

Bien d’autres, sans doute,

Depuis, sont venues,

Oui, mais, entre tout’s

Celles qu’on a connues,

Elle est la dernière

Que l’on oubliera,

La première fill’

Qu’on a pris’ dans ses bras.

La cane de Jeanne CD2 TRACK05

La cane

De Jeanne

Est morte au gui l’an neuf,

Elle avait fait, la veille,

Merveille!

L’anatra di Jeanne

L’anatra

di Jeanne

è morta sotto il vischio del nuovo anno:

aveva fatto, la sera prima,

meraviglia!

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40

Un oeuf!

La cane

De Jeanne

Est morte d’avoir fait,

Du moins on le présume,

Un rhume,

Mauvais!

La cane

De Jeanne

Est morte sur son oeuf

Et dans son beau costume

De plumes,

Tout neuf!

La cane

De Jeanne,

Ne laissant pas de veuf,

C’est nous autres qui eumes

Les plumes,

Et l’oeuf!

Tous, toutes,

Sans doute,

Garderons longtemps le

Souvenir de la cane

De Jeanne

Morbleu!

1953

un uovo.

L’anatra

di Jeanne

è morta per aver preso

(almeno così si crede)

un raffreddore

cattivo!

L’anatra

di Jeanne

è morta sul suo uovo,

e con il suo bel vestito

di piume,

tutto nuovo!

L’anatra

di Jeanne

non lasciando un vedovo,

siamo noi che avemmo

le piume

e l’uovo.

Tutti, tutte,

forse,

conserveremo a lungo il

ricordo dell’anatra

di Jeanne.

Perbacco!

2010

Vedi approfondimento

Je suis un voyou CD2 TRACK06

Ci-gît au fond de mon coeur

Une histoire ancienne,

Un fantôme, un souvenir

D’une que j’aimais.

Le temps, à grands coups de faux,

Peut faire des siennes,

Mon bel amour dure encore,

Et c’est à jamais.

J’ai perdu la tramontane

En trouvant Margot,

Princesse vêtu’ de laine,

Déesse en sabots.

Si les fleurs, le long des routes,

S’mettaient à marcher,

C’est à la Margot, sans doute,

Sono un mascalzone

Qui giace, in fondo al mio cuore,

una vecchia storia,

un fantasma, il ricordo

di una che amavo.

Il tempo, a gran colpi di falce,

può farne delle belle,

ma il mio grande amore dura ancora,

ed è per sempre.

Ho perso la tramontana

quando ho incontrato Margot,

una principessa vestita di lana,

una dea con gli zoccoletti.

Se i fiori lungo le strade

si mettessero a camminare,

forse a Margot

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Qu’ell’s feraient songer.

J’lui ai dit: « De la Madone,

Tu es le portrait! »

Le Bon Dieu me le pardonne,

C’était un peu vrai.

Qu’il me pardonne ou non,

D’ailleurs, je m’en fous,

J’ai déjà mon âme en peine:

Je suis un voyou.

La mignonne allait aux vêpres

Se mettre à genoux,

Alors j’ai mordu ses lèvres

Pour savoir leur goût.

Ell’ m’a dit, d’un ton sévère:

« Qu’est-ce que tu fais là? »

Mais elle m’a laissé faire,

Les fill’s, c’est comm’ ça...

J’ lui ai dit: « Par la Madone,

Reste auprès de moi! »

Le Bon Dieu me le pardonne,

Mais chacun pour soi.

Qu’il me pardonne ou non,

D’ailleurs, je m’en fous,

J’ai déjà mon âme en peine:

Je suis un voyou.

C’était une fille sage,

A bouch’, que veux-tu

J’ai croqué dans son corsage

Les fruits défendus.

Ell’ m’a dit d’un ton sévère:

« Qu’est-ce que tu fais là? »

Mais elle m’a laissé faire,

Les fill’s, c’est comm’ ça...

Puis, j’ai déchiré sa robe,

Sans l’avoir voulu...

Le Bon Dieu me le pardonne,

Je n’y tenais plus!

Qu’il me pardonne ou non,

D’ailleurs, je m’en fous,

J’ai déjà mon âme en peine:

Je suis un voyou.

J’ai perdu la tramontane

En perdant Margot,

Qui épousa, contre son âme,

Un triste bigot.

Elle doit avoir à l’heure,

A l’heure qu’il est,

Deux ou trois marmots qui pleurent

farebbero pensare.

Le ho detto: “Sei il ritratto

della Madonna!”

Che il Buon Dio mi perdoni,

era proprio vero.

Che mi perdoni o no,

del resto, me ne frego,

ho già l’anima in pena:

sono un mascalzone.

La piccola se ne andava ai vespri

per inginocchiarsi,

allora ho morso le sue labbra

per coglierne il sapore.

Lei mi ha detto, con un tono severo:

“Ma che fai?”

Però mi ha lasciato fare,

le ragazze sono così...

Le ho detto: “Per la Madonna,

rimani con me!”

Il Buon Dio mi perdoni,

ma ciascun per sé!

Che mi perdoni o no,

del resto, me ne frego,

ho già l’anima in pena:

sono un mascalzone.

Era una ragazza virtuosa,

da veri intenditori;

le ho mordicchiato nella camicetta

i frutti proibiti.

Lei mi ha detto, con un tono severo:

“Ma che fai?”

Però mi ha lasciato fare,

le ragazze sono così...

Poi, ho strappato il suo vestito,

senza farlo apposta...

Il Buon Dio mi perdoni,

non ne potevo più!

Che mi perdoni o no,

del resto, me ne frego,

ho già l’anima in pena:

sono un mascalzone.

Ho perso la tramontana

quando ho perduto Margot,

quando ha sposato, controvoglia,

un triste bigotto.

A quest’ora deve avere,

proprio in questo momento,

due o tre marmocchi che frignano

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Pour avoir leur lait.

Et, moi, j’ai tété leur mère

Longtemps avant eux...

Le Bon Dieu me le pardonne,

J’étais amoureux!

Qu’il me pardonne ou non,

D’ailleurs, je m’en fous,

J’ai déjà mon âme en peine:

Je suis un voyou.

1954

per avere il loro latte.

Ed io, che ho succhiato la loro mamma

ben prima di loro...

Il Buon Dio mi perdoni,

ero innamorato!

Che mi perdoni o no,

del resto, me ne frego,

ho già l’anima in pena:

sono un mascalzone.

2010

J’ai rendez-vous avec vous CD2 TRACK07

texte

1953

Ho un appuntamento con voi

testo

2010

Monseigneur l’astre solaire,

Comm’ je n’ l’admir’ pas beaucoup,

M’enlèv’ son feu, oui mais, d’ son feu, moi j’ m’en

fous,

J’ai rendez-vous avec vous!

La lumièr’ que je préfère,

C’est cell’ de vos yeux jaloux,

Tout le restant m’indiffère,

J’ai rendez-vous avec vous!

Monsieur mon propriétaire,

Comm’ je lui dévaste tout,

M’ chass’ de son toit, oui mais, d’ son toit, moi je m’en fous

J’ai rendez-vous avec vous!

La demeur’ que je préfère,

C’est votre robe à froufrous,

Tout le restant m’indiffère,

J’ai rendez-vous avec vous!

Madame ma gargotière,

Comm’ je lui dois trop de sous,

M’ chass’ de sa tabl’, oui mais, d’ sa tabl’, moi j’m’en fous,

J’ai rendez-vous avec vous!

Le menu que je préfère,

C’est la chair de votre cou,

Tout le restant m’indiffère,

J’ai rendez-vous avec vous!

Sa majesté financière,

Comm’ je n’ fais rien à son goût,

Garde son or, or, de son or, moi j’ m’en fous,

J’ai rendez-vous avec vous!

La fortun’ que je préfère,

C’est votre cœur d’amadou,

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Tout le restant m’indiffère,

J’ai rendez-vous avec vous!

Le vent CD2 TRACK08

texte

1953

Il vento

testo

2010

Refrain

Si, par hasard,

Sur l’ pont des Arts,

Tu crois’s le vent, le vent fripon,

Prudenc’, prends garde à ton jupon!

Si, par hasard,

Sur l’ pont des Arts,

Tu crois’s le vent, le vent maraud,

Prudent, prends garde à ton chapeau!

Les jean-foutre et les gens probes

Médis’nt du vent furibond

Qui rebrousse les bois,

Détrouss’ les toits,

Retrouss’ les robes...

Des jean-foutre et des gens probes,

Le vent, je vous en réponds,

S’en soucie, et c’est justic’, comm’ de colin-tampon

Bien sûr, si l’on ne se fonde

Que sur ce qui saute aux yeux,

Le vent semble une brut’ raffolant de nuire à tout l’ monde

Mais une attention profonde

Prouv’ que c’est chez les fâcheux

Qu’il préfèr’ choisir les victim’s de ses petits jeux

Il n’y a pas d’amour heureux CD2 TRACK09

(Poème de Louis Aragon)

texte

1953

Non esistono amori felici

(Poesia di Louis Aragon)

testo

2010

Rien n’est jamais acquis à l’homme Ni sa force

Ni sa faiblesse ni son coeur. Et quand il croit

Ouvrir ses bras son ombre est celle d’une croix.

Et quand il croit serrer son bonheur il le broie

Sa vie est un étrange et douloureux divorce

Il n’y a pas d’amour heureux.

Sa vie Elle ressemble à ces soldats sans armes

Qu’on avait habillés pour un autre destin

A quoi peut leur servir de se lever matin

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Eux qu’on retrouve au soir désoeuvrés incertains,

Dites ces mots Ma vie Et retenez vos larmes

Il n’y a pas d’amour heureux.

Mon bel amour mon cher amour ma déchirure

Je te porte dans moi comme un oiseau bléssé

Et ceux-là sans savoir nous regarde passer

Répétant après moi les mots que j’ai tressés

Et qui pour tes grands yeux tout aussitôt moururent

Il n’y a pas d’amour heureux.

Le temps d’apprendre à vivre il est déjà trop tard

Que pleurent dans la nuit nos coeurs à l’unisson

Ce qu’il faut de malheur pour la moindre chanson

Ce qu’il faut de regrets pour payer un frisson

Ce qu’il faut de sanglots pour un air de guitare

Il n’y a pas d’amour heureux.

La mauvaise herbe CD2 TRACK10

Quand l’ jour de gloire est arrivé,

Comm’ tous les autr’s étaient crevés,

Moi seul connus le déshonneur

De n’ pas êtr’ mort au champ d’honneur.

Je suis d’la mauvaise herbe,

Braves gens, braves gens,

C’est pas moi qu’on rumine

Et c’est pas moi qu’on met en gerbe.

La mort faucha les autres,

Braves gens, braves gens,

Et me fit grâce à moi,

C’est immoral et c’est comm’ ça!

La la la la la la la la

La la la la la la la la

Et je m’ demand’

Pourquoi, Bon Dieu,

Ça vous dérange

Que j’ vive un peu...

Et je m’ demand’

Pourquoi, Bon Dieu,

Ça vous dérange

Que j’ vive un peu...

La fille à tout l’ monde a bon coeur,

Ell’ me donne, au petit bonheur,

Les p’tits bouts d’ sa peau, bien cachés,

Que les autres n’ont pas touchés.

Je suis d’ la mauvaise herbe,

Braves gens, braves gens,

L’erba cattiva

Quando il giorno della gloria è arrivato,

poiché tutti gli altri erano crepati,

solo io conobbi il disonore

di non esser morto in battaglia.

Io sono l’erba cattiva,

brava gente, brava gente,

non sono un tipo che si può ruminare,

e neppure uno che s’infila nei bouquets.

La morte ha falciato gli altri,

brava gente, brava gente,

e mi ha fatto grazia, proprio a me!

E’ immorale ma è così!

La la la la la la la la

La la la la la la la la

E mi domando

perché, Buon Dio,

vi disturba tanto

che io viva un po’...

E mi domando

perché, Buon Dio,

vi disturba tanto

che io viva un po’...

La pubblica ragazza ha del buon cuore,

mi dona, a casaccio,

i pezzetti della sua pelle, ben nascosti,

che gli altri non hanno mai toccato.

Io sono l’erba cattiva,

brava gente, brava gente,

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C’est pas moi qu’on rumine

Et c’est pas moi qu’on met en gerbe.

Elle se vend aux autres,

Braves gens, braves gens,

Elle se donne à moi,

C’est immoral et c’est comme ça!

La la la la la la la la

La la la la la la la la

Et je m’ demand’

Pourquoi, Bon Dieu,

Ça vous dérange

Qu’on m’aime un peu...

Et je m’ demand’

Pourquoi, Bon Dieu,

Ça vous dérange

Qu’on m’aime un peu...

Les hommes sont faits, nous dit-on,

Pour vivre en band’, comm’ les moutons.

Moi, j’ vis seul, et c’est pas demain

Que je suivrai leur droit chemin.

Je suis d’ la mauvaise herbe,

Braves gens, braves gens,

C’est pas moi qu’on rumine

Et c’est pas moi qu’on met en gerbe.

Je suis d’ la mauvaise herbe,

Braves gens, braves gens,

Je pousse en liberté

Dans les jardins mal fréquentés!

La la la la la la la la

La la la la la la la la

Et je m’ demand’

Pourquoi, Bon Dieu,

Ça vous dérange

Que j’ vive un peu...

Et je m’ demand’

Pourquoi, Bon Dieu,

Ça vous dérange

Que j’ vive un peu...

1954

non sono un tipo che si può ruminare,

e neppure uno che s’infila nei bouquets.

Lei si vende agli altri,

brava gente, brava gente,

però si concede proprio a me!

E’ immorale ma è così!

La la la la la la la la

La la la la la la la la

E mi domando

perché, Buon Dio,

vi disturba tanto

che mi si ami un po’...

E mi domando

perché, Buon Dio,

vi disturba tanto

che mi si ami un po’...

Gli uomini, ci dicono, son fatti

per vivere insieme, come le pecore.

Io vivo solo, e non sarà domani

che seguirò la loro strada maestra.

Io sono l’erba cattiva,

brava gente, brava gente,

non sono un tipo che si può ruminare,

e neppure uno che s’infila nei bouquets.

Io sono l’erba cattiva,

brava gente, brava gente,

e cresco in libertà

nei giardini mal frequentati!

La la la la la la la la

La la la la la la la la

E mi domando

perché, Buon Dio,

vi disturba tanto

che io viva un po’...

E mi domando

perché, Buon Dio,

vi disturba tanto

che io viva un po’...

2010

Vedi approfondimento

P... de toi CD2 TRACK12

texte

1954

Sei una p...

testo

2010

En ce temps-là, je vivais dans la lune

Les bonheurs d’ici-bas m’étaient tous défendus

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46

Je semais des violettes et chantais pour des prunes

Et tendais la patte aux chats perdus.

Refrain

Ah ah ah ah putain de toi

Ah ah ah ah ah ah pauvre de moi...

Un soir de pluie v’là qu’on gratte à ma porte

Je m’empresse d’ouvrir, sans doute un nouveau chat!

Nom de dieu l’ beau félin que l’orage m’apporte

C’était toi, c’était toi, c’était toi.

Les yeux fendus et couleur pistache

T’as posé sur mon coeur ta patte de velours

Fort heureus’ment pour moi t’avais pas de moustache

Et ta vertu ne pesait pas trop lourd.

Au quatre coins de ma vie de bohème

T’as prom’né, t’as prom’né le feu de tes vingt ans.

Et pour moi, pour mes chats, pour mes fleurs, mes poèmes

C’était toi la pluie et le beau temps...

Mais le temps passe et fauche à l’aveuglette.

Notre amour mûrissait à peine que déjà,

Tu brûlais mes chansons, crachais sur mes viollettes,

Et faisais des misaires à mes chats.

Le comble enfin, misérable salope.

Comme il n’ restait plus rien dans le garde-manger,

T’as couru sans vergogne, et pour une escalope,

Te jeter dans le lit du boucher.

C’était fini, t’avais passé les bornes.

Et, r’nonçant aux amours frivoles d’ici-bas,

J’ suis r’monté dans la lune en emportant mes cornes,

Mes chansons, et mes fleurs, et mes chats.

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47

***

CD 3: CHANSON POUR L’AUVERGNAT

Chanson pour l’Auvergnat CD3 TRACK01

Elle est à toi cette chanson,

Toi, l’Auvergnat qui, sans façon,

M’as donné quatre bouts de bois

Quand, dans ma vie, il faisait froid,

Toi qui m’as donné du feu quand

Les croquantes et les croquants,

Tous les gens bien intentionnés,

M’avaient fermé la porte au nez...

Ce n’était rien qu’un feu de bois,

Mais il m’avait chauffé le corps,

Et dans mon âme il brûle encor’

A la manièr’ d’un feu de joi’.

Toi, l’Auvergnat, quand tu mourras,

Quand le croqu’-mort t’emportera,

Qu’il te conduise, à travers ciel,

Au Père éternel.

Elle est à toi cette chanson

Toi l’hôtesse qui sans façon

M’as donné quatre bouts de pain

Quand dans ma vie il faisait faim

Toi qui m’ouvris ta huche quand

Les croquantes et les croquants

Tous les gens bien intentionnés

S’amusaient a me voir jeûner

Ce n’était rien qu’un peu de pain

Mais il m’avait chauffé le corps

Et dans mon âme il brûle encore

A la manièr’ d’un grand festin.

Toi, l’hôtesse, quand tu mourras,

Quand le croqu’-mort t’emportera,

Qu’il te conduise, à travers ciel,

Au Père éternel.

Elle est à toi cette chanson

Toi l’étranger qui sans façon

D’un air malheureux m’as souri

Lorsque les gendarmes m’ont pris

Toi qui n’as pas applaudi quand

Les croquantes et les croquants

Tous les gens bien intentionnés

Riaient de me voir emmener

Ce n’était rien qu’un peu de miel

Mais il m’avait chauffé le corps

Canzone per l’Alverniate

Questa canzone è per te,

Alviernate che senza tante cerimonie

mi hai dato quattro pezzi di legna

quando nella mia vita faceva freddo.

Per te, che mi hai dato del fuoco quando

le becere e i beceri

e tutta la gente ben intenzionata

m’avevan sbattuto la porta in faccia.

Non era nulla, giusto un fuoco di legna,

ma aveva scaldato il mio corpo,

e nella mia anima brucia ancora

come se fosse il fuoco della gioia.

E tu, Alverniate, quando morrai,

quando il becchino ti porterà,

possa egli condurti attraverso il cielo

lassù fino al Padreterno.

Questa canzone è per te,

buona signora che senza tante cerimonie

mi hai dato quattro pezzi di pane

quando nella mia vita c’era la fame.

Per te che apristi la credenza quando

le becere e i beceri

e tutta la gente ben intenzionata

si divertivano a vedermi digiunare.

Non era nulla, giusto un poco di pane,

ma aveva scaldato il mio corpo,

e nella mia anima brucia ancora

come se fosse un grande banchetto.

E tu, buona signora, quando morrai,

quando il becchino ti porterà,

possa egli condurti attraverso il cielo

lassù fino al Padreterno.

Questa canzone è per te,

forestiero che senza tante cerimonie

mi hai sorriso con il volto infelice

quando i gendarmi mi han preso.

Per te, che non hai applaudito quando

le becere e i beceri

e tutta la gente ben intenzionata

ridevano mentre mi portavano via.

Non era nulla, giusto un poco di miele,

ma aveva scaldato il mio corpo,

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Et dans mon âme il brûle encore

A la manièr’ d’un grand soleil.

Toi, l’étranger, quand tu mourras,

Quand le croqu’-mort t’emportera,

Qu’il te conduise, à travers ciel,

Au Père éternel.

1954

e nella mia anima brucia ancora

come se fosse un gran sole.

E tu, forestiero, quando morrai,

quando il becchino ti porterà,

possa egli condurti attraverso il cielo

lassù fino al Padreterno.

2009

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Les sabots d’Hélène CD3 TRACK02

Les sabots d’Hélène

Etaient tout crottés,

Les trois capitaines

L’auraient appelé’ vilaine,

Et la pauvre Hélène

Etait comme une âme en peine...

Ne cherche plus longtemps de fontaine,

Toi qui as besoin d’eau,

Ne cherche plus: aux larmes d’Hélène,

Va-t-en remplir ton seau.

Moi j’ai pris la peine

De les déchausser,

Les sabots d’Hélène,

Moi qui ne suis pas capitaine,

Et j’ai vu ma peine

Bien récompensée...

Dans les sabots de la pauvre Hélène,

Dans ses sabots crottés

Moi j’ai trouvé les pieds d’une reine

Et je les ai gardés.

Son jupon de laine

Etait tout mité,

Les trois capitaines

L’auraient appelé’ vilaine,

Et la pauvre Hélène

Etait comme une âme en peine...

Ne cherche plus longtemps de fontaine,

Toi qui as besoin d’eau,

Ne cherche plus: aux larmes d’Hélène,

Va-t-en remplir ton seau.

Moi j’ai pris la peine

De le retrousser,

Le jupon d’Hélène

Moi qui ne suis pas capitaine,

Et j’ai vu ma peine

Gli zoccoli d’Hélène

Gli zoccoli d’Hélène

erano tutti infangati,

i tre capitani

l’avrebbero chiamata “zoticona”,

e la povera Hélène

era come un’anima in pena...

“Non cercare più la fontana,

tu che hai bisogno d’acqua,

non cercare più: con le lacrime d’Hélène,

vai a riempire il secchio.”

Io mi sono preso la pena

di sfilarli,

gli zoccoli d’Hélène,

io che non sono capitano,

ed ho visto la mia pena

ben ricompensata...

Negli zoccoli della povera Hélène,

nei suoi zoccoli infangati,

io ci ho trovato i piedi di una regina,

e me li sono tenuti!

La sua sottana di lana

era tutta tarmata,

i tre capitani

l’avrebbero chiamata “zoticona”,

e la povera Hélène

era come un’anima in pena...

“Non cercare più la fontana,

tu che hai bisogno d’acqua,

non cercare più: con le lacrime d’Hélène,

vai a riempire il secchio.”

Io mi sono preso la pena

di sollevarla,

la sottana d’Hélène,

io che non sono capitano,

ed ho visto la mia pena

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Bien récompensée...

Sous le jupon de la pauvre Hélène,

Sous son jupon mité

Moi j’ai trouvé des jambes de reine

Et je les ai gardées.

Et le coeur d’Hélène

N’savait pas chanter,

Les trois capitaines

L’auraient appelé’ vilaine,

Et la pauvre Hélène

Etait comme une âme en peine...

Ne cherche plus longtemps de fontaine,

Toi qui as besoin d’eau,

Ne cherche plus: aux larmes d’Hélène,

Va-t-en remplir ton seau.

Moi j’ai pris la peine

De m’y arrêter,

Dans le coeur d’Hélène,

Moi qui ne suis pas capitaine,

Et j’ai vu ma peine

Bien récompensée...

Et dans le coeur de la pauvre Hélène,

Qui avait jamais chanté,

Moi j’ai trouvé l’amour d’une reine

Et je l’ai gardé.

1954

ben ricompensata...

Sotto la gonna della povera Hélène,

sotto la sua gonna tarmata,

io ci ho trovato le gambe di una regina,

e me le sono tenute!

Ed il cuore d’Hélène

non sapeva cantare,

i tre capitani

l’avrebbero chiamata “zoticona”,

e la povera Hélène

era come un’anima in pena...

“Non cercare più la fontana,

tu che hai bisogno d’acqua,

non cercare più: con le lacrime d’Hélène,

vai a riempire il secchio.”

Io mi sono preso la pena

di indugiarvi,

nel cuore d’Hélène,

io che non sono capitano,

ed ho visto la mia pena

ben ricompensata...

E dentro al cuore della povera Hélène,

che non aveva mai cantato,

io ci ho trovato l’amore di una regina,

e me lo sono tenuto!

2009

Marinette (J’avais l’air d’un con)CD3 TRACK03

texte

1956

Marinetta (Avevo l’aria di un coglione)

testo

2010

Quand j’ai couru chanter ma p’tite chanson pour Marinette

La belle, la traîtresse était allée à l’opéra

Avec ma p’tit chanson, j’avais l’air d’un con ma mère,

Avec ma p’tit chanson, j’avais l’air d’un con.

Quand j’ai couru porte mon pot d’ moutarde à Marinette

La belle, la traîtresse avait déjà fini d’ dîner

Avec mon petit pot, j’avais l’air d’un con ma mère,

Avec mon petit pot, j’avais l’air d’un con.

Quand j’offris pour étrennes un’ bicyclette à Marinette

La belle, la traîtresse avait acheté une auto,

Avec mon p’tit vélo, j’avais l’air d’un con ma mère,

Avec mon p’tit vélo, j’avais l’air d’un con.

Quand j’ai couru tout chose au rendez-vous de Marinette

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50

La bell’ disait: "J’ t’adore" à un sal’ typ’ qui l’embrassait

Avec mon bouquet d’ fleurs, j’avais l’air d’un con ma mère,

Avec mon bouquet d’ fleurs, j’avais l’air d’un con.

Quand j’ai couru brûler la p’tit’ cervelle à Marinette

La belle etait déjà morte d’un rhume mal placé,

Avec mon révolver, j’avais l’air d’un con ma mère,

Avec mon révolver, j’avais l’air 6

Quand j’ai couru lugubre à l’enterr’ment de Marinette

La belle, la traîtresse était déjà réssuscitée

Avec ma p’tit couronn’, j’avais l’air d’un con ma mère,

Avec ma p’tit couronn’, j’avais l’air d’un con.

Une jolie fleur CD3 TRACK04

texte

1954

Un grazioso fiore

testo

2010

Jamais sur terre il n’y eut d’amoureux

Plus aveugle que moi dans tous les âges

Mais faut dir’ qu’ je m’était creuvé les yeux

En regardant de trop près son corsage.

Refrain

Un’ jolie fleur dans une peau d’ vache

Un’ jolie vach’ déguisée en fleur

Qui fait la belle et qui vous attache

Puis, qui vous mèn’ par le bout du coeur.

Le ciel l’avait pourvue des mille appas

Qui vous font prendre feu dès qu’on y touche

L’en avait tant que je ne savais pas

Ne savais plus où donner de la bouche.

Ell’ n’avait pas de tête, ell’ n’avait pas

L’esprit beaucoup plus grand qu’un dé à coudre

Mais pour l’amour on ne demande pas

Aux fille d’avoir inventé la poudre.

Puis un jour elle a pris la clef des champs

En me laissant à l’âme un mal funeste

Et toutes les herbes de la Saint-Jean

N’ont pas pu me guérir de cette peste.

J’ lui en ai bien voulu mais à présent

J’ai plus d’ rancune et mon coeur lui pardonne

D’avoir mis mon coeur à feu et à sang

Pour qu’il ne puisse plus servir à personne.

La légende de la nonne CD3 TRACK05 La leggenda della monaca

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51

(Poème de Victor Hugo)

texte

1956

(Poesia di Victor Hugo)

testo

2010

Venez, vous dont l’oeil étincelle,

Pour entendre une histoire encor,

Approchez: je vous dirai celle

De doña Padilla del Flor.

Elle était d’Alanje, où s’entassent

Les collines et les halliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Il est des filles à Grenade,

Il en est à Séville aussi,

Qui, pour la moindre sérénade,

A l’amour demandent merci;

Il en est que parfois embrassent,

Le soir, de hardis cavaliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Ce n’est pas sur ce ton frivole

Qu’il faut parler de Padilla,

Car jamais prunelle espagnole

D’un feu plus chaste ne brilla;

Elle fuyait ceux qui pourchassent

Les filles sous les peupliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Elle prit le voile à Tolède,

Au grand soupir des gens du lieu,

Comme si, quand on n’est pas laide,

On avait droit d’épouser Dieu.

Peu s’en fallut que ne pleurassent

Les soudards et les écoliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Or, la belle à peine cloitrée,

Amour en son coeur s’installa.

Un fier brigand de la contrée

Vint alors et dit: Me voilà!

Quelquefois les brigands surpassent

En audace les chevaliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Il était laid: les traits austères,

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52

La main plus rude que le gant;

Mais l’amour a bien des mystères,

Et la nonne aima le brigand.

On voit des biches qui remplacent

Leurs beaux cerfs par des sangliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

La nonne osa, dit la chronique,

Au brigand par l’enfer conduit,

Aux pieds de Sainte Véronique

Donner un rendez-vous la nuit,

A l’heure où les corbeaux croassent,

Volant dans l’ombre par milliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Or quand, dans la nef descendue,

La nonne appela le bandit,

Au lieu de la voix attendue,

C’est la foudre qui répondit.

Dieu voulu que ses coups frappassent

Les amants par Satan liés. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Cette histoire de la novice,

Saint Ildefonse, abbé, voulut

Qu’afin de préservé du vice

Les vierges qui font leur salut,

Les prieurs la racontassent

Dans tous les couvents réguliers. --

Enfants, voici des boeufs qui passent,

Cachez vos rouges tabliers.

Colombine CD3 TRACK06

(Poème de Paul Verlaine)

texte

1956

Colombina

(Poesia di Paul Verlaine)

testo

2010

Léandre le sot,

Pierrot qui d’un saut

De puce

Franchit le buisson,

Cassandre sous son

Capuce,

Arlequin aussi,

Cet aigrefin si

Fantasque,

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53

Aux costumes fous,

Les yeux luisant sous

Son masque,

Do, mi, sol, mi, fa,

Tout ce monde va,

Rit, chante

Et danse devant

Une frêle enfant

Méchante

Dont les yeux pervers

Comme les yeux verts

Des chattes

Gardent ses appas

Et disent:

"A bas Les pattes! "

L’implacable enfant,

Preste et relevant

Ses jupes,

La rose au chapeau,

Conduit son troupeau

De dupes!

Auprès de mon arbre CD3 TRACK07

Auprès de mon arbre,

Je vivais heureux,

J’aurais jamais dû m’éloigner d’ mon arbre...

Auprès de mon arbre,

Je vivais heureux,

J’aurais jamais dû le quitter des yeux...

J’ai plaqué mon chêne

Comme un saligaud,

Mon copain le chêne,

Mon alter ego,

On était du même bois

Un peu rustique un peu brut,

Dont on fait n’importe quoi

Sauf, naturell’ment, les flûtes...

J’ai maint’nant des frênes,

Des arbr’s de Judée,

Tous de bonne graine,

De haute futaie...

Mais, toi, tu manque’ à l’appel,

Ma vieill’ branche de campagne,

Mon seul arbre de Noël,

Mon mât de cocagne!

Presso il mio albero

Presso il mio albero,

vivevo felice,

non avrei mai dovuto lasciare il mio albero.

Presso il mio albero,

vivevo felice,

non avrei mai dovuto neppure perderlo di vista.

Ho piantato in asso la mia quercia

come una carogna,

il mio amico la quercia,

il mio alter ego;

eravamo fatti con lo stesso legno,

un po’ rustico un po’ rozzo,

con cui si costruisce qualunque cosa

tranne, naturalmente, i flauti.

Adesso ho dei frassini,

alberi di Giudea,

tutti di buon seme,

di alto fusto...

ma tu, tu manchi all’appello,

vecchio amico mio di campagna,

mio solo albero di Natale,

mio palo della cuccagna.

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(refrain)

Je suis un pauv’ type,

J’aurai plus de joie:

J’ai jeté ma pipe,

Ma vieill’ pipe en bois,

Qui avait fumé sans s’ fâcher,

Sans jamais m’ brûlé la lippe,

L’ tabac d’ la vache enragée

Dans sa bonn’ vieill’ têt’ de pipe...

J’ai des pip’s d’écume

Orné’s de fleurons,

De ces pip’s qu’on fume

En levant le front,

Mais j’ retrouv’rai plus, ma foi,

Dans mon coeur ni sur ma lippe,

Le goût d’ ma vieill’ pip’ en bois,

Sacré nom d’un’ pipe!

(refrain)

Le surnom d’infâme

Me va comme un gant!

D’avecque ma femme

J’ai foutu le camp,

Parc’ que, depuis tant d’anné’s,

C’était pas un’ sinécure

De lui voir tout l’ temps le nez

Au milieu de la figure...

Je bats la campagne

Pour dénicher la

Nouvelle compagne

Valant celle-là,

Qui, bien sûr, laissait beaucoup

Trop de pierr’s dans les lentilles,

Mais se pendait à mon cou

Quand j’ perdais mes billes.

(refrain)

J’avais un’ mansarde

Pour tout logement,

Avec des lézardes

Sur le firmament,

Je l’savais par coeur depuis

Et, pour un baiser la course,

J’emmenais mes bell’s de nuits

Faire un tour sur la grande Ourse...

J’habit’ plus d’ mansarde,

Il peut désormais

Tomber des hall’bardes,

(ritornello)

Sono un povero diavolo,

non avrò più pace:

ho buttato la mia pipa,

la mia vecchia pipa di legno,

che aveva fumato senza mai arrabbiarsi,

senza mai bruciarmi il labbro,

il tabacco di chi tira la cinghia

nella sua buona, vecchia testa di pipa.

Adesso ho delle pipe di schiuma,

decorate con fregi,

di quelle pipe che si fumano

a testa alta,

ma di certo non ritroverò più,

dentro al cuore o sulle labbra,

il gusto della mia vecchia pipa di legno,

porca miseria!

(ritornello)

Il nomignolo d’infame

mi calza come un guanto!

Da mia moglie

ho preso il volo

perché, dopo tanti anni,

non era un affare da poco

vederle tutto il tempo il naso

in mezzo alla faccia.

Adesso batto la campagna

per snidare una

nuova compagna

che valga quell’altra:

certo, forse lasciava

troppe pietruzze tra le lenticchie,

ma mi si attaccava al collo

quando perdevo le staffe.

(ritornello)

Avevo una soffitta

per unica dimora,

con qualche crepa

sul firmamento:

lo conoscevo a memoria

e, per un bacio ad ogni corsa,

accompagnavo le mie belle di notte

a fare un giro sull’Orsa Maggiore.

Adesso non abito più in un solaio,

ormai può anche

piovere a catinelle,

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Je m’en bats l’oeil mais,

Mais si quelqu’un monte aux cieux

Moins que moi j’y pai’ des prunes:

Y a cent sept ans, qui dit mieux,

Qu’ j’ai pas vu la lune!

(au refrain)

1956

non me ne può fregar di meno ma...

ma, se qualcuno vola al settimo cielo

meno di me, gli pago da bere:

sono centosette anni (chi offre di più?)

che non vedo la luna!

(ritornello)

2010

Vedi approfondimento

Gastibelza (L’homme à la carabine)

CD3 TRACK 08

(Poème de Victor Hugo)

texte

1954

Gastibelza (L’uomo con la carabina)

(Poesia di Victor Hugo)

testo

2010

Gastibelza, l’homme à la carabine,

Chantait ainsi:

« Quelqu’un a-t-il connu doña Sabine?

Quelqu’un d’ici?

Chantez, dansez, villageois! la nuit gagne

Le mont Falu... --

Le vent qui vient à travers la montagne

Me rendra fou.

« Quelqu’un de vous a-t-il connu Sabine,

Ma señora?

Sa mère était la vieille maugrabine

D’Antequera,

Qui chaque nuit criait dans la tour Magne

Comme un hibou... --

Le vent qui vient à travers la montagne

Me rendra fou.

« Vraiment, la reine eût près d’elle été laide

Quand, vers le soir,

Elle passait sur le pont de Tolède

En corset noir.

Un chapelet du temps de Charlemagne

Ornait son cou... --

Le vent qui vient à travers la montagne

Me rendra fou.

Le roi disait, en la voyant si belle,

A son neveu:

« Pour un baiser, pour un sourire d’elle,

Pour un cheveu,

Infant don Ruy, je donnerai l’Espagne

Et le Pérou!

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56

Le vent qui vient à travers la montagne

Me rendra fou.

« Je ne sais pas si j’aimais cette dame,

Mais je sais bien

Que, pour avoir un regard de son âme,

Moi, pauvre chien,

J’aurai gaîment passé dix ans au bagne

Sous les verrous... --

Le vent qui vient à travers la montagne

Me rendra fou.

« Quand je voyais cette enfant, moi le pâtre

De ce canton,

Je croyais voir la belle Cléopâtre,

Qui, nous dit-on,

Menait César, empereur d’Allemagne,

Par le licou... --

Le vent qui vient à travers la montagne

Me rendra fou.

« Dansez, chantez, villageois, la nuit tombe

Sabine, un jour,

A tout vendu, sa beauté de colombe,

Tout son amour,

Pour l’anneau d’or du comte de Saldagne,

Pour un bijou... --

Le vent qui vient à travers la montagne

M’a rendu fou.

Le testament CD3 TRACK09

texte

1956

Il testamento

testo

2010

Je serai triste comme un saule

Quand le Dieu qui partout me suit

Me dira, la main sur l’épaule:

"Va-t’en voir là-haut si j’y suis. "

Alors, du ciel et de la terre

Il me faudra faire mon deuil...

Est-il encor debout le chêne

Ou le sapin de mon cercueil?

Est-il encor debout le chêne

Ou le sapin de mon cercueil?

S’il faut aller au cimetière,

J’ prendrai le chemin le plus long,

J’ ferai la tombe buissonnière,

J’ quitterai la vie à reculons...

Tant pis si les croque-morts me grondent,

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57

Tant pis s’ils me croient fou à lier,

Je veux partir pour l’autre monde

Par le chemin des écoliers.

Je veux partir pour l’autre monde

Par le chemin des écoliers.

Avant d’aller conter fleurette

Aux belles âmes des damné’s,

Je rêv’ d’encore une amourette,

Je rêv’ d’encor’ m’enjuponner...

Encore un’ fois dire: "je t’aime"...

Encore un’ fois perdre le nord

En effeuillant le chrysanthème

Qui’est la marguerite des morts.

En effeuillant le chrysanthème

Qui’est la marguerite des morts.

Dieu veuill’ que ma veuve s’alarme

En enterrant son compagnon,

Et qu’ pour lui fair’ verser des larmes

Il n’y ait pas besoin d’oignon...

Qu’elle prenne en secondes noces

Un époux de mon acabit:

Il pourra profiter d’ mes bottes,

Et d’ mes pantoufle’ et d’ mes habits.

Il pourra profiter d’ mes bottes,

Et d’ mes pantoufle’ et d’ mes habits.

Qu’il boiv’ mon vin, qu’il aim’ ma femme,

Qu’il fum’ ma pipe et mon tabac,

Mais que jamais - mort de mon âme!

Jamais il ne fouette mes chats...

Quoique je n’ai’ pas un atome,

Une ombre de méchanceté,

S’il fouett’ mes chats, y’a un fantôme

Qui viendra le persécuter.

S’il fouett’ mes chats, y’a un fantôme

Qui viendra le persécuter.

Ici-gît une feuille morte,

Ici finit mon testament...

On a marqué dessus ma porte:

"Fermé pour caus’ d’enterrement. "

J’ai quitté la vi’ sans rancune,

J’aurai plus jamais mal aux dents:

Me v’là dans la fosse commune,

La fosse commune du temps.

Me v’là dans la fosse commune,

La fosse commune du temps.

La prière CD3 TRACK10 La preghiera

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(Poème de Francis Jammes)

texte

1954

(Poesia di Francis Jammes)

testo

2010

Par le petit garçon qui meurt près de sa mère

Tandis que des enfants s’amusent au parterre ;

Et par l’oiseau blessé qui ne sait pas comment

Son aile tout à coup s’ensanglante et descend

Par la soif et la faim et le délire ardent

Je vous salue, Marie.

Par les gosses battus par l’ivrogne qui rentre,

Par l’âne qui reçoit des coups de pied au ventre

Et par l’humiliation de l’innocent châtié,

Par la vierge vendue qu’on a déshabillée,

Par le fils dont la mère a été insultée

Je vous salue, Marie.

Par la vieille qui, trébuchant sous trop de poids,

S’écrie: "Mon Dieu! " Par le malheureux dont les bras

Ne purent s’appuyer sur une amour humaine

Comme la Croix du Fils sur Simon de Cyrène

Par le cheval tombé sous le chariot qu’il traîne

Je vous salue, Marie.

Par les quatre horizons qui crucifient le Monde,

Par tous ceux dont la chair se déchire ou succombe,

Par ceux qui sont sans pieds, par ceux qui sont sans mains,

Par le malade que l’on opère et qui geint

Et par le juste mis au rang des assassins

Je vous salue, Marie.

Par la mère apprenant que son fils est guéri,

Par l’oiseau rappelant l’oiseau tombé du nid,

Par l’herbe qui a soif et recueille l’ondée,

Par le baiser perdu par l’amour redonné,

Et par le mendiant retrouvant sa monnaie:

Je vous salue, Marie.

Le nombril CD3 TRACK11

texte

1956

L’ombelico

testo

2010

Voir le nombril d’la femm’ d’un flic

N’est certainement pas un spectacle

Qui, du point d’vu’ de l’esthétique,

Puiss’ vous élever au pinacle...

Il y eut pourtant, dans l’vieux Paris,

Un honnête homme sans malice

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Brûlant d’contempler le nombril

D’la femm’ d’un agent de police...

"Je me fais vieux, gémissait-il,

Et, durant le cours de ma vie,

J’ai vu bon nombre de nombrils

De toutes les catégories:

Nombrils d’femm’s de croque-morts, nombrils

D’femm’s de bougnats, d’ femm’s de jocrisses,

Mais je n’ai jamais vu celui

D’la femm’ d’un agent de police...

"Mon père a vu, comm’ je vous vois,

Des nombrils de femm’s de gendarmes,

Mon frère a goûté plus d’un’ fois

D’ceux des femm’s d’inspecteurs, les charmes...

Mon fils vit le nombril d’la souris

D’un ministre de la justice...

Et moi, j’n’ai même pas vu l’ nombril

D’ la femm’ d’un agent de police... "

Ainsi gémissait en public

Cet honnête homme vénérable,

Quand la légitime d’un flic,

Tendant son nombril secourable,

Lui dit: "Je m’en vais mettre fin

A votre pénible supplice,

Vous fair’ voir le nombril enfin

D’la femrn’ d’un agent de police... "

"Alléluia!" fit le bon vieux,

De mes tourments voici la trêve!

Grâces soient rendu’s au Bon Dieu,

Je vais réaliser mon rêve! "

Il s’engagea, tout attendri,

Sous les jupons d’sa bienfaitrice,

Braquer ses yeux, sur le nombril

D’la femm’ d’un agent de police...

Mais, hélas! il était rompu

Par les effets de sa hantise,

Et comme il atteignait le but

De cinquante ans de convoitise,

La mort, la mort, la mort le prit

Sur l’abdomen de sa complice

Il n’a jamais vu le nombril

D’la femm’ d’un agent de police...

Les croquants CD3 TRACK12

Gli zoticoni

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60

texte

1956

testo

2010

Les croquants vont en ville, à cheval sur leurs sous,

Acheter des pucelle’ aux saintes bonnes gens,

Les croquants leur mett’nt à prix d’argent

La main dessus, la main dessous...

Mais la chair de Lisa, la chair fraîch’ de Lison

(Que les culs cousus d’or se fass’nt une raison!)

C’est pour la bouch’ du premier venu

Qui’ a les yeux tendre’ et les mains nues...

Refrain

Les croquants, ça les attriste, ça

Les étonne, les étonne,

Qu’une fille, une fill’ bell’ comm’ ça,

S’abandonne, s’abandonne

Au premier ostrogoth venu:

Les croquants, ça tombe des nues.

Les fill’s de bonnes moeurs, les fill’s de bonne vie,

Qui’ ont vendu leur fleurette à la foire à l’encan,

Vont s’ vautrer dans la couch’ des croquants,

Quand les croquants en ont envie...

Mais la chair de Lisa, la chair fraîch’ de Lison

(Que les culs cousus d’or se fass’nt une raison!)

N’a jamais accordé ses faveurs

A contre-sous, à contrecoeur...

Les fill’s de bonne vie ont le coeur consistant

Et la fleur qu’on y trouve est garanti’ longtemps,

Comm’ les fleurs en papier des chapeux,

Les fleurs en pierre des tombeaux...

Mais le coeur de Lisa, le grand coeur de Lison

Aime faire peau neuve avec chaque saison:

Jamais deux fois la même couleur,

Jamais deux fois la même fleur...

***

CD 4: JE ME SUIS FAIT TOUT PETIT

***

CD 5: LE PORNOGRAPHE

***

CD 6: LE MÉCREANT

***

CD 7: LES TROMPETTES DE LA RENOMMÉE

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***

CD 8: LES COPAINS D’ABORD

***

CD 9: SUPPLIQUE POUR ÊTRE ENTERRÉ À LA PLAGE DE SÈTE

***

CD 10: LA RELIGIEUSE

***

CD 11: FERNANDE

***

CD 12: DON JUAN

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Les Passantes

(Poème de Antoine Pol)

Je veux dédier ce poème

A toutes les femmes qu’on aime

Pendant quelques instants secrets

A celles qu’on connait à peine

Qu’un destin différent entraîne

Et qu’on ne retrouve jamais

A celle qu’on voit apparaître

Une seconde à sa fenêtre

Et qui, preste, s’évanouit

Mais dont la svelte silhouette

Est si gracieuse et fluette

Qu’on en demeure épanoui

A la compagne de voyage

Dont les yeux, charmant paysage

Font paraître court le chemin

Qu’on est seul, peut-être, à comprendre

Et qu’on laisse pourtant descendre

Sans avoir effleuré sa main

A celles qui sont déjà prises

Et qui, vivant des heures grises

Près d’un être trop différent

Vous ont, inutile folie,

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Laissé voir la mélancolie

D’un avenir désespérant

Chères images aperçues

Espérances d’un jour déçues

Vous serez dans l’oubli demain

Pour peu que le bonheur survienne

Il est rare qu’on se souvienne

Des épisodes du chemin

Mais si l’on a manqué sa vie

on songe avec un peu d’envie

A tous ces bonheurs entrevus

Aux baisers qu’on n’osa pas prendre

Aux coeurs qui doivent vous attendre

Aux yeux qu’on n’a jamais revus

Alors, aux soirs de lassitude

Tout en peuplant sa solitude

Des fantômes du souvenir

On pleure les lêvres absentes

De toutes ces belles passantes

Que l’on n’a pas su retenir

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Stances aù un cambrioleur

Prince des monte-en-l’air et de la cambriole,

Toi qui eus le bon gout de choisir ma maison

Cependant que je colportais mes godrioles

En ton honneur j’ai compose cette chanson

Sache que j’apprecie aù sa valeur le geste

Qui te fit bien fermer la porte en repartant

De peur que des rodeurs n’emportassent le reste

Des voleurs comme il faut c’est rare de ce temps,

Tu ne m’as derobe que le stricte necessaire,

Delaissant dedaigneux l’execrable portrait

Que l’on m’avait offert aù mon anniversaire

Quel bon critique d’art mon salaud tu ferais!

Autre signe indiquant toute absence de tare,

Respectueux du brave travailleur tu n’as

Pas cru decent de me priver de ma guitare,

Solidarite sainte de l’artisanat.

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Pour toutes ces raisons vois-tu, je te pardonne

Sans arriere pensee apres mur examen

Ce que tu m’as vole, mon vieux, je te le donne,

Ca pouvait pas tomber en de meilleures mains.

D’ailleurs mi qui te parle, avec mes chansonnettes,

Si je n’avais pas du rencontrer le succes,

J’aurais tout comme toi, pu virer malhonete,

Je serais devenu ton complice, qui sait?

En vendant ton butin, prends garde au marchandage,

Ne vas pas tout lacher en solde au receleurs,

Tiens leur la dragee haute en evoquant l’adage

Qui dit que ces gens-laù sont pis que les voleurs.

Fort de ce que je n’ai pas sonne les gendarmes,

Ne te crois pas du tout tenu de revenir,

Ta moindre recidive abolirait le charme,

Laisse moi je t’en pri’, sur un bon souvenir.

Monte-en-l’ai mon ami,que mon bien te profite,

Que Mercure te preserve de la prison,

Et pas trop de remors, d’ailleurs nous sommes quittes,

Apres tout ne te dois-je pas une chanson?

Post-Scriptum,Si le vol est l’art que tu preferes,

Ta seule vocation,ton unique talent,

Prends donc pigon sur ru’,mets-toi dans les affaires,

Et tu auras les flics meme comme chalands.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Mourir pour des idées

Mourir pour des idées, l’idée est excellente .

Moi j’ai failli mourir de ne l’avoir pas eu .

car tous ceux qui l’avaient, multitude accablante,

En hurlant à la mort me sont tombés dessus .

Ils ont su me convaicre et ma muse insolente,

Abjurant ses erreurs, se rallie à leur foi

Avec un soupçon de réserve toutefois:

Mourrons pour des idées d’accord, mais de mort lente,

D’accord, mais de mort lente .

Jugeant qu’il n’y a pas péril en la demeure,

Allons vers l’autre monde en flânant en chemin

Car, à forcer l’allure, il arrive qu’on meure

Pour des idées n’ayant plus cours le lendemain .

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Or, s’il est une chose amère, désolante,

En rendant l’âme à Dieu c’est bien de constater

Qu’on a fait fausse rout’, qu’on s’est trompé d’idée,

Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,

D’accord, mais de mort lente .

Les saint jean bouche d’or qui prêchent le martyre,

Le plus souvent, d’ailleurs, s’attardent ici-bas .

Mourir pour des idées, c’est le cas de le dire,

C’est leur raison de vivre, ils ne s’en privent pas .

Dans presque tous les camps on en voit qui supplantent

Bientôt Mathusalem dans la longévité .

J’en conclus qu’ils doivent se dire, en aparté:

"Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,

D’accord, mais de mort lente ."

Des idé’s réclamant le fameux sacrifice,

Les sectes de tout poil en offrent des séquelles,

Et la question se pose aux victimes novices:

Mourir pour des idé’s, c’est bien beau mais lesquelles?

Et comme toutes sont entre elles ressemblantes,

Quand il les voit venir, avec leur gros drapeau,

Le sage, en hésitant, tourne autour du tombeau .

Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,

D’accord, mais de mort lente .

Encor s’il suffisait de quelques hécatombes

Pour qu’enfin tout changeât, qu’enfin tout s’arrangeât!

Depuis tant de "grands soirs" que tant de têtes tombent,

Au paradis sur terre on y serait déjà .

Mais l’âge d’or sans cesse est remis aux calendes,

Les dieux ont toujours soif, n’en ont jamais assez,

Et c’est la mort, la mort toujours recommencé’ ...

Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,

D’accord, mais de mort lente .

O vous, les boutefeux, ô vous les bons apôtres,

Mourez donc les premiers, nous vous cédons le pas .

Mais de grâce, morbleu! laissez vivre les autres!

La vie est &agrace; peu près leur seul luxe ici bas ;

Car, enfin, la Camarde est assez vigilante,

Elle n’a pas besoin qu’on lui tienne la faux .

Plus de danse macabre autour des échafeauds!

Mourrons pour des idé’s d’accord, mais de mort lente,

D’accord, mais de mort lente .

Titre CD(?)

texte

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Titolo

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2010

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La Princesse et le Croque-notes

Jadis, au lieu du jardin que voici,

C’etait la zone et tout ce qui s’ensuit,

Des masures des taudis insolites,

Des ruines pas romaines pour un sou.

Quant aù la faune habitant la dessous

C’etait la fine fleur c’etait l’élite.

La fine fleur, l’élite du pavé.

Des besogneux des gueux des réprouvés,

Des mendiants rivalisant de tares,

Des chevaux de retour des propres aù rien,

Ainsi qu’un croque-note, un musicien,

Une épave accrochée aù sa guitare.

Adoptée par ce beau monde attendri,

Une petite fée avait fleuri

Au milieu de toute cette bassesse.

Comme on l’avait trouvée pres du ruisseau,

Abandonnée en un somptueux berceau,

A tout hasard on l’appelait "princesse".

Or, un soir, Dieu du ciel, protégez nous!

La voila qui monte sur les genoux

Du croque-note et doucement soupire,

En rougissant quand meme un petit peu:

"C’est toi que j’aime et si tu veux tu peux

M’embrasser sur la bouche et meme pire ..."

"-Tout beau, princesse arrete un peu ton tir,

J’ai pas tellement l’étoffe du sayr’,

Tu a treize ans,j’en ai trente qui sonnent,

Gross différence et je ne suis pas chaud

Pour tater d’la paille humide du cachot ...

-Mais croque-not’,j’dirais rien aù personne ..."

-N’insiste pas fit-il d’un ton railleur,

D’abord tu n’es pas mon genre et d’ailleurs

Mon coeur est dejaù pris par une grande ..."

Alors princesse est partie en courant,

Alors princesse est partie en pleurant,

Chagrine qu’on ait boudé son offrande.

Y a pas eu détournement de mineure,

Le croque-note au matin, de bonne heure,

A l’anglaise a filé dans la charette

Des chiffonniers en grattant sa guitare.

Passant par laù quelques vingt ans plus tard,

Il a le sentiment qu’il le regrette.

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Titolo

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2010

Le Roi

Non certe’,elle n’est pas bâtie,

Non certe’,elle n’est pas bâtie

Sur du sable,sa dynastie,

Sur du sable,sa dynastie.

Il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Il peut dormir,ce souverain,

Il peut dormir,ce souverain,

Sur ses deux oreilles,serein,

Sur ses deux oreilles,serein.

Il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Je,tu,il,elle,nous,vous,ils,

Je,tu,il,elle,nous,vous,ils,

Tout le monde le suit,docil’,

Tout le monde le suit,docil’.

Il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Il est possible,au demeurant,

Il est possible,au demeurant,

Qu’on déloge le shah d’Iran,

Qu’on déloge le shah d’Iran,

Mais il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Qu’un jour on dise:"C’est fini",

Qu’un jour on dise:"C’est fini"

Au petit roi de Jordani’,

Au petit roi de Jordani’,

Mais il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Qu’en Abyssinie on récus’,

Qu’en Abyssinie on récus’,

Le roi des rois,le bon Négus,

Le roi des rois,le bon Négus,

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Mais il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Que,sur un air de fandango,

Que,sur un air de fandango,

On congédi’ le vieux Franco,

On congédi’ le vieux Franco,

Mais il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Que la couronne d’Angleterre,

Que la couronne d’Angleterre,

Ce soir,demain,roule par terre,

Ce soir,demain,roule par terre,

Mais il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Que, ça c’est vu dans le passé,

Que,ça c’est vu dans le passé,

Marianne soit renversé’

Marianne soit renversé’

Mais il y a peu de chances qu’on

Détrône le roi des cons.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Le Roi boiteux

(Poème de Gustave Nadaud)

Un roi d’Espagne, ou bien de France,

Avait un cor, un cor au pied;

C’etait au pied gauche, je pense;

Il boitait aù faire pitie.

Les courtisans, espace adroite,

S’appliquerent aù limiter,

Et qui de gauche, qui de droite,

Il apprirent tous aù boiter.

On vit bientot le bénéfice

Que cette mode rapportait;

Et de l’antichambre aù l’office,

Tout le monde boitait,boitait.

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Un jour, un seigneur de province,

Oubliant son nouveau métier,

Vint aù passer devant le prince,

Ferme et droit comme un peuplier.

Tout le monde se mit aù rire,

Excepté le roi qui, tout bas,

Murmura:"Monsieur,qu’est-ce aù dire?

Je crois que vous ne boitez pas."

"Sire, quelle erreur est la votre!

Je suis crible de cors; voyez:

Si je marche plus droit qu’un autre,

C’est que je boite des deux pieds."

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Quatre-vingt-quinze pour cent

La femme qui possède tout en elle

Pour donner le goût des fêtes charnelles,

La femme qui suscite en nous tant de passion brutale,

La femme est avant tout sentimentale .

Mais dans la main les longues promenades,

Les fleurs, les billets doux, les sèrènades,

Les crimes, les foli’s que pour ses beaux yeux l’on commet,

La transporte, mais...

Refrain

Quatre-vingt-quinze fois sur cent,

La femme s’emmerde en baisant .

Qu’elle le taise ou le confesse

C’est pas tous les jours qu’on lui déride les fesses .

Les pauvres bougres convaincus

Du contraire sont des cocus .

A l’heure de l’oeuvre de chair

Elle est souvent triste, peuchèr!

S’il n’entend le coeur qui bat,

Le corps non plus ne bronche pas .

Sauf quand elle aime un homme avec tendresse,

Toujours sensible alors à ses caresses,

Toujour bien disposé’, toujours encline à s’émouvoir,

Ell’ s’emmerd’ sans s’en apercevoir .

Ou quand elle a des besoins tyranniques,

Qu’elle souffre de nymphmani’ chronique,

C’est ell’ qui fait alors passer à ses adorateurs

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De fichus quart d’heure .

Les "encore", les "c’est bon", les "continue"

Qu’ell’ cri’ pour simuler qu’ell’ monte aux nues,

C’est pure charité, les soupir des anges ne sont

En général que de pieux menson(ges) .

C’est à seule fin que sont partenaire

Se croie un amant extraordinaire,

Que le coq imbécile et prétentieux perché dessus

Ne soit pas déçu .

J’entends aller de bon train les commentaires

De ceux qui font des châteaux à Cyth&egrace;re:

"C’est parce que tu n’es qu’un malhabile, un maladroit,

Qu’elle conserve toujours son sang-froid ."

Peut-être, mais les assauts vous pèsent

De ces petits m’as-tu-vu-quand-je-baise,

Mesdam’s, en vous laissant manger le plaisir sur le dos,

Chantez in petto...

A l’ombre des maris CD2

Les dragons de vertu n’en prennent pas ombrage,

Si j’avais eu l’honneur de commander à bord,

A bord du Titanic quand il a fait naufrage,

J’aurais crié: “Les femm’s adultères d’abord!”

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Car, pour combler les voeux, calmer la fievre

[ardente

Du pauvre solitaire et qui n’est pas de bois,

Nulle n’est comparable à l’épouse inconstante.

Femmes de chefs de gar’, c’est vous la fleur des

[pois.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Quant à vous, messeigneurs, aimez à votre guise,

En ce qui me concerne, ayant un jour compris

Qu’une femme adultère est plus qu’une autre

[exquise,

Je cherche mon bonheur à l’ombre des maris.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

A l’ombre des maris mais, cela va sans dire,

Pas n’importe lesquels, je les tri’, les choisis.

All’ombra dei mariti

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Si madame Dupont, d’aventure, m’attire,

Il faut que, par surcroit, Dupont me plaise aussi!

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Il convient que le bougre ait une bonne poire

Sinon, me ravisant, je détale à grands pas,

Car je suis difficile et me refuse à boire

Dans le verr’ d’un monsieur qui ne me revient

[pas.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Ils sont loins mes débuts ou, manquant de

[pratique,

Sur des femmes de flics je mis mon dévolu.

Je n’étais pas encore ouvert à l’esthétique.

Cette faute de goût je ne la commets plus.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Oui, je suis tatillon, pointilleux, mais j’estime

Que le mari doit être un gentleman complet,

Car on finit tous deux par devenir intimes

A force, à force de se passer le relais.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Mais si l’on tombe, hélas! sur des maris infâmes,

Certains sont si courtois, si bons, si chaleureux,

Que, même après avoir cessé d’aimer leur

[femme,

On fait encor’ semblant uniquement pour eux.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

C’est mon cas ces temps-ci, je suis triste,

[malade,

Quand je dois faire honneur à certaine pécore.

Mais, son mari et moi, c’est Oreste et Pylade,

Et, pour garder l’ami, je la cajole encore.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Non contente de me déplaire, elle me trompe,

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Et les jours ou, furieux, voulant tout mettre à bas,

Je cri’: “La coupe est pleine, il est temps que je

[rompe!”

Le mari me suppli’: “Non ne me quittez pas!”

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Et je reste, et, tous deux, ensemble on se

[flagorne.

Moi, je lui dis: “C’est vous mon cocu préféré”.

Il me réplique alors: “Entre toutes mes cornes,

Celles que je vous dois, mon cher, me sont

[sacré’s.”

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère,

Je suis derrière...

Et je reste et, parfois, lorsque cette pimbêche

S’attarde en compagni’ de son nouvel amant,

Que la nurse est sorti’, le mari à la pêche,

C’est moi, pauvre de moi! qui garde les enfants.

Ne jetez pas la pierre à la femme adultère.

Le mécréant CD(?)

Est-il en notre temps rien de plus odieux,

De plus désespérant,

que de n’ pas croire en Dieu?

J’ voudrais avoir la foi,

la foi d’ mon charbonnier,

Qui est heureux comme un pape

et con comme un panier.

Mon voisin du dessus,

un certain Blaise Pascal,

M’a gentiment donné

ce conseil amical:

Mettez-vous à genoux, priez et implorez,

Faites semblant de croire, et bientôt vous croirez.

J’ me mis à débiter,

les rotules à terr’,

Tous les Ave Maria, tous les Pater Noster,

Dans les rues, les cafés, les trains, les autobus,

Tous les De Profundis, tous les Morpionibus...

Il miscredente

Ai nostri giorni c’è niente di più odioso,

di più sconfortante,

che non credere in Dio?

Vorrei avere la fede,

la fede del mio spazzacamino,

il quale è felice come un re

e stupido come un’oca.

Il mio vicino del piano di sopra,

un certo Blaise Pascal,

gentilmente mi ha dato

questo consiglio d’amico:

«Si metta in ginocchio, preghi, supplichi,

faccia finta di credere, e presto crederà!»

Mi sono messo a produrre,

con le rotule per terra,

tutti gli Avemaria, tutti i Pater Noster,

per le vie, nei caffè, sui treni e gli autobus,

tutti i De Profundis, tutti i “morpionibus”...

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Sur ces entrefaites là, trouvant dans les orties

Un’ soutane à ma taill’, je m’en suis travesti

Et, tonsuré de frais, ma guitarre à la main,

Vers la foi salvatrice

je me mis en chemin.

J’ tombai sur un boisseau

d’ punaises de sacristie,

Me prenant pour un autre,

en choeur, elles m’ont dit:

Mon père, chantez-nous donc

quelque refrain sacré,

Quelque sainte chanson dont vous avez l’ secret!

Grattant avec ferveur les cordes sous mes doigts,

J’entonnai le Gorille avec Putain de Toi.

Criant à l’imposteur, au traître, au papelard,

Elles veul’nt me fair subir

le supplice d’Abélard,

Je vais grossir les rangs

des muets du sérail,

Les belles ne viendront plus

se pendre à mon poitrail,

Grâce à ma voix coupé

j’aurai la plac’ de choix

Au milieu des Petits Chanteurs à la croix d’ bois.

Attirée par le bruit, un’ dam’ de Charité,

Leur dit: Que faites-vous?

Malheureuses arrêtez!

‘Y a tant d’hommes aujourd’hui

qui ont un penchant pervers

À prendre obstinément Cupidon à l’envers,

Tant d’hommes dépourvus de leurs virils appas,

À ceux qui en ont encor’

ne les enlevons pas!

Ces arguments massue firent

un’ grosse impression,

On me laissa partir avec des ovations.

Mais, su l’ chemin du ciel,

je n’ ferai plus un pas,

In quel mentre, trovando fra le ortiche

una tonaca della mia misura, mi sono travestito

e, con la tonsura fresca e la chitarra in mano,

verso la fede salvatrice

mi sono messo in cammino.

Mi imbattei in un gruppetto

di bigotte.

Prendendomi per un altro,

queste, in coro, mi dicono:

«Padre, ci canti dunque

qualche sacro ritornello,

qualche santa canzone che solo lei conosca!»

Grattando con fervore le corde sotto le dita

intonai “Il gorilla” e “Sei una puttana”.

Gridando all’impostore, al traditore, all’ipocrita

le signore vogliono farmi subire

il supplizio di Abelardo:

andrò a ingrossare le fila

degli eunuchi del serraglio,

le belle donne non verranno più

ad attaccarsi al mio davanzale,

grazie alla mia voce bianca

avrò il posto d’onore

in mezzo ai Piccoli coristi della Croce di legno.

Attirata dalla confusione, una Dama di Carità

parla loro così: «Ma che fate, disgraziate?

Smettetela!

Ci sono talmente tanti uomini, oggigiorno,

che hanno la tendenza pervertita

di prendere Cupido sempre al contrario,

tanti uomini sprovvisti degli attributi virili...

A quelli che ancora ce li hanno,

non togliamoglieli!»

Questi argomenti schiaccianti fecero

una grossa impressione:

mi lasciarono andare tra le ovazioni.

Ma, sul cammino del Cielo,

io non farò più un passo:

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La foi viendra d’elle même

ou ell’ ne viendra pas.

Je n’ai jamais tué, jamais violé non plus,

‘Y a déjà quelque temps que je vole plus,

Si l’Éternel existe, en fin de compte, il voit

Qu je m’ conduis guèr’ plus mal

que si j’avais la foi.

?

la fede verrà da sola,

oppure non verrà.

Non ho mai ucciso, e neppure violentato,

ed è già un po’ di tempo che non rubo più:

se il Padreterno esiste, in fin dei conti, vede

che non mi comporto molto peggio

che se avessi la fede.

2010

Vedi approfondimento

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Les Copains d’abord

Non ce n’était pas le radeau

De la méduse ce bateau

Qu’on se le dise au fond des ports

Dise au fond des ports

Il navigait en père peinard

Sur la grand’mare des canards

Et s’app’lait "Les copains d’abord"

Les copains d’abord

Non, ce n’était pas le radeau

De la Méduse, ce bateau,

Qu’on se le dis’ au fond des ports,

Dis’ au fond des ports,

Il naviguait en pèr’ peinard

Sur la grand-mare des canards,

Et s’app’lait les Copains d’abord

Les Copains d’abord.

Ses fluctuat nec mergitur

C’était pas d’la litteratur’,

N’en déplaise aux jeteurs de sort,

Aux jeteurs de sort,

Son capitaine et ses mat’lots

N’étaient pas des enfants d’salauds,

Mais des amis franco de port,

Des copains d’abord.

C’étaient pas des amis de lux’,

Des petits Castor et Pollux,

Des gens de Sodome et Gomorrh’,

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Sodome et Gomorrh’,

C’étaient pas des amis choisis

Par Montaigne et La Boeti’,

Sur le ventre ils se tapaient fort,

Les copains d’abord.

C’étaient pas des anges non plus,

L’Evangile, ils l’avaient pas lu,

Mais ils s’aimaient tout’s voil’s dehors,

Tout’s voil’s dehors,

Jean, Pierre, Paul et compagnie,

C’était leur seule litanie

Leur Credo, leur Confitéor,

Aux copains d’abord.

Au moindre coup de Trafalgar,

C’est l’amitié qui prenait l’quart,

C’est elle qui leur montrait le nord,

Leur montrait le nord.

Et quand ils étaient en détresse,

Qu’leur bras lancaient des S.O.S.,

On aurait dit les sémaphores,

Les copains d’abord.

Au rendez-vous des bons copains,

Y’avait pas souvent de lapins,

Quand l’un d’entre eux manquait a bord,

C’est qu’il était mort.

Oui, mais jamais, au grand jamais,

Son trou dans l’eau n’se refermait,

Cent ans après, coquin de sort!

Il manquait encor.

Des bateaux j’en ai pris beaucoup,

Mais le seul qui’ait tenu le coup,

Qui n’ai jamais viré de bord,

Mais viré de bord,

Naviguait en père peinard

Sur la grand-mare des canards,

Et s’app’lait les Copains d’abord

Les Copains d’abord.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Cupidon s’en fout

Pour changer en amour notre amourette,

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Il s’en serait pas fallu de beaucoup,

Mais, ce jour là, Vénus était distraite,

Il est des jours où Cupidon s’en fout.

Des jours où il joue les mouches du coche.

Où, elles sont émoussées dans le bout,

Les flèches courtoises qu’il nous décoche,

Il est des jours où Cupidon s’en fout.

Se consacrant à d’autres imbéciles,

Il n’eu pas l’heur de s’occuper de nous,

Avec son arc et tous ses ustensiles,

Il est des jours où Cupidon s’en fout.

On tenté sans lui d’ouvrir la fête,

Sur l’herbe tendre, on s’est roulés, mais vous

Avez perdu la vertu, pas la tête,

Il est des jours où Cupidon s’en fout.

Si vous m’avez donné toute licence,

Le coeur, hélas, n’était pas dans le coup;

Le feu sacré brillait par son abscence,

Il est des jours où Cupidon s’en fout.

On effeuilla vingt fois la marguerite,

Elle tomba vingt fois sur «pas du tout».

Et notre pauvre idylle a fait faillite,

Il est des jours où Cupidon s’en fout.

Quand vous irez au bois conter fleurette,

Jeunes galants, le ciel soit avec vous.

Je n’eus pas cette chance et le regrette,

Il est des jours où Cupidon s’en fout.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Tonton Nestor

Tonton Nestor,

Vous eûtes tort,

Je vous le dis tout net.

Vous avez mis

La zizani’

Aux noces de Jeannett’.

Je vous l’avou’,

Tonton, vous vous

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Comportâtes comme un

Mufle achevé,

Rustre fiéffé,

Un homme du commun.

Quand la fiancé’,

Les yeux baissés,

Des larmes pleins les cils,

S’apprêtait à

Dire " Oui da! "

A l’officier civil,

Qu’est-c’ qui vous prit,

Vieux malappris,

D’aller, sans retenue,

Faire un pinçon

Cruel en son

Eminence charnue?

Se retournant

Incontinent,

Ell’ souffleta, flic-flac!

L’ garçon d’honneur

Qui, par bonheur,

Avait un’ tête à claqu’,

Mais au lieu du

" Oui " attendu,

Ell’ s’écria: " Maman "

Et l’ mair’ lui dit:

" Non, mon petit,

Ce n’est pas le moment. "

Quand la fiancé’,

Les yeux baissés,

D’une voix solennell’

S’apprêtait à

Dire " Oui da! "

Par-devant l’Eternel,

Voila mechef

Que, derechef,

Vous osâtes porter

Votre fichue

Patte crochue

Sur sa rotondité.

Se retournant

Incontinent,

Elle moucha le nez

D’un enfant d’choeur

Qui, par bonheur,

Etait enchifrené,

Mais au lieu du

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" Oui " attendu,

De sa pauvre voix lass’,

Au tonsuré

Désemparé

Elle a dit " Merde ", hélas!

Quoiqu’elle usât,

Qu’elle abusât

Du droit d’être fessu’,

En la pinçant,

Mauvais plaisant,

Vous nous avez déçus.

Aussi, ma foi,

La prochain’ fois

Qu’on mariera Jeannett’,

On s’ pass’ra d’vous.

Tonton, je vous,

Je vous le dit tout net.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

La ballade des cimetières

J’ai des tombeaux en abondance,

Des sépultur’ à discrétion,

Dans tout cim’tièr’ d’ quelque importance

J’ai ma petite concession.

De l’humble tertre au mausolée,

Avec toujours quelqu’un dedans,

J’ai des p’tit’s boss’s plein les allées,

Et je suis triste, cependant...

Car je n’en ai pas, et ça m’agace,

Et ça défrise mon blason,

Au cimetièr’ du Montparnasse,

A quatre pas de ma maison.

J’en possède au Père-Lachaise,

A Bagneux, à Thiais, à Pantin,

Et jusque, ne vous en déplaise,

Au fond du cimetièr’ marin,

A la vill’ comm’ à la campagne,

Partout où l’on peut faire un trou,

J’ai mêm’ des tombeaux en Espagne

Qu’on me jalouse peu ou prou...

Mais j’ n’en ai pas la moindre trace,

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Le plus humble petit soupçon,

Au cimetièr’ du Montparnasse,

A quatre pas de ma maison.

Le jour des morts, je cours, le vole,

Je vais infatigablement,

De nécropole en nécropole,

De pierr’ tombale en monument.

On m’entrevoit sous un’ couronne

D’immortelles à Champerret,

Un peu plus tard, c’est à Charonne

Qu’on m’aperçoit sous un cyprès...

Mais, seul, un fourbe aura l’audace,

De dir’: " J’ l’ai vu à l’horizon,

Du cimetièr’ du Montparnasse,

A quatre pas de sa maison ".

Devant l’ château d’ ma grand-tante

La marquise de Carabas,

Ma saint’ famille languit d’attente:

Mourra-t-ell’, mourra-t-elle pas?

L’un veut son or, l’autre veut ses meubles,

Qui ses bijoux, qui ses bib’lots,

Qui ses forêts, qui ses immeubles,

Qui ses tapis, qui ses tableaux...

Moi je n’implore qu’une grâce,

C’est qu’ell’ pass’ la morte-saison

Au cimetièr’ du Montparnasse,

A quatre pas de ma maison.

Ainsi chantait, la mort dans l’âme,

Un jeun’ homm’ de bonne tenue,

En train de ranimer la flamme

Du soldat qui lui était connu,

Or, il advint qu’le ciel eut marr’ de

L’entendre parler d’ ses caveaux.

Et Dieu fit signe à la camarde

De l’expédier ru’ Froidevaux...

Mais les croqu’-morts, qui étaient de Chartre’,

Funeste erreur de livraison,

Menèr’nt sa dépouille à Montmartre,

De l’autr’ côté de sa maison.

Titre CD(?)

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2010

L’enterrement de Verlaine

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(Poème de Paul fort)

Le revois-tu mon âme, ce Boul’ Mich’ d’autrefois

Et dont le plus beau jour fut un jour de beau froid:

Dieu: s’ouvrit-il jamais une voie aussi pure

Au convoi d’un grand mort suivi de miniatures?

Tous les grognards - petits - de Verlaine étaient là,

Toussotant, Frissonnant, Glissant sur le verglas,

Mais qui suivaient ce mort et la désespérance,

Morte enfin, du Premier Rossignol de la France.

Ou plutôt du second (François de Montcorbier,

Voici belle lurette en fut le vrai premier)

N’importe! Lélian, je vous suivrai toujours!

Premier? Second? vous seul. En ce plus froid des jours.

N’importe! Je suivrai toujours, l’âme enivrée

Ah! Folle d’une espérance désespérée

Montesquiou-Fezensac et Bibi-la-Purée

Vos deux gardes du corps, - entre tous moi dernier.

Titre CD(?)

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2010

Germaine Tourangelle

(Poème de Paul Fort)

Cette gerbe est pour vous Manon des jours heureux,

Pour vous cette autre, eh! oui, Jeanne des soirs troublants.

Plus souple vers l’azur et déchiré des Sylphes,

Voilà tout un bouquet de roses pour Thérèse.

Où donc est-il son fin petit nez qui renifle?

Au paradis? eh! non, cendre au Père-Lachaise.

Plus haut, cet arbre d’eau qui rechute pleureur,

En saule d’Orphélie, est pour vous, Amélie.

Et pour vous ma douceur, ma douleur, ma folie!

Germaine Tourangelle, ô vous la plus jolie.

Le fluide arc-en-ciel s’égrenant sur mon coeur.

Titre CD(?)

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? 2010

A Mireille

dit “Petit verglas”

(Poème de Paul Fort)

Ne tremblez pas, mais je dois le dire elle fut assassinée au couteau par

un fichu mauvais garçon, dans sa chambre, là-bas derrière le Panthéon,

rue Descartes, où mourut Paul Verlaine.

O! oui, je l’ai bien aimée ma petite " Petit Verglas " à moi si bonne

et si douce et si triste. Pourquoi sa tristesse? Je ne l’avais pas

deviné, je ne pouvais pas le deviner.

Non, je l’ai su après tu me l’avais caché que ton père était mort

sur

l’échafaud, Petit Verglas! J’aurais bien dû le comprendre à tes

sourires.

J’aurais dû le deviner à tes petits yeux, battus de sang, à ton bleu

regard indéfinissable, papillotant et plein de retenue.

Et moi qui avais toujours l’air de te dire " Mademoiselle, voulez-vous

partager ma statue? " Ah! J’aurais dû comprendre à tes sourires, tes

yeux bleus battus et plein de retenue.

Et je t’appelais comme ça, le Petit Verglas, que c’est bête un poète!

O

petite chair transie! Moi, je l’ai su après que ton père était mort

ainsi...

Pardonne-moi, Petit Verglas. Volez, les anges!

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Le temps passé

Dans les comptes d’apothicaire,

Vingt ans, c’est un’ somm’ de bonheur.

Mes vingt ans sont morts à la guerre,

De l’autr’ côté du champ d’honneur.

Si j’ connus un temps de chien, certes,

C’est bien le temps de mes vingt ans!

Cependant, je pleure sa perte,

Il est mort, c’était le bon temps!

Refrain

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Il est toujours joli, le temps passé.

Un’ fois qu’ils ont cassé leur pipe,

On pardonne à tous ceux qui nous ont offensés:

Les morts sont tous des braves types.

Dans ta petit’ mémoire de lièvre,

Bécassine, il t’est souvenu

De notre amour du coin des lèvres,

Amour nul et non avenu,

Amour d’un sou qui n’allait, certes,

Guèr’ plus loin que le bout d’ son lit.

Cependant, nous pleurons sa perte,

Il est mort, il est embelli!

J’ai mis ma tenu’ la plus sombre

Et mon masque d’enterrement,

Pour conduire au royaum’ des ombres

Un paquet de vieux ossements.

La terr’ n’a jamais produit, certes,

De canaille plus consommée.

Cependant, nous pleurons sa perte,

Elle est morte, elle est embaumée!

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Titolo

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2010

La fille à cent sous

Du temps que je vivais dans le troisièm’ dessous,

Ivrogne, immonde, infâme,

Un plus soûlaud que moi, contre un’ pièc’ de cent sous,

M’avait vendu sa femme.

Quand je l’eus mise au lit, quand j’ voulus l’étrenner,

Quand j’ fis voler sa jupe,

Il m’apparut alors qu’j’avais été berné

Dans un marché de dupe.

" Remball’ tes os, ma mie, et garde tes appas,

Tu es bien trop maigrelette,

Je suis un bon vivant, ça n’me concerne pas

D’étreindre des squelettes.

Retourne à ton mari, qu’il garde les cent sous,

J’ n’en fais pas une affaire. "

Mais ell’ me répondit, le regard en dessous:

" C’est vous que je préfère...

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J’ suis pas bien gross’, fit-ell’, d’une voix qui se nou’,

Mais ce n’est pas ma faute... "

Alors, moi, tout ému, j’ la pris sur mes genoux

Pour lui compter les côtes.

" Toi qu’ j’ai payé cent sous, dis-moi quel est ton nom,

Ton p’tit nom de baptême?

- Je m’appelle Ninette. - Eh bien, pauvre Ninon,

Console-toi, je t’aime. "

Et ce brave sac d’os dont j’ n’avais pas voulu,

Même pour une thune,

M’est entré dans le coeur et n’en sortirait plus

Pour toute une fortune.

Du temps que je vivais dans le troisièm’ dessous,

Ivrogne, immonde, infâme,

Un plus soûlaud que moi, contre un’ pièc’ de cent sous,

M’avait vendu sa femme.

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2010

Dans l’eau de la claire fontaine

Dans l’eau de la claire fontaine

Elle se baignait toute nue.

Une saute de vent soudaine

Jeta ses habits dans les nues.

En détresse, elle me fit signe,

Pour la vêtir, d’aller chercher

Des morceaux de feuilles de vigne,

Fleurs de lis ou fleurs d’oranger.

Avec des pétales de roses,

Un bout de corsage lui fis.

Mais la belle n’était pas bien grosse:

Une seule rose a suffi

Qu’une seule feuille a suffi.

Avec le pampre de la vigne,

Un bout de cotillon lui fis.

Mais la belle était si petite

Qu’une seule feuille a suffi.

Elle me tendit ses bras, ses lèvres,

Comme pour me remercier...

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Je les pris avec tant de fièvre

Qu’ell’ fut toute déshabillée.

Le jeu dut plaire à l’ingénue,

Car, à la fontaine souvent,

Ell’ s’alla baigner toute nue

En priant qu’il fit du vent,

Qu’il fit du vent...

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Je rejoindrai ma belle

* A l’heure du berger,

Au mépris du danger,

J’ prendrai la passerelle

Pour rejoindre ma belle,

A l’heure du berger,

Au mépris du danger,

Et nul n’y pourra rien changer.

* Tombant du haut des nues,

La bourrasque est venue

Souffler dessus la passerelle,

Tombant du haut des nues,

La bourrasque est venue,

La passerelle’, il y en a plus.

* Si les vents ont cru bon

De me couper les ponts,

J’ prendrai la balancelle

Pour rejoindre ma belle,

Si les vents ont cru bon,

De me couper les ponts,

J’embarquerai dans l’entrepont.

* Tombant du haut des nu’s,

Les marins sont venus

Lever l’ancre à la balancelle,

Tombant du haut des nu’s,

Les marins sont venus,

Des balancelle’, il y en a plus.

* Si les forbans des eaux

Ont volé mes vaisseaux,

Y me pouss’ra des ailes

Pour rejoindre ma belle,

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Si les forbans des eaux

Ont volé mes vaisseaux,

J’ prendrai le chemin des oiseaux.

* Les chasseurs à l’affût

Te tireront dessus,

Adieu les plumes! adieu les ailes!

Les chasseurs à l’affût

Te tireront dessus,

De tes amours, y en aura plus.

* Si c’est mon triste lot

De faire un trou dans l’eau,

Racontez à la belle

Que je suis mort fidèle,

Et qu’ell’ daigne à son tour

Attendre quelques jours

Pour filer de nouvell’s amours.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Si le bon Dieu l’avait voulu

(Poème de Paul Fort)

Si le Bon Dieu l’avait voulu - lanturette, lanturlu, - j’aurais connu la

Cléopâtre, et je t’aurais pas connue. J’aurais connu la Cléopâtre,

et je

ne t’aurais pas connue. Sans ton amour que j’idolâtre, las! que fussé-

je devenu?

Si le Bon Dieu l’avait voulu, j’aurais connu la Messaline, Agnès, Odette

et Mélusine, et je ne t’aurais pas connue. J’aurais connu la Pompadour,

Noémi, Sarah, Rebecca, la Fille du Royal Tambour, et la Mogador et

Clara.

Mais le Bon Dieu n’a pas voulu que je connaisse leurs amours, je t’ai

connue, tu m’as connu - gloire à Dieu au plus haut des nues! - Las!

que fussé-je devenu sans toi la nuit, sans toi le jour? Je t’ai connue,

tu m’as connu - gloire à Dieu au plus haut des nues!

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Le temps ne fait rien à l’affaire

Quand ils sont tout neufs,

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Qu’ils sortent de l’oeuf,

Du cocon,

Tous les jeunes blancs-becs

Prennent les vieux mecs

Pour des cons.

Quand ils sont d’venus

Des têtes chenu’s,

Des grisons,

Tous les vieux fourneaux

Prennent les jeunots

Pour des cons.

Moi, qui balance entre deux âges,

J’ leur adresse à tous un message:

Le temps ne fait rien à l’affaire,

Quand on est con, on est con.

Qu’on ait vingt ans, qu’on soit grand-père,

Quand on est con, on est con.

Entre vous, plus de controverses,

Cons caducs ou cons débutants,

Petits cons d’ la dernière averse,

Vieux cons des neiges d’antan.

Vous, les cons naissants,

Les cons innocents,

Les jeun’s cons

Qui n’ le niez pas,

Prenez les papas

Pour des cons,

Vous, les cons âgés,

Les cons usagés,

Les vieux cons

Qui, confessez-le,

Prenez les p’tits bleus

Pour des cons,

Méditez l’impartial message

D’un qui balance entre deux âges:

La complainte des filles de joie CD(?)

Bien que ces vaches de bourgeois

Les appell’nt des filles de joi’

C’est pas tous les jours qu’ell’s rigolent,

Parole, parole,

C’est pas tous les jours qu’elles rigolent.

Car, même avec des pieds de grues,

Fair’ les cent pas le long des rues

C’est fatigant pour les guibolles,

La nenia delle ragazze di gioia

Benché quegli stronzi di borghesi

le chiamino “ragazze di gioia”,

non càpita tutti i giorni che si divertano:

parola mia!

Non càpita tutti i giorni che si divertano.

Poiché, anche con i piedi di gru2,

camminare avanti e indietro lungo le vie

è faticoso per le gambe:

2 Faire le pied de grue = aspettare a lungo in piedi.

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Parole, parole,

C’est fatigant pour les guibolles.

Non seulement ell’s ont des cors,

Des oeils-de-perdrix, mais encor

C’est fou ce qu’ell’s usent de grolles,

Parole, parole,

C’est fou ce qu’ell’s usent de grolles.

’Y a des clients, ’y a des salauds

Qui se trempent jamais dans l’eau.

Faut pourtant qu’elles les cajolent,

Parole, parole,

Faut pourtant qu’elles les cajolent,

Qu’ell’s leur fassent (?) la courte échell’

Pour monter au septième ciel.

Les sous, croyez pas qu’ell’s les volent,

Parole, parole,

Les sous, croyez pas qu’ell’s les volent.

Ell’s sont méprisé’s du public,

Ell’s sont bousculé’s par les flics,

Et menacé’s de la vérole,

Parole, parole,

Et menacé’s de la vérole.

Bien qu’ tout’ la vie ell’s fass’nt l’amour,

Qu’ell’s se marient vingt fois par jour,

La noce est jamais pour leur fiole,

Parole, parole,

La noce est jamais pour leur fiole.

Fils de pécore et de minus,

Ris par de la pauvre Vénus,

La pauvre vieille casserole,

Parole, parole,

La pauvre vieille casserole.

Il s’en fallait de peu, mon cher,

Que cett’ putain ne fût ta mère,

Cette putain dont tu rigoles,

Parole, parole,

Cette putain dont tu rigoles.

?

parola mia!

E’ faticoso per le gambe.

Non solo loro hanno dei calli

e occhi di pernice, ma anche

è pazzesco quanto consumano le scarpe:

parola mia!

E’ pazzesco quanto consumano le scarpe.

Ci sono dei clienti, ci sono delle carogne

che non s’immergono mai nell’acqua.

Bisogna tuttavia che loro li carezzino:

parola mia!

Bisogna tuttavia che loro li carezzino,

che li aiutino

a salire al settimo cielo.

I soldi, non crediate che li rubino:

parola mia!

I soldi, non crediate che li rubino.

Loro sono disprezzate dalla gente,

sono spintonate dalla polizia,

e minacciate dal vaiolo:

parola mia!

E minacciate dal vaiolo.

Benché tutta la vita facciano l’amore,

e che si sposino venti volte al giorno,

le nozze non fanno mai per loro:

parola mia!

Le nozze non fanno per loro.

Figlio di madre petulante e di padre deficiente,

ridi pure della povera Venere,

della povera, vecchia pentola:

parola mia!

Della povera, vecchia pentola.

C’è mancato poco, mio caro,

che questa puttana non fosse tua madre,

questa puttana di cui ti prendi gioco:

parola mia!

Questa puttana di cui ti prendi gioco.

2010

Vedi approfondimento

Titre CD(?)

Titolo

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texte

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testo

2010

Les trompettes de la renommée

Je vivais à l’écart de la place publique,

Serein, contemplatif, ténébreux, bucolique...

Refusant d’acquitter la rançon de la gloir’,

Sur mon brin de laurier je dormais comme un loir.

Les gens de bon conseil ont su me fair’ comprendre

Qu’à l’homme de la ru’ j’avais des compt’s à rendre

Et que, sous peine de choir dans un oubli complet,

J’ devais mettre au grand jour tous mes petits secrets.

Refrain

Trompettes

De la Renommée,

Vous êtes

Bien mal embouchées!

Manquant à la pudeur la plus élémentaire,

Dois-je, pour les besoins d’ la caus’ publicitaire,

Divulguer avec qui, et dans quell’ position

Je plonge dans le stupre et la fornication?

Si je publi’ des noms, combien de Pénélopes

Passeront illico pour de fieffé’s salopes,

Combien de bons amis me r’gard’ront de travers,

Combien je recevrai de coups de revolver!

A toute exhibition, ma nature est rétive,

Souffrant d’un’ modesti’ quasiment maladive,

Je ne fais voir mes organes procréateurs

A personne, excepté mes femm’s et mes docteurs.

Dois-je, pour défrayer la chroniqu’ des scandales,

Battre l’ tambour avec mes parti’s génitales,

Dois-je les arborer plus ostensiblement,

Comme un enfant de choeur porte un saint sacrement?

Une femme du monde, et qui souvent me laisse

Fair’ mes quat’ voluptés dans ses quartiers d’ noblesse,

M’a sournois’ment passé, sur son divan de soi’,

Des parasit’s du plus bas étage qui soit...

Sous prétexte de bruit, sous couleur de réclame,

Ai-j’ le droit de ternir l’honneur de cette dame

En criant sur les toits, et sur l’air des lampions:

" Madame la marquis’ m’a foutu des morpions! "?

Le ciel en soit loué, je vis en bonne entente

Avec le Pèr’ Duval, la calotte chantante,

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Lui, le catéchumène, et moi, l’énergumèn’,

Il me laisse dire merd’, je lui laiss’ dire amen,

En accord avec lui, dois-je écrir’ dans la presse

Qu’un soir je l’ai surpris aux genoux d’ ma maîtresse,

Chantant la mélopé’ d’une voix qui susurre,

Tandis qu’ell’ lui cherchait des poux dans la tonsure?

Avec qui, ventrebleu! faut-il que je couche

Pour fair’ parler un peu la déesse aux cent bouches?

Faut-il qu’un’ femme célèbre, une étoile, une star,

Vienn’ prendre entre mes bras la plac’ de ma guitar’?

Pour exciter le peuple et les folliculaires,

Qui’est-c’ qui veut me prêter sa croupe populaire,

Qui’est-c’ qui veut m’ laisser faire, in naturalibus,

Un p’tit peu d’alpinism’ sur son mont de Vénus?

Sonneraient-ell’s plus fort, ces divines trompettes,

Si, comm’ tout un chacun, j’étais un peu tapette,

Si je me déhanchais comme une demoiselle

Et prenais tout à coup des allur’s de gazelle?

Mais je ne sache pas qu’ça profite à ces drôles

De jouer le jeu d’ l’amour en inversant les rôles,

Qu’ça confère à leur gloire un’ onc’ de plus-valu’,

Le crim’ pédérastique, aujourd’hui, ne pai’ plus.

Après c’tour d’horizon des mille et un’ recettes

Qui vous val’nt à coup sûr les honneurs des gazettes,

J’aime mieux m’en tenir à ma premièr’ façon

Et me gratter le ventre en chantant des chansons.

Si le public en veut, je les sors dare-dare,

S’il n’en veut pas je les remets dans ma guitare.

Refusant d’acquitter la rançon de la gloir’,

Sur mon brin de laurier je m’endors comme un loir.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

La guerre de 14-18

Depuis que l’homme écrit l’Histoire,

Depuis qu’il bataille à coeur joie

Entre mille et une guerr’ notoires,

Si j’étais t’nu de faire un choix,

A l’encontre du vieil Homère,

Je déclarais tout de suit’:

" Moi, mon colon, cell’ que j’ préfère,

C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit! "

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Est-ce à dire que je méprise

Les nobles guerres de jadis,

Que je m’ souci’ comm’ d’un’ cerise

De celle de soixante-dix?

Au contrair’, je la révère

Et lui donne un satisfecit

Mais, mon colon, celle que j’ préfère,

C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!

Je sais que les guerriers de Sparte

Plantaient pas leurs epé’s dans l’eau,

Que les grognards de Bonaparte

Tiraient pas leur poudre aux moineaux...

Leurs faits d’armes sont légendaires,

Au garde-à-vous, je les félicit’,

Mais, mon colon, celle que j’ préfère,

C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!

Bien sûr, celle de l’an quarante

Ne m’as pas tout a fait déçu,

Elle fut longue et massacrante

Et je ne crache pas dessus,

Mais à mon sens, elle ne vaut guère,

Guèr’ plus qu’un premier accessit,

Moi, mon colon, celle que j’ préfère,

C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!

Mon but n’est pas de chercher noise

Au guérillas, non, fichtre! non,

Guerres saintes, guerres sournoises,

Qui n’osent pas dire leur nom,

Chacune a quelque chos’ pour plaire,

Chacune a son petit mérit’,

Mais, mon colon, celle que j’ préfère,

C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!

Du fond de son sac à malices,

Mars va sans doute, à l’occasion,

En sortir une - un vrai délice! -

Qui me fera grosse impression...

En attendant je persévère

A dir’ que ma guerr’ favorit’,

Cell’, mon colon, que j’ voudrais faire,

C’est la guerr’ de quatorz’-dix-huit!

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

La marguerite

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La petite

Marguerite

Est tombé’,

Singulière,

Du bréviaire

De l’abbé.

Trois pétales

De scandale

Sur l’autel,

Indiscrète

Pâquerette,

D’où vient-ell’?

Dans l’enceinte

Sacro-sainte,

Quel émoi!

Quelle affaire,

Oui, ma chère,

Croyez-moi!

La frivole

Fleur qui vole,

Arrive en

Contrebande

Des plat’s-bandes

Du couvent.

Notre Père

Qui, j’espère,

Etes aux cieux,

N’ayez cure

Des murmures

Malicieux.

La légère

Fleur, peuchère!

Ne vient pas

De nonnettes,

De cornettes

En sabbat.

Sachez, diantre!

Qu’un jour, entre

Deux ave,

Sur la pierre

D’un calvaire

Il l’a trouvé’.

Et l’a mise,

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Chose admise

Par le ciel,

Sans ambages,

Dans les pages

Du missel.

Que ces messes

Basses cessent,

Je vous en prie.

Non, le prête

N’est pas traître

A Marie.

Que personne

Ne soupçonne,

Puis jamais,

La petite

Marguerite,

Ah! ça mais...

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Jeanne

Chez Jeanne, la Jeanne,

Son auberge est ouverte aux gens sans feu ni lieu,

On pourrait l’appeler l’auberge de Bon Dieu

S’il n’en existait pas une,

La dernière où l’on peut entrer

Sans frapper, sans montrer patte blanche...

Chez Jeanne, la Jeanne,

On est n’importe qui, on vient n’importe quand,

On est n’importe qui, on vient n’importe quand,

Et, comme par miracle, par enchantement,

On fait parti’ de la famille,

Dans son coeur, en s’ poussant un peu,

Reste encore une petite place...

La Jeanne, la Jeanne,

Elle est pauvre et sa table est souvent mal servie,

Mais le peu qu’on y trouve assouvit pour la vie,

Par la façon qu’elle le donne,

Son pain ressemble à du gâteau

Et son eau à du vin comm’ deux gouttes d’eau...

La Jeanne, la Jeanne,

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On la pai’ quand on peut des prix mirobolants

Un baiser sur son front ou sur ses cheveux blancs,

Un semblant d’accord de guitare,

L’adresse d’un chat échaudé

Ou d’un chien tout crotté comm’ pourboire...

La Jeanne, la Jeanne,

Dans ses rose’ et ses choux n’a pas trouvé d’enfant,

Qu’on aime et qu’on défend contre les quatre vents,

Et qu’on accroche à son corsage,

Et qu’on arrose avec son lait...

D’autres qu’elle en seraient tout’ chagrines...

Mais Jeanne, la Jeanne,

Ne s’en souci’ pas plus que de colin-tampon,

Etre mère de trois poulpiquets, à quoi bon

Quand elle est mère universelle,

Quand tous les enfants de la terre,

De la mer et du ciel sont à elle...

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Le grand Pan

Du temps que régnait le Grand Pan,

Les dieux protégaient les ivrognes

Des tas de génies titubants

Au nez rouge, à la rouge trogne.

Dès qu’un homme vidait les cruchons,

Qu’un sac à vin faisait carousse

Ils venaient en bande à ses trousses

Compter les bouchons.

La plus humble piquette était alors bénie,

Distillée par Noé, Silène, et compagnie.

Le vin donnait un lustre au pire des minus,

Et le moindre pochard avait tout de Bacchus.

Refrain.

Mais en se touchant le crâne, en criant " J’ai trouvé "

La bande au professeur Nimbus est arrivée

Qui s’est mise à frapper les cieux d’alignement,

Chasser les Dieux du Firmament.

Aujourd’hui ça et là, les gens boivent encore,

Et le feu du nectar fait toujours luire les trognes.

Mais les dieux ne répondent plus pour les ivrognes.

Bacchus est alcoolique, et le grand Pan est mort.

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Quand deux imbéciles heureux

S’amusaient à des bagatelles,

Un tas de génies amoureux

Venaient leur tenir la chandelle.

Du fin fond du champs élysées

Dès qu’ils entendaient un " Je t’aime ",

Ils accouraient à l’instant même

Compter les baisers.

La plus humble amourette

Etait alors bénie

Sacrée par Aphrodite, Eros, et compagnie.

L’amour donnait un lustre au pire des minus,

Et la moindre amoureuse avait tout de Vénus.

Au refrain.

Aujourd’hui ça et là, les coeurs battent encore,

Et la règle du jeu de l’amour est la même.

Mais les dieux ne répondent plus de ceux qui s’aiment.

Vénus s’est faite femme, et le grand Pan est mort.

Et quand fatale sonnait l’heure

De prendre un linceul pour costume

Un tas de génies l’oeil en pleurs

Vous offraient des honneurs posthumes.

Et pour aller au céleste empire,

Dans leur barque ils venaient vous prendre.

C’était presque un plaisir de rendre

Le dernier soupir.

La plus humble dépouille était alors bénie,

Embarquée par Caron, Pluton et compagnie.

Au pire des minus, l’âme était accordée,

Et le moindre mortel avait l’éternité.

Au refrain.

Aujourd’hui ça et là, les gens passent encore,

Mais la tombe est hélas la dernière demeure

Les dieux ne répondent plus de ceux qui meurent.

La mort est naturelle, et le grand Pan est mort.

Et l’un des dernier dieux, l’un des derniers suprêmes,

Ne doit plus se sentir tellement bien lui-même

Un beau jour on va voir le Christ

Descendre du calvaire en disant dans sa lippe

" Merde je ne joue plus pour tous ces pauvres types.

J’ai bien peur que la fin du monde soit bien triste. "

Titre CD(?) Titolo

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2010

Le blason

Ayant avecques lui toujours fait bon ménage

J’eusse aimé célébrer sans être inconvenant

Tendre corps féminin ton plus bel apanage

Que tous ceux qui l’ont vu disent hallucinant.

Ceût été mon ultime chant mon chant du cygne

Mon dernier billet doux mon message d’adieu

Or malheureusement les mots qui le désignent

Le disputent à l’exécrable à l’odieux.

C’est la grande pitié de la langue française

C’est son talon d’Achille et c’est son déshonneur

De n’offrir que des mots entachés de bassesse

A cette incomparable instrument de bonheur.

Alors que tant de fleurs ont des noms poétiques

Tendre corps féminin’ c’est fort malencontreux

Que la fleur la plus douce la plus érotique

Et la plus enivrante en ait de plus scabreux.

Mais le pire de tous est un petit vocable

De trois lettres pas plus familier coutumier

Il est inexplicable il est irrévocable

Honte à celui-là qui l’employa le premier

Honte à celui-là qui par dépit par gageure

Dota de même terme en son fiel venimeux

Ce grand ami de l’homme et la cinglante injure

Celui-là c’est probable en était un fameux.

Misogyne à coup sûr asexué sans doute

Au charmes de Vénus absolument rétif

Etait ce bougre qui toute honte bue toute

Fit ce rapprochement d’ailleurs intempestif.

La malpeste soit de cette homonymie

C’est injuste madame et c’est désobligeant

Que ce morceau de roi de votre anatomie

Porte le même nom qu’une foule de gens.

Fasse le ciel dans un trait de génie

Un poète inspiré que Pégase soutient

Donne en effaçant d’un coup des siècles d’avanie

A cette vraie merveille un joli nom chrétien

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En attendant madame il semblerait dommage

Et vos adorateurs en seraient tous peinés

D’aller perdre de vue que pour lui rendre hommage

Il est d’autre moyen et que je les connais

Et que je les connais.

La non-demande en mariage CD(?)

Ma mi’, de grâce, ne mettons

Pas sous la gorge à Cupidon

Sa propre flèche,

Tant d’amoureux l’ont essayé

Qui, de leur bonheur, ont payé

Ce sacrilège.

(Refrain:)

J’ai l’honneur de

Ne pas te demander ta main,

Ne gravons pas

Nos noms au bas

D’un parchemin.

Laissons le champs libre à l’oiseaux,

Nous seront tous les deux priso-

nniers sur parole,

Au diable, les maîtresses queux

Qui attachent les coeurs aux queu’s

Des casseroles!

(Refrain)

Vénus se fait vielle souvent

elle perd son latin devant

La lèchefrite

À aucun prix, moi je ne veux

Effeuiller dans le pot-au-feu

La marguerite.

(Refrain)

On leur ôte bien des attraits,

En dévoilant trop les secrets

De Mélusine.

L’encre des billets doux pâlit

Vite entre les feuillets des li-

vres de cuisine.

(Refrain)

Il peut sembler de tout repos

De mettre à l’ombre, au fond d’un pot

La non domanda di matrimonio

Piccola mia, di grazia, non mettiamo

sotto la gola di Cupido

la sua stessa freccia:

tanti innamorati ci hanno provato,

i quali con la loro felicità hanno pagato

questo sacrilegio.

(Ritornello:)

Ho l’onore di

non chiederti la mano:

non incidiamo

i nostri nomi in fondo

ad una pergamena.

Lasciamo il campo libero all’uccello,

saremo tutti e due prigio-

nieri sulla parola,

e al diavolo le cuoche esperte

che attaccano i cuori ai manici

delle pentole!

(Ritornello)

Venere diventa vecchia spesso,

e si rincoglionisce davanti

alla leccarda:

in nessun modo io voglio

sfogliare nel bollito

la margherita.

(Ritornello)

Si tolgono loro molte attrattive

svelando troppo i segreti

di Melusina.

L’inchiostro dei messaggi d’amore impallidisce

velocemente tra i foglietti dei li-

bri di cucina.

(Ritornello)

Può sembrare di tutto riposo

mettere all’ombra, in fondo ad un vasetto

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De confiture,

La joli’ pomme défendu’,

Mais elle est cuite, elle a perdu

Son goût “nature”.

(Refrain)

De servante n’ai pas besoin,

Et du ménage et de ses soins

Je t’en dispense.

Qu’en éternelle fiancée,

A la dame de mes pensée’

Toujours je pense.

(Refrain)

?

di marmellata,

la bella mela proibita:

ma essa si è cotta, essa ha perduto

il suo gusto naturale.

(Ritornello)

Di una domestica non ne ho bisogno,

la vita di coppia e le sue responsabilità

io te le risparmio:

che, come ad un’eterna fidanzata,

alla donna dei miei pensieri

sempre io pensi.

(Ritornello)

2010

Vedi approfondimento

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Je me suis fait tout petit

Je n’avait jamais ôté mon chapeau

Devant personne

Maintenant je rampe et je fait le beau

Quand ell’ me sonne

J’étais chien méchant ell’ me fait manger

Dans sa menotte

J’avais des dents d’ loup, je les ai changées

Pour des quenottes!

Refrain

Je m’ suis fait tout p’tit devant un’ poupée

Qui ferm’ les yeux quand on la couche

Je m’ suis fait tout p’tit devant un’ poupée

Qui fait Maman quand on la touche.

J’était dur à cuire ell’ m’a converti

La fine mouche

Et je suis tombé tout chaud, tout rôti

Contre sa bouche

Qui a des dents de lait quand elle sourit

Quand elle chante

Et des dents de loup, quand elle est furie

Qu’elle est méchante.

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(refrain)

Je subis sa loi, je file tout doux

Sous son empire

Bien qu’ell’ soit jalouse au-delà de tout

Et même pire

Un’ jolie pervench’ qui m’avait paru

Plus joli’ qu’elle

Un’ jolie pervench’ un jour en mourut

A coup d’ombrelle.

(refrain)

Tous les somnambules, tous les mages m’ont

Dit sans malice

Qu’en ses bras croix, je subirais mon

Dernier supplice

Il en est de pir’s li en est d’ meilleur’s

Mais à tout prendre

Qu’on se pende ici, qu’on se pende ailleurs

S’il faut se pendre.

(refrain)

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

La ballade des gens qui sont nés quelque part

C’est vrai qu’ils sont plaisant tous ces petits villages

Tous ces bourg ces hameaux ces lieux-dits ces cités

Avec leurs château forts leurs églises leurs plages

Ils n’ont qu’un seul point faible et c’est d’être habités

Et c’est d’être habités par des gens qui regardent

Le reste avec mépris du haut de leurs remparts

La race des chauvins des porteurs de cocardes

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.

Maudits soient ces enfants de leur mère patrie

Empalés une fois pour toute sur leur clocher

Qui vous montrent leurs tours leurs musées leur mairie

Vous font voir du pays natal jusqu’à loucher

Qu’ils sortent de Paris ou de Rome ou de Sète

Ou du diable vauvert ou de Zanzibar

Ou même de Montcuq il s’en flattent mazette

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.

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Le sable dans lequel douillettes leurs autruches

Enfouissent la tête on trouve pas plus fin

Quand à l’air qu’ils emploient pour gonfler leurs baudruches

Leurs bulles de savon c’est du soufle divin

Et petit à petit les voilà qui se montent

Le cou jusqu’à penser que le crottin fait par

Leurs chevaux même en bois rend jaloux tout le monde

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.

C’est pas un lieu commun celui de leur connaissance

Ils plaignent de tout coeur les pauvres malchanceux

Les petis maladroits qui n’eurent pas la présence

La présence d’esprit de voir le jour chez eux

Quand sonne le tocsin sur leur bonheur précaire

Contre les étrangers tous plus ou moins barbares

Ils sortent de leur trou pour mourir à la guerre

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.

Mon dieu qu’il ferait bon sur la terre des hommes

Si on y rencontrait cette race incongrue

Cette race importune et qui partout foisonne

La race des gens du terroir des gens du cru

Que la vie serait belle en toutes circonstances

Si vous n’aviez tiré du néant tous ces jobards

Preuve peut-être bien de votre inexistance

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part

Les imbéciles heureux qui sont nés quelque part.

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Fernande

Une manie de vieux garçon

Moi j’ai pris l’habitude

D’agrémnter ma sollitude

Aux accents de cette chanson

Refrain

Quand je pense à Fernande

Je bande, je bande

Quand j’ pense à Felicie

Je bande aussi

quand j’ pense à Léonor

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Mon dieu je bande encore

Mais quand j’ pense à Lulu

Là je ne bande plus

La bandaison papa

Ca n’ se commande pas.

C’est cette mâle ritournelle

Cette antienne virile

Qui retentit dans la guérite

De la vaillante sentinelle.

Afin de tromper son cafard

De voir la vie moins terne

Tout en veillant sur sa lanterne

Chante ainsi le gardien de phare

Après la prière du soir

Comme il est un peu triste

Chante ainsi le séminariste

A genoux sur son reposoire.

A l’Etoile où j’était venu

Pour ranimer la flamme

J’entendis émus jusqu’au larmes

La voix du soldat inconnu.

Et je vais mettre un point final

A ce chant salutaire

En suggérant au solitaire

D’en faire un hymme national.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Sauf le respect que je vous dois

Si vous y tenez tant parlez-moi des affaires publiques

Encor que ce sujet me rende un peu mélancolique

Parlez-m’en toujours je n’ vous en tiendrai pas rigueur

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Fi des chantres bêlant qui taquine la muse érotique

Des poètes galants qui lèchent le cul d’Aphrodite

Des auteurs courtois qui vont en se frappant le cœur

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Naguère mes idée reposaient sur la non-violence

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100

Mon agressivité je l’avait réduite au silence

Mais tout tourne court ma compagne était une gueuse

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Ancienne enfant trouvée n’ayant connu père ni mère

Coiffée d’un chap’ron rouge ell’ s’en fut ironie amère

Porter soi_-disant une galette à son aïeule

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Je l’attendis un soir je l’attendis jusqu’à l’aurore

Je l’attendis un an pour peu je l’attendrais encore

Un loup de rencontre aura séduite cette gueuse

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Cupidon ce salaup geste chez lui qui n’est pas rare

Avais trenpé sa flèche un petit peu dans le curare

Le philtre magique avait tout du bouillon d’onzes heures

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Ainsi qu’il est fréquent sous la blancheur de ses pétales

La marguerite cachait une tarentule un crotale

Une vraie vipère à la fois lubrique et visqueuse

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Que le septième ciel sur ma pauvre tête retombe

Lorsque le désespoir m’aura mis au bord de la tombe

Cet ultime discours s’exhalera de mon linceul

Parlez-moi d’amour et j’ vous fous mon poing sur la gueule

Sauf le respect que je vous dois.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Le petit joueur de flûteau

Le petit joueur de flûteau

Menait la musique au château

Pour la grâce de ses chansons

Le roi lui offrit un blason

Je ne veux pas être noble

Répondit lecroque-note

Avec un blason à la clé

Mon la se mettrait à gonfler

On dirait par tout le pays

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Le joueur de flûte a trahi

Et mon pauvre petit clocher

Me semblerait trop bas perché

Je ne plierais plus les genoux

Devant le bon Dieu de chez nous

Il faudrait à ma grande âme

Tous les saints de Notre-Dame

Avec un évêque à la clé

Mon la se metrait à gonfler

On dirait par tout le pays

Le joueur de flûte a trahi

Et la chambre où j’ai vu la jour

Me serait un triste séjour

Je quitterai mon lit mesquin

Pour une couche à baldaquin

Je changerais ma chaumière

Pour une gentilhommière

Avec un manoir à la clé

On dirait par tout le pays

Le joueur de flûte a trahi

Je serai honteux de mon sang

Des aïeux de qui je descends

On me verrait bouder dessus

La branche dont je suis issu

Je voudrais un magnifique

Arbre généalogique

Avec du sang bleu a la clé

Mon la se mettrait a gonfler

On dirait par tout le pays

Le joueur de flûte a trahi

Je ne voudrais plus épouser

Ma promise ma fiancée

Je ne donnerais pas mon nom

A une quelconque Ninon

Il me faudrait pour compagne

La fille d’un grand d’Espagne

Avec un’ princesse à la clé

Mon la se mettrait à gonfler

On dirait par tout le pays

Le joueur de flûte a trahi

Le petit joueur de flûteau

Fit la révérence au château

Sans armoiries sans parchemin

Sans gloire il se mit en chemin

Vers son clocher sa chaumine

Ses parents et sa promise

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102

Nul ne dise dans le pays

Le joueur de flûte a trahi

Et Dieu reconnaisse pour sien

Le brave petit musicien

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Le grand chêne

Il vivait en dehors des chemin forestier,

Ce n’était nullement un arbre de métier,

Il n’avait jamais vu l’ombre d’un bûcheron,

Ce grand chêne fier sur son tronc.

Il eût connu des jours filés d’or et de soie

Sans ses proches voisins, les pires gens qui soient;

Des roseaux mal pensant, pas méme des bambous,

S’amusant à le mettre à bout.

Du matin jusqu’au soir ces petit rejetons,

Tout juste cann’ à pêch’, à peine mirlitons,

Lui tournant tout autour chantaient, in extenso,

L’histoire du chêne et du roseau.

Et, bien qu’il fût en bois, les chênes, c’est courant,

La fable ne le laissait pas indifférent.

Il advin que lassé d’être en but aux lazzi,

Il se résolue à l’exi.

A grand-peine il sortit ses grands pieds de son trou

Et partit sans se retourner ni peu ni prou.

Mais, moi qui l’ai connu, je sais qu’il souffrit

De quitter l’ingrate patrie

A l’oré’ des forêts, le chêne ténébreux

A lié connaissance avec deux amoureux.

"Grand chêne, laisse-nous sur toi graver nos noms...

Le grand chêne n’a pas dit non.

Quand ils eur’nt épuisé leur grand sac de baisers,

Quand, de tant s’embrasser, leurs becs furent usés,

Ils ouïrent alors, en retenant des pleurs,

Le chêne contant ses malheurs.

"Grand chên’, viens chez nous, tu trouveras la paix,

Nos roseaux savent vivre et n’ont aucun toupet,

Tu feras dans nos murs un aimable séjour,

Arrosé quatre fois par jour. "

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Cela dit, tous les trois se mirent en chemin,

Chaque amoureux tenant une racine en main.

Comme il semblait content! Comme il semblait heureux

Le chêne entre ses amoureux.

Au pied de leur chaumière ils le firent planter.

Ce fut alors qu’il commença de déchanter

Car, en fait d’arrosage, il n’eut rien que la plui’,

Des chiens levant la part’ sur lui.

On a pris tous ses glands pour nourrir les cochons,

Avec sa belle écorce on a fait des bouchons,

Chaque fois qu’un arrêt de mort était rendu,

C’est lui qui héritait du pendu.

Puis ces mauvaises gens, vandales accomplis,

Le coupèrent en quatre et s’en firent un lit.

Et l’horrible mégère ayant des tas d’amants,

Il vieillit prématurément.

Un triste jour, enfin, ce couple sans aveu

Le passa par la hache et le mit dans le feu.

Comme du bois de caisse, amère destinée

Il périt dans la cheminée.

Le curé de chez nous, petit saint besogneux,

Doute que sa fumé’ s’élève jusqu’à Dieu.

Qu’est-c’qu’il en sait, le bougre, et qui donc lui a dit

Qu’y a pas de chêne en paradis? (bis)

Supplique pour être enterré

à la plage de Sète CD(?)

La Camarde qui ne m’a jamais pardonné

D’avoir semé des fleurs dans les trous de son nez

Me poursuit d’un zèle imbécile.

Alors cerné de près par les enterrements

J’ai cru bon de remettre à jour mon testament,

De me payer un codicille.

Trempe dans l’encre bleue du Golfe du Lion,

Trempe, trempe ta plume, ô mon vieux

tabellion,

Et de ta plus belle écriture,

Note ce qu’il faudrait qu’il advint

de mon corps,

Lorsque mon âme et lui ne seront plus

d’accord,

Que sur un seul point: la rupture.

Supplica per essere sepolto

sulla spiaggia di Sète

La Signora Morte, che non mi ha mai perdonato

di aver seminato dei fiori nei buchi del suo naso,

mi perseguita con uno zelo imbecille.

Allora, accerchiato da vicino dai funerali,

ho pensato bene di aggiornare il mio testamento,

di permettermi un codicillo.

Intingi nell’inchiostro blu del Golfo del Leone,

intingi, intingi la tua penna, o mio vecchio

notaio,

e con la tua più bella grafia

annota ciò che bisognerebbe che avvenisse

del mio corpo

quando lui e la mia anima non saranno più

d’accordo

che su un solo punto: la rottura.

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Quand mon âme aura prit son vol

à l’horizon,

Vers celles de Gavroche et de Mimi Pinson,

Celles des titis, des grisettes.

Que vers le sol natal mon corps soit

ramené,

Dans un sleeping du Paris-Mediterranée,

Terminus en gare de Sète.

Mon caveau de famille, hélas n’est pas tout

neuf,

Vulgairement parlant, il est plein comme un

oeuf,

Et d’ici que quelqu’un n’en sorte,

Il risque de se faire tard et je ne peux

Dire à ces braves gens: «Poussez-vous donc

un peu,

Place aux jeunes en quelque sorte».

Juste au bord de la mer, à deux pas des flots

bleus,

Creusez si c’est possible un petit trou

moelleux,

Une bonne petite niche.

Auprès de mes amis d’enfance, les dauphins,

Le long de cette grève où le sable est si

fin,

Sur la plage de la Corniche.

C’est une plage où même à ses moments

furieux,

Neptune ne se prend jamais trop au sérieux,

Où quand un bateau fait naufrage,

Le capitaine crie: «Je suis le maître à

bord,

Sauve qui peut le vin et le pastis d’abord,

Chacun sa bonbonne, et courage!»

Et c’est là que jadis, à quinze ans révolus,

À l’âge ou s’amuser tout seul ne suffit plus,

Je connus la prime amourette.

Auprès d’une sirène, une femme-poisson,

Je reçus de l’amour la première leçon,

Avalai la première arête.

Déférence gardée envers Paul Valéry,

Moi l’humble troubadour sur lui je renchéris,

Le bon maître me le pardonne.

Et qu’au moins si ses vers valent mieux que les

miens,

Quando la mia anima avrà preso il volo

all’orizzonte,

verso quelle di Gavroche e di Mini Pinson,

quelle dei monelli, delle ragazze di strada.

Che verso il suolo natale il mio corpo sia

riportato,

in un vagone letto della Parigi-Mediterraneo,

capolinea alla stazione di Sète.

La mia cripta di famiglia, ahimé non è del tutto

nuova,

parlando volgarmente, è piena come un

uovo,

e prima che qualcuno ne esca

rischia di farsi tardi, e io non posso

dire a quelle brave persone: «Stringetevi dunque

un poco,

largo ai giovani, in un certo senso».

Proprio in riva al mare, a due passi dalle onde

blu,

scavate, se è possibile, una piccola, morbida

fossa ,

una buona, piccola nicchia.

Presso i miei amici d’infanzia, i delfini,

lungo quella spiaggia dove la sabbia è così

sottile,

sulla spiaggia della Corniche.

E’ una spiaggia dove, perfino nei suoi momenti

di furia,

Nettuno non si prende mai troppo sul serio;

dove, quando una nave fa naufragio,

il capitano grida: «Sono io che comando a

bordo...

salvi, chi può, prima il vino e i liquori:

a ciascuno la sua damigiana, e coraggio!»

Ed è là che una volta, a quindici anni compiuti,

all’età in cui divertirsi da soli non basta più,

conobbi il mio primo amoretto.

Presso una sirena, una donna-pesce,

ricevetti dell’amore la prima lezione,

inghiottii la prima lisca.

Col tutto il rispetto per Paul Valéry,

io, l’umile cantastorie, faccio un’offerta più alta,

il buon maestro me lo perdoni.

E che almeno, se i suoi versi valgono più dei

miei,

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Mon cimetière soit plus marin que le sien,

Et n’en déplaise aux autochtones.

Cette tombe en sandwich, entre le ciel et

l’eau,

Ne donnera pas une ombre triste au tableau,

Mais un charme indéfinissable.

Les baigneuses s’en serviront de paravent

Pour changer de tenue, et les petits enfants

Diront: «Chouette, un château de sable!»

Est-ce trop demander: sur mon petit lopin

Plantez, je vous en prie, une espèce de pin,

Pin parasol, de préférence,

Qui saura prémunir contre l’insolation

Les bons amis venus faire sur ma concession

D’affectueuses révérences.

Tantôt venant d’Espagne, et tantôt

d’Italie,

Tous chargés de parfums, de musiques jolies,

Le Mistral et la Tramontane

Sur mon dernier sommeil verseront les échos

De villanelle un jour, un jour de

fandango,

De tarantelle, de sardane.

Et quand prenant ma butte en guise

d’oreiller,

Une Ondine viendra gentiment sommeiller

Avec moins que rien de costume,

J’en demande pardon par avance à Jésus

Si l’ombre de ma croix s’y couche un peu

dessus,

Pour un petit bonheur posthume.

Pauvres rois, pharaons, pauvre Napoléon!

Pauvres grands disparus gisant au Panthéon,

Pauvres cendres de conséquence!

Vous envierez un peu l’éternel estivant

Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant,

Qui passe sa mort en vacances.

Vous envierez un peu l’éternel estivant

Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant,

Qui passe sa mort en vacances.

?

il mio cimitero sia più marino del suo

(con buona pace della gente del posto).

Questa tomba come un panino, tra il cielo e

l’acqua,

non darà un’ombra triste al quadro,

ma un fascino indefinibile;

le bagnanti se ne serviranno come paravento

per cambiarsi di vestito, e i bambini

diranno: «Che bello, un castello di sabbia!»

Se non chiedo troppo, sul mio pezzetto di terra

piantate, vi prego, una specie di pino,

un pino marittimo, preferibilmente,

che saprà proteggere dall’insolazione

i buoni amici venuti a fare sulla mia concessione

qualche affettuosa riverenza.

Talvolta arrivando dalla Spagna, talvolta

dall’Italia,

tutti carichi di profumi, di musiche graziose,

il Mistral e la Tramontana

sul mio ultimo sonno verseranno le eco

di “villanella” un giorno, un giorno di

“fandango”,

di “tarantella”, di “sardana”.

E quando, prendendo la mia collinetta come se

fosse un cuscino,

un’Ondina verrà gentilmente a sonnecchiare

vestita di meno di niente,

chiedo perdono in aticipo a Gesù

se l’ombra della mia croce vi si sdraierà un po’

sopra

per un piccolo godimento postumo.

Poveri re, faraoni, povero Napoleone!

Poveri Grandi trapassati che giacete al Panteon,

povere ceneri importanti!

Voi invidierete un po’ l’eterno villeggiante

che va in pedalò sulle onde, in sogno,

e che passa la morte in vacanza.

Voi invidierete un po’ l’eterno villeggiante

che va in pedalò sulle onde, in sogno,

e che passa la morte in vacanza.

2010

Vedi approfondimento

La marche nuptiale CD(?) La marcia nuziale

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Mariage d’amour, mariage d’argent,

J’ai vu se marier toutes sortes de gens:

Des gens de basse source (?) et des grands de la

terre,

Des prétendus coiffeurs, des soi-disant notaires.

Quand même je vivrai jusqu’à la fin des temps,

Je garderais toujours le souvenir content

Du jour de pauvre noce où mon père et

ma mère

S’allèrent épouser devant Monsieur le Maire.

C’est dans un char à boeufs, s’il faut parler bien

franc,

Tiré par les amis, poussé par les parents,

Que les vieux amoureux firent leurs épousailles

Après long temps d’amour, long temps de

fiançailles.

Cortège nuptial hors de l’ordre courant,

La foule nous couvait d’un oeil protubérant:

Nous étions contemplés par le monde futile

Qui n’avait jamais vu de noces de ce style.

Voici le vent qui souffle emportant,

crève-coeur!

Le chapeau de mon père et les enfants de

choeur...

Voilà la plui’ qui tombe en pesant bien ses

gouttes,

Comme pour empêcher la noc’, coûte que coûte.

Je n’oublierai jamais la mariée en pleurs

Berçant comme un’ poupé’ son gros

bouquet de fleurs.

Moi, pour la consoler, moi, de toute ma morgue,

Sur mon harmonica jouant les grandes orgues.

Tous les garçons d’honneur, montrant le poing

aux nues,

Criaient: «Par Jupiter, la noce continue!

Par les homm’s décriés, par les dieux contrariés,

La noce continue et Viv’ la mariée!»

?

Matrimonio d’amore, matrimonio di soldi,

ho visto sposarsi ogni tipo di gente:

gente di umili origini, e grandi della

terra,

falsi parrucchieri, sedicenti notai.

Quand’anche vivessi fino alla fine dei tempi,

conserverò sempre il ricordo lieto

del giorno di povere nozze in cui mio padre e

mia madre

andarono a sposarsi davanti al Signor Sindaco.

E’ sopra un carro, per essere

franchi,

tirato dagli amici, spinto dai parenti,

che i vecchi innamorati ebbero il loro sposalizio

dopo molto tempo d’amore, molto tempo di

fidanzamento.

Corteo nuziale fuori dal comune,

la folla ci scrutava con gli occhi spalancati:

eravamo osservati da gente frivola,

che non aveva mai visto nozze in quello stile.

Ed ecco il vento che soffiando solleva – mi si

spezza il cuore!

il cappello di mio padre, e i ragazzi del

coro...

Ecco la pioggia che cade pesando bene le sue

gocce,

come per impedire le nozze, ad ogni costo.

Non dimenticherò mai la sposa in lacrime,

che cullava come una bambola il suo grosso

bouquet di fiori.

Io, per consolarla, io, con tutta la mia boria

con l’armonica suonavo musiche per organo.

Tutti gli invitati, con i pugni chiusi contro

le nuvole,

gridavano: «Per Giove, che le nozze continuino!

Screditati dagli uomini, avversati dagli dei,

che le nozze continuino. E viva la sposa!»

2010

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Titre CD(?)

Titolo

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texte

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testo

2010

Saturne

Il est morne, il est taciturne,

Il préside aux choses du temps,

Il porte un joli nom, "Saturne",

Mais c’est un dieu fort inquiétant.

En allant son chemin morose,

Pour se désennuyer un peu,

Il joue à bousculer les roses,

Le temps tu’ le temps comme il peut.

Cette saison, c’est toi, ma belle,

Qui as fait les frais de son jeu,

Toi qui a payé la gabelle,

Un grain de sel dans tes cheveux.

C’est pas vilain, les fleurs d’automne,

Et tous les poètes l’ont dit.

Je te regarde et je te donne

Mon billet qu’ils n’ont pas menti.

Viens encor’, viens ma favorite,

Descendons ensemble au jardin,

Viens effeuiller la marguerite

De l’été de la Saint-Martin.

Je sais par coeur toutes tes grâces

Et, pour me les faire oublier,

Il faudra que Saturne en fasse

Des tours d’horlog’ de sablier!

Et la petit’ pisseus’ d’en face

Peut bien aller se rhabiller.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Misogynie à part

Misogynie à part, le sage avait raison:

il y a les emmerdant’s, on en trouve à foison,

En foule elles se pressent.

Il y a les emmerdeus’s, un peu plus raffiné’s,

Et puis, très nettement au-dessus du panier,

Y’a les emmerderesses.

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La mienne, à elle seul’, sur tout’s surenchérit,

Ell’ relève à la fois des trois catégori’s,

Véritable prodige,

Emmerdante, emmerdeuse, emmerderesse itou,

Elle passe, ell’ dépasse, elle surpasse tout,

Ell’ m’emmerde, vous dis-je.

Mon Dieu, pardonnez-moi ces propos bien amers,

Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, ell’ m’emmer-

de, elle abuse, elle attige.

Ell’ m’emmerde et j’ regrett’ mes bell’s amours avec

La p’tite enfant d’ Mari que m’a soufflé’ l’évêque,

Ell’ m’emmerde, vous dis-je.

Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, et m’oblige à me cu-

rer les ongles avant de confirmer son cul,

Or, c’est pas callipyge.

Et la charité seul’ pouss’ sa main résigné’

Vers ce cul rabat-joi’, conique, renfrogné,

Ell’ m’emmerde, vous dis-je.

Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, je le répète et quand

Ell’ me tape sur le ventre, elle garde ses gants,

Et ça me désoblige.

Outre que ça dénote un grand manque de tact,

Ca n’ favorise pas tellement le contact,

Ell’ m’emmerde, vous dis-je.

Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerd’ , quand je tombe à genoux

Pour cetain’s dévotions qui sont bien de chez nous

Et qui donn’nt le vertige,

Croyant l’heure venu’ de chanter le credo,

Elle m’ouvre tout grand son missel sur le dos,

Ell’ m’emmerde, vous dis-je.

Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerde, à la fornication

Ell’ s’emmerde, ell’ s’emmerde avec ostentation,

Ell’ s’emmerde, vous dis-je.

Au lieu de s’écrier: "Encor! Hardi! Hardi!"

Ell’ déclam’ du Claudel, du Claudel, j’ai bien dit,

Alors ça, ça me fige.

Ell’ m’emmerde, ell’ m’emmerd’, j’admets que ce Claudel

Soit un homm’ de génie, un poète immortel,

J’ reconnais son prestige,

Mais qu’on aille chercher dedans son oeuvre pie,

Un aphrodisiaque, non, ça, c’est d’ l’utopie!

Ell’ m’emmerde, vous dis-je.

Titre CD(?) Titolo

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texte

?

testo

2010

La messe au pendu

Anticlérical fanatique

Gros mangeur d’écclésiastiques,

Cet aveu me coûte beaucoup,

Mais ces hommes d’Eglise, hélas!

Ne sont pas tous des dégueulasses,

Témoin le curé de chez nous.

Quand la foule qui se déchaîne

Pendit un homme au bout d’un chêne

Sans forme aucune de remords,

Ce ratichon fit scandale

Et rugit à travers les stalles,

"Mort à toute peine de mort!"

Puis, on le vit, étrange rite,

Qui baptisait les marguerites

Avec l’eau de son bénitier

Et qui prodiguait les hosties,

Le pain bénit, l’Eucharistie,

Aux petits oiseaux du moutier.

Ensuite, il retroussa ses manches,

Prit son goupillon des dimanches

Et, plein d’une sainte colère,

Il partit comme à l’offensive

Dire une grand’ messe exclusive

A celui qui dansait en l’air.

C’est à du gibier de potence

Qu’en cette triste circonstance

L’Hommage sacré fut rendu.

Ce jour là, le rôle du Christ(e),

Bonne aubaine pour le touriste,

Eté joué par un pendu.

Et maintenant quand on croasse,

Nous, les païens de sa paroisse,

C’est pas lui qu’on veut dépriser.

Quand on crie "A bas la calotte"

A s’en faire péter la glotte,

La sienne n’est jamais visée.

Anticléricaux fanatiques

Gros mangeur d’écclésiastiques,

Quand vous vous goinfrerez un plat

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De cureton, je vous exhorte,

Camarades, à faire en sorte

Que ce ne soit pas celui-là.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Pensée des morts

(Poème d’Alphonse De Lamartine)

Voila les feuilles sans seve

qui tombent sur le gazon

voila le vent qui s’eleve

et gemit dans le vallon

voila l’errante hirondelle

qui rase du bout de l’aile

l’eau dormante des marais

voila l’enfant des chaumieres

qui glane sur les bruyeres

le bois tombe des forets

C’est la saison ou tout tombe

aux coups redoubles des vents

un vent qui vient de la tombe

moissonne aussi les vivants

ils tombent alors par mille

comme la plume inutile

que l’aigle abandonne aux airs

lorsque des plumes nouvelles

viennent rechauffer ses ailes

a l’approche des hivers

C’est alors que ma paupiere

vous vit palir et mourir

tendres fruits qu’a la lumiere

dieu n’a pas laisse murir

quoique jeune sur la terre

je suis deja solitaire

parmi ceux de ma saison

et quand je dis en moi-meme

"ou sont ceux que ton couer aime?"

je regarde le gazon

C’est un ami de l’enfance

qu’aux jours sombres du malheur

nous preta la providence

pour appuyer notre coeur

il n’est plus: notre ame est veuve

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il nous suit dans notre epreuve

et nous dit avec pitie

"Ami si ton ame et pleine

de ta joie ou de ta peine

qui portera la moitie?"

C’est une jeune fiancee

qui, le front ceint du bandeau

n’emporta qu’une pensee

de sa jeunesse au tombeau

Triste, helas! dans le ciel meme

pour revoir celui qu’elle aime

elle revient sur ses pas

et lui dit: "ma tombe est verte!

sur cette terre deserte

qu’attends-tu? je n’y suis pas!"

C’est l’ombre pale d’un pere

qui mourut en nous nommant

c’est une soeur, c’est un frere

qui nous devance un moment

tous ceux enfin dont la vie

un jour ou l’autre ravie,

enporte une part de nous

murmurent sous la pierre

"vous qui voyez la lumiere

de nous vous souvenez vous?"

Voila les feuilles sans seve

qui tombent sur le gazon

voila le vent qui s’eleve

et gemit dans le vallon

voila l’errante hirondelle

qui rase du bout de l’aile

l’eau dormante des marais

voila l’enfant des chaumieres

qui glane sur les bruyeres

le bois tombe des forets

La femme d’Hector CD(?)

En notre tour de Babel

Laquelle est la plus belle

La plus aimable parmi

Les femmes de nos amis?

Laquelle est notre vrai nounou

La p’tite soeur des pauvres de nous

Dans le guignon toujours présente

Quelle est cette fée bienfaisante?

(Refrain)

La moglie di Ettore

Nella nostra torre di Babele,

chi è la più bella,

la più gentile tra

le mogli dei nostri amici?

Chi è la nostra vera tata?

La sorellina di noi poveri,

nella iella, sempre presente:

chi è questa fata benefattrice?

(Ritornello:)

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112

C’est pas la femme de Bertrand

Pas la femme de Gontrand

Pas la femme de Pamphile

C’est pas la femme de Firmin

Pas la femme de Germain

Ni celle de Benjamin

C’est pas la femme d’Honoré

Ni celle de Desiré

Ni celle de Téophile

Encore moins la femme de Nestor

Non, c’est la femme d’Hector.

Comme nous dansons devant

Le buffet bien souvent

On a toujours peu ou prou

Les bras criblés de trous.

Qui raccommode ces malheurs

De fils de toutes les couleurs

Qui brode, divine cousette,

des arcs-en-ciel à nos chaussettes?

(Refrain)

Quand on nous prend la main

Sacré bon dieu dans un sac

Et qu’on nous envoie planter

Des choux à la Santé

Quelle est celle qui, prenant modèle

Sur les vertus des chiens fidèles

Reste à l’arrêt devant la porte

En attendant que l’on ressorte?

(Refrain)

Et quand l’un d’entre nous meurt

Qu’on nous met en demeure

De debarasser l’hôtel

De ses restes mortels

Quelle est celle qui r’mue tout Paris

Pour qu’on lui fasse, au plus bas prix

Des funerailles gigantesques

Pas nationales, non, mais presque?

(Refrain)

Et quand vient le mois de mai

Le joli temps d’aimer

Que sans echo, dans les cours,

Nous hurlons à l’amour

Non è la moglie di Bertrand,

non è la moglie di Gontrand,

non è la moglie di Panfilio,

non è la moglie di Firmino,

non è la moglie di Germano,

né quella di Beniamino,

non è la moglie di Onorato,

né quella di Desiderio,

né quella di Teofilo,

ancor meno la moglie di Nestore...

no, è la moglie di Ettore!

Siccome balliamo davanti

alla credenza, molto spesso

abbiamo sempre, chi poco chi tanto,

le braccia crivellate di buchi.

Chi rammenda queste disgrazie

con fili di tutti i colori?

Chi ricama, divina sartina,

degli arcobaleni ai nostri calzini?

(Ritornello)

Quando ci facciamo prendere con le mani

– buon dio – nel sacco,

e quando ci spediscono a piantare

cavoli alla Santé3,

chi è quella che, prendendo come modello

le virtù dei cani fedeli,

rimane di punta davanti alla porta

aspettando che ci facciano uscire?

(Ritornello)

E quando uno di noi muore,

e ci ingiungono

di sbarazzare l’albergo

dei suoi resti mortali,

chi è quella che mette sottosopra tutta Parigi

affinché gli si faccia, al miglior prezzo,

un funerale gigantesco

(non di Stato, no, ma quasi)?

(Ritornello)

E quando arriva il mese di maggio,

il grazioso tempo d’amare,

senza eco, nei cortili,

come ululiamo all’amore!

3 Prigione parigina.

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113

Quelle est celle qui nous plaint beaucoup

Quelle est celle qui nous saute au cou

Qui nous dispense sa tendresse

Toutes ses économies d’caresses?

(Refrain)

Ne jetons pas les morceaux

De nos coeurs aux pourceaux

Perdons pas notre latin

Au profit des pantins

Chantons pas la langue des dieux

Pour les balourds, les fess’mathieux

Les paltoquets, ni les bobèches

Les foutriquets, ni les pimbêches,

Ni pour la femme de Bertrand

Pour la femme de Gontrand

Pour la femme de Pamphile

Ni pour la femme de Firmin

Pour la femme de Germain

Pour celle de Benjamin

Ni pour la femme d’Honoré

La femme de Desiré

La femme de Téophile

Encore moins pour la femme de Nestor

Mais pour la femme d’Hector.

?

Chi è quella che ci compatisce tanto,

chi è quella che ci salta al collo

e ci dispensa la sua tenerezza,

tutti i suoi risparmi di caresse?

(Ritornello)

Non buttiamo i pezzi

dei nostri cuori ai maiali,

non perdiamo la testa

a vantaggio dei burattini,

non cantiamo nella lingua degli dei

per gli zoticoni,per i sempliciotti,

per i tangheri, né per i bamboccioni,

per gli sbruffoni, né per le smorfiose,

né per la moglie di Bertrand,

o per la moglie di Gontrand,

o per la moglie di Panfilio,

né per la moglie di Firmino,

o per la moglie di Germano,

o per quella di Beniamino,

né per la moglie di Onorato,

o la moglie di Desiderio,

o la moglie di Teofilo,

ancor meno per la moglie di Nestore...

ma per la moglie di Ettore!

2010

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Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Les Philistins

(Poème de Jean Richepin)

Philistins, épiciers

Tandis que vous caressiez,

Vos femmes

En songeant, aux petits

Que vos grossiers appétits

Engendrent

Vous pensiez, Ils seront

Menton rasé, ventre rond

Notaires

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114

Mais pour bien vous punir

Un jour vous voyez venir

Sur terre

Des enfants non voulus

Qui deviennent chevelus

Poètes

Les ricochets CD(?)

J’avais dix-huit ans

Tout juste et quittant

Ma ville natale

Un beau jour, ô gué (?)

Je vins débarquer

Dans la capitale.

J’entrai pas aux cris (?)

D’ “À nous deux, Paris”

En Île-de-France

Que ton Rastignac

N’ait cure (?), Balzac!

De ma concurrence (bis)

Gens en place, dormez

Sans vous alarmer,

Rien ne vous menace

Ce n’est qu’un jeune sot

Qui monte à l’assaut

Du p’tit Montparnasse

On n’s’étonnera pas

Si mes premiers pas

Tout droit me menèrent

Au pont Mirabeau

Pour un coup de chapeau

À l’Apolinaire (bis)

Bec enfariné

Pouvais-je deviner

Le remue-ménage

Que dans mon destin

Causerait soudain

Ce pèlerinage?

Que circonvenu

Mon coeur ingenu

Allait faire des siennes

Tomber amoureux

De sa (?) toute pre-

mière Parisienne (bis)

N’anticipons pas,

I rimbalzelli

Avevo diciott’anni

appena, e lasciando

la mia città natale

un bel giorno – Perbacco!

venni a sbarcare

nella capitale.

Non entrai al grido

di “A noi due, Parigi”:

in Île-de-France,

che il tuo Rastignac

non si preoccupi, Balzac,

della mia concorrenza (bis).

Gente del posto, dormite

senza allarmarvi,

nulla vi minaccia,

non si tratta che di un giovane sciocco,

che arriva all’assalto

del piccolo Montparnasse.

Non ci si meraviglierà

se i miei primi passi

dritto dritto mi portarono

al ponte Mirabeau,

per una scappellata

al modo d’Apollinaire. (bis)

Pivello com’ero,

potevo io immaginare

il trambusto

che nel mio destino

avrebbe causato improvvisamente

questo pellegrinaggio?

Che, imbrogliato,

il mio cuore ingenuo

ne avrebbe combinate delle sue,

che avrebbe fatto innamorare

la sua primissima

Parigina? (bis)

Non anticipiamo!

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115

Sur la berge en bas

Tout contre une pile,

La belle tâchait

D’ fair’ des ricochets

D’un’ main malhabile

Moi, dans ce temps-la

Je n’ dis pas cela

En bombant le torse,

L’air avantageux

J’étais è ce jeu

De première force. (bis)

« Tu m’ donn’s un baiser »

Ai-je proposé

À la demoiselle

« Et moi, sans retard

J’ t’apprends de cet art

Toutes les ficelles ».

Affaire conclue,

En une heure elle eut,

L’adresse requise.

En change, moi

J’ cueillis plein d’émoi

Ses lèvres exquises. (bis)

Et durant un temps

Les journaux d’antan

D’ailleurs le relatent

Fallait se lever

Matin pour trouver

Une pierre plate.

On redessina

Du pont d’Iena

Au pont Alexandre

Jusqu’à Saint-Michel,

Mais à notre échelle,

La carte du tendre. (bis)

Mais c’était trop beau:

Au pont Mirabeau

La belle volage

Un jour se penchait (?)

Sur un ricochet

Et gagnait le large.

Ell’ me fit faux bond

Pour un vieux barbon,

La petite ingrate,

Un Crésus vivant

Détail aggravant

Sur la rive droite. (bis)

Sull’argine, in basso,

appoggiata ad un pilone,

la bella cercava

di fare dei rimbalzelli

con una mano maldestra.

Io, a quei tempi

(e non lo dico

per farmi grande,

per farmi superiore),

ero a questo gioco

veramente tra i più bravi (bis).

«Tu mi dai un bacio»

ho proposto

alla signorina

«Ed io, subito,

ti insegno di quest’arte

tutti i segreti».

Affare concluso!

in un’ora lei ebbe

la destrezza necessaria.

In cambio, io,

colsi, pieno di turbamento,

le sue labbra squisite (bis).

E per un certo tempo

(i giornali dell’epoca

del resto lo riportano)

bisognava alzarsi

al mattino per trovare

una pietra piatta.

Ridisegnammo,

dal ponte di Iena

al ponte Alessandro,

fino a San Michele

(ma a nostra scala),

la carta dell’amore (bis).

Ma era troppo bello:

dal ponte Mirabeau

la bella volubile

un giorno si sporse

per un rimbalzello,

e prese il largo.

Mi tirò un bidone

per un vecchio barbuto,

la piccola ingrata,

per un riccone che abitava

(dettaglio aggravante)

sulla riva destra. (bis)

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116

J’en pleurai pas mal,

Le flux lacrymal

Me fit la quinzaine.

Au viaduc d’Auteuil

Paraît qu’à vue d’oeil

Grossissait la Seine.

Et si, pont d’ l’Alma,

J’ai pas noyé ma

Détresse ineffable,

C’est qu’ l’eau coulant sous

Les pieds du zouzou

Était imbuvable. (bis)

Et qu’ j’avais acquis

Cett’ conviction qui

Du reste me navre

Que mort ou vivant

Ce n’est pas souvent

Qu’on arrive au Havre.

Nous attristons pas,

Allons de ce pas

Donner, débonnaires,

Au pont Mirabeau

Un coup de chapeau

À l’Apollinaire. (bis)

?

Mi fece piangere un bel po’,

il flusso lacrimale

mi durò due settimane:

al viadotto d’Auteuil

sembrò che a vista d’occhio

ingrossava la Senna.

E se al ponte dell’Alma

non ho annegato la mia

disperazione ineffabile

è perché l’acqua che scorreva sotto

i piedi di quel babbeo

era imbevibile. (bis)

E perché avevo acquisito

questa convinzione, che

del resto mi rattrista:

morti o vivi,

non capita spesso,

che si arrivi al mare.

Non affliggiamoci,

andiamo pian piano

a scappellarci, pacifici,

al ponte Mirabeau,

a scappellarci

al modo d’Apollinaire! (bis)

2010

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Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Don Juan

Gloire a qui freine a mort, de peur d’ecrabouiller

Le herisson perdu, le crapaud fourvoye!

Et gloire a don Juan, d’avoir un jour souri

A celle a qui les autres n’attachaient aucun prix!

Cette fille est trop vilaine, il me la faut.

Gloire au flic qui barrait le passage aux autos

Pour laisser traverser les chats de Lautaud!

Et gloire a don Juan d’avoir pris rendez-vous,

Avec la dalaisse, que l’amour dasavoue!

Cette fille est trop vilaine, il me la faut.

Gloire au premier venu qui passe et qui se tait

Quand la canaille crie " haro sur le baudet "!

Et gloire a don Juan pour ses galants discours

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117

A celle a qui les autres faisaient jamais la cour!

Cette fille est trop vilaine, il me la faut.

Et gloire a ce cure sauvant son ennemi

Lors du massacre de la Saint-Barthlemy!

Et gloire a don Juan qui couvrit de baisers

La fille que les autres refusaient d’embrasser!

Cette fille est trop vilaine, il me la faut.

Et gloire a ce soldat qui jeta son fusil

Plutot que d’achever l’otage a sa merci!

Et gloire a don Juan d’avoir ose trousser

Celle dont le jupon restait toujours baisse!

Cette fille est trop vilaine, il me la faut

Gloire a la bonne soeur qui, par temps pas tres chaud

Degela dans sa main le penis du manchot

Et gloire a don Juan qui fit reluire un soir

Ce cul desherite ne sachant que s’asseoir

Cette fille est trop vilaine, il me la faut

Gloire a qui n’ayant pas d’ideal sacro-saint

Se borne a ne pas trop emmerder ses voisins!

Et gloire a don Juan qui rendit femme celle

Qui, sans lui, quelle horreur! serait morte pucelle!

Cette fille est trop vilaine, il me la faut

Le vieux Léon CD(?)

’Y a tout à l’heur’

Quinze ans d’ malheur

Mon vieux Léon

Que tu es parti

Au paradis

D’ l’accordéon

Parti bon train

Voir si l’ bastrin-

gue et la java

Avaient gardé

Droit de cité

Chez Jéhovah

Quinze ans bientôt

Qu’ musique au dos

Tu t’en allais

Mener le bal

À l’amical’

Des feux follets

En cet asile

Par saint’ Cécile

Pardonne-nous

De n’avoir pas

Il vecchio Leone

Saranno presto

quindici anni d’infelicità,

mio vecchio Leone,

da quando sei partito

per il paradiso

della fisarmonica.

Partito lesto lesto

per vedere se i balli popola-

ri e la giava

avevano ancora

diritto di cittadinanza

presso Geova.

Quindici anni, tra poco,

che, con la musica sulle spalle,

tu te ne andavi

a condurre il ballo,

amichevolmente,

dei fuochi fatui,

in questo ospizio

di santa Cecilia.

Perdonaci

di non aver

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118

Su faire cas

De ton biniou.

C’est une erreur

Mais les joueurs

D’accordéon

Au grand jamais

On ne les met

Au Panthéon

Mon vieux tu as dû

T’ contenter du

Champ de navets,

Sans grandes pom-

pe’ et sans pompons

Et sans ave

Mais les copains

Suivaient l’ sapin

Le coeur serré

En rigolant

Pour fair’ semblant

De n’ pas pleurer

Et dans nos coeurs

Pauvre joueur

D’accordéon

Il fait ma foi

Beaucoup moins froid

Qu’au Panthéon.

Depuis mon vieux

Qu’au fond des cieux

Tu as fait ton trou

Il a coulé

De l’eau sous les

Ponts de chez nous.

Les bons enfants

D’ la ru’ de Van-

ve à la Gaîté

L’un comme l’au-

tre au gré des flots

Fur’nt emportés

Mais aucun d’eux

N’a fait fi de

Son temps jadis

Tous sont restés

Du parti des

Myosotis

Tous ces pierrots

Ont le coeur gros

Mon vieux Léon

En entendant

Le moindre chant

saputo far caso

alla tua cornamusa.

E’ certo un errore,

ma i suonatori

di fisarmonica

mai e poi mai

vengono messi

al Panteon.

Vecchio mio, tu hai dovuto

accontentarti del

campo di rape,

senza gran pom-

pa e senza fiori,

e senza “Ave Maria”,

ma gli amici

seguivano la bara

con il cuore stretto,

scherzando

per far finta

di non piangere.

E nei nostri cuori,

povero suonatore

di fisarmonica,

parola mia c’è

molto meno freddo

che al Panteon.

Da quando, vecchio mio,

in fondo ai cieli

hai fatto il tuo buco,

ne è passata

dell’acqua sotto i

ponti di casa nostra.

I bravi ragazzi

dalla via di Van-

ve alla Gaîté,

uno dopo l’al-

tro in balìa dei flutti

furono portati via;

ma nessuno di loro

ha rinnegato

il tempo passato,

tutti sono rimasti

del partito dei

Nontiscordardimé:

tutti quei Pierrot

hanno il cuore gonfio,

mio vecchio Leone,

quando sentono

la più flebile melodia

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119

D’accordéon.

Quel temps fait-il

Chez les gentils

De l’au delà

Les musiciens

Ont-ils enfin

Trouvé le la

Et le p’tit bleu

Est-c’ que ça n’ le

Rend pas meilleur

D’être servi

Au sein des vi-

gnes du Seigneur

Si d’ temps en temps

Un’ dam’ d’antan

S’ laisse embrasser

Sûr’ment papa

Que tu r’grett’s pas

D’être passé

Et si l’ bon Dieu

Aim’ tant soit peu

L’accordéon

Au firmament

Tu t’ plais sûr’ment

Mon vieux Léon.

?

di una fisarmonica.

Che tempo fa

presso i Buoni

dell’aldilà?

I musicisti

hanno finalmente

trovato il “La”

ed il vinello, quello buono?

Non lo

rende migliore

il fatto d’essere servito

nel grembo delle vi-

gne del Signore?

E se di tanto in tanto

una dama del tempo che fu

si lascia baciare,

di sicuro, papà,

non rimpiangi

d’essere morto!

E se il buon Dio

ama almeno un poco

la fisarmonica,

nel firmamento

ti trovi sicuramente bene,

mio vecchio Leone.

2010

Vedi approfondimento

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Le Père Noël et la petite fille

Avec sa hotte sur le dos,

Avec sa hotte sur le dos,

Il s’en venait d’Eldorado,

Il s’en venait d’Eldorado,

Il avait une barbe blanche,

Il avait nom « Papa Gateau »,

Il a mis du pain sur ta planche,

Il a mis les mains sur tes hanches.

Il t’a prom’né’ dans un landeau,

Il t’a prom’né’ dans un landeau,

En route pour la vi’ d’ château,

En route pour la vi’ d’ château,

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120

La belle vi’ doré’ sur tranche,

Il te l’offrit sur un plateau.

Il a mis du grain dans ta grange,

Il a mis les mains sur tes hanches.

Toi qui n’avais rien sur le dos,

Toi qui n’avais rien sur le dos,

Il t’a couverte de manteaux,

Il t’a couverte de manteaux,

Il t’a vetu’ comme un dimanche,

Tu n’auras pas froid de sitôt.

Il a mis l’hermine à ta hanche,

Il a mis les mains sur tes hanches.

Tous les camé’s, tous les émaux,

Tous les camé’s, tous les émaux,

Il les fit pendre à tes rameaux,

Il les fit pendre à tes rameaux,

Il fit rouler en avalanches

Perl’ et rubis dans tes sabots.

Il a mis de l’or à ta branche,

Il a mis les mains sur tes hanches.

Tire la bell’, tir’ le rideau,

Tire la bell’, tir’ le rideau,

Sur tes misères de tantôt,

Sur tes misères de tantôt,

Et qu’au-dehors il pleuve, il vente,

Le mauvais temps n’est plus ton lot,

Le joli temps des coudé’s franches...

On a mis les mains sur tes hanches.

Le bistrot

Dans un coin pourri

Du pauvre Paris,

Sur un’ place,

‘l est un vieux bistrot

Tenu pas un gros

Dégueulasse.

Si t’as le bec fin,

S’il te faut du vin

D’ premièr’ classe,

Va boire à Passy,

L’osteria

In un angolo marcio

della Parigi povera,

in una piazza,

c’è una vecchia osteria

tenuta da un grosso

lurido maiale.

Se hai il palato fine,

se hai voglia di vino

di prima classe,

vai a bere a Passy4,

4 Quartiere elegante di Parigi.

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121

Le nectar d’ici

Te dépasse.

Mais si t’as l’ gosier

Qu’une armur’ d’acier

Matelasse,

Goûte à ce velours,

Ce petit bleu lourd

De menaces.

Tu trouveras là

La fin’ fleur de la

Populace,

Tous les marmiteux,

Les calamiteux

De la place,

Qui viennent en rang,

Comme les harengs,

Voir en face

La bell’ du bistrot,

La femme à ce gros

Dégueulasse.

Que je boive à fond

L’eau de tout’s les fon-

tain’s Wallace,

Si, dès aujourd’hui,

Tu n’es pas séduit

Par la grâce

De cett’ joli’ fé’

Qui, d’un bouge, a fait

Un palace

Avec ses appas,

Du haut jusqu’en bas,

Bien en place.

Ces trésors exquis,

Qui les embrass’, qui

Les enlace?

Vraiment, c’en est trop!

Tout ça pour ce gros

Dégueulasse!

C’est injuste et fou,

Mais que voulez-vous

Qu’on y fasse?

L’amour se fait vieux,

Il a plus les yeux

Bien en face.

il nettare di quì

non fa per te.

Ma se hai il gozzo

imbottito da un’armatura

d’acciaio,

gustati il velluto

di questo bruciagermi,

che non promette nulla di buono.

Laggiù ci troverai

il fior fiore della

plebaglia,

tutti i deragliati,

tutti i disgraziati

del quartiere,

che vengono a frotte,

come le aringhe,

per vedere in volto

la bella dell’osteria,

la donna di quel grosso

lurido maiale.

Che io possa bere tutta

l’acqua di tutte le fontane

di Wallace

se, oggi stesso,

tu non sarai sedotto

dalla grazia

di questa graziosa fata

che, di una bettola, ha fatto

un palazzo

con tutte le sue curve,

dalla testa ai piedi,

proprio nei punti giusti.

Questi tesori raffinati,

chi li accarezza, chi

li abbraccia?

E’ davvero troppo!

Tutto quel ben di Dio, per quel grosso

lurido maiale!

E’ ingiusto e pazzesco,

ma che volete

farci?

L’amore invecchia,

non ha più gli occhi

sulla faccia.

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122

Si tu fais ta cour,

Tâch’ que tes discours

Ne l’agacent.

Sois poli, mon gars,

Pas de geste ou ga-

re à la casse.

Car sa main qui claqu’,

Punit d’un flic-flac

Les audaces.

Certes, il n’est pas né

Qui mettra le nez

Dans sa tasse.

Pas né, le chanceux

Qui dégèl’ra ce

Bloc de glace,

Qui fera dans l’ dos

Les corne’ à ce gros

Dégueulasse.

Dans un coin pourri

Du pauvre Paris,

Sur un’ place,

Une espèc’ de fé’,

D’un vieux bouge, a fait

Un palace.

Se ti lanci nel corteggiamento,

fa’ in modo che i tuoi discorsi

non la secchino.

Sii gentile, ragazzo mio,

niente mosse false, o attenzione

alle sberle.

Poiché quando la sua mano parte,

punisce con grandi schiaffoni

gli impudenti.

Certo, non è ancora nato

quello che metterà il naso

nella sua tazza.

Non è ancora nato, il fortunato

che scioglierà quel

blocco di ghiaccio,

che farà le corna, dietro le spalle,

a quel grosso

lurido maiale.

In un angolo marcio

della Parigi povera,

in una piazza,

una specie di fata,

di una bettola, ha fatto

un palazzo.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

L’orage

Parlez-moi de la pluie et non pas du beau temps,

Le beau temps me dégoute et m’ fait grincer les dents,

Le bel azur me met en rage,

Car le plus grand amour qui m’ fut donné sur terr’

Je l’ dois au mauvais temps, je l’ dois à Jupiter,

Il me tomba d’un ciel d’orage.

Par un soir de novembre, à cheval sur les toits,

Un vrai tonnerr’ de Brest, avec des cris d’ putois,

Allumait ses feux d’artifice.

Bondissant de sa couche en costume de nuit,

Ma voisine affolé’ vint cogner à mon huis

En réclamant mes bons offices.

« Je suis seule et j’ai peur, ouvrez-moi, par pitié,

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123

Mon époux vient d’ partir faire son dur métier,

Pauvre malheureux mercenaire,

Contraint d’ coucher dehors quand il fait mauvais temps,

pour la bonne raison qu’il est représentant

D’un’ maison de paratonnerre. »

En bénissant le nom de Benjamin Franklin,

Je l’ai mise en lieu sûr entre mes bras calins,

Et puis l’amour a fait le reste!

Toi qui sèmes des paratonnerre’ à foison,

Que n’en as-tu planté sur ta propre maison?

Erreur on ne peut plus funeste.

Quand Jupiter alla se faire entendre ailleurs,

La belle, ayant enfin conjuré sa frayeur

Et recouvré tout son courage,

Rentra dans ses foyers fair’ sécher son mari

En m’ donnant rendez-vous les jours d’intempéri’,

Rendez-vous au prochain orage.

A partir de ce jour j’ n’ai plus baissé les yeux,

J’ai consacré mon temps à contempler les cieux,

A regarder passer les nues,

A guetter les stratus, à lorgner les nimbus,

A faire les yeux doux aux moindres cumulus,

Mais elle n’est pas revenue.

Son bonhomm’ de mari avait tant fait d’affair’s,

Tant vendu ce soir-là de petits bouts de fer,

Qu’il était dev’nu millionnaire

Et l’avait emmené’ vers des cieux toujours bleus,

Des pays imbécile’ où jamais il ne pleut,

Où l’on ne sait rien du tonnerre.

Dieu fass’ que ma complainte aille, tambour battant,

Lui parler de la plui’, lui parler du gros temps

Auxquels on a t’nu tête ensemble,

Lui conter qu’un certain coup de foudre assassin

Dans le mill’ de mon coeur a laissé le dessin

D’un’ petit’ fleur qui lui ressemble.

Titre CD(?)

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2010

Les illusions perdues

On creva ma première bulle de savon

Ya plus de cinquante ans, depuis je me morfonds.

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On jeta mon Père Noël en bas du toit,

Ca fait* belle lurette, et j’en reste pantois.

Premier amour déçu. Jamais plus, officiel,

Je ne suis remonté jusqu’au septième ciel!

Le Bon Dieu déconnait. J’ai décroché Jésus

De sa croix: n’avait plus rien à faire dessus.

Les lendemains chantaient. Hourra l’Oural! Bravo!

Il m’a semblé soudain qu’ils chantaient un peu faux.

J’ai couru pour quitter ce monde saugrenu

Me noyer** dans le premier océan venu.

Juste voguait par là le bateau des copains;

Je me suis accroché bien fort à ce grappin.

Et par enchantement, tout fut régénéré,

L’espérance cessa d’être désespérée.

Et par enchantement, tout fut régénéré,

L’espérance cessa d’être désespérée.

Variantes:

*: Voici belle lurette...

**: Me jeter dans...

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Les oiseaux de passage

(Poème de Jean Richepin)

Ô vie heureuse des bourgeois

Qu’avril bourgeonne

Ou que decembre gèle,

Ils sont fiers et contents

Ce pigeon est aimé,

Trois jours par sa pigeonne

Ca lui suffit il sait

Que l’amour n’a qu’un temps

Ce dindon a toujours

Béni sa destinée

Et quand vient le moment

De mourir il faut voir

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125

Cette jeune oie en pleurs

C’est la que je suis née

Je meurs presd de ma mère

Et je fais mon devoir

Elle a fait son devoir

C’est a dire que Onques

Elle n’eut de souhait

Impossible elle n’eut

Aucun rêve de lune

Aucun désir de jonque

L’emportant sans rameurs

Sur un fleuve inconnu

Et tous sont ainsi faits

Vivre la même vie

Toujours pour ces gens là

Cela n’est point hideux

Ce canard n’a qu’un bec

Et n’eut jamais envie

Ou de n’en plus avoir

Ou bien d’en avoir deux

Ils n’ont aucun besoin

De baiser sur les lèvres

Et loin des songes vains

Loin des soucis cuisants

Possèdent pour tout coeur

Un vicere sans fièvre

Un coucou régulier

Et garanti dix ans

Ô les gens bien heureux

Tout à coup dans l’espace

Si haut qu’ils semblent aller

Lentement en grand vol

En forme de triangle

Arrivent planent, et passent

Où vont ils? ... qui sont-ils?

Comme ils sont loins du sol

Regardez les passer, eux

Ce sont les sauvages

Ils vont où leur desir

Le veut par dessus monts

Et bois, et mers, et vents

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Et loin des esclavages

L’air qu’ils boivent

Ferait éclater vos poumons

Regardez les avant

D’atteindre sa chimère

Plus d’un l’aile rompue

Et du sang plein les yeux

Mourra. Ces pauvres gens

Ont aussi femme et mère

Et savent les aimer

Aussi bien que vous, mieux

Pour choyer cette femme

Et nourrir cette mère

Ils pouvaient devenir

Volailles comme vous

Mais ils sont avant tout

Des fils de la chimère

Des asoiffés d’azur

Des poètes des fous

bis

Regardez les vieux coqs

Jeune Oie édifiante

Rien de vous ne pourra

monter aussi haut qu’eux

Et le peu qui viendra

d’eux à vous

C’est leur fiante

Les bourgeois sont troublés

De voir passer les gueux

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Heureux qui comme Ulysse

Heureux qui comme Ulysse

a fait un beau voyage

Heureux qui comme Ulysse

a vu cent paysages

Et puis a retrouve

apres maintes traversees

le pays des vertes annees

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Par un petit matin d’ete

quand le soleil vous chante au coeur

qu’elle est belle

la liberte la liberte

Quand on est mieux ici qu’ailleurs

quand un ami fait le bonheur

qu’elle est belle

la liberte la liberte

Avec le soleil et le vent

avec la pluie et le beau temps

On vivait bien content

mon cheval

ma provence et moi

mon cheval ma provence et moi

Heureux qui comme Ulysse

a fait un beau voyage

Heureux qui comme Ulysse

a vu cent paysages

Et puis a retrouve

apres maintes traversees

le pays des vertes annees

Par un joli matin d’ete

quand le soleil vous chante au coeur

qu’elle est belle

la liberte la liberte

Quand s’en est fini des malheurs

quand un ami seche vos pleurs

qu’elle est belle

la liberte la liberte

battu le soleil et le vent

perdu au milieu des etangs

On vivra bien content

mon cheval

ma camargue et moi

mon cheval ma camargue et moi

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Titolo

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2010

Pénélope

Toi l’epouse modele,

le grillon du foyer;

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toi qui n’a point d’accrocs

dans ta robe de mariee;

toi l’intraitable Penelope

en suivant ton petit

bonhomme de bonheur,

ne berces-tu jamais

en tout bien tout honneur

de jolies pensees interlopes?

De jolies pensees interlopes...

Derriere tes rideaux,

dans ton juste milieu,

en attendant l’retour

d’un Ulysse de banlieue;

penchee sur tes travaux de toile,

les soirs de vague a l’ame

et de melancolie

n’as tu jamais en reve

au ciel d’un autre lit

compte de nouvelles etoiles?

Compter de nouvelles etoiles...

N’as-tu jamais encore

appele de tes voeux

l’amourette qui passe,

qui vous prend aux cheveux?

Qui vous compte des bagatelles,

qui met la marguerite

au jardin potager,

la pomme defendue

aux branches du verger,

et le desordre a vos dentelles?

Et le desordre a vos dentelles...

N’as-tu jamais souhaite

de revoir en chemin

cet ange, ce demon,

qui son arc a la main

decoche des fleches malignes?

Qui rend leur chair de femme

aux plus froides statues,

les bascul’ de leur socle

bouscule leur vertu,

arrache leur feuille de vigne...

Arrache leur feuille de vigne...

N’ait crainte que le ciel

ne t’en tienne rigueur,

il n’y a vraiment pas la

de quoi fouetter un coeur

qui bat la campagne et gallope...

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C’est la faute commune

et le peche veniel,

c’est la face cachee

de la lune de miel

et la rancon de Penelope...

Et la rancon de Penelope.

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Titolo

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2010

Boulevard du temps qui passe

A peine sortis du berceau,

Nous sommes allés faire un saut

Au boulevard du temps qui passe,

En scandant notre " Ça ira "

Contre les vieux, les mous, les gras,

Confinés dans leurs idées basses.

On nous a vus, c’était hier,

Qui descendions, jeunes et fiers,

Dans une folle sarabande,

En allumant des feux de joie,

En alarmant les gros bourgeois,

En piétinant leurs plates-bandes.

Jurant de tout remettre à neuf,

De refaire quatre-vingt-neuf,

De reprendre un peu la Bastille,

Nous avons embrassé, goulus,

Leurs femmes qu’ils ne touchaient plus,

Nous avons fécondé leurs filles.

Dans la mare de leurs canards

Nous avons lancé, goguenards,

Force pavés, quelle tempête!

Nous n’avons rien laissé debout,

Flanquant leurs credos, leurs tabous

Et leurs dieux, cul par-dessus tête.

Quand sonna le " cessez-le-feu "

L’un de nous perdait ses cheveux

Et l’autre avait les tempes grises.

Nous avons constaté soudain

Que l’été de la Saint-Martin

N’est pas loin du temps des cerises.

Alors, ralentissant le pas,

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On fit la route à la papa,

Car, braillant contre les ancêtres,

La troupe fraîche des cadets

Au carrefour nous attendait

Pour nous envoyer à Bicêtre.

Tous ces gâteux, ces avachis,

Ces pauvres sépulcres blanchis

Chancelant dans leur carapace,

On les a vus, c’était hier,

Qui descendaient jeunes et fiers,

Le boulevard du temps qui passe.

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2010

Celui qui a mal tourné

Il y avait des temps et des temps

Qu’je n’m’étais pas servi d’mes dents

Qu’je n’ mettais pas d’vin dans mon eau

Ni de charbon dans mon fourneau.

Tous les croque-morts, silencieux,

Me dévoraient déjà des yeux:

Ma dernière heure allait sonner...

C’est alors que j’ai mal tourné.

N’y allant pas par quatre chemins,

J’estourbis en un tournemain,

En un coup de bûche excessif,

Un noctambule en or massif.

Les chats fourrés, quand ils l’ont su,

M’ont posé la patte dessus

Pour m’envoyer à la Santé

Me refaire une honnêteté.

Machin, Chose, Un tel, Une telle,

Tous ceux du commun des mortels

Furent d’avis que j’aurais dû

En bonn’ justice être pendu

A la lanterne et sur-le-champ.

Y s’voyaient déjà partageant

Ma corde, en tout bien tout honneur,

En guise de porte-bonheur.

Au bout d’un siècle, on m’a jeté

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A la porte de la Santé.

Comme je suis sentimental,

Je retourne au quartier natal,

Baissant le nez, rasant les murs,

Mal à l’aise sur mes fémurs,

M’attendant à voir les humains

Se détourner de mon chemin.

Y’ en a un qui m’a dit: " Salut!

Te revoir, on n’y comptait plus... "

Y’ en a un qui m’a demandé

Des nouvelles de ma santé.

Lors, j’ai vu qu’il restait encor’

Du monde et du beau mond’ sur terre,

Et j’ai pleuré, le cul par terre,

Toutes les larmes de mon corps.

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Titolo

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2010

Histoire de faussaires

Se découpant sur champ d’azur

La ferme était fausse bien sûr,

Et le chaume servant de toit

Synthétique comme il se doit.

Au bout d’une allée de faux buis,

On apercevait un faux puits

Du fond duquel la vérité

N’avait jamais dû remonter.

Et la maîtresse de céans

Dans un habit, ma foi, seyant

De fermière de comédie

A ma rencontre descendit,

Et mon petit bouquet, soudain,

Parut terne dans ce jardin

Près des massifs de fausses fleurs

Offrant les plus vives couleurs.

Ayant foulé le faux gazon,

Je la suivis dans la maison

Où brillait sans se consumer

Un genre de feu sans fumée.

Face au faux buffet Henri deux,

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Alignés sur les rayons de

La bibliothèque en faux bois,

Faux bouquins achetés au poids.

Faux Aubusson, fausses armures,

Faux tableaux de maîtres au mur,

Fausses perles et faux bijoux

Faux grains de beauté sur les joues,

Faux ongles au bout des menottes,

Piano jouant des fausses notes

Avec des touches ne devant

Pas leur ivoire aux éléphants.

Aux lueurs des fausses chandelles

Enlevant ses fausses dentelles,

Elle a dit, mais ce n’était pas

Sûr, tu es mon premier faux pas.

Fausse vierge, fausse pudeur,

Fausse fièvre, simulateurs,

Ces anges artificiels

Venus d’un faux septième ciel.

La seule chose un peu sincère

Dans cette histoire de faussaire

Et contre laquelle il ne faut

Peut-être pas s’inscrire en faux,

C’est mon penchant pour elle et mon

Gros point du côté du poumon

Quand amoureuse elle tomba

D’un vrai marquis de Carabas.

En l’occurrence Cupidon

Se conduisit en faux-jeton,

En véritable faux témoin,

Et Vénus aussi, néanmoins

Ce serait sans doute mentir

Par omission de ne pas dire

Que je leur dois quand même une heure

Authentique de vrai bonheur.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

La fessée

La veuve et l’orphelin, quoi de plus émouvant?

Un vieux copain d’école étant mort sans enfants,

Abandonnant au monde une épouse épatante,

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J’allai rendre visite à la désespérée.

Et puis, ne sachant plus où finir ma soirée,

Je lui tins compagnie dans la chapelle ardente.

Pour endiguer ses pleurs, pour apaiser ses maux,

Je me mis à blaguer, à sortir des bons mots,

Tous les moyens sont bons au médecin de l’âme...

Bientôt, par la vertu de quelques facéties,

La veuve se tenait les côtes, Dieu merci!

Ainsi que des bossus, tous deux nous rigolâmes.

Ma pipe dépassait un peu de mon veston.

Aimable, elle m’encouragea: "Bourrez-la donc,

Qu’aucun impératif moral ne vous arrête,

Si mon pauvre mari détestait le tabac,

Maintenant la fumé’ ne le dérange pas

Mais où diantre ai-je mis mon porte-cigarettes? "

A minuit, d’une voix douce de séraphin,

Elle me demanda si je n’avais pas faim.

"Ca le ferait-il revenir, ajouta-t-elle,

De pousser la piété jusqu’à l’inanition

Que diriez-vous d’une frugale collation?"

Et nous fîmes un petit souper aux chandelles.

" Regardez s’il est beau! Dirait-on point qu’il dort?

Ce n’est certes pas lui qui me donnerait tort

De noyer mon chagrin dans un flot de champagne. "

Quand nous eûmes vidé le deuxième magnum,

La veuve était ému’, nom d’un petit bonhomme

Et son esprit se mit à battre la campagne...

" Mon Dieu, ce que c’est tout de même que de nous!"

Soupira-t-elle, en s’asseyant sur mes genoux. ;

Et puis, ayant collé sa lèvre sur ma lèvre,

" Me voilà, rassuré’, fit-elle, j’avais peur

Que, sous votre moustache en tablier d’ sapeur,

Vous ne cachiez coquettement un bec-de-lièvre... "

Un tablier d’ sapeur, ma moustache, pensez!

Cette comparaison méritait la fessée.

Retroussant l’insolente avec nulle tendresse,

Conscient d’accomplir, somme toute, un devoir,

Mais en fermant les yeux pour ne pas trop en voir,

Paf! j’abattis sur elle une main vengeresse!

" Aï’! vous m’avez fêlé le postérieur en deux! "

Se plaignit-elle, et je baissai le front, piteux,

Craignant avoir frappé de façon trop brutale.

Mais j’appris, par la suite, et j’en fus bien content,

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Que cet état de chos’s durait depuis longtemps

Menteuse! la fêlure était congénitale.

Quand je levai la main pour la deuxième fois,

Le coeur n’y était plus, j’avais perdu la foi,

Surtout qu’elle s’était enquise, la bougresse .

" Avez-vous remarqué que j’avais un beau cul? "

Et ma main vengeresse est retombé’, vaincu’

Et le troisième coup ne fut qu’une caresse...

" Avez-vous remarqué que j’avais un beau cul? "

Et ma main vengeresse est retombé’, vaincu’

Et le troisième coup ne fut qu’une caresse...

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2010

La ronde des jurons

Voici la ronde des jurons

Qui chantaient clair, qui dansaient rond,

Quand les Gaulois

De bon aloi

Du franc-parler suivaient la loi, jurant par-là,

jurant par-ci,

jurant à langue raccourci’,

Comme des grains de chapelet

Les joyeux jurons défilaient:

Refrain

Tous les morbleus, tous les ventrebleus,

Les sacrebleus et les cornegidouilles,

Ainsi, parbleu, que les jarnibleus

Et les palsambleus,

Tous les cristis, les ventres saint-gris,

Les par ma barbe et les noms d’une pipe,

Ainsi, pardi, que les sapristis

Et les sacristis,

Sans oublier les jarnicotons,

Les scrogneugneus et les bigre’ et les bougre’,

Les saperlott’s, les cré nom de nom,

Les peste, et pouah, diantre, fichtre et foutre,

Tous les Bon Dieu,

Tous les vertudieux,

Tonnerr’ de Brest et saperlipopette,

Ainsi, pardieu, que les jarnidieux

Et les pasquedieux.

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Quelle pitié!

Les charretiers

Ont un langage châtié!

Les harengères

Et les mégère’s

Ne parlent plus à la légère!

Le vieux catéchisme poissard

N’a guèr’ plus cours chez les hussards...

Ils ont vécu, de profundis,

Les joyeux jurons de jadis.

Au refrain

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2010

La rose, la bouteille et la poignée de main

Cette rose avait glissé de

La gerbe qu’un héros gâteux

Portait au monument aux Morts.

Comme tous les gens levaient leurs

Yeux pour voir hisser les couleurs,

Je la recueillis sans remords.

Et je repris ma route et m’en allai quérir,

Au p’tit bonheur la chance, un corsage à fleurir.

Car c’est une des pir’s perversions qui soient

Que de garder une rose par-devers soi.

La première à qui je l’offris

Tourna la tête avec mépris,

La deuxième s’enfuit et court

Encore en criant "Au secours! "

Si la troisième m’a donné

Un coup d’ombrelle sur le nez,

La quatrième, c’est plus méchant,

Se mit en quête d’un agent.

Car, aujourd’hui, c’est saugrenu,

Sans être louche, on ne peut pas

Fleurir de belles inconnu’s.

On est tombé bien bas, bien bas...

Et ce pauvre petit bouton

De rose a fleuri le veston

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D’un vague chien de commissaire,

Quelle misère!

Cette bouteille était tombé’

De la soutane d’un abbé

Sortant de la messe ivre mort.

Une bouteille de vin fin

Millésimé, béni, divin,

Je la recueillis sans remords.

Et je repris ma route en cherchant, plein d’espoir,

Un brave gosier sec pour m’aider à la boire.

Car c’est une des pir’s perversions qui soient

Que de garder du vin béni par-devers soi.

Le premier refusa mon verre

En me lorgnant d’un oeil sévère,

Le deuxième m’a dit, railleur,

De m’en aller cuver ailleurs.

Si le troisième, sans retard,

Au nez m’a jeté le nectar,

Le quatrième, c’est plus méchant,

Se mit en quête, d’un agent.

Car, aujourd’hui, c’est saugrenu,

Sans être louche, on ne peut pas

Trinquer avec des inconnus.

On est tombé bien bas, bien bas...

Avec la bouteille de vin fin

Millésimé, béni, divin,

Les flics se sont rincé la dalle,

Un vrai scandale!

Cette pauvre poigné’ de main

Gisait, oubliée, en chemin,

Par deux amis fâchés à mort.

Quelque peu décontenancé’,

Elle était là, dans le fossé.

Je la recueillis sans remords.

Et je repris ma route avec l’intention

De faire circuler la virile effusion,

Car c’est une des pir’s perversions qui soient

Qu’ de garder une poigné’ de main par-devers soi.

Le premier m’a dit: "Fous le camp!

J’aurais peur de salir mes gants."

Le deuxième, d’un air dévot,

Me donna cent sous, d’ailleurs faux.

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Si le troisième, ours mal léché,

Dans ma main tendue a craché,

Le quatrième, c’est plus méchant,

Se mit en quête d’un agent.

Car, aujourd’hui, c’est saugrenu,

Sans être louche, on ne peut pas

Serrer la main des inconnus.

On est tombé bien bas, bien bas...

Et la pauvre poigné’ de main,

Victime d’un sort inhumain,

Alla terminer sa carrière

A la fourrière!

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Le cocu

Comme elle n’aime pas beaucoup la solitude,

Cependant que je pêche et que je m’ennoblis,

Ma femme sacrifie à sa vieille habitude

De faire, à tout venant, les honneurs de mon lit. (bis)

Eh! oui, je suis cocu, j’ai du cerf sur la tête,

On fait force de trous dans ma lune de miel,

Ma bien-aimé’ ne m’invite plus à la fête

Quand ell’ va faire un tour jusqu’au septième ciel. (bis)

Au péril de mon cœur, la malheureuse écorne

Le pacte conjugal et me le déprécie,

Que je ne sache plus où donner de la corne

Semble bien être le cadet de ses soucis. (bis)

Les galants de tout poil viennent boire en mon verre,

Je suis la providence des écornifleurs,

On cueille dans mon dos la tendre primevère

Qui tenait le dessus de mon panier de fleurs. (bis)

En revenant fourbu de la pêche à la ligne,

Je les surprends tout nus dans leurs débordements.

Conseillez-leur le port de la feuille de vigne,

Ils s’y refuseront avec entêtement. (bis)

Souiller mon lit nuptial, est-c’que ça les empêche

De garder les dehors de la civilité?

Qu’on me demande au moins si j’ai fait bonne pêche,

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Qu’on daigne s’enquérir enfin de ma santé. (bis)

De grâce, un minimum d’attentions délicates

Pour ce pauvre mari qu’on couvre de safran!

Le cocu, d’ordinaire, on le choie, on le gâte,

On est en fin de compte un peu de ses parents. (bis)

A l’heure du repas, mes rivaux détestables

Ont encor’ ce toupet de lorgner ma portion!

Ça leur ferait pas peur de s’asseoir à ma table.

Cocu, tant qu’on voudra, mais pas amphitryon. (bis)

Partager sa moitié, est-c’que cela comporte

Que l’on partage aussi la chère et la boisson?

Je suis presque obligé de les mettre à la porte,

Et bien content s’ils n’emportent pas mes poissons. (bis)

Bien content qu’en partant ces mufles ne s’égarent

Pas à mettre le comble à leur ignomini’

En sifflotant "Il est cocu, le chef de gare... "

Parc’ que, le chef de gar’, c’est mon meilleur ami. (bis)

Titre CD(?)

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2010

Le fantôme

C’était tremblant, c’était troublant,

C’était vêtu d’un drap tout blanc,

Ça présentait tous les symptômes,

Tous les dehors de la vision,

Les faux airs de l’apparition,

En un mot, c’était un fantôme

A sa manière d’avancer,

A sa façon de balancer

Les hanches quelque peu convexes,

Je compris que j’avais affaire

A quelqu’un du genr’ que j’préfère

A un fantôme du beau sexe.

" Je suis un p’tit poucet perdu,

Me dit-ell’, d’un’ voix morfondu’,

Un pauvre fantôme en déroute.

Plus de trace des feux follets,

Plus de trace des osselets

Dont j’avais jalonné ma route!"

"Des poèt’s sans inspiration

Auront pris - quelle aberration

Mes feux follets pour des étoiles.

De pauvres chiens de commissaire

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Auront croqué - quelle misère!

Mes osselets bien garnis de moelle."

"A l’heure où le coq chantera,

J’aurai bonn’ mine avec mon drap

Plein de faux plis et de coutures

Et dans ce siècle profane où

Les gens ne croient plus guère à nous,

On va crier à l’imposture. "

Moi, qu’un chat perdu fait pleurer,

Pensez si. j’eus le cœur serré

Devant l’embarras du fantôme.

"Venez, dis-je en prenant sa main,

Que je vous montre le chemin,

Que je vous reconduise at home"

L’histoire finirait ici

Mais la brise, et je l’en remerci’,

Troussa le drap d’ma cavalière...

Dame, il manquait quelques osselets,

Mais le reste, loin d’être laid,

Était d’un’ grâce singulière.

Mon Cupidon, qui avait la

Flèche facile en ce temps-là,

Fit mouche et, le feu sur les tempes,

Je conviai, sournoisement,

La belle à venir un moment

Voir mes icônes, mes estampes...

"Mon cher, dit-ell’, vous êtes fou

J’ai deux mille ans de plus que vous... "

- Le temps, madam’, que nous importe

Mettant le fantôm’ sous mon bras,

Bien enveloppé dans son drap,

Vers mes pénates je l’emporte

Eh bien, messieurs, qu’on se le dis’

Ces belles dames de jadis

Sont de satané’s polissonnes,

Plus expertes dans le déduit

Que certain’s dames d’aujourd’hui,

Et je ne veux nommer personne

Au p’tit jour on m’a réveillé,

On secouait mon oreiller

Avec un’ fougu’ plein’ de promesses.

Mais, foin des délic’s de Capoue!

C’était mon père criant: "Debout!

Vains dieux, tu vas manquer la messe "

Mais, foin des délic’s de Capoue!

C’était mon père criant: "Debout!

Vains dieux, tu vas manquer la messe "

Titre CD(?)

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? 2010

Les deux oncles

C’était l’oncle Martin, c’était l’oncle Gaston

L’un aimait les Tommi’s, l’autre aimait les Teutons.

Chacun, pour ses amis, tous les deux ils sont morts.

Moi, qui n’aimais personne, eh bien! je vis encor.

Maintenant, chers tontons, que les temps ont coulé,

Que vos veuves de guerre ont enfin convolé,

Que l’on a requinqué, dans le ciel de Verdun,

Les étoiles terni’s du maréchal Pétain,

Maintenant que vos controverses se sont tu’s,

Qu’on s’est bien partagé les cordes des pendus,

Maintenant que John Bull nous boude, maintenant,

Que c’en est fini des querelles d’Allemands

Que vos fill’s et vos fils vont, la main dans la main,

Faire l’amour ensemble et l’Europ’ de demain,

Qu’ils se soucient de vos batailles presque autant

Que l’on se souciait des guerres de Cent Ans,

On peut vous l’avouer, maintenant, chers tontons,

Vous l’ami des Tommi’s, vous l’ami des Teutons,

Que, de vos vérités, vos contrevérités,

Tout le monde s’en fiche à l’unanimité.

De vos épurations, vos collaborations,

Vos abominations et vos désolations,

De vos plats de choucroute et vos tasses de thé,

Tout le monde s’en fiche à l’unanimité.

En dépit de ces souvenirs qu’on commémore,

Des flammes qu’on ranime aux monuments aux Morts,

Des vainqueurs, des vaincus, des autres et de vous,

Révérence parler, tout le monde s’en fout.

La vi’, comme dit l’autre, a repris tous ses droits.

Elles ne font plus beaucoup d’ombre, vos deux croix,

Et, petit à petit, vous voilà devenus,

L’Arc de triomphe en moins, des soldats inconnus.

Maintenant, j’en suis sûr, chers malheureux tontons,

Vous, l’ami des Tommi’s, vous, l’ami des Teutons,

Si vous aviez vécu, si vous étiez ici,

C’est vous qui chanteriez la chanson que voici,

Chanteriez, en trinquant ensemble à vos santés,

Qu’il est fou de perdre la vi’ pour des idé’s,

Des idé’s comme ça, qui viennent et qui font

Trois petits tours, trois petits morts, et puis s’en vont,

Qu’aucune idée sur terre est digne d’un trépas,

Qu’il faut laisser ce rôle à ceux qui n’en ont pas,

Que prendre, sur-le-champ, l’ennemi comme il vient,

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C’est de la bouilli’ pour les chats et pour les chiens,

Qu’au lieu de mettre en jou’ quelque vague ennemi,

Mieux vaut attendre un peu qu’on le change en ami,

Mieux vaut tourner sept fois sa crosse dans la main,

Mieux vaut toujours remettre une salve à demain,

Que les seuls généraux qu’on doit suivre aux talons,

Ce sont les généraux des p’tits soldats de plomb.

Ainsi, chanteriez-vous tous les deux en suivant

Malbrough qui va-t-en guerre au pays des enfants.

Ô vous, qui prenez aujourd’hui la clé des cieux,

Vous, les heureux coquins qui, ce soir, verrez Dieu,

Quand vous rencontrerez mes deux oncles, là-bas,

Offrez-leur de ma part ces "Ne m’oubliez pas ",

Ces deux myosotis fleuris dans mon jardin

Un p’tit forget me not pour mon oncle Martin,

Un p’tit vergiss mein nicht pour mon oncle Gaston,

Pauvre ami des Tommi’s, pauvre ami des teutons.

Titre CD(?)

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2010

Les patriotes

Les invalid’s chez nous, l’revers de leur médaille

C’est pas d’être hors d’état de suivr’ les fill’s, cré nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir retourner au champ de bataille.

Le rameau d’olivier n’est pas notre symbole, non!

Ce que, par-dessus tout, nos aveugles déplorent,

C’est pas d’être hors d’état d’se rincer l’œil, cré nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir lorgner le drapeau tricolore.

La ligne bleue des Vosges sera toujours notre horizon.

Et les sourds de chez nous, s’ils sont mélancoliques,

C’est pas d’être hors d’état d’ouïr les sirènes, cré de nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir entendre au défilé d’la clique,

Les échos du tambour, de la trompette et du clairon.

Et les muets d’chez nous, c’qui les met mal à l’aise

C’est pas d’être hors d’état d’conter fleurette, cré nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir reprendre en chœur la Marseillaise.

Les chansons martiales sont les seules que nous entonnons.

Ce qui de nos manchots aigrit le caractère,

C’est pas d’être hors d’état d’pincer les fess’s, cré nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir faire le salut militaire.

jamais un bras d’honneur ne sera notre geste, non!

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Les estropiés d’chez nous, ce qui les rend patraques,

C’est pas d’être hors d’état d’courir la gueus’, cré nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir participer à une attaque.

On rêve de Rosalie, la baïonnette, pas de Ninon.

C’qui manque aux amputés de leurs bijoux d’famille,

C’est pas d’être hors d’état d’aimer leur femm’, cré nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir sabrer les belles ennemies.

La colomb’ de la paix, on l’apprête aux petits oignons.

Quant à nos trépassés, s’ils ont tous l’âme en peine,

C’est pas d’être hors d’état d’mourir d’amour, cré nom de nom,

Mais de ne plus pouvoir se faire occire à la prochaine.

Au monument aux morts, chacun rêve d’avoir son nom.

Titre CD(?)

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2010

Les quatre bacheliers

Nous étions quatre bacheliers

Sans vergogne

La vrai’ crème des écoliers

Des écoliers

Pour offrir aux filles des fleurs

Sans vergogne

Nous nous fimes un peu voleurs

Un peu voleurs

Les sycophantes du pays

Sans vergogne

Au gendarmes nous ont trahis

Nous ont trahis

Et l’on vit quatre bacheliers

Sans vergogne

Qu’on emmène, les mains lié’s

Les mains lié’s

On fit venir à la prison

Sans vergogne

Les parents des mauvais garçons

Mauvais garçons

Les trois premiers pères, les trois

Sans vergogne

En perdirent tout leur sang-froid

Tout leur sang-froid

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Comme un seul ils ont déclaré

Sans vergogne

Qu’on les avait déshonorés

Déshonorés

Comme un seul ont dit: "C’est fini

Sans vergogne

Fils indigne, je te reni’

Je te reni’"

Le quatrième des parents

Sans vergogne

C’était le plus gros, le plus grand

Le plus grand

Quant il vint chercher son voleur

Sans vergogne

On s’attendait à un malheur

A un malheur

Mais il n’a pas déclaré, non

Sans vergogne

Que l’on avait sali son nom

Sali son nom

Dans le silence on l’entendit

Sans vergogne

Qui lui disait: "Bonjour, petit

Bonjour, petit"

On le vit, on le croirait pas

Sans vergogne

Lui tendre sa blague à tabac

Blague à tabac

Je ne sais pas s’il eut raison

Sans vergogne

D’agir d’une telle façon

Telle façon

Mais je sais qu’un enfant perdu

Sans vergogne

A de la corde de pendu

De pendu

A de la chance quand il a

Sans vergogne

Un père de ce tonneau-là

Ce tonneau-là

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Et si les chrétiens du pays

Sans vergogne

Jugent que cet homme a failli

Homme a failli

ça laisse à penser que, pour eux

Sans vergogne

L’Evangile, c’est de l’hébreu

C’est de l’hébreu

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2010

Si seulement elle était jolie

Si seulement elle était jolie

Je dirais: "tout n’est pas perdu.

Elle est folle, c’est entendu,

Mais quelle beauté accomplie!"

Hélas elle est plus laide bientôt

Que les sept péchés capitaux.(bis)

Si seulement elle avait des formes,

Je dirais: "tout n’est pas perdu,

Elle est moche c’est entendu,

Mais c’est Venus copie conforme."

Malheureusement, c’est désolant,

C’est le vrai squelette ambulant.(bis)

Si seulement elle était gentille,

Je dirais: "tout n’est pas perdu,

Elle est plate c’est entendu,

mais c’est la meilleure des filles."

Malheureusement c’est un chameau,

Un succube, tranchons le mot.(bis)

Si elle était intelligente,

Je dirais: "tout n’est pas perdu,

Elle est vache, c’est entendu,

Mais c’est une femme savante."

Malheureusement elle est très bête

Et tout à fait analphabète.(bis)

Si seulement l’était cuisinière,

Je dirais: "tout n’est pas perdu,

Elle est sotte, c’est entendu,

Mais quelle artiste culinaire!"

Malheureusement sa chère m’a

Pour toujours gâté l’estomac.(bis)

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Si seulement elle était fidèle,

Je dirais:"tout n’est pas perdu,

Elle m’empoisonne, c’est entendu,

Mais c’est une épouse modèle."

Malheureusement elle est, papa,

Folle d’un cul qu’elle n’a pas!(bis)

Si seulement l’était moribonde,

Je dirais: "tout n’est pas perdu,

Elle me trompe c’est entendu,

Mais elle va quitter le monde."

Malheureusement jamais elle tousse:

Elle nous enterrera tous.(bis)

Les amours d’antan CD(?)

Moi, mes amours d’antan c’était de la

grisette

Margot, la blanche caille, et Fanchon, la

cousette...

Pas la moindre noblesse, excusez-moi du

peu.

C’étaient, me direz-vous, des grâces roturières,

Des nymphes de ruisseau, des Vénus de

barrière...

Mon prince, on a les dam’s du temps jadis qu’on

peut!

Car le coeur(?) à vingt ans se pose où il se pose,

Le premier cotillon venu vous en impose,

La plus humble bergère est un morceau de roi.

Il (?) manquait de marquise, on connut la

soubrette,

Faute de fleur de lys on eut la pâquerette,

Au printemps Cupidon fait flèche de tout bois.

On rencontrait la belle aux Puces, le dimanche:

« Je te plais, tu me plais...» et c’était dans la

manche,

Et les grands sentiments n’étaient pas de rigueur.

« Je te plais, tu me plais...» Dans un train de

banlieue on partait pour Cythère,

On n’était pas tenu même d’apporter son coeur.

Mimi, de prime abord, payait guère de mine,

Chez son fourreur sans doute on ignorait

l’hermine,

Son habit sortait point de l’atelier d’un

Gli amori di un tempo

Io, i miei amori di un tempo... erano delle

ragazze di strada:

Margot, la bianca quaglia, e Fanchon, la

sartina...

Neppure la più piccola nobiltà, scusate se è

poco.

Erano, mi direte, delle grazie plebee,

delle ninfe di rigagnolo, delle Veneri di

periferia...

Mio principe, si hanno le dame del tempo che fu,

per quello che si può!

Poiché il cuore a vent’anni si posa dove si posa,

la prima sottana che arriva, vi conquista,

la più umile pastorella è un bocconcino da re.

Mancando una marchesa, conobbi una

ballerina,

finiti i fiori di giglio, mi presi una pratolina,

in primavera Cupido usa frecce d’ogni tipo.

Si incontravano le belle alle Pulci5, la domenica:

«Io ti piaccio, tu mi piaci...», ed era

fatta!

E i grandi sentimenti non erano di rigore.

«Io ti piaccio, tu mi piaci...» Su un treno di

periferia si partiva per Citèra,

e non occorreva portare con sé il cuore.

Mimi, a prima vista, non ispirava molta fiducia,

dal suo pellicciaio forse non conoscevano

l’ermellino,

il suo abito non usciva certo dalla sartoria di un

5 Il mercato delle Pulci.

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dieu.

Mais quand, par-dessus le moulin de la Galette,

Elle jetait pour vous sa parure

simplette,

C’est Psychée tout entier’ qui vous sautait aux

yeux.

Au second rendez-vous ’y avait parfois

personne,

Elle avait fait faux bond, la petite amazone,

Mais l’on ne courait pas se pendre pour autant.

La marguerite commence avec Suzette,

On finissait de l’effeuiller avec Lisette

Et l’amour y trouvait quand même son content.

C’étaient, me direz-vous, des grâces roturières,

Des nymphes de ruisseau, des Vénus de

barrière,

Mais c’étaient mes amours, excusez-moi du peu.

Des Manon, des Mimi, des Suzon, des

Musette,

Margot la blanche caille, et Fanchon, la

cousette,

Mon prince, on a les dam’s du temps jadis qu’on

peut...

?

dio.

Ma quando, sopra al mulino della Galette,

lei si spogliava per voi del suo vestitino

sempliciotto,

era Psiché in persona che vi saltava agli

occhi.

Al secondo appuntamento, talvolta non c’era

nessuno:

aveva tirato un bidone, la piccola amazzone;

e tuttavia non correvamo certo ad impiccarci.

La margherita cominciava con Suzette,

e si finiva di sfogliarla con Lisetta,

e l’amore vi trovava lo stesso il suo vantaggio.

Erano, mi direte, delle grazie plebee,

delle ninfe di rigagnolo, delle Veneri di

periferia,

ma erano i miei amori, scusate se è poco!

Delle Manon, delle Mimì, delle Suzon, delle

Musette,

Margot, la bianca quaglia, e Fanchon, la

sartina...

Mio principe, si hanno le dame del tempo che fu,

per quello che si può...

2010

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2010

Le vingt-deux septembre

Un vingt et deux septembre au diable vous partites,

Et, depuis, chaque année, à la date susdite,

Je mouillais mon mouchoir en souvenir de vous...

Or, nous y revoilà, mais je reste de pierre,

Plus une seule larme à me mettre aux paupières:

Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.

On ne reverra plus, au temps des feuilles mortes,

Cette âme en peine qui me ressemble et qui porte

Le deuil de chaque feuille en souvenir de vous...

Que le brave Prévert et ses escargots veuillent

Bien se passer de moi et pour enterrer les feuilles:

Le vingt-e-deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.

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Jadis, ouvrant mes bras comme une paire d’ailes,

Je montais jusqu’au ciel pour suivre l’hirondelle

Et me rompais les os en souvenir de vous...

Le complexe d’Icare à présent m’abandonne,

L’hirondelle en partant ne fera plus l’automne:

Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.

Pieusement nous d’un bout de vos dentelles,

J’avais, sur ma fenêtre, un bouquet d’immortelles

Que j’arrosais de pleurs en souvenir de vous...

Je m’en vais les offrir au premier mort qui passe,

Les regrets éternels à présent me dépassent:

Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.

Désormais, le petit bout de cïur qui me reste

Ne traversera plus l’équinoxe funeste

En battant la breloque en souvenir de vous...

Il a craché sa flamme et ses cendres s’éteignent,

A peine y pourrait-on rôtir quatre châtaignes:

Le vingt et deux septembre, aujourd’hui, je m’en fous.

Et c’est triste de n’être plus triste sans vous

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2010

Rien à jeter

Sans ses cheveux qui volent

J’aurais, dorénavant,

Des difficultés folles

A voir d’où vient le vent.

Tout est bon chez elle, y a rien jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

Je me demande comme

Subsister sans ses joues

M’offrant de belles pommes

Nouvelles chaque jour.

Tout est bon chez elle, y a rien jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

Sans sa gorge, ma tète,

Dépourvu’ de coussin,

Reposerais par terre

Et rien n’est plus malsain.

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Tout est bon chez elle, y a rien jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

Sans ses hanches solides

Comment faire, demain,

Si je perds l’équilibre,

Pour accrocher mes mains?

Tout est bon chez elle, y a rien jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

Elle a mile autres choses

Précieuses encore

Mais, en spectacle, j’ose

Pas donner tout son corps.

Tout est bon chez elle, y a rien jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

Des charmes de ma mie

J’en passe et des meilleurs.

Vos cours d’anatomie

Allez les prendre ailleurs.

Tout est bon chez elle, y a rien jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

D’ailleurs, c’est sa faiblesse,

Elle tient ses os

Et jamais ne se laisse-

rait couper en morceaux.

Tout est bon chez elle, y a rien à jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

Elle est quelque peu fière

Et chatouilleuse assez,

Et l’on doit tout entière

La prendre ou la laisser.

Tout est bon chez elle, y a rien jeter,

Sur l’île déserte il faut tout emporter.

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2010

Les quat’z’arts

Les copains affligés, les copines en pleurs,

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La boîte à dominos enfoui’ sous les fleurs,

Tout le monde équipé de sa tenu’ de deuil,

La farce était bien bonne et valait le coup d’œil.

Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

L’enterrement paraissait officiel. Bravo!

Le mort ne chantait pas: "Ah! c’ qu’on s’emmerde ici!"

Il prenait son trépas à cœur, cette fois-ci,

Et les bonshomm’s chargés de la levé’ du corps

Ne chantaient pas non plus "Saint-Eloi bande encor!"

Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

Le macchabé’ semblait tout à fait mort. Bravo!

Ce n’étaient pas du tout des filles en tutu

Avec des fesse’ à claque’ et des chapeaux pointus,

Les commères choisi’s pour les cordons du poêle,

Et nul ne leur criait: "A poil! A poil! A poil!"

Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

Les pleureuses sanglotaient pour de bon. Bravo!

Le curé n’avait pas un goupillon factice

Un de ces goupillons en forme de phallus

Et quand il y alla de ses de profundis,

L’enfant de chœur répliqua pas morpionibus.

Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

Le curé venait pas de Camaret. Bravo!

On descendit la bière et je fus bien déçu,

La blague maintenant frisait le mauvais goût,

Car le mort se laissa jeter la terr’ dessus

Sans lever le couvercle en s’écriant "Coucou!"

Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

Le cercueil n’était pas à double fond. Bravo!

Quand tout fut consommé, je leur ai dit: "Messieurs,

Allons faire à présent la tourné’ des boxons!"

Mais ils m’ont regardé avec de pauvres yeux,

Puis ils m’ont embrassé d’une étrange façon.

Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

Leur compassion semblait venir du cœur. Bravo!

Quand je suis ressorti de ce champ de navets,

L’ombre de l’ici-gît pas à pas me suivait,

Une petite croix de trois fois rien du tout

Faisant, à elle seul’, de l’ombre un peu partout.

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Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

Les revenants s’en mêlaient à leur tour. Bravo!

J’ai compris ma méprise un petit peu plus tard,

Quand, allumant ma pipe avec le faire-part,

J’ m’aperçus que mon nom, comm’ celui d’un bourgeois,

Occupait sur la liste une place de choix:

Les quat’z’arts avaient fait les choses comme il faut:

J’étais le plus proch’ parent du défunt. Bravo!

Adieu! Les faux tibias, les crânes de carton…

Plus de marche funèbre au son des mirlitons!

Au grand bal des quat’z’arts nous n’irons plus danser,

Les vrais enterrements viennent de commencer.

Nous n’irons plus danser au grand bal des quat’z’arts,

Viens, pépère, on va se ranger des corbillards!

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2010

Le pluriel

"Cher monsieur, m’ont-ils dit, vous en êtes un autre",

Lorsque je refusai de monter dans leur train.

Oui, sans doute, mais moi, j’fais pas le bon apôtre,

Moi, je n’ai besoin de personne pour en être un.

Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on

Est plus de quatre on est une bande de cons.

Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.

Dans les noms des partants on n’verra pas le mien.

Dieu! que de processions, de monômes, de groupes,

Que de rassemblements, de cortèges divers,

Que de ligu’s, que de cliqu’s, que de meut’s, que de troupes!

Pour un tel inventaire il faudrait un Prévert.

Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on

Est plus de quatre on est une bande de cons.

Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.

Parmi les cris des loups on n’entend pas le mien.

Oui, la cause était noble, était bonne, était belle

Nous étions amoureux, nous l’avons épousée.

Nous souhaitions être heureux tous ensemble avec elle,

Nous étions trop nombreux, nous l’avons défrisée.

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Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on

Est plus de quatre on est une bande de cons.

Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.

Parmi les noms d’élus on n’verra pas le mien.

Je suis celui qui passe à côté des fanfares

Et qui chante en sourdine un petit air frondeur.

Je dis, à ces messieurs que mes notes effarent:

" Tout aussi musicien que vous, tas de bruiteurs! "

Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on

Est plus de quatre on est une bande de cons.

Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.

Dans les rangs des pupitr’s on n’verra pas le mien.

Pour embrasser la dam’, s’il faut se mettre à douze,

J’aime mieux m’amuser tout seul, cré nom de nom!

Je suis celui qui reste à l’écart des partouzes.

L’obélisque est-il monolithe, oui ou non?

Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on

Est plus de quatre on est une bande de cons.

Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.

Au faisceau des phallus on n’verra pas le mien.

Pas jaloux pour un sou des morts des hécatombes,

J’espère être assez grand pour m’en aller tout seul.

Je ne veux pas qu’on m’aide à descendre à la tombe,

Je partage n’importe quoi, pas mon linceul.

Le pluriel ne vaut rien à l’homme et sitôt qu’on

Est plus de quatre on est une bande de cons.

Bande à part, sacrebleu! c’est ma règle et j’y tiens.

Au faisceau des tibias on n’verra pas les miens.

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2010

Dieu, s’il existe

Au ciel de qui se moque-t-on?

Était-ce utile qu’un orage

Vînt au pays de Jeanneton

Mettre à mal son beau pâturage?

Pour ses brebis, pour ses moutons,

Plus une plante fourragère,

Rien d’épargné que le chardon!

Dieu, s’il existe, il exagère,

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Il exagère.

Et là-dessus, méchant, glouton,

Et pas pour un sou bucolique,

Vers le troupeau de Jeanneton,

Le loup sortant du bois rapplique.

Sans laisser même un rogaton,

Tout il croque, tout il digère.

Au ciel de qui se moque-t-on?

Dieu, s’il existe, il exagère,

Il exagère.

Et là-dessus le Corydon,

Le promis de la pastourelle,

Laquelle allait au grand pardon

Rêver d’amours intemporelles,

- Au ciel de qui se moque-t-on? -

Suivit la cuisse plus légère

Et plus belle d’une goton.

Dieu, s’il existe, il exagère,

Il exagère.

Adieu les prairies, les moutons,

Et les beaux jours de la bergère.

Au ciel de qui se moque-t-on?

Ferait-on de folles enchères?

Quand il grêle sur le persil,

C’est bête et méchant, je suggère

Qu’on en parle au prochain concile.

Dieu, s’il existe, il exagère,

Il exagère.

Au bois de mon coeur CD(?)

Au bois d’ Clamart ’y a des petit’s fleurs,

’Ya des petit’s fleurs,

’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,

Au, au bois d’ mon coeur.

Au fond de d’ ma cour j’ suis renommé, (bis)

J’ suis renommé

Pour avoir le coeur mal famé,

Le coeur mal famé.

Au bois d’ Vincenne’ ’y a des petit’s fleurs,

’Y a des petit’s fleurs,

’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,

Au, au bois d’ mon coeur.

Quand ’y a plus d’ vin dans mon tonneau, (bis)

Dans mon tonneau,

Nel bosco del mio cuore

Nel bosco di Clamart ci son dei fiorellini,

ci son dei fiorellin,

ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,

nel... nel bosco del mio cuore.

In fondo al mio cortile ho la fama (bis),

ho la fama

di avere il cuore malfamato,

il cuore malfamato.

Nel bosco di Vincennes ci son dei fiorellini,

ci son dei fiorellin,

ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,

nel... nel bosco del mio cuore.

Quando non c’è più vino nella mia botte (bis),

nella mia botte,

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153

Ils n’ont pas peur de boir’ mon eau,

De boire mon eau.

Au bois d’ Meudon ’y a des petit’s fleurs,

’Y a des petit’s fleurs,

’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,

Au, au bois d’ mon coeur.

Ils m’accompagnent à la mairie, (bis)

À la mairie,

Chaque fois que je me marie,

Que je me marie.

Au bois d’ Saint-Cloud ’y a des petit’s fleurs,

’Y a des petit’s fleurs,

’Y a des copains au, au bois d’ mon coeur,

Au, au bois d’ mon coeur.

Chaqu’ fois qu’ je meurs fidèlement, (bis)

Fidèlement,

Ils suivent mon enterrement,

Mon enterrement.

... des petites fleurs... (bis)

Au, au bois d’ mon coeur... (bis)

?

non hanno paura di bere la mia acqua,

di bere la mia acqua.

Nel bosco di Meudon ci son dei fiorellini,

ci son dei fiorellin,

ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,

nel... nel bosco del mio cuore.

Mi accompagnano in municipio, (bis)

in municipio,

ogni volta che io mi sposo,

che io mi sposo.

Nel bosco di Saint-Cloud ci son dei fiorellini,

ci son dei fiorellin,

ci son degli amici nel... nel bosco del mio cuore,

nel... nel bosco del mio cuore.

Ogni volta che io muoio, fedelmente (bis),

fedelmente,

accompagnano il mio funerale,

il mio funerale.

... dei fiorellini ... (bis)

nel... nel bosco del mio cuore ... (bis)

2010

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Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Grand-père

Grand-père suivait en chantant

La route qui mène à cent ans.

La mort lui fit, au coin d’un bois,

L’ coup du pèr’ François.

L’avait donné de son vivant

Tant de bonheur à ses enfants

Qu’on fit, pour lui en savoir gré,

Tout pour l’enterrer.

Et l’on courut à toutes jam-

-Bes quérir une bière, mais...

Comme on était légers d’argent,

Le marchand nous reçut à bras fermés.

"Chez l’épicier, pas d’argent, pas d’épices,

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154

Chez la belle Suzon, pas d’argent, pas de cuisse...

Les morts de basse conditions

C’est pas de ma juridiction."

Or, j’avais hérité d’ grand-père

Un’ pair’ de bott’s pointu’s.

S’il y a des coups d’ pied que’que part qui s’ perdent,

C’lui-là toucha son but.

C’est depuis ce temps-là que le bon apôtre (bis)

Ah! c’est pas joli...

Ah! c’est pas poli...

A un’ fess’ qui dit merde à l’autre.

Bon papa,

Ne t’en fais pas

Nous en viendrons

A bout de tous ces empêcheurs d’enterrer en rond.

Le mieux à faire et le plus court,

Pour qu’ l’enterrement suivît son cours,

Fut de borner nos prétentions

A un’ bièr’ d’occasion.

Contre un pot de miel on acquit

Les quatre planches d’un mort qui

Rêvait d’offrir quelques douceurs

A une âme soeur.

Et l’on courut à toutes jam-

-Bes quérir un corbillard, mais...

Comme on était légers d’argent,

Le marchand nous reçut à bras fermés.

"Chez l’épicier, pas d’argent, pas d’épices,

Chez la belle Suzon, pas d’argent, pas de cuisse...

Les morts de basse condition,

C’est pas de ma juridiction."

Ma bott’ partit, mais je m’ refuse

De dit’ vers quel endroit,

Ça rendrait les dames confuses

Et je n’en ai pas le droit.

C’est depuis ce temps-là que le bon apôtre (bis)

Ah! c’est pas joli...

Ah! c’est pas poli...

A un’ fess’ qui dit merde à l’autre.

Bon papa,

Ne t’en fais pas

Nous en viendrons

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155

A bout de tous ces empêcheurs d’enterrer en rond.

Le mieux à faire et le plus court,

Pour qu’ l’enterrement suivît son cours,

Fut de porter sur notre dos

L’ funèbre fardeau.

S’il eût pu revivre un instant,

Grand-père aurait été content

D’aller à sa dernier’ demeur’

Comme un empereur.

Et l’on courut à toutes jam-

-Bes quérir un goupillon, mais...

Comme on était légers d’argent,

Le marchand nous reçut à bras fermés.

"Chez l’épicier, pas d’argent, pas d’épices,

Chez la belle Suzon, pas d’argent, pas de cuisse...

Les morts de basse condition,

C’est pas de ma bénédiction."

Avant même que le vicaire

Ait pu lâcher un cri,

J’ lui bottai l’ cul au nom du Pèr’,

Du Fils et du Saint-Esprit.

C’est depuis ce temps-là que le bon apôtre (bis)

Ah! c’est pas joli...

Ah! c’est pas poli...

A un’ fess’ qui dit merde à l’autre.

Bon papa,

Ne t’en fais pas

Nous en viendrons

A bout de tous ces empêcheurs d’enterrer en rond. (bis)

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

L’amandier

J’avais l’ plus bel amandier

Du quartier,

Et, pour la bouche gourmande

Des filles du monde entier,

J’ faisais pousser des amandes

Le beau, le joli métier!

Un écureuil en jupon,

Dans un bond,

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156

Vint me dir’: "je suis gourmande

Et mes lèvres sentent bon,

Et, si tu m’ donn’s une amande,

J’ te donne un baiser fripon!

Grimpe aussi haut que tu veux,

Que tu peux,

Et tu croqu’s, et tu picores,

Puis tu grignot’s, et puis tu

Redescends plus vite encore

Me donner le baiser dû! "

Quand la belle eut tout rongé,

Tout mangé...

"Je te paierai, me dit-elle,

A pleine bouche quand les

Nigauds seront pourvus d’ailes

Et que tu sauras voler!

"Mont’ m’embrasser si tu veux,

Si tu peux...

Mais dis-toi que, si tu tombes,

J’n’aurai pas la larme à l’oeil,

Dis-toi que, si tu succombes,

Je n’ porterai pas le deuil!"

Les avait, bien entendu,

Toutes mordues,

Tout’s grignoté’s, mes amandes,

Ma récolte était perdue,

Mais sa joli’ bouch’ gourmande

En baisers m’a tout rendu!

Et la fête dura tant

Qu’ le beau temps...

Mais vint l’automne, et la foudre,

Et la pluie, et les autans

Ont changé mon arbre en poudre...

Et mon amour en mêm’ temps!

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Le vin

Avant de chanter

Ma vi’, de fair’ des

Harangues,

Dans ma gueul’ de bois

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157

J’ai tourné sept fois

Ma langue...

J’suis issu de gens

Qui étaient pas du gen-

-re sobre...

On conte que j’eus

La tétée au jus

D’octobre...

Mes parents ont dû

M’ trouver au pied d’u-

-ne souche,

Et non dans un chou,

Comm’ ces gens plus ou

Moins louches...

En guise de sang,

(O noblesse sans

Pareille!)

Il coule en mon coeur

La chaude liqueur

D’ la treille...

Quand on est un sage,

et qu’on a du sa-

-voir-boire,

On se garde à vue,

En cas de soif, u-

-ne poire...

Une poire... ou deux,

Mais en forme de

Bombonne,

Au ventre replet

Rempli du bon lait

D’ l’automne...

Jadis, aux Enfers,

Certe’, il a souffert,

Tantale,

Quand l’eau refusa

D’arroser ses a-

-mygdales...

Erre assoiffé d’eau,

C’est triste, mais faut

Bien dire

Que, l’être de vin,

C’est encore vingt

Fois pire...

Hélas! il ne pleut

Jamais du gros bleu

Qui tache...

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158

Qu’ell’s donnent du vin,

J’irai traire enfin

Les vaches...

Que vienne le temps

Du vin coulant dans

La Seine!

Les gens, par milliers,

Courront y noyer

Leur peine...

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Les lilas

Quand je vais chez la fleuriste,

Je n’achèt’ que des lilas...

Si ma chanson chante triste

C’est que l’amour n’est plus là.

Comm’ j’étais, en quelque sorte

Amoureux de ces fleurs-là,

Je suis entré par la porte,

Par la porte des Lilas.

Des lilas, y’ en avait guère,

Des lilas, y’ en avait pas,

Z’étaient tous morts à la guerre,

Passés de vie à trépas.

J’suis tombé sur une belle

Qui fleurissait un peu là,

J’ai voulu greffer sur elle

Mon amour pour les lilas.

J’ai marqué d’une croix blanche

Le jour où l’on s’envola,

Accrochés à une branche,

Une branche de lilas.

Pauvre amour, tiens bon la barre,

Le temps va passer par là,

Et le temps est un barbare

Dans le genre d’Attila.

Aux coeurs où son cheval passe,

L’amour ne repousse pas,

Aux quatre coins de l’espace

Il fait le désert sous ses pas.

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159

Alors, nos amours sont mortes,

Envolé’s dans l’au-delà,

Laissant la clé sous la porte,

Sous la porte des Lilas.

La fauvette des dimanches,

Cell’ qui me donnait le la,

S’est perché’ sur d’autres branches,

D’autres branches de lilas.

Quand je vais chez la fleuriste,

Je n’achèt’ que des lilas.:.

Si ma chanson chante triste

C’est que l’amour n’est plus là.

Oncle Archibald CD(?)

Ô vous, les arracheurs de dents,

Tous les cafards, les charlatans,

Les prophètes,

Comptez plus sur oncle Archibald

Pour payer les violons du bal

À vos fêtes. (bis)

En courant sus à un voleur

Qui venait de lui chiper l’heure

À sa montre,

Oncle Archibald, – coquin de sort!

Fit, de Sa Majesté la Mort,

La rencontre. (bis)

Telle un’ femm’ de petit’ vertu,

Elle arpentait le trottoir du

Cimetière,

Aguichant les homm’s en troussant

Un peu plus haut qu’il n’est décent

Son suaire. (bis)

Oncle Archibald, d’un ton gouailleur,

Lui dit: « Va-t’en fair’ pendre ailleurs

Ton squelette.

Fi! des femelles décharnées!

Vive les bell’s un tantinet

Rondelettes! » (bis)

Lors, montant sur ses grands chevaux,

La Mort brandit la longue faux

D’agronome

Qu’elle serrait dans son linceul,

Et faucha d’un seul coup, d’un seul,

Zio Arcibaldo

O, voi, menzogneri,

tutti gli spioni, i ciarlatani,

i profeti...

non contate più sullo zio Arcibaldo

per pagare i violini del ballo

alle vostre feste. (bis)

Rincorrendo un ladro

che aveva appena sgraffignato l’ora

al suo orologio,

zio Arcibaldo – birichino matricolato!

fece, di sua maestà la Morte,

l’incontro. (bis)

Come una donna di poca virtù,

andava su e giù per il marciapiede del

cimitero:

adescava gli uomini sollevando

un po’ più in alto della comune decenza

il suo sudario. (bis)

Zio Arcibaldo, con un tono beffardo,

gli dice: «Vai a fare impiccare da un’altra parte

il tuo scheletro.

Via, via, les femmine tutt’ossa!

Evviva le belle un tantino

rotondette!» (bis)

Allora, andando su tutte le furie,

la Morte brandì la lunga falce

d’agronomo

che teneva nel suo sudario,

e falciò con un sol colpo, uno solo,

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Le bonhomme. (bis)

Comme il n’avait pas l’air content,

Elle lui dit: « Ça fait longtemps

Que je t’aime.

Et notre hymen à tous les deux

Était prévu depuis l’ jour de

Ton baptême... (bis)

« Si tu te couches dans mes bras,

Alors la vi’ te semblera

Plus facile.

Tu y seras hors de portée

Des chiens, des loups, des homm’s et des

Imbéciles. (bis)

« Nul n’y contestera tes droits,

Tu pourras crier: Viv’ le roi!

Sans intrigue.

Si l’envi’ te prend de changer,

Tu pourras crier sans danger

Viv’ la Ligue! (bis)

« Ton temps de dupe est révolu,

Personne ne se payera plus

Sur ta tête.

Les "Plaît-il, maître? " auront plus

cours,

Plus jamais tu n’auras à cour-

-ber la tête ». (bis)

Et mon oncle emboîta le pas

De la bell’, qui ne semblait pas

Si féroce.

Et les voilà, bras d’ssus, bras d’ssous,

Les voilà partis je n’ sais où

Fair’ leurs noces. (bis)

Ô vous, les arracheurs de dents,

Tous les cafards, les charlatans,

Les prophètes,

Comptez plus sur oncle Archibald

Pour payer les violons du bal

À vos fêtes. (bis)

?

il brav’uomo. (bis)

Siccome non aveva l’aria contenta,

lei gli disse: «E’ molto tempo

che ti amo.

E il nostro imene, a tutti e due,

era previsto dal giorno del

tuo battesimo. (bis)

«Se tu ti sdrai tra le mie braccia,

allora la vita ti sembrerà

più facile.

Sarai al sicuro

dai cani, dai lupi, dagli uomini e dagli

imbecilli. (bis)

«Nessuno contesterà i tuoi diritti,

potrai gridare: Viva il re!

senza intrighi.

Se poi ti prende la voglia di cambiare,

potrai gridare senza pericolo:

Viva la Lega! (bis)

«Il tempo in cui eri una vittima è finito,

nessuno approfitterà più

di te.

I “ma che dici, maestro?” non avranno più

corso,

e mai più dovrai chi-

nare la testa». (bis)

E mio zio seguì passo passo

la bella, che non sembrava

così feroce.

Ed eccolì là, a braccetto,

eccoli partiti per chissà dove

a fare le loro nozze. (bis)

O, voi, menzogneri,

tutti gli spioni, i ciarlatani,

i profeti...

non contate più sullo zio Arcibaldo

per pagare i violini del ballo

alle vostre feste. (bis)

2010

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Titre CD(?)

texte

Titolo

testo

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161

? 2010

A l’ombre du coeur de ma mie

A l’ombre du coeur de ma mi’ (bis)

Un oiseau s’était endormi (bis)

Un jour qu’elle faisait semblant

D’être la Belle au bois dormant.

Et moi, me mettant à genoux, (bis)

Bonnes fé’s, sauvegardez-nous! (bis)

Sur ce coeur j’ai voulu poser

Une manière de baiser.

Alors cet oiseau de malheur (bis)

Se mit à crier Au voleur! (bis)

Au voleur! et A l’assassin!

Comm’ si j’en voulais à son sein.

Aux appels de cet étourneau, (bis)

Grand branle-bas dans Landerneau: (bis)

Tout le monde et son père accourt

Aussitôt lui porter secours.

Tant de rumeurs, de grondements, (bis)

Ont fait peur aux enchantements, (bis)

Et la belle désabusée

Ferma son coeur à mon baiser.

Et c’est depuis ce temps, ma soeur, (bis)

Que je suis devenu chasseur, (bis)

Que mon arbalète à la main

Je cours les bois et les chemins.

Bonhomme CD(?)

Malgré la bise qui mord,

La pauvre vieille de somme

Va ramasser du bois mort

Pour chauffer Bonhomme,

Bonhomme qui va mourir

De mort naturelle.

Mélancolique, elle va

À travers la forêt blême

Où jadis elle rêva

De celui qu’elle aime,

Qu’elle aime et qui va mourir

De mort naturelle.

Rien n’arrêtera le cours

Brav’uomo

Malgrado la Tramontana che morde,

la povera vecchia da soma

va a raccogliere la legna secca

per riscaldare Brav’uomo,

Brav’uomo che morirà

di morte naturale.

Malinconica, va

attraverso la foresta smorta

dove un tempo sognò

di colui che lei ama,

che lei ama e che morirà

di morte naturale.

Nulla fermerà l’andare

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162

De la vieille qui moissonne

Le bois mort de ses doigts gourds,

Ni rien ni personne,

Car Bonhomme va mourir

De mort naturelle.

Non, rien ne l’arrêtera,

Ni cette voix de malheur(e)

Qui dit: « Quand tu rentreras

Chez toi, tout à l’heure,

Bonhomm’ sera déjà mort

De mort naturelle ».

Ni cette autre et sombre voix,

Montant du plus profond d’elle,

Lui rappeler que, parfois,

Il fut infidèle,

Car Bonhomme, il va mourir

De mort naturelle.

?

della vecchia che miete

la legna secca con le sue dita intirizzite,

nulla e nessuno,

poiché Brav’uomo morirà

di morte naturale.

No, nulla la fermerà,

neppure quella voce di sventura

che dice: «Quando tornerai

a casa, tra poco,

Brav’uomo sarà già morto

di morte naturale».

E neppure quest’altra, tetra voce

che sale dal più profondo di lei

per ricordarle che, talvolta,

egli fu infedele.

Poiché Brav’uomo morirà

di morte naturale.

2010

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Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Comme une soeur

Comme une sœur, tête coupée, tête coupée

Ell’ ressemblait à sa poupée, à sa poupée,

Dans la rivière, elle est venue

Tremper un peu son pied menu, son pied menu.

Par une ruse à ma façon, à ma façon,

Je fais semblant d’être un poisson, d’être un poisson.

Je me déguise en cachalot

Et je me couche au fond de l’eau, au fond de l’eau.

J’ai le bonheur, grâce à ce biais, grâce à ce biais,

De lui croquer un bout de pied, un bout de pied.

Jamais requin n’a, j’en réponds,

Jamais rien goûté d’aussi bon, rien d’aussi bon.

Ell’ m’a puni de ce culot, de ce culot,

En me tenant le bec dans l’eau, le bec dans l’eau.

Et j’ai dû, pour l’apitoyer,

Faire mine de me noyer, de me noyer.

Convaincu’ de m’avoir occis, m’avoir occis,

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La voilà qui se radoucit, se radoucit,

Et qui m’embrasse et qui me mord

Pour me ressusciter des morts, citer des morts.

Si c’est le sort qu’il faut subir, qu’il faut subir,

A l’heure du dernier soupir, dernier soupir,

Si, des noyés, tel est le lot,

Je retourne me fiche à l’eau, me fiche à l’eau.

Chez ses parents, le lendemain, le lendemain,

J’ai couru demander sa main, d’mander sa main,

Mais comme je n’avais rien dans

La mienne, on m’a crié: "Va-t’en!", crié: "Va-t’en!"

On l’a livrée aux appétits, aux appétits

D’une espèce de mercanti, de mercanti,

Un vrai maroufle, un gros sac d’or,

Plus vieux qu’Hérode et que Nestor, et que Nestor.

Et depuis leurs noces j’attends, noces j’attends,

Le coeur sur des charbons ardents, charbons ardents,

Que la Faucheuse vienne cou-

-per l’herbe aux pieds de ce grigou, de ce grigou.

Quand ell’ sera veuve éploré’, veuve éploré’,

Après l’avoir bien enterré, bien enterré,

J’ai l’espérance qu’elle viendra

Faire sa niche entre mes bras, entre mes bras.

Le pornographe CD(5)

Autrefois, quand j’étais marmot,

J’avais la phobi’ des gros mots,

Et si j’ pensais “merde” tout bas,

Je ne le disais pas.

Mais

Aujourd’hui que mon gagne-pain

C’est d’ parler comme un turlupin,

Je n’ pense plus “merde”, pardi!

Mais je le dis.

Refrain

J’suis l’ pornographe

Du phonographe,

Le polisson

De la chanson.

Afin d’amuser la gal’rie

Je crache des gauloiseries,

Des pleines bouches de mots crus

Tout à fait incongrus.

Il pornografo

Un tempo, quando ero un ragazzino,

avevo la fobia delle parolacce,

e anche se pensavo “merda”,

non lo dicevo a voce alta.

Invece

oggi, che mi guadagno il pane

parlando come un pagliaccio,

non penso più “merda”, accidenti!

ma lo dico.

Ritornello

Io sono il pornografo

del fonografo,

il monellaccio

della canzone.

Per divertire il pubblico a teatro

vomito facezie,

valanghe d’oscenità

del tutto sconvenienti.

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164

Mais

En m’ retrouvant seul sous mon toit,

Dans ma psyché j’ me montre au doigt

Et m’ cri’: “Va t’ faire, homme incorrect

Voir par les Grecs.”

Tous les sam’dis j’ vais à confess’(?)

M’accuser d’avoir parlé d’ fess’s

Et j’promets ferme au marabout

De les mettre tabou.

Mais

Craignant, si je n’en parle plus,

D’ finir à l’Armée du Salut,

Je r’mets bientôt sur le tapis

Les fesses impies.

Ma femme est, soit dit en passant,

D’un naturel concupiscent

Qui l’incite à se coucher nu’

Sous le premier venu.

Mais

M’est-il permis, soyons sincèr’,

D’en parler au café-concert

Sans dire qu’elle a, suraigu,

Le feu au cul?

J’aurais sans doute du bonheur,

Et peut-être la Croix d’honneur,

À chanter avec décorum

L’amour qui mène à Rom’.

Mais

Mon ang’ m’a dit: “Turlututu!

Chanter l’amour t’est défendu

S’il n’éclôt pas sur le destin

D’une putain.”

Et quand j’entonne, guilleret,

À un patron de cabaret

Une adorable bucolique,

Il est mélancolique.

Et

Me dit, la voix noyé’ de pleurs:

"S’il vous plaît de chanter les fleurs,

Qu’ell’s poussent au moins rue Blondel

Dans un bordel."

Chaque soir avant le dîner,

À mon balcon mettant le nez,

Je contemple les bonnes gens

Dans le soleil couchant.

Mais

E poi,

quando mi ritrovo da solo a casa mia,

dentro di me mi accuso severamente

e mi dico urlando: “Vai al diavolo, volgare

cialtrone.”

Tutti i sabati vado a confessarmi,

mi pento d’aver parlato di natiche

e prometto solennemente allo stregone

di non parlarne più.

Ma

temendo, se non ne parlo più,

di finire nell’Esercito della Salvezza,

rimetto subito in programma

le irriverenti chiappe.

La mia donna, per esempio,

ha un temperamento concupiscente

che la spinge a distendersi nuda

sotto al primo che capita.

Ma,

siamo sinceri, potrei forse

raccontarlo al pianobar

senza dire che lei ha, incontenibile,

il fuoco al culo?

Sarei probabilmente più felice,

e otterrei forse la Croce al merito

se cantassi con decoro

dell’amore che conduce a Roma.

Ma

il mio angelo mi ha detto: “Marameo!

Cantare dell’amore ti è proibito,

a meno che non sbocci sul destino

di una puttana.”

E quando intono, allegro,

all’impresario teatrale,

un’adorabile lirica campestre,

lui si rattrista.

E

mi dice, con la voce soffocata dalle lacrime:

“Se le va di cantare dei fiori,

che siano almeno i fiori del bordello

di via Blondel.”

Ogni sera, prima di cena,

curiosando dal mio balcone,

osservo le persone per bene

nella luce del tramonto.

Ma

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165

N’ me d’mandez pas d’ chanter ça, si

Vous redoutez d’entendre ici

Que j’aime à voir, de mon balcon,

Passer les cons.

Les bonnes âmes d’ici bas

Comptent ferme qu’à mon trépas

Satan va venir embrocher

Ce mort mal embouché.

Mais,

Mais veuille le grand manitou,

Pour qui le mot n’est rien du tout,

Admettre en sa Jérusalem,

À l’heure blême,

Le pornographe

Du phonographe

Le polisson

De la chanson.

1958

non chiedetemi di farne una canzone, se

temete di sentire poi

che mi piace guardare, dal mio balcone,

passare degli stronzi.

Le anime pie di quaggiù

son sicurissime che al mio trapasso

Satana verrà ad infilzare

questo defunto sboccato.

Ma

voglia il gran Manitù,

per il quale le parole non contano affatto,

accogliere nella sua Gerusalemme

in quell’ora livida,

il pornografo

del fonografo,

il monellaccio

della canzone.

2010

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Titolo

testo

2010

Les funérailles d’antan

Jadis, les parents des morts vous mettaient dans le bain,

De bonne grâce ils en f’saient profiter les copains

"Y’ a un mort à la maison, si le coeur vous en dit,

Venez l’ pleurer avec nous sur le coup de midi ... "

Mais les vivants aujourd’hui n’ sont plus si généreux,

Quand ils possèdent un mort ils le gardent pour eux.

C’est la raison pour laquelle, depuis quelques années,

Des tas d’enterrements vous passent sous le nez. (bis)

Refrain

Mais où sont les funéraill’s d’antan?

Les petits corbillards, corbillards, corbillards, corbillards

De nos grands-pères,

Qui suivaient la route en cahotant,

Les petits macchabées, macchabées, macchabées, macchabées

Ronds et prospères...

Quand les héritiers étaient contents,

Au fossoyeur, au croque-mort, au curé, aux chevaux même,

Ils payaient un verre.

Elles sont révolu’s,

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Elles ont fait leur temps,

Les belles pom, pom, pom, pom, pom, pompes funèbres,

On ne les r’verra plus,

Et c’est bien attristant,

Les belles pompes funèbres de nos vingt ans.

Maintenant, les corbillards à tombeau grand ouvert

Emportent les trépassés jusqu’au diable vauvert,

Les malheureux n’ont mêm’ plus le plaisir enfantin

D’ voir leurs héritiers marron marcher dans le crottin.

L’autre semain’ des salauds, à cent quarante à l’heur’,

Vers un cimetière minable emportaient un des leurs...

Quand, sur un arbre en bois dur, ils se sont aplatis

On s’aperçut qu’ le mort avait fait des petits. (bis)

Plutôt qu’ d’avoir des obsèqu’s manquant de fioritur’s,

J’aim’rais mieux, tout compte fait, m’ passer de sépulture,

J’aim’rais mieux mourir dans l’eau, dans le feu, n’importe où,

Et même, à la grand’ rigueur, ne pas mourir du tout.

0, que renaisse le temps des morts bouffis d’orgueil,

L’époque des m’as-tu-vu-dans-mon-joli-cercueil,

Où, quitte à tout dépenser jusqu’au dernier écu,

Les gens avaient à coeur d’ mourir plus haut qu’ leur cul,

Les gens avaient à coeur de mourir plus haut que leur cul.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Embrasse-les tous

Tu n’es pas de cell’s qui meur’nt où ell’s s’attachent,

Tu frottes ta joue à toutes les moustaches,

Faut s’ lever de bon matin pour voir un ingénu

Qui n’ t’ait pas connu’,

Entré’ libre à n’importe qui dans ta ronde,

Coeur d’artichaut, tu donne’ un’ feuille à tout l’ monde,

Jamais, de mémoire d’homm’, moulin n’avait été

Autant fréquenté.

De Pierre à Paul, en passant par Jule’ et Félicien,

Embrasse-les tous, (bis)

Dieu reconnaîtra le sien!

Passe-les tous par tes armes,

Passe-les tous par tes charmes,

Jusqu’à c’ que l’un d’eux, les bras en croix,

Tourne de l’oeil dans tes bras,

Des grands aux p’tits en allant jusqu’aux Lilliputiens,

Embrasse-les tous, (bis)

Dieu reconnaîtra le sien

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Jusqu’à ce qu’amour s’ensuive,

Qu’à son coeur une plai’ vive,

Le plus touché d’entre nous

Demande grâce à genoux.

En attendant le baiser qui fera mouche,

Le baiser qu’on garde pour la bonne bouche,

En attendant de trouver, parmi tous ces galants,

Le vrai merle blanc,

En attendant qu’ le p’tit bonheur ne t’apporte

Celui derrière qui tu condamneras ta porte

En marquant dessus "Fermé jusqu’à la fin des jours

Pour cause d’amour "...

De Pierre à Paul, en passant par Jule’ et Félicien,

Embrasse-les tous, (bis)

Dieu reconnaîtra le sien!

Passe-les tous par tes armes,

Passe-les tous par tes charmes,

Jusqu’à c’que l’un d’eux, les bras en croix,

Tourne de l’oeil dans tes bras,

Des grands aux p’tits en allant jusqu’aux Lilliputiens,

Embrasse-les tous, (bis)

Dieu reconnaîtra le sien!

Alors toutes tes fredaines,

Guilledous et prétentaines,

Tes écarts, tes grands écarts,

Te seront pardonnés, car

Les fill’s quand ça dit "je t’aime",

C’est comme un second baptême,

Ça leur donne un coeur tout neuf,

Comme au sortir de son oeuf.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

La traîtresse

J’en appelle à la mort, je l’attends sans frayeur,

Je n’ tiens plus à la vi’, je cherche un fossoyeur

Qui’ aurait un’ tombe à vendre à n’importe quel prix:

J’ai surpris ma maîtresse au bras de son mari,

Ma maîtresse, la traîtresse!

J’ croyais tenir l’amour au bout de mon harpon,

Mon p’tit drapeau flottait au coeur d’ madam’ Dupont,

Mais tout est consommé: hier soir, au coin d’un bois,

J’ai surpris ma maîtresse avec son mari, pouah

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Ma maîtresse, la traîtresse!

Trouverais-je les noms, trouverais-je les mots,

Pour noter d’infami’ cet enfant de chameau

Qui a choisi son époux pour tromper son amant,

Qui’ a conduit l’adultère à son point culminant?

Ma maîtresse, la traîtresse!

Où donc avais-j’ les yeux? Quoi donc avais-j’ dedans?

Pour pas m’être aperçu depuis un certain temps

Que, quand ell’ m’embrassait , ell’ semblait moins goulu’

Et faisait des enfants qui n’ me ressemblaient plus.

Ma maîtresse, la traîtresse!

Et pour bien m’enfoncer la corne dans le coeur,

Par un raffinement satanique, moqueur,

La perfide, à voix haute, a dit à mon endroit:

"Le plus cornard des deux n’est point celui qu’on croit.

Ma maîtresse, la traîtresse!

J’ai surpris les Dupont, ce couple de marauds,

En train d’ recommencer leur hymen à zéro,

J’ai surpris ma maîtresse équivoque, ambigu’,

En train d’intervertir l’ordre de ses cocus.

Ma maîtresse, la traîtresse!

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2010

Le verger du roi Louis

(Poème de Théodore de Banville)

Sur ses larges bras étendus,

La forêt où s’éveille Flore,

A des chapelets de pendus

Que le matin caresse et dore.

Ce bois sombre, où le chêne arbore

Des grappes de fruits inouïs

Même chez le Turc et le More,

C’est le verger du roi Louis.

Tous ces pauvres gens morfondus,

Roulant des pensers qu’on ignore,

Dans des tourbillons éperdus

Voltigent, palpitants encore.

Le soleil levant les dévore.

Regardez-les, cieux éblouis,

Danser dans les feux de l’aurore.

C’est le verger du roi Louis.

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Ces pendus, du diable entendus,

Appellent des pendus encore.

Tandis qu’aux cieux, d’azur tendus,

Où semble luire un météore,

La rosée en l’air s’évapore,

Un essaim d’oiseaux réjouis

Par-dessus leur tête picore.

C’est le verger du roi Louis.

Envoi

Prince, il est un bois que décore

Un tas de pendus enfouis

Dans le doux feuillage sonore.

C’est le verger du toi Louis!

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2010

L’assassinat

C’est pas seulement à Paris

Que le crime fleurit,

Nous, au village, aussi, l’on a

De beaux assassinats.

Il avait la tête chenu’

Et le coeur ingénu,

Il eut un retour de printemps

Pour une de vingt ans.

Mais la chair fraîch’, la tendre chair,

Mon vieux, ça coûte cher.

Au bout de cinq à six baisers,

Son or fut épuisé.

Quand sa menotte elle a tendu’,

Triste, il a répondu

Qu’il était pauvre comme Job.

Elle a remis sa rob’.

Elle alla quérir son coquin

Qui’avait l’appât du gain.

Sont revenus chez le grigou

Faire un bien mauvais coup.

Et pendant qu’il le lui tenait,

Elle l’assassinait.

On dit que, quand il expira,

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La langue ell’ lui montra.

Mirent tout sens dessus dessous,

Trouvèrent pas un sou,

Mais des lettres de créanciers,

Mais des saisi’s d’huissiers.

Alors, prise d’un vrai remords,

Elle eut chagrin du mort

Et, sur lui, tombant à genoux,

Ell’ dit: "Pardonne-nous! "

Quand les gendarm’s sont arrivés,

En pleurs ils l’ont trouvé’.

C’est une larme au fond des yeux

Qui lui valut les cieux.

Et, le matin qu’on la pendit,

Ell’ fut en paradis.

Certains dévots depuis ce temps

Sont un peu mécontents.

C’est pas seulement à Paris

Que le crime fleurit,

Nous, au village, aussi, l’on a

De beaux assassinats.

Titre CD(?)

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2010

Marquise

(Stances de Corneille; Conclusion de Tristan Bernard)

Marquise, si mon visage

A quelques traits un peu vieux,

Souvenez-vous qu’à mon âge

Vous ne vaudrez guères mieux.

Le temps aux plus belles choses

Se plaîst à faire un affront

Et saura faner vos roses

Comme il a ridé mon front.

Le mesme cours des planètes

Règle nos jours et nos nuits

On m’a vu ce que vous estes;

Vous serez ce que je suis.

Peut-être que je serai vieille,

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Répond Marquise, cependant

J’ai vingt-six ans, mon vieux Corneille,

Et je t’emmerde en attendant.

(Chaque strophe est chantée deux fois)

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

La route aux quatre chansons

La route aux quatre chansons

J’ai pris la route de Dijon

Pour voir un peu la Marjolaine,

La belle, digue digue don,

Qui pleurait près de la fontaine.

Mais elle avait changé de ton,

Il lui fallait des ducatons

Dedans son bas de laine

Pour n’avoir plus de peine.

Elle m’a dit: "Tu viens, chéri?

Et si tu me pay’s un bon prix,

Aux anges je t’emmène,

Digue digue don daine. "

La Marjolain’ pleurait surtout

Quand elle n’avait pas de sous.

La Marjolain’ de la chanson

Avait de plus nobles façons.

J’ai passé le pont d’Avignon

Pour voir un peu les belles dames

Et les beaux messieurs tous en rond

Qui dansaient, dansaient, corps et âmes.

Mais ils avaient changé de ton,

Ils faisaient fi des rigodons,

Menuets et pavanes,

Tarentelles, sardanes,

Et les bell’s dam’s m’ont dit ceci:

"Étranger, sauve-toi d’ici

Ou l’on donne l’alarme

Aux chiens et aux gendarmes! "

Quelle mouch’ les a donc piquées,

Ces belles dam’s si distinguées?

Les belles dam’s de la chanson

Avaient de plus nobles façons.

Je me suis fait fair’ prisonnier,

Dans les vieilles prisons de Nantes,

Pour voir la fille du geôlier

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Qui, paraît-il, est avenante.

Mais elle avait changé de ton.

Quand j’ai demandé: " Que dit-on

Des affaires courantes,

Dans la ville de Nantes? "

La mignonne m’a répondu:

"On dit que vous serez pendu

Aux matines sonnantes,

Et j’en suis bien contente! "

Les geôlières n’ont plus de coeur

Aux prisons de Nante’ et d’ailleurs.

La geôlière de la chanson

Avait de plus nobles façons.

Voulant mener à bonne fin

Ma folle course vagabonde,

Vers mes pénates je revins

Pour dormir auprès de ma blonde,

Mais elle avait changé de ton.

Avec elle, sous l’édredon,

Il y avait du monde

Dormant près de ma blonde.

J’ai pris le coup d’un air blagueur,

Mais, en cachette, dans mon coeur,

La peine était profonde,

L’chagrin lâchait la bonde.

Hélas! du jardin de mon père,

La colombe s’est fait la paire...

Par bonheur, par consolation,

Me sont resté’s les quatr’ chansons.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

La tondue

La belle qui couchait avec le roi de Prusse,

Avec le roi de Prusse,

A qui l’on a tondu le crâne rasibus,

Le crâne rasibus,

Son penchant prononcé pour les "Ich liebe dich ",

Pour les "Ich liebe dich ",

Lui valut de porter quelques cheveux postich’s,

Quelques cheveux postich’s.

Les braves sans-culott’s et les bonnets phrygiens,

Et les bonnets phrygiens,

Ont livré sa crinière à un tondeur de chiens,

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A un tondeur de chiens.

J’aurais dû prendre un peu parti pour sa toison,

Parti pour sa toison,

J’aurais dû dire un mot pour sauver son chignon,

Pour sauver son chignon,

Mais je n’ai pas bougé du fond de ma torpeur,

Du fond de ma torpeur.

Les coupeurs de cheveux en quatre m’ont fait peur,

En quatre m’ont fait peur.

Quand, pire qu’une brosse, elle eut été tondu’,

Elle eut été tondu’,

J’ai dit: " C’est malheureux, ces accroche-coeur perdus,

Ces accroche-coeur perdus. "

Et, ramassant l’un d’eux qui traînait dans l’ornière,

Qui traînait dans l’ornière,

Je l’ai, comme une fleur, mis à ma boutonnière,

Mis à ma boutonnière.

En me voyant partir arborant mon toupet,

Arborant mon toupet,

Tous ces coupeurs de natt’s m’ont pris pour un suspect,

M’ont pris pour un suspect.

Comme de la patrie je ne mérite guère,

Je ne mérite guère,

J’ai pas la Croix d’honneur,

J’ai pas la croix de guerre,

J’ai pas la croix de guerre,

Et je n’en souffre pas avec trop de rigueur,

Avec trop de rigueur.

J’ai ma rosette à moi: c’est un accroche-coeur,

C’est un accroche-coeur.

Titre CD(?)

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2010

Le mouton de Panurge

Elle n’a pas encor de plumes

La flèch’ qui doit percer son flanc,

Et dans son coeur rien ne s’allume

Quand elle cède à ses galants.

Elle se rit bien des gondoles,

Des fleurs bleu’s, des galants discours,

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Des Vénus de la vieille école,

Cell’s qui font l’amour par amour.

N’allez pas croire davantage

Que le démon brûle son corps.

Il s’arrête au premier étage,

Son septième ciel, et encor

Elle n’est jamais langoureuse,

Passé’ par le pont des soupirs,

Et voit comm’ des bêtes curieuses,

Cell’s qui font l’amour par plaisir.

Croyez pas qu’elle soit à vendre.

Quand on l’a mise sur le dos,

On n’est pas tenu de se fendre

D’un somptueux petit cadeau.

Avant d’aller en bacchanale

Ell’ présente pas un devis,

Ell’ n’a rien de ces bell’s vénales,

Cell’s qui font l’amour par profit.

Mais alors, pourquoi cède-t-elle,

Sans coeur, sans lucre, sans plaisir?

Si l’amour vaut pas la chandelle,

Pourquoi le jou’-t-elle à loisir?

Si quiconque peut, sans ambages,

L’aider à dégrafer sa rob’,

C’est parc’ qu’ell’ veut être à la page,

Que c’est la mode et qu’elle est snob.

Mais changent coutumes et filles,

Un jour, peut-être, en son sein nu,

Va se planter pour tout’ la vie

Une petite flèch’ perdu’.

On n’ verra plus qu’elle en gondole,

Elle ira jouer, à son tour,

Les Vénus de la vieille école,

Cell’s qui font l’amour par amour.

Titre CD(?)

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2010

Vénus callipyge

Que jamais l’art abstrait, qui sévit maintenant,

N’enlève à vos attraits ce volume étonnant.

Au temps où les faux culs sont la majorité,

Gloire à celui qui dit toute la vérité!

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Votre dos perd son nom avec si bonne grâce,

Qu’on ne peut s’empêcher de lui donner raison.

Que ne suis-je, madame, un poète de race,

Pour dire à sa louange un immortel blason. (bis)

En le voyant passer, j’en eus la chair de poule,

Enfin, je vins au monde et, depuis, je lui vou’

Un culte véritable et, quand je perds aux boules,

En embrassant Fanny, je ne pense qu’à vous. (bis)

Pour obtenir, madame, un galbe de cet ordre,

Vous devez torturer les gens de votre entour,

Donner aux couturiers bien du fil à retordre,

Et vous devez crever votre dame d’atout. (bis)

C’est le duc de Bordeaux qui s’en va, tête basse,

Car il ressemble au mien comme deux gouttes d’eau,

S’il ressemblait au vôtre on dirait, quand il passe:

" C’est un joli garçon que le duc de Bordeaux! " (bis)

Ne faites aucun cas des jaloux qui professent

Que vous avez placé votre orgueil un peu bas,

Que vous présumez trop, en somme de vos fesses,

Et surtout, par faveur, ne vous asseyez pas! (bis)

Laissez-les raconter qu’en sortant de calèche

La brise a fait voler votre robe et qu’on vit,

Ecrite dans un coeur transpercé d’une flèche,

Cette expression triviale: "A Julot pour la vi’. " (bis)

Laissez-les dire encor qu’à la cour d’Angleterre,

Faisant la révérence aux souverains anglois,

Vous êtes, patatras! tombée assise à terre:

La loi d’ la pesanteur est dur’, mais c’est la loi. (bis)

Nul ne peut aujourd’hui trépasser sans voir Naples,

A l’assaut des chefs-d’oeuvre ils veulent tous courir!

Mes ambitions à moi sont bien plus raisonnables:

Voir votre académie, madame, et puis mourir. (bis)

Que jamais l’art abstrait, qui sévit maintenant,

N’enlève à vos attraits ce volume étonnant.

Au temps où les faux culs sont la majorité,

Gloire à celui qui dit toute la vérité!

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

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Concurrence déloyale

Il y’ a péril en la demeure,

Depuis que les femmes de bonnes moeurs,

Ces trouble-fête,

Jalouses de Manon Lescaut,

Viennent débiter leurs gigots

A la sauvette.

Ell’s ôtent le bonhomme de dessus

La brave horizontal’ déçu’,

Ell’s prennent sa place.

De la bouche au pauvre tapin

Ell’s retirent le morceau de pain,

C’est dégueulasse.

En vérité, je vous le dis,

Il y’ en a plus qu’en Normandie

Il y a de pommes.

Sainte-Mad’lein’, protégez-nous,

Le métier de femme ne nourrit plus son homme.

Y’ a ces gamines de malheur,

Ces goss’s qui, tout en suçant leur

Pouc’ de fillette,

Se livrent au détournement

De majeur et, vénalement,

Trouss’nt leur layette.

Y’ a ces rombièr’s de qualité,

Ces punais’s de salon de thé

Qui se prosternent,

Qui, pour redorer leur blason,

Viennent accrocher leur vison

A la lanterne.

Y’ a ces p’tit’s bourgeoises faux culs

Qui, d’accord avec leur cocu,

Clerc de notaire,

Au prix de gros vendent leur corps,

Leurs charmes qui fleurent encor

La pomm’ de terre.

Lors, délaissant la fill’ de joi’,

Le client peut faire son choix

Tout à sa guise,

Et se payer beaucoup moins cher

Des collégienn’s, des ménagèr’s,

Et des marquises.

Ajoutez à ça qu’aujourd’hui

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La mani’ de l’acte gratuit

Se développe,

Que des créatur’s se font cul-

-buter à l’oeil et sans calcul.

Ah! les salopes!

Ell’s ôt’nt le bonhomme de dessus

La brave horizontal’ déçu’,

Ell’s prennent sa place.

De la bouche au pauvre tapin

Ell’s retirent le morceau de pain,

C’est dégueulasse.

Titre CD(?)

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2010

Le bulletin de santé

J’ai perdu mes bajou’s, j’ai perdu ma bedaine,

Et, ce, d’une façon si nette, si soudaine,

Qu’on me suppose un mal qui ne pardonne pas,

Qui se rit d’Esculape et le laisse baba.

Le monstre du Loch Ness ne faisant plus recette

Durant les moments creux dans certaines gazettes,

Systématiquement, les nécrologues jou’nt,

À me mettre au linceul sous des feuilles de chou.

Or, lassé de servir de tête de massacre,

Des contes à mourir debout qu’on me consacre,

Moi qui me porte bien, qui respir’ la santé,

Je m’avance et je cri’ toute la vérité.

Toute la vérité, messieurs, je vous la livre

Si j’ai quitté les rangs des plus de deux cents livres,

C’est la faute à Mimi, à Lisette, à Ninon,

Et bien d’autres, j’ai pas la mémoire des noms.

Si j’ai trahi les gros, les joufflus, les obèses,

C’est que je baise, que je baise, que je baise

Comme un bouc, un bélier, une bête, une brut’,

Je suis hanté: le rut, le rut, le rut, le rut!

Qu’on me comprenne bien, j’ai l’âme du satyre

Et son comportement, mais ça ne veut point dire

Que j’en ai’ le talent, le géni’, loin s’en faut!

Pas une seule encor’ ne m’a crié " bravo! "

Entre autres fines fleurs, je compte, sur ma liste

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Rose, un bon nombre de femmes de journalistes

Qui, me pensant fichu, mettent toute leur foi

A m’donner du bonheur une dernière fois.

C’est beau, c’est généreux, c’est grand, c’est magnifique!

Et, dans les positions les plus pornographiques,

Je leur rends les honneurs à fesses rabattu’s

Sur des tas de bouillons, des paquets d’invendus.

Et voilà ce qui fait que, quand vos légitimes

Montrent leurs fesse’ au peuple ainsi qu’à vos intimes,

On peut souvent y lire, imprimés à l’envers,

Les échos, les petits potins, les faits divers.

Et si vous entendez sourdre, à travers les plinthes

Du boudoir de ces dam’s, des râles et des plaintes,

Ne dites pas: "C’est tonton Georges qui expire ",

Ce sont tout simplement les anges qui soupirent.

Et si vous entendez crier comme en quatorze:

"Debout! Debout les morts! " ne bombez pas le torse,

C’est l’épouse exalté’ d’un rédacteur en chef

Qui m’incite à monter à l’assaut derechef.

Certe’, il m’arrive bien, revers de la médaille,

De laisser quelquefois des plum’s à la bataille...

Hippocrate dit: " Oui, c’est des crêtes de coq",

Et Gallien répond "Non, c’est des gonocoqu’s... "

Tous les deux ont raison. Vénus parfois vous donne

De méchants coups de pied qu’un bon chrétien pardonne,

Car, s’ils causent du tort aux attributs virils,

Ils mettent rarement l’existence en péril.

Eh bien, oui, j’ai tout ça, rançon de mes fredaines.

La barque pour Cythère est mise en quarantaine.

Mais je n’ai pas encor, non, non, non, trois fois non,

Ce mal mystérieux dont on cache le nom.

Si j’ai trahi les gros, les joufflus, les obèses,

C’est que je baise, que je baise, que je baise

Comme un bouc, un bélier, une bête, une brut’,

Je suis hanté: le rut, le rut, le rut, le rut!

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Le moyenâgeux

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Le seul reproche, au demeurant,

Qu’aient pu mériter mes parents,

C’est d’avoir pas joué plus tôt

Le jeu de la bête à deux dos.

Je suis né, même pas bâtard,

Avec cinq siècles de retard.

Pardonnez-moi, Prince, si je

Suis foutrement moyenâgeux.

Ah! que n’ai-je vécu, bon sang

Entre quatorze et quinze cent.

J’aurais retrouvé mes copains

Au Trou de la pomme de pin,

Tous les beaux parleurs de jargon,

Tous les promis de Montfaucon,

Les plus illustres seigneuries

Du royaum’ de truanderie.

Après une franche repue,

J’eusse aimé, toute honte bue,

Aller courir le cotillon

Sur les pas de François Villon,

Troussant la gueuse et la forçant

Au cimetière des Innocents,

Mes amours de ce siècle-ci

N’en aient aucune jalousie...

J’eusse aimé le corps féminin

Des nonnettes et des nonnains

Qui, dans ces jolis temps bénis,

Ne disaient pas toujours "nenni",

Qui faisaient le mur du couvent,

Qui, Dieu leur pardonne! souvent,

Comptaient les baisers, s’il vous plaît,

Avec des grains de chapelet.

Ces p’tit’s soeurs, trouvant qu’à leur goût

Quatre Evangil’s c’est pas beaucoup,

Sacrifiaient à un de plus

L’évangile selon Vénus.

Témoin: l’abbesse de Pourras,

Qui fut, qui reste et restera

La plus glorieuse putain

De moines du quartier Latin.

A la fin, les anges du guet

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M’auraient conduit sur le gibet.

Je serais mort, jambes en l’air,

Sur la veuve patibulaire,

En arrosant la mandragore,

L’herbe aux pendus qui revigore,

En bénissant avec les pieds

Les ribaudes apitoyé’s.

Hélas! tout ça, c’est des chansons.

Il faut se faire une raison.

Les choux-fleurs poussent à présent

Sur le charnier des Innocents.

Le Trou de la pomme de pin

N’est plus qu’un bar américain.

Y’ a quelque chose de pourri

Au royaum’ de truanderi’.

Je mourrai pas à Montfaucon,

Mais dans un lit, comme un vrai con,

Je mourrai, pas même pendard,

Avec cinq siècles de retard.

Ma dernière parole soit

Quelques vers de Maître François,

Et que j’emporte entre les dents

Un flocon des neiges d’antan...

Ma dernière parole soit

Quelques vers de Maître François...

Pardonnez-moi, Prince, si je

Suis foutrement moyenâgeux.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

L’épave

J’en appelle à Bacchus! A Bacchus j’en appelle

Le tavernier du coin vient d’ me la bailler belle.

De son établissement j’étais l’ meilleur pilier.

Quand j’eus bu tous mes sous, il me mit à la porte

En disant: " Les poivrots, le diable les emporte! "

ça n’ fait rien, il y’a des bistrots bien singuliers...

Un certain va-nu-pieds qui passe et me trouve ivre

Mort, croyant tout de bon que j’ai cessé de vivre

(Vous auriez fait pareil), s’en prit à mes souliers.

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Pauvre homme! vu l’état piteux de mes godasses,

Je dout’ qu’il trouve avec son chemin de Damasse.

Ca n’ fait rien, il y’a des passants bien singuliers...!

Un étudiant miteux s’en prit à ma liquette

Qui, à la faveur d’la nuit lui’avait paru coquette,

Mais en plein jour ses yeux ont dû se dessiller.

Je l’ plains de tout mon coeur, pauvre enfant, s’il l’a mise,

Vu que, d’un homme heureux, c’était loin d’êtr’ la ch’mise.

Ca n’ fait rien, y’a des étudiants bien singuliers...

La femm’ d’un ouvrier s’en prit à ma culotte.

"Pas ça, madam’, pas ça, mille et un coups de bottes

Ont tant usé le fond que, si vous essayiez

D’ la mettre à votr’ mari, bientôt, je vous en fiche

Mon billet, il aurait du verglas sur les miches. "

Ca n’ fait rien, il y’a des ménages bien singuliers...

Et j’étais là, tout nu, sur le bord du trottoire

Exhibant, malgré moi, mes humbles génitoires.

Une petit’ vertu rentrant de travailler,

Elle qui, chaque soir, en voyait un’ douzaine,

Courut dire aux agents: " J’ai vu que’qu’ chos’ d’obscène! "

Ca n’ fait rien, il y’a des tapins bien singuliers...

Le r’présentant d’ la loi vint, d’un pas débonnaire.

Sitôt qu’il m’aperçut il s’écria: " Tonnerre!

On est en plein hiver et si vous vous geliez! "

Et, de peur que j’ n’attrape une fluxion d’ poitrine,

Le bougre, il me couvrit avec sa pèlerine.

Ca n’ fait rien, il y’a des flics bien singuliers...

Et depuis ce jour-là, moi, le fier, le bravache,

Moi, dont le cri de guerr’ fut toujours: "Mort aux vaches!"

Plus une seule fois je n’ai pu le brailler.

J’essaye bien encor, mais ma langue honteuse

Retombe lourdement dans ma bouche pâteuse.

Ca n’ fait rien, nous vivons un temps bien singulier...

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Le modeste

Les pays, c’est pas ça qui manque,

On vient au monde à Salamanque

A Paris, Bordeaux, Lille, Brest(e).

Lui, la nativité le prit

Du côté des Saintes-Maries,

C’est un modeste.

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Comme jadis a fait un roi,

Il serait bien fichu, je crois,

De donner le trône et le reste

Contre un seul cheval camarguais

Bancal, vieux, borgne, fatigué,

C’est un modeste.

Suivi de son pin parasol,

S’il fuit sans mêm’ toucher le sol

Le moindre effort comme la peste,

C’est qu’au chantier ses bras d’Hercule

Rendraient les autres ridicules,

C’est un modeste.

A la pétanque, quand il perd

Te fais pas de souci, pépère,

Si d’aventure il te conteste.

S’il te boude, s’il te rudoie,

Au fond, il est content pour toi,

C’est un modeste.

Si, quand un emmerdeur le met

En rogne, on ne le voit jamais

Lever sur l’homme une main leste.

C’est qu’il juge pas nécessaire

D’humilier un adversaire,

C’est un modeste.

Et quand il tombe amoureux fou

Y a pas de danger qu’il l’avoue

Les effusions, dame, il déteste.

Selon lui, mettre en plein soleil

Son coeur ou son cul c’est pareil,

C’est un modeste.

Quand on enterre un imbécile

De ses amis, s’il raille, s’il

A l’oeil sec et ne manifeste

Aucun chagrin, t’y fie pas trop:

Sur la patate, il en a gros,

C’est un modeste.

Et s’il te traite d’étranger

Que tu sois de Naples, d’Angers

Ou d’ailleurs, remets pas la veste.

Lui, quand il t’adopte, pardi!

Il veut pas que ce soit le dit,

C’est un modeste.

Si tu n’as pas tout du grimaud,

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Si tu sais lire entre les mots,

Entre les faits, entre les gestes.

Lors, tu verras clair dans son jeu,

Et que ce bel avantageux,

C’est un modeste.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Lèche-cocu

Comme il chouchoutait les maris,

Qu’il les couvrait de flatteries,

Quand il en pinçait pour leurs femmes,

Qu’il avait des cornes au cul,

On l’appelait lèche-cocu.

Oyez tous son histoire infâme.

Si l’mari faisait du bateau,

Il lui parlait de tirant d’eau,

De voiles, de mâts de misaine,

De yacht, de brick et de steamer,

Lui, qui souffrait du mal de mer

En passant les ponts de la Seine.

Si l’homme était un peu bigot,

Lui qui sentait fort le fagot,

Criblait le ciel de patenôtres,

Communiait à grand fracas,

Retirant même en certains cas

L’pain bénit d’la bouche d’un autre.

Si l’homme était sergent de ville,

En sautoir - mon Dieu, que c’est vil -

Il portait un flic en peluche,

Lui qui, sans ménager sa voix,

Criait: " Mort aux vaches " autrefois,

Même atteint de la coqueluche.

Si l’homme était un militant,

Il prenait sa carte à l’instant

Pour bien se mettre dans sa manche,

Biffant ses propres graffiti

Du vendredi, le samedi

Ceux du samedi, le dimanche.

Et si l’homme était dans l’armée,

Il entonnait pour le charmer:

" Sambre-et-Meuse " et tout le folklore,

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Lui, le pacifiste bêlant

Qui fabriquait des cerfs-volants

Avec le drapeau tricolore.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Les casseuses

Tant qu’elle a besoin du matou,

Ma chatte est tendre comme tout,

Quand elle est comblée, aussitôt

Ell’ griffe, ell’ mord, ell’ fait l’gros dos.

Refrain

Quand vous ne nous les caressez

Pas, chéries, vous nous les cassez.

Oubliez-les, si fair’ se peut,

Qu’ell’s se reposent.

Quand vous nous les dorlotez pas,

Vous nous les passez à tabac.

Oubliez-les, si fair’ se peut,

Qu’ell’s se reposent un peu,

Qu’ell’s se reposent.

Enamourée, ma femme est douce,

Mes amis vous le diront tous.

Après l’étreinte, en moins de deux

Ell’ r’devient un bâton merdeux.

Dans l’alcôve, on est bien reçus

Par la voisine du dessus.

Un’ fois son désir assouvi,

Ingrate, ell’ nous les crucifie.

Quand ell’ passe en revue les zouaves

Ma soeur est câline et suave.

Dès que s’achève l’examen,

Gare à qui tombe sous sa main.

Si tout le monde en ma maison

Reste au lit plus que de raison,

C’est pas qu’on soit lubriqu’s, c’est qu’il

Y’a guère que là qu’on est tranquilles.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

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Mélanie

Mélanie

Les chansons de salle de garde

Ont toujours été de mon goût,

Et je suis bien malheureux, car de

Nos jours on n’en crée plus beaucoup.

Pour ajouter au patrimoine

Folklorique des carabins, (bis)

J’en ai fait une, putain de moine,

Plaise à Dieu qu’elle plaise aux copains. (bis)

Ancienne enfant d’Marie-salope

Mélanie, la bonne au curé,

Dedans ses trompes de Fallope,

S’introduit des cierges sacrés.

Des cierges de cire d’abeille

Plus onéreux, mais bien meilleurs, (bis)

Dame! la qualité se paye

A Saint-Sulpice, comme ailleurs. (bis)

Quand son bon maître lui dit: " Est-ce

Trop vous demander Mélanie,

De n’user, par délicatesse,

Que de cierges non encor bénits? "

Du tac au tac, elle réplique

Moi, je préfère qu’ils le soient, (bis)

Car je suis bonne catholique

Elle a raison, ça va de soi. (bis)

Elle vous emprunte un cierge à Pâques

Vous le rend à la Trinité.

Non, non, non, ne me dites pas que

C’est normal de tant le garder.

Aux obsèques d’un con célèbre,

Sur la bière, ayant aperçu, (bis)

Un merveilleux cierge funèbre,

Elle partit à cheval dessus. (bis)

Son mari, pris dans la tempête

La Paimpolaise était en train

De vouer, c’était pas si bête,

Un cierge au patron des marins.

Ce pieux flambeau qui vacille

Mélanie se l’est octroyé, (bis)

Alors le saint, cet imbécile,

Laissa le marin se noyer. (bis)

Les bons fidèles qui désirent

Garder pour eux, sur le chemin

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Des processions, leur bout de cire

Doiv’nt le tenir à quatre mains,

Car quand elle s’en mêl’, sainte vierge,

Elle cause un désastre, un malheur. (bis)

La Saint-Barthélemy des cierges,

C’est le jour de la Chandeleur. (bis)

Souvent quand elle les abandonne,

Les cierges sont périmés;

La saint’ famill’ nous le pardonne

Plus moyen de les rallumer.

Comme ell’ remue, comme elle se cabre,

Comme elle fait des soubresauts, (bis)

En retournant au candélabre,

Ils sont souvent en p’tits morceaux. (bis)

Et comme elle n’est pas de glace,

Parfois quand elle les restitue

Et qu’on veut les remettre en place,

Ils sont complètement fondus.

Et comme en outre elle n’est pas franche,

Il arrive neuf fois sur dix (bis)

Qu’sur un chandelier à sept branches

Elle n’en rapporte que six. (bis)

Mélanie à l’heure dernière

A peu de chances d’être élue;

Aux culs bénits de cett’ manière

Aucune espèce de salut.

Aussi, chrétiens, mes très chers frères,

C’est notre devoir, il est temps, (bis)

De nous employer à soustraire

Cette âme aux griffes de Satan. (bis)

Et je propose qu’on achète

Un cierge abondamment béni

Qu’on fera brûler en cachette

En cachette de Mélanie.

En cachette car cette salope

Serait fichue d’se l’enfoncer (bis)

Dedans ses trompes de Fallope,

Et tout s’rait à recommencer. (bis)

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Montélimar

Avec leurs gniards

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Mignons mignards,

Leur beau matou,

Leur gros toutou,

Les pharisiens,

Les béotiens,

Les aoûtiens,

Dans leur auto,

Roulent presto,

Tombeau ouvert,

Descendant vers

La grande mare,

En passant par

Montélimar.

Refrain

Dites d’urgence

A ces engeances

De malheur

Et à leurs

Gniards

Que chiens, chats

N’aiment

Pas l’ nougat

Même

Même celui

D’Montélimar.

Hélas bientôt

Le mal d’auto

Va déranger

Les passagers.

Le beau matou,

Le gros toutou,

Pas fiers du tout

- Ça fait frémir -

S’en vont vomir

Et même pis

Sur les tapis

Et les coussins

A beaux dessins,

C’est très malsain.

C’est très fâcheux,

C’est plus du jeu,

Et coetera.

Et alors à

Montélimar,

On en a marre

Du cauchemar.

Boutant presto

Hors de l’auto

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Le beau matou,

Le gros toutou,

Ces handicaps

Sur Digne, Gap,

On met le cap.

Alors tous ces

Petits poucets,

Ces beaux matous,

Ces gros toutous,

En ribambelle

Ont sans appel

Droit au scalpel.

Les aoûtiens

Les béotiens

Qui font ça n’ont

Pas d’âme, non,

Que leur auto

Bute presto

Contre un poteau!s

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Tempête dans un bénitier

Tempête dans un bénitier,

Le souverain pontife avecque

Les évêques, les archevêques,

Nous font un satané chantier.

Ils ne savent pas ce qu’ils perdent,

Tous ces fichus calotins,

Sans le latin, sans le latin,

La messe nous emmerde.

A la fête liturgique,

Plus de grand’s pompes, soudain,

Sans le latin, sans le latin,

Plus de mystère magique.

Le rite qui nous envoûte

S’avère alors anodin,

Sans le latin, sans le latin,

Et les fidèl’s s’en foutent.

0 très Sainte Marie mèr’ de

Dieu, dites à ces putains

De moines qu’ils nous emmerdent

Sans le latin.

Je ne suis pas le seul, morbleu!

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Depuis que ces règles sévissent,

A ne plus me rendre à l’office

Dominical que quand il pleut.

Ils ne savent pas ce qu’ils perdent

Tous ces fichus calotins,

Sans le latin, sans le latin,

La messe nous emmerde.

En renonçant à l’occulte,

Faudra qu’ils fassent tintin,

Sans le latin, sans le latin,

Pour le denier du culte.

A la saison printanière

Suisse, bedeau, sacristain,

Sans le latin, sans le latin

F’ront l’églis’ buissonnière,

0 très Sainte Marie mèr’ de

Dieu, dites à ces putains

De moines qu’ils nous emmerdent

Sans le latin.

Ces oiseaux sont des enragés,

Ces corbeaux qui scient, rognent, tranchent

La saine et bonne vieille branche

De la croix où ils sont perchés.

Ils ne savent pas ce qu’ils perdent,

Tous ces fichus calotins,

Sans le latin, sans le latin,

La messe nous emmerde.

Le vin du sacré calice

Se change en eau de boudin,

Sans le latin, sans le latin

Et ses vertus faiblissent.

A Lourdes, Sète ou bien Parme,

Comme à Quimper, Corentin,

Le presbytère sans le latin

A perdu de son charme.

0 très Sainte Marie mèr’ de

Dieu, dites à ces putains

De moines qu’il-, nous emmerdent

Sans le latin.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Bécassine

Un champ de blé prenait racine

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Sous la coiffe de Bécassine,

Ceux qui cherchaient la toison d’or

Ailleurs avaient bigrement tort.

Tous les seigneurs du voisinage,

Les gros bonnets, grands personnages,

Rêvaient de joindre à leur blason

Une boucle de sa toison.

Un champ de blé prenait racine

Sous la coiffe de Bécassine.

C’est une espèce de robin,

N’ayant pas l’ombre d’un lopin,

Qu’elle laissa pendre, vainqueur,

Au bout de ses accroche-coeurs.

C’est une sorte de manant,

Un amoureux du tout-venant

Qui pourra chanter la chanson

Des blés d’or en toute saison

Et jusqu’à l’heure du trépas,

Si le diable s’en mêle pas.

Au fond des yeux de Bécassine

Deux pervenches prenaient racine,

Si belles que Sémiramis

Ne s’en est jamais bien remis’.

Et les grands noms à majuscules,

Les Cupidons à particules

Auraient cédé tous leurs acquêts

En échange de ce bouquet.

Au fond des yeux de Bécassine

Deux pervenches prenaient racine.

C’est une espèce de gredin,

N’ayant pas l’ombre d’un jardin,

Un soupirant de rien du tout

Qui lui fit faire les yeux doux.

C’est une sorte de manant,

Un amoureux du tout-venant

Qui pourra chanter la chanson

Des fleurs bleu’s en toute saison

Et jusqu’à l’heure du trépas,

Si le diable s’en mêle pas.

A sa bouche, deux belles guignes,

Deux cerises tout à fait dignes,

Tout à fait dignes du panier

De madame de Sévigné.

Les hobereaux, les gentillâtres,

Tombés tous fous d’elle, idolâtres,

Auraient bien mis leur bourse à plat

Pour s’offrir ces deux guignes-là,

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Tout à fait dignes du panier

De madame de Sévigné.

C’est une espèce d’étranger,

N’ayant pas l’ombre d’un verger,

Qui fit s’ouvrir, qui étrenna

Ses joli’s lèvres incarnat.

C’est une sorte de manant,

Un amoureux du tout-venant

Qui pourra chanter la chanson

Du temps des ceris’s en tout’ saison

Et jusqu’à l’heure du trépas,

Si le diable s’en mêle pas.

C’est une sorte de manant,

Un amoureux du tout-venant

Qui pourra chanter la chanson

Du temps des ceris’s en tout’ saison

Et jusqu’à l’heure du trépas,

Si le diable s’en mêle pas.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

La religieuse

Tous les coeurs se rallient à sa blanche cornette,

Si le chrétien succombe à son charme insidieux,

Le païen le plus sûr, l’athé’ le plus honnête

Se laisseraient aller parfois à croire en Dieu.

Et les enfants de choeur font tinter leur sonnette...

Il paraît que, dessous sa cornette fatale

Qu’elle arbore à la messe avec tant de rigueur,

Cette petite soeur cache, c’est un scandale!

Une queu’ de cheval et des accroche-coeurs.

Et les enfants de choeur s’agitent dans les stalles...

Il paraît que, dessous son gros habit de bure,

Elle porte coquettement des bas de soi’,

Festons, frivolités, fanfreluches, guipures,

Enfin tout ce qu’il faut pour que le diable y soit.

Et les enfants de choeur ont des pensées impures...

Il paraît que le soir, en voici bien d’une autre!

A l’heure où ses consoeurs sont sagement couché’s

Ou débitent pieusement des patenôtres,

Elle se déshabille devant sa psyché.

Et les enfants de choeur ont la fièvre, les pauvres...

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Il paraît qu’à loisir elle se mire nue,

De face, de profil, et même, hélas! de dos,

Après avoir, sans gêne, accroché sa tenue

Aux branches de la croix comme au portemanteau.

Chez les enfants de choeur le malin s’insinue...

Il paraît que, levant au ciel un oeil complice,

Ell’ dit: "Bravo, Seigneur, c’est du joli travail! "

Puis qu’elle ajoute avec encor plus de malice:

"La cambrure des reins, ça, c’est une trouvaille! "

Et les enfants de choeur souffrent un vrai supplice...

Il paraît qu’à minuit, bonne mère, c’est pire:

On entend se mêler, dans d’étranges accords,

La voix énamouré’ des anges qui soupirent

Et celle de la soeur criant " Encor! Encor! "

Et les enfants de choeur, les malheureux, transpirent...

Et monsieur le curé, que ces bruits turlupinent,

Se dit avec raison que le brave Jésus

Avec sa tête, hélas! déjà chargé’ d’épines,

N’a certes pas besoin d’autre chose dessus.

Et les enfants de choeur, branlant du chef, opinent...

Tout ça, c’est des faux bruits, des ragots, des sornettes,

De basses calomni’s par Satan répandu’s.

Pas plus d’accroche-coeurs sous la blanche cornette

Que de queu’ de cheval, mais un crâne tondu.

Et les enfants de choeur en font, une binette...

Pas de troubles penchants dans ce coeur rigoriste,

Sous cet austère habit pas de rubans suspects.

On ne verra jamais la corne au front du Christ,

Le veinard sur sa croix peut s’endormir en paix,

Et les enfants de choeur se masturber, tout tristes...

L’ancêtre CD(?)

Notre voisin l’ancêtre était un fier

galant

Qui n’emmerdait personne avec sa

barbe blanche,

Et quand le bruit courut qu’ ses jours étaient

comptés,

On s’en fut à l’hospice afin de l’assister.

On avait apporté les guitar’s avec nous

Car, devant la musique, il tombait à

genoux,

Excepté toutefois les marches militaires

Il vecchio

Il nostro vicino, il vecchio, era un fiero

dongiovanni

che non rompeva la scatole a nessuno con la sua

barba bianca,

e quando girò la voce che i suoi giorni erano

contati

ci precipitammo all’ospizio per assisterlo.

Avevamo portato le chitarre con noi

poiché, davanti alla musica, cadeva in

ginocchio,

con l’eccezione delle marce militari,

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Qu’il écoutait en se tapant le cul par terre. (bis)

Émules de Django, disciples de Crolla,

Toute la fine fleur des cordes était là

Pour offrir à l’ancêtre, en signe d’affection,

En guis’ de viatique,

une ultime audition. (bis)

Hélas! les carabins ne les ont pas reçu’s,

Les guitar’s sont resté’s à la porte cochère,

Et le dernier concert de l’ancêtre déçu

Ce fut un pot-pourri de cantiques, peuchère!

Quand nous serons ancêtres,

Du côté de Bicêtre,

Pas de musique d’orgue, oh! non,

Pas de chants liturgiques

Pour qui aval’ sa chique,

Mais des guitar’s, cré nom de nom! (bis)

On avait apporté quelques litres

aussi,

Car le bonhomme avait la fièvre de

Bercy

Et les soirs de nouba, parol’ de tavernier,

À rouler sous la table il était le dernier. (bis)

Saumur, Entre-deux-mers, Beaujolais, Marsala,

Toute la fine fleur de la vigne était là

Pour offrir à l’ancêtre, en signe d’affection,

En guis’ de viatique,

une ultime libation. (bis)

Hélas! les carabins ne les ont pas reçus,

Les litres sont restés à la porte cochère,

Et l’ coup de l’étrier de l’ancêtre déçu

Ce fut un grand verre d’eau bénite,

peuchère!

Quand nous serons ancêtres,

Du côté de Bicêtre,

Ne nous faites pas boire, oh! non,

De ces eaux minéral’s, bénites ou lustrales,

Mais du bon vin, cré nom de nom! (bis)

On avait emmené les belles du quartier,

Car l’ancêtre courait la gueuse volontiers.

De sa main toujours leste et digne cependant

Il troussait les jupons par n’importe quel

temps. (bis)

che ascoltava sbellicandosi dalle risate. (bis)

Emuli di Django, discepoli di Crolla,

tutti i migliori talenti della chitarra erano là

per offrire al vecchio, in segno di affetto,

come una specie di estrema unzione,

un’ultima audizione. (bis)

Ahimé i dottori non le hanno fatte entrare,

le chitarre sono rimaste al portone,

e l’ultimo concerto del vecchio deluso

fu un miscuglio di cantici... poveretto!

Quando saremo vecchi,

dalle parti di Bicêtre,

niente musica di organo, oh no!

Niente canti liturgici

per chi sta per tirare le cuoia...

invece, chitarre, perdinci! (bis)

Avevamo portato anche qualche litro di quello

buono,

poiché il brav’uomo aveva la passione per il

vino

e le serate di baldoria, parola di taverniere,

a rotolare sotto i tavoli era l’ultimo. (bis)

Saumur, Entre-deux-mers, Beaujolais, Marsala,

tutti i migliori elisir della vite erano là

per offrire al vecchio, in segno di affetto,

come una specie di estrema unzione,

un’ultima libazione. (bis)

Ahimé i dottori non li hanno fatti entrare,

i litri sono rimasti al portone,

e il bicchiere della staffa del vecchio deluso

fu un gran bicchiere di acqua benedetta...

poveretto!

Quando saremo vecchi,

dalle parti di Bicêtre,

non fateci bere, oh no!

queste acque minerali, benedette o lustrali...

invece, del buon vino, perdinci! (bis)

Avevamo portato le belle del quartiere,

poiché il vecchio correva volentieri la cavallina:

con la mano veloce, eppure dignitosamente,

sollevava le gonne con qualsiasi

tempo. (bis)

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Depuis Manon Lescaut jusques à Dalila

Toute la fine fleur du beau sexe était là

Pour offrir à l’ancêtre, en signe d’affection,

En guis’ de viatique,

une ultime érection. (bis)

Hélas! les carabins ne les ont pas reçu’s,

Les belles sont restées à la porte cochère,

Et le dernier froufrou de l’ancêtre déçu

Ce fut celui d’une robe de soeur, peuchère!

Quand nous serons ancêtres,

Du côté de Bicêtre,

Pas d’enfants de Marie, oh! non,

Remplacez-nous les nonnes

Par des belles mignonnes

Et qui fument, cré nom de nom! (bis)

?

Da Manon Lescaut fino a Dalila,

tutti i migliori esemplari del gentil sesso erano là

per offrire al vecchio, in segno di affetto,

come una specie di estrema unzione,

un’ultima erezione. (bis)

Ahimé i dottori non le hanno fatte entrare,

le belle sono rimaste al portone,

e l’ultimo fruscìo del vecchio deluso

fu quello d’una tonaca di suora... poveretto!

Quando saremo vecchi,

dalle parti di Bicêtre,

niente figli di Maria, oh no!

Sostituiteci le monache

con delle belle graziose...

e di quelle che fumano, perdinci! (bis)

2010

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texte

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Titolo

testo

2010

Sale petit bonhomme

Sale petit bonhomme, il ne portait plus d’ailes,

Plus de bandeau sur l’œil et d’un huissier modèle,

Arborait les sombres habits

Dès qu’il avait connu le krach, la banqueroute

De nos affaires de coeur, il s’était mis en route

Pour recouvrer tout son fourbi.

Pas plus tôt descendu de sa noire calèche,

Il nous a dit: "je viens récupérer mes flèches

Maintenant pour vous superflu’s. "

Sans une ombre de peine ou de mélancolie,

On l’a vu remballer la vaine panoplie

Des amoureux qui ne jouent plus.

Avisant, oublié’, la pauvre marguerite

Qu’on avait effeuillé’, jadis, selon le rite,

Quand on s’aimait un peu, beaucoup,

L’un après l’autre, en place, il remit les pétales;

La veille encore, on aurait crié au scandale,

On lui aurait tordu le cou.

Il brûla nos trophé’s, il brûla nos reliques,

Nos gages, nos portraits, nos lettres idylliques,

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Bien belle fut la part du feu.

Et je n’ai pas bronché, pas eu la mort dans l’âme,

Quand, avec tout le reste, il passa par les flammes

Une boucle de vos cheveux.

Enfin, pour bien montrer qu’il faisait table rase,

Il effaça du mur l’indélébile phrase:

"Paul est épris de Virginie. "

De Virgini’, d’Hortense ou bien de Caroline,

J’oubli’ presque toujours le nom de l’héroïne

Quand la comédie est finie.

"Faut voir à pas confondre amour et bagatelle,

A pas trop mélanger la rose et l’immortelle,

Qu’il nous a dit en se sauvant,

A pas traiter comme une affaire capitale

Une petite fantaisie sentimentale

Plus de crédit dorénavant. "

Ma mi’, ne prenez pas ma complainte au tragique.

Les raisons qui, ce soir, m’ont rendu nostalgique,

Sont les moins nobles des raisons,

Et j’aurais sans nul doute enterré cette histoire

Si, pour renouveler un peu mon répertoire

Je n’avais besoin de chansons.

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Ceux qui ne pensent pas comme nous

Quand on n’est pas d’accord avec le fort en thème

Qui, chez les sorbonnards, fit ses humanités,

On murmure in petto: "C’est un vrai Nicodème,

Un balourd, un bélître, un bel âne bâté."

Moi qui pris mes leçons chez l’engeance argotique,

Je dis en l’occurrence, excusez le jargon,

Si la forme a changé le fond reste identique:

"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."

Refrain

Entre nous soit dit, bonnes gens,

Pour reconnaître

Que l’on n’est pas intelligent,

Il faudrait l’être.

Entre nous soit dit, bonnes gens,

Pour reconnaître

Que l’on n’est pas intelligent,

Il faudrait l’être.

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Jouant les ingénus, le père de Candide,

Le génial Voltaire, en substance écrivit

Qu’il souffrait volontiers - complaisance splendide -

Que l’on ne se conformât point à son avis.

"Vous proférez, Monsieur, des sottises énormes,

Mais jusques à la mort, je me battrais pour qu’on

Vous les laissât tenir. Attendez-moi sous l’orme!"

"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."

(Au Refrain)

Si ça n’entraîne pas une guerre civile

Quand un fâcheux me contrarie, c’est - soyons francs -

Un peu par sympathie, par courtoisie servile,

Un peu par vanité d’avoir l’air tolérant,

Un peu par crainte aussi que cette grosse bête

Prise à rebrousse-poil ne sorte de ses gonds

Pour mettre à coups de poing son credo dans ma tête.

"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."

(Au Refrain)

La morale de ma petite ritournelle,

Il semble superflu de vous l’expliciter.

Elle coule de source, elle est incluse en elle:

Faut choisir entre deux éventualités.

En fait d’alternative, on fait pas plus facile.

Ceux qui l’aiment, parbleu, sont des esprits féconds,

Ceux qui ne l’aiment pas, de pauvres imbéciles.

"Ceux qui ne pensent pas comme nous sont des cons."

(Au Refrain)

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Titolo

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2010

La nymphomane

Mânes de mes aïeux, protégez-moi, bons mânes!

Les joies charnell’s me perdent,

La femme de ma vie, hélas! est nymphomane,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Sous couleur de me donner une descendance,

Les joies charnell’s me perdent,

Dans l’alcôve ell’ me fait passer mon existence,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

J’ai beau demander grâce, invoquer la migraine,

Les joies charnell’s me perdent,

Sur l’autel conjugal, implacable, ell’ me traîne,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

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Et je courbe l’échine en déplorant, morose,

Les joies charnell’s me perdent,

Qu’on trouv’ plus les enfants dans les choux, dans les roses,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Et je croque la pomme, après quoi, je dis pouce.

Les joies charnell’s me perdent,

Quand la pomme est croquée, de plus belle ell’ repousse,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Métamorphose inouïe, métempsycose infâme,

Les joies charnell’s me perdent,

C’est le tonneau des Danaïd’s changé en femme,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

J’en arrive à souhaiter qu’elle se dévergonde,

Les joies charnell’s me perdent,

Qu’elle prenne un amant ou deux qui me secondent,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Or, malheureusement, la bougresse est fidèle,

Les joies charnell’s me perdent,

Pénélope est une roulure à côté d’elle,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Certains à coups de dents creusent leur sépulture,

Les joies charnell’s me perdent,

Moi j’use d’un outil de tout autre nature,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Après que vous m’aurez emballé dans la bière,

Les joies charnell’s me perdent,

Prenez la précaution de bien sceller la pierre,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Car, même mort, je devrais céder à ses rites,

Les joies charnell’s me perdent,

Et mes os n’auraient pas le repos qu’ils méritent,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Qu’on m’incinère plutôt! Ell’ n’os’ra pas descendre,

Les joies charnell’s me perdent,

Sacrifier à Vénus, avec ma pauvre cendre,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

Mânes de mes aïeux, protégez-moi, bons mânes!

Les joies charnell’s me perdent,

La femme de ma vie, hélas! est nymphomane,

Les joies charnell’s m’emmerdent. (bis)

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Titolo

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2010

La visite

On n’était pas des Barbe-Bleue,

Ni des pelés, ni des galeux,

Porteurs de parasites.

On n’était pas des spadassins,

On venait du pays voisin,

On venait en visite.

On n’avait aucune intention

De razzia, de déprédation,

Aucun but illicite.

On venait pas piller chez eux,

On venait pas gober leurs oeufs,

On venait en visite.

On poussait pas des cris d’Indiens,

On avançait avec maintien

Et d’un pas qui hésite.

On braquait pas des revolvers,

On arrivait les bras ouverts,

On venait en visite.

Mais ils sont rentrés dans leurs trous,

Mais ils ont poussé les verrous

Dans un accord tacite.

Ils ont fermé les contrevents,

Caché les femmes, les enfants,

Refusé la visite.

On venait pas les sermonner,

Tenter de les endoctriner,

Pas leur prendre leur site.

On venait leur dire en passant,

Un petit bonjour innocent,

On venait en visite.

On venait pour se présenter,

On venait pour les fréquenter,

Pour qu’ils nous plébiscitent,

Dans l’espérance d’être admis

Et naturalisés amis,

On venait en visite.

Par malchance, ils n’ont pas voulu

De notre amitié superflue

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Que rien ne nécessite.

Et l’on a refermé nos mains,

Et l’on a rebroussé chemin,

Suspendu la visite

(Coda)

Suspendu la visite.

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Titolo

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2010

Le passéiste

Tant pis si j’ai l’air infantile,

Mais, par ma foi!

Ma phrase d’élection c’est: "Il

Etait une fois"

Et dans les salons où l’on cause,

Tant pis si on

Fait le procès de ma morose

Délectation.

Sitôt que je perds contenance

Au temps qui court,

Lors, j’appelle les souvenances

A mon secours.

Ne vous étonnez pas, ma chère,

Si vous trouvez

Les vers de jadis et naguère

A mon chevet.

Quitte à froisser la marguerite,

Faut que je dise

Que tu es ma fleur favorite,

Myosotis.

Si les neiges d’antan sont belles,

C’est qu’ les troupeaux

De bovins posent plus sur elles

Leurs gros sabots.

Au royaume des vieilles lunes,

Que Copernic

M’excuse, pas d’ombre importune,

Pas de spoutnik!

Le feu des étoiles éteintes

M’éclaire encore,

Et j’entends l’Angélus qui tinte

Aux clochers morts.

Que les ans rongent mes grimoires,

Ca ne fait rien,

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Mais qu’ils épargnent ma mémoire,

Mon plus cher bien!

Que Dieu me frappe d’aphasie,

D’influenza,

Mais qu’il m’évite l’amnésie,

Tout, mais pas ça!

Tant pis si j’ai l’air infantile,

Mais, par ma foi!

Ma phrase d’élection c’est: "Il

Etait une fois."

Tant pis si j’ai l’air infantile,

Mais, par ma foi!

Ma phrase d’élection c’est: "Il

Etait une fois."

Titre CD(?)

texte

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Titolo

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2010

Le vieux Normand

Depuis que je commence à faire de vieux os,

Avide de conseils, souvent un jouvenceau

Me demande la marche à suivre et s’il est bon

D’aller par-ci, par-là, scrupuleux je réponds:

Refrain

Crosse en l’air ou bien fleur au fusil,

C’est à toi d’en décider, choisis!

A toi seul de trancher s’il vaut mieux

Dire "amen" ou "merde à Dieu".

Et le brave petit blâme ma position,

M’accuse de danser la valse hésitation.

Cet âge exècre l’attitude des Normands,

Les seuls à lui parler en fait honnêtement.

(Au Refrain)

Facile d’entraîner de jeunes innocents!

Puisqu’il est interdit d’interdire à présent,

Lors, en bonne justice, il est déconseillé

De donner des conseils, surtout s’ils sont payés.

(Au Refrain)

A gauche, à droite, au centre ou alors à l’écart,

Je ne puis t’indiquer où tu dois aller, car

Moi le fil d’Ariane me fait un peu peur

Et je ne m’en sers plus que pour couper le beurre.

(Au Refrain)

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Quand tous les rois Pétaud crient "Viv’ la république",

Que "Mort aux vaches" même est un slogan de flic,

Que l’on parle de paix le cul sur des canons,

Bienheureux celui qui s’y retrouve, moi non!

(Au Refrain)

La vérité d’ailleurs flotte au gré des saisons.

Tout fier dans son sillage, on part, on a raison.

Mais au cours du voyage, elle a viré de bord,

Elle a changé de cap, on arrive: on a tort.

(Au Refrain)

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Méchante avec de jolis seins

Hélas, si j’avais pu deviner que vos avantages

Cachaient sournoisement, madame, une foison d’oursins,

J’eusse borné mon zèle à d’innocents marivaudages.

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,

Si méchante avec de jolis seins?

J’eusse borné mon zèle à d’innocents marivaudages,

Ma main n’eût pas quitté même un instant le clavecin.

Je me fusse permis un madrigal, pas davantage.

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,

Si méchante avec de jolis seins?

Quand on a comme vous reçu tant de grâce en partage,

C’est triste au fond du coeur de rouler d’aussi noirs desseins.

Vous gâchez le métier de belle, et c’est du sabotage.

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,

Si méchante avec de jolis seins?

Vous gâchez le métier de belle, et c’est du sabotage,

Et je succombe ou presque sous votre charme assassin,

Moi qui vais tout à l’heure atteindre à la limite d’âge.

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,

Si méchante avec de jolis seins?

Moi qui vais tout à l’heure atteindre à la limite d’âge,

Mon ultime recours c’est d’entrer chez les capucins,

Car vous m’avez détruit, anéanti comme Carthage.

Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins?

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Se peut-il qu’on soit si méchante avec de jolis seins,

Si méchante avec de jolis seins?

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Titolo

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2010

Quand les cons sont braves

Sans être tout à fait un imbécile fini,

Je n’ai rien du penseur, du phénix, du génie.

Mais je n’ suis pas le mauvais bougre et j’ai bon coeur,

Et ça compense à la rigueur.

Refrain

Quand les cons sont braves

Comme moi,

Comme toi,

Comme nous,

Comme vous,

Ce n’est pas très grave.

Qu’ils commettant,

Se permettent

Des bêtises,

Des sottises,

Qu’ils déraisonnent,

Ils n’emmerdent personne.

Par malheur sur terre

Les trois quarts

Des tocards

Sont des gens

Très méchants,

Des crétins sectaires.

Ils s’agitant,

Ils s’excit’nt,

Ils s’emploient,

Ils déploient

Leur zèle à la ronde,

Ils emmerdent tout l’ monde.

Si le sieur X était un lampiste ordinaire,

Il vivrait sans histoir’s avec ses congénères.

Mais hélas! il est chef de parti, l’animal:

Quand il débloque, ça fait mal!

(Au Refrain)

Si le sieur Z était un jobastre sans grade,

Il laisserait en paix ses pauvres camarades.

Mais il est général, va-t-en-guerr’, matamore.

Dès qu’il s’en mêle, on compt’ les morts.

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(Au Refrain)

Mon Dieu, pardonnez-moi si mon propos vous fâche

En mettant les connards dedans des peaux de vaches,

En mélangeant les genr’s, vous avez fait d’ la terre

Ce qu’elle est: une pétaudière!

(Au Refrain)

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Ce n’est pas tout d’être mon père

Du fait qu’un couple de fieffés

Minables a pris le café

Du pauvre, on naît et nous voilà

Contraints d’estimer ces gens-là.

Parc’ qu’un minus de cinq à sept

Chevauche une pauvre mazette

Qui resta froide, sortit du

Néant un qui n’aurait pas dû.

Refrain

Ce n’est pas tout d’être mon père,

Il faut aussi me plaire.

Êtr’ mon fils ce n’est pas tout,

Il faut me plaire itou.

Trouver son père sympathique,

C’est pas automatique.

Avoir un fils qui nous agrée,

Ce n’est pas assuré.

Quand on s’avise de venir

Sur terre, il faut se prémunir

Contre la tentation facile

D’être un rejeton d’imbécile.

Ne pas mettre au monde un connard,

C’est malcommode et c’est un art

Que ne pratique pas souvent

La majorité des vivants.

(Au Refrain)

L’enfant naturel, l’orphelin

Est malheureux et je le plains,

Mais, du moins, il n’est pas tenu

Au respect d’un père inconnu.

Jésus, lui, fut plus avisé,

Et plutôt que de s’exposer

A prendre un crétin pour papa,

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Il aima mieux n’en avoir pas.

(Au Refrain)

C’est pas un compte personnel

Que je règle ; mon paternel,

Brave vieux, me plaisait beaucoup,

Etait tout à fait à mon goût.

Quant à moi qui, malgré des tas

De galipettes de fada,

N’ai point engendré de petits,

J’ n’ai pas pu faire d’abrutis.

(Au Refrain)

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Clairette et la fourmi

J’étais pas l’amant de Clairette,

Mais son ami.

De jamais lui conter fleurette

J’avais promis.

Un jour qu’on cardait ses chevrettes

Aux champs, parmi

L’herbe tendre et les pâquerettes,

Elle s’endormit.

L’herbe tendre et les pâquerettes,

Elle s’endormit.

Durant son sommeil, indiscrète,

Une fourmi

Se glissa dans sa collerette,

Quelle infamie!

Moi, pour secourir la pauvrette,

Vite je mis

Ma patte sur sa gorgerette:

Elle a blêmi.

Ma patte sur sa gorgerette:

Elle a blêmi.

Crime de lèse-bergerette

J’avais commis.

Par des gifles que rien n’arrête

Je suis puni,

Et pas des gifles d’opérette,

Pas des demies.

J’en ai gardé belle lurette

Le cou démis.

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J’en ai gardé belle lurette

Le cou démis.

Quand j’ai tort, moi, qu’on me maltraite,

D’accord, admis!

Mais quand j’ai rien fait, je regrette,

C’est pas permis.

Voilà qu’à partir je m’apprête

Sans bonhomie,

C’est alors que la guillerette

Prend l’air soumis.

C’est alors que la guillerette

Prend l’air soumis.

Elle dit, baissant les mirettes:

"C’est moi qui ai mis,

Au-dedans de ma collerette,

Cette fourmi."

Les clés de ses beautés secrètes

Ell’ m’a remis.

Le ciel me tombe sur la crête

Si l’on dormit.

Le ciel me tombe sur la crête

Si l’on dormit.

Je suis plus l’ami de Clairette,

Mais son promis.

Je ne lui contais pas fleurette,

Je m’y suis mis.

De jour en jour notre amourette

Se raffermit.

Dieu protège les bergerettes

Et les fourmis!

Dieu protège les bergerettes

Et les fourmis!

Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Entre la rue Didot et la rue de Vanves

Voici ce qu’il advint jadis grosso modo

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

Dans les années quarante

Où je débarquais de mon Languedo,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

Passait un’ bell’ gretchen au carrefour du château,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

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Callipyge à prétendre

Jouer les Vénus chez les Hottentots,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

En signe d’irrespect, je balance aussitôt,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

En geste de revanche,

Une patte croche au bas de son dos,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

La souris gris’ se fâche et subito presto,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

La conne, la méchante,

Va d’mander ma tête à ses p’tits poteaux,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

Deux sbires sont venus avec leurs noirs manteaux,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

Se pointer dans mon antre

Et sûrement pas pour m’ fair’ de cadeaux,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

J’étais alors en train de suer sang et eau,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

De m’user les phalanges

Sur un chouette accord du père Django,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

Par un heureux hasard, ces enfants de salauds,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

Un sacré coup de chance,

Aimaient la guitare et les trémolos,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

Ils s’en sont retournés sans finir leur boulot,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

Fredonnant un mélange

De Lily Marlène et d’Heili Heilo,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

Une supposition: qu’ils aient comme Malraux,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

Qu’ils aient comme ce branque

Compté la musique pour moins que zéro,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot,

M’auraient collé au mur avec ou sans bandeau,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

On lirait, quell’ navrance!

Mon blase inconnu dans un ex-voto,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot.

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207

Au théâtre, ce soir, ici sur ces tréteaux,

Entre la rue Didot et la rue de Vanves,

Poussant une autr’ goualante,

Y aurait à ma place un autre cabot,

Entre la rue de Vanv’s et la rue Didot. (bis)

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Entre l’Espagne et l’Italie

Le géographe était pris de folie,

Quand il imagina de tendre,

Tout juste entre l’Espagne et l’Italie,

Ma carte du Tendre.

Refrain

Avec moi Cupidon se surmène.

Dans mon coeur d’artichaut il piqua

Deux flèches: l’une au nom de Carmen(e),

La seconde au nom de Francesca.

Les soirs de bal, j’enlace tour à tour,

Je fais danser chacune d’elles:

Un pied pour la séguedille, un pied pour

La gaie tarentelle.

(Au Refrain)

Sans guère songer à ce que demain

Le coquin de sort me destine,

J’avance en tenant ferme à chaque main

Mes deux soeurs latines.

(Au Refrain)

Si jamais l’une d’ell’s un jour apprend

Qu’elle n’est pas tout à fait seule,

J’ai plus qu’à courir chez le tisserand

Choisir un linceul.

(Au Refrain)

On me verrait pris dans cette hypothèse

Entre deux mégères ardentes,

Entre deux feux: l’enfer de Cervantès

Et l’enfer de Dante!

(A Refrain)

Devant la faucheuse s’il faut plus tard,

Pauvre de moi, que je m’incline,

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208

Qu’on me porte en terre au son des guitares

Et des mandolines!

(Au Refrain)

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

La maîtresse d’école

A l’école où nous avons appris l’ A B C

La maîtresse avait des méthodes avancées.

Comme il fut doux le temps, bien éphémère, hélas!

Où cette bonne fée régna sur notre classe,

Régna sur notre classe.

Avant elle, nous étions tous des paresseux,

Des lève-nez, des cancres, des crétins crasseux.

En travaillant exclusivement que pour nous,

Les marchands d’bonnets d’âne étaient sur les genoux,

Etaient sur les genoux.

La maîtresse avait des méthodes avancées

Au premier de la class’ ell’ promit un baiser,

Un baiser pour de bon, un baiser libertin,

Un baiser sur la bouche, enfin bref, un patin,

Enfin bref, un patin.

Aux pupitres alors, quelque chose changea,

L’école buissonnière eut plus jamais un chat.

Et les pauvres marchands de bonnets d’âne, crac!

Connurent tout à coup la faillite, le krach,

La faillite, le krach.

Lorsque le proviseur, à la fin de l’année,

Nous lut les résultats, il fut bien étonné.

La maîtresse, ell’, rougit comme un coquelicot,

Car nous étions tous prix d’excellence ex-aequo,

D’excellence ex-aequo.

A la récréation, la bonne fée se mit

En devoir de tenir ce qu’elle avait promis.

Et comme elle embrassa quarante lauréats,

Jusqu’à une heure indue la séance dura,

La séance dura.

Ce système bien sûr ne fut jamais admis

Par l’imbécile alors recteur d’académie.

De l’école, en dépit de son beau palmarès,

On chassa pour toujours notre chère maîtresse,

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209

Notre chère maîtresse.

Le cancre fit alors sa réapparition,

Le fort en thème est redevenu l’exception.

A la fin de l’année suivante, quel fiasco!

Nous étions tous derniers de la classe ex-aequo,

De la classe ex-aequo!

A l’école où nous avons appris l’ A B C

La maîtresse avait des méthodes avancées.

Comme il fut doux le temps bien éphémère, hélas!

Où cette bonne fée régna sur notre classe,

Régna sur notre classe.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

L’andropause

Aux quatre coins de France, émanant je suppose

De maris rancuniers par la haine conduits,

Le bruit court que j’atteins l’heure de l’andropause,

Qu’il ne faut plus compter sur moi dans le déduit.

O n’insultez jamais une verge qui tombe!

Ce n’est pas leur principe, ils crient sur tous les tons

Que l’une de mes deux est déjà dans la tombe

Et que l’autre à son tour file un mauvais coton.

Tous ces empanachés bêtement se figurent

Qu’un membr’ de ma famille est à jamais perclus,

Que le fameux cochon, le pourceau d’Epicure

Qui sommeillait en moi ne s’éveillera plus.

Ils me croient interdit de séjour à Cythère,

Et, par les nuits sans lune avec jubilation,

Ils gravent sur mon mur en style lapidaire

"Ici loge un vieux bouc qui n’a plus d’érections"!

Ils sont prématurés, tous ces cris de victoire,

O vous qui me plantez la corne dans le dos,

Sachez que vous avez vendu les génitoires,

Révérence parler, de l’ours un peu trop tôt.

Je n’ai pas pour autant besoin de mandragore,

Et vos femmes, messieurs, qu’ ces jours-ci j’ai reçues,

Que pas plus, tard qu’hier je contentais encore,

Si j’ n’ai plus d’érections, s’en fussent aperçues.

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210

A l’hôpital Saint-Louis, l’autre jour, ma parole,

Le carabin m’a dit: "On ne peut s’y tromper,

En un mot comme en cent, monsieur, c’est la vérole."

Si j’ n’ai plus d’érections, comment l’ai-je attrapée?

Mon plus proche voisin n’aim’ que sa légitime,

Laquelle, épous’ modèle, n’a que moi pour amant.

Or tous deux d’ la vérole, ils sont tombés victimes.

Si j’ n’ai plus d’érections, expliquez-moi comment?

Mes copains, mon bassiste et tous ceux de la troupe

En souffrirent bientôt, nul n’en fut préservé.

Or je fus le premier à l’avoir dans le groupe.

Si j’ n’ai plus d’érections, comment est-ce arrivé?

Minotaures méchants, croyez-vous donc qu’à braire

Que mon train de plaisir arrive au terminus,

Vous me cassiez mes coups? Au contraire, au contraire,

Je n’ai jamais autant sacrifié à Vénus!

Tenant à s’assurer si ces bruits qu’on colporte,

Ces potins alarmants sont ou sont pas fondés,

Ces dames nuit et jour font la queue à ma porte,

Poussées par le démon de la curiosité.

Et jamais, non jamais, soit dit sans arrogance,

Mon commerce charnel ne fut plus florissant.

Et vous, pauvres de vous, par voie de conséquence

Vous ne fûtes jamais plus cocus qu’à présent.

Certes, elle sonnera cette heure fatidique,

Où perdant toutes mes facultés génétiques

Je serai sans émoi,

Où le septième ciel - ma plus chère ballade,

Ma plus douce grimpette et plus tendre escalade -

Sera trop haut pour moi.

Il n’y aura pas de pleurs dans les gentilhommières,

Ni de grincements de fesses dans les chaumières,

Faut pas que je me leurre.

Peu de chances qu’on voie mes belles odalisques

Déposer en grand deuil au pied de l’obélisque

Quelques gerbes de fleurs.

Tout au plus gentiment diront-elles: "Peuchère,

Le vieux Priape est mort", et, la cuisse légère,

Le regard alangui,

Elles s’en iront vous rouler dans la farine

De safran, tempérer leur fureur utérine

Avec n’importe qui.

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211

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Titolo

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2010

Le pêcheur

On dirait un fanatique

De la cause halieutique,

Avec sa belle canne et

Son moulinet.

Mais s’il pêche, c’est pour rire,

Et l’on peut être certain

Que jamais sa poêle à frire

Vit le plus menu fretin.

La pêche, à ce qu’on raconte,

Pour lui n’est en fin de compte

Qu’un prétexte, un alibi -

On connaît pis -

Un truc, un moyen plausible

De fuir un peu son chez-soi

Où sévit la plus nuisible

Des maritornes qui soient.

Avec une joie maligne,

Il monte au bout de sa ligne

Tout un tas d’objets divers

Des bouts de fer,

Des paillassons, des sandales,

Des vieilles chaussett’s à clous,

Des noyés faisant scandale

Aussitôt qu’on les renfloue.

Si, déçu par une blonde,

Pensant faire un trou dans l’onde,

Tu tiens plus à te noyer

Qu’à te mouiller,

Désespéré, fais en sorte

D’aller piquer ton plongeon,

De peur qu’il ne te ressorte,

A l’écart de son bouchon.

Quand un goujon le taquine,

Qu’un gardon d’humeur coquine

Se laisse pour badiner

Hameçonner,

Le bonhomme lui reproche

Sa conduite puérile,

Puis à sa queue il accroche

Un petit poisson d’avril.

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Mais s’il attrape une ondine,

L’une de ces gourgandines,

Femme mi-chair mi-poisson,

Le polisson -

Coup de théâtre - dévore

Tout cru le bel animal:

Une cure de phosphore,

Ca peut pas faire de mal.

Quand il mourra, quand la Parque

L’emmènera dans sa barque,

En aval et en amont,

Truites, saumons,

Le crêpe à la queue sans doute,

L’escorteront chagrinés,

Laissant la rivière toute

Vide, désempoissonnée.

Lors, tombés dans la disette,

Repliant leurs épuisettes,

Tout penauds, tout pleurnicheurs,

Les vrais pêcheurs

Rentreront chez eux bredouilles

Danser devant le buffet,

Se faisant traiter d’andouilles

Par leur compagne. Bien fait!

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Le sceptique

Imitant Courteline, un sceptique notoire,

Manifestant ainsi que l’on me désabuse,

J’ai des velléités d’arpenter les trottoir(e)s

Avec cette devise écrite à mon gibus:

"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."

Dieu, diable, paradis, enfer et purgatoire,

Les bons récompensés et les méchants punis,

Et le corps du Seigneur dans le fond du ciboire,

Et l’huile consacrée comme le pain bénit,

"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."

Et la bonne aventure et l’art divinatoire,

Les cartes, les tarots, les lignes de la main,

La clé des songes, le pendule oscillatoire,

Les astres indiquant ce que sera demain,

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"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."

Les preuves à l’appui, les preuves péremptoires,

Témoins dignes de foi, metteurs de mains au feu,

Et le respect de l’homme à l’interrogatoire,

Et les vérités vraies, les spontanés aveux,

"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."

Le bagne, l’échafaud entre autres exutoires,

Et l’efficacité de la peine de mort,

Le criminel saisi d’un zèle expiatoire,

Qui bat sa coulpe bourrelé par le remords,

"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."

Sur les tombeaux les oraisons déclamatoires,

Les: "C’était un bon fils, bon père, bon mari",

"Le meilleur d’entre nous et le plus méritoire",

"Un saint homme, un coeur d’or, un bel et noble esprit"

"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."

Les "Saint-Jean bouche d’or", les charmeurs d’auditoire,

Les placements de sentiments de tout repos,

Et les billevesées de tous les répertoires,

Et les morts pour que naisse un avenir plus beau,

"Je ne crois pas un mot de toutes ces histoires."

Coda

Mais j’envie les pauvres d’esprit pouvant y croire.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Retouches à un roman d’amour de quatre sous

Madame, même à quatre sous

Notre vieux roman d’amour sou-

ffrirait certes quelque mévente.

Il fut minable. Permettez

Que je farde la vérité,

La réinvente. (bis)

On se rencontra dans un car

Nous menant en triomphe au quart,

Une nuit de rafle à Pigalle.

Je préfère affirmer, sang bleu!

Que l’on nous présenta chez le

Prince de Galles. (bis)

Oublions l’hôtel mal famé,

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L’hôtel borgne où l’on s’est aimés.

Taisons-le, j’aurais bonne mine.

Il me paraît plus transcendant

De situer nos ébats dans

Une chaumine. (bis)

Les anges volèrent bien bas,

Leurs soupirs ne passèrent pas

L’entresol, le rez-de-chaussée.

Forçons la note et rehaussons

Très au-delà du mur du son

Leur odyssée. (bis)

Ne laissons pas, quelle pitié!

Notre lune de miel quartier

De la zone. Je préconise

Qu’on l’ait vécue en Italie,

Sous le beau ciel de Napoli

Ou de Venise. (bis)

Un jour votre coeur se lassa

Et vous partîtes - passons ça

Sous silence - en claquant la porte.

Marguerite, soyons décents,

Racontons plutôt qu’en toussant

Vous êtes morte. (bis)

Deux années après, montre en main,

Je me consolais, c’est humain,

Avec une de vos semblables.

Je joue, ça fait un effet boeuf,

Le veuf toujours en deuil, le veuf

Inconsolable. (bis)

C’est la revanche du vaincu,

C’est la revanche du cocu,

D’agir ainsi dès qu’il évoque

Son histoire: autant qu’il le peut,

Iltâche de la rendre un peu

Moins équivoque. (bis)

Titre CD(?)

texte

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Titolo

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2010

Chansonnette à celle qui reste pucelle

(Musique de Jean Bertola)

Jadis la mineure

Perdait son honneur(e)

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Au moindre faux pas

Ces moeurs n’ont plus cours de

Nos jours c’est la gourde

Qui ne le fait pas.

Toute ton école,

Petite, rigole

Qu’encore à seize ans

Tu sois vierge et sage,

Fidèle à l’usage

Caduc à présent.

Malgré les exemples

De gosses, plus ample

Informé que toi,

Et qu’on dépucelle

Avec leur crécelle

Au bout de leurs doigts.

Chacun te brocarde

De ce que tu gardes

Ta fleur d’oranger,

Pour la bonne cause,

Et chacune glose

Sur tes préjugés.

Et tu sers de cible

Mais reste insensible

Aux propos moqueurs,

Aux traits à la gomme.

Comporte-toi comme

Te le dit ton coeur.

Quoi que l’on raconte,

Y a pas plus de honte

A se refuser,

Ni plus de mérite

D’ailleurs, ma petite,

Qu’à se faire baiser.

Facultatifs

Certes, si te presse

La soif de caresses,

Cours, saute avec les

Vénus de Panurge.

Va, mais si rien n’urge,

Faut pas t’emballer.

Mais si tu succombes,

Sache surtout qu’on peut

Être passée par

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Onze mille verges,

Et demeurer vierge,

Paradoxe à part.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Honte à qui peut chanter

Refrain

Honte à cet effronté qui peut chanter pendant

Que Rome brûle, ell’ brûl’ tout l’ temps...

Honte à qui malgré tout fredonne des chansons

A Gavroche, à Mimi Pinson.

En mil neuf cent trent’-sept que faisiez-vous mon cher?

J’avais la fleur de l’âge et la tête légère,

Et l’Espagne flambait dans un grand feu grégeois.

Je chantais, et j’étais pas le seul: "Y a d’ la joie".

Et dans l’année quarante mon cher que faisiez-vous?

Les Teutons forçaient la frontière, et comme un fou,

Et comm’ tout un chacun, vers le sud, je fonçais,

En chantant: "Tout ça, ça fait d’excellents Français".

(Au Refrain)

A l’heure de Pétain, à l’heure de Laval,

Que faisiez-vous mon cher en plein dans la rafale?

Je chantais, et les autres ne s’en privaient pas:

"Bel ami", "Seul ce soir", "J’ai pleuré sur tes pas ".

Mon cher, un peu plus tard, que faisait votre glotte

Quand en Asie ça tombait comme à Gravelotte?

Je chantais, il me semble, ainsi que tout un tas

De gens: "Le déserteur", "Les croix", "Quand un soldat".

(Au Refrain)

Que faisiez-vous mon cher au temps de l’Algérie,

Quand Brel était vivant qu’il habitait Paris?

Je chantais, quoique désolé par ces combats:

"La valse à mille temps" et "Ne me quitte pas".

Le feu de la ville éternelle est éternel.

Si Dieu veut l’incendie, il veut les ritournelles.

A qui fera-t-on croir’ que le bon populo,

Quand il chante quand même, est un parfait salaud?

(Au Refrain)

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texte

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Titolo

testo

2010

Jeanne Martin

(Musique de Jean Bertola)

La petite presqu’île

Où jadis, bien tranquille,

Moi je suis né natif,

Soit dit sans couillonnade

Avait le nom d’un ad-

jectif démonstratif.

Moi, personnellement

Que je meur’ si je mens

Ca m’était bien égal ;

J’étais pas chatouillé,

J’étais pas humilié

Dans mon honneur local.

Mais voyant d’ l’infamie

Dans cette homonymie,

Des bougres s’en sont plaints

Tellement que bientôt

On a changé l’ortho-

graph’ du nom du pat’lin.

Et j’eus ma première tristesse d’Olympio,

Déférence gardée envers le père Hugo.

Si faire se peut

Attendez un peu,

Messieurs les édiles,

Que l’on soit passé

Pour débaptiser

Nos petites villes.

La chère vieille rue

Où mon père avait cru

On ne peut plus propice

D’aller construire sa

Petite maison s’a-

ppelait rue de l’Hospice.

Se mettre en quête d’un

Nom d’ rue plus opportun

Ne se concevait pas.

On n’ pouvait trouver mieux

Vu qu’un asile de vieux

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Florissait dans le bas.

Les anciens combattants,

Tous comme un seul, sortant

De leurs vieux trous d’obus,

Firent tant qu’à la fin

La rue d’ l’Hospic’ devint

La rue Henri Barbusse.

Et j’eus ma deuxième tristesse d’Olympio,

Déférence gardée envers le père Hugo.

Si faire se peut

Attendez un peu,

Héros incongrus,

Que l’on soit passé

Pour débaptiser

Nos petites rues.

Moi, la première à qui

Mon coeur fut tout acquis

S’app’lait Jeanne Martin,

Patronyme qui fait

Pas tellement d’effet

Dans le bottin mondain.

Mais moi j’aimais comme un

Fou ce nom si commun,

N’en déplaise aux minus.

D’ailleurs, de parti pris,

Celle que je chéris,

S’appell’ toujours Vénus.

Hélas un béotien

A la place du sien

Lui proposa son blase

Fameux dans l’épicerie

Et cette renchérie

Refusa pas, hélas!

Et j’eus ma troisième tristesse d’Olympio,

Déférence gardée envers le père Hugo.

Si faire se peut

Attendez un peu

Cinq minutes, non?

Gentes fiancées,

Que l’on soit passé

Pour changer de nom.

Titre CD(?) Titolo

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2010

La légion d’honneur

(Musique de Jean Bertola)

Tous les Brummel, les dandys, les gandins,

Il les considérait avec dédain

Faisant peu cas de l’élégance il s’ha-

Billait toujours au décrochez-moi-ça.

Au combat, pour s’en servir de liquette,

Sous un déluge d’obus, de roquettes,

Il conquit un oriflamme teuton.

Cet acte lui valut le grand cordon.

Mais il perdit le privilège de

S’aller vêtir à la six-quatre-deux,

Car ça la fout mal saperlipopette

D’avoir des faux plis, des trous à ses bas,

De mettre un ruban sur la salopette.

La légion d’honneur ça pardonne pas.

L’âme du bon feu maistre Jehan Cotart

Se réincarnait chez ce vieux fêtard.

Tenter de l’empêcher de boire un pot

C’était ni plus ni moins risquer sa peau.

Un soir d’intempérance, à son insu,

Il éteignit en pissotant dessus

Un simple commencement d’incendie.

On lui flanqua le mérite, pardi!

Depuis que n’est plus vierge son revers,

Il s’interdit de marcher de travers.

Car ça la fout mal d’ se rendre dans les vignes,

Dites du seigneur, faire des faux pas

Quand on est marqué du fatal insigne.

La légion d’honneur ça pardonne pas.

Grand peloteur de fesses convaincu,

Passé maître en l’art de la main au cul,

Son dada c’était que la femme eut le

Bas de son dos tout parsemé de bleus.

En vue de la palper d’un geste obscène,

Il a plongé pour sauver de la Seine

Une donzelle en train de se noyer,

Dame! aussi sec on vous l’a médaillé.

Ce petit hochet à la boutonnière

Vous le condamne à de bonnes manières.

Car ça la fout mal avec la rosette,

De tâter, flatter, des filles les appas

La louche au valseur; pas de ça Lisette!

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La légion d’honneur ça pardonne pas.

Un brave auteur de chansons malotru

Avait une tendance à parler cru,

Bordel de dieu, con, pute, et caetera

Ornaient ses moindres tradéridéras.

Sa muse un soir d’un derrière distrait

Pondit, elle ne le fit pas exprès,

Une rengaine sans gros mots dedans,

On vous le chamarra tambour battant.

Et maintenant qu’il porte cette croix,

Proférer: "Merde", il n’en a plus le droit.

Car ça la fout mal de mettre à ses lèvres

De grand commandeur des termes trop bas,

D’ chanter l’ grand vicaire et les trois orfèvres.

La légion d’honneur ça pardonne pas.

L’Antéchrist CD(?)

(Musique de Jean Bertola)

Je ne suis pas du tout l’Antéchrist de service,

J’ai même pour Jésus et pour son sacrifice

Un brin d’admiration,

soit dit sans ironie.

Car ce n’est sûrement pas une sinécure,

Non, que de se laisser cracher à la figure

Par la canaille et la racaille réunies.

Bien sûr, il est normal que la foule révère

Ce héros qui jadis partit pour aller faire

L’alpiniste avant l’heure

en haut du Golgotha,

En portant sur l’épaule une croix accablante,

En méprisant l’insulte et le remonte-pente,

Et sans aucun bravo qui le réconfortât!

Bien sûr, autour du front, la couronne d’épines,

L’éponge trempée dans Dieu sait quelle bibine,

Et les clous enfoncés dans les pieds et les mains,

C’est très inconfortable et ça vous tarabuste,

Même si l’on est brave et si l’on est robuste,

Et si le paradis est au bout du chemin.

Bien sûr, mais il devait défendre

son prestige,

Car il était le fils du ciel,

l’enfant prodige,

Il était le Messie et ne l’ignorait pas.

Entre son père et lui, c’était l’accord tacite:

Tu montes sur la croix et je te ressuscite!

On meurt de confiance avec un tel papa.

L’Anticristo

Non sono affatto l’Anticristo della situazione,

anzi, per Gesù e per il suo sacrificio

ho perfino un pizzico d’ammirazione

(sia detto senza ironia).

Poiché non si tratta certo di un affare da poco,

no davvero, farsi sputare in faccia

dai mascalzoni e i delinquenti insieme.

Certo, è normale che la folla esalti

questo eroe che un tempo partì per fare

l’alpinista, da precursore,

sulla cima del Golgota,

portando sulla spalla una croce opprimente,

disprezzando gli insulti e lo ski-lift,

senza alcun “bravo” che lo confortasse!

Certo, attorno alla fronte la corona di spine,

la spugna imbevuta di Dio sa quale schifezza,

e i chiodi piantati nei piedi e nelle mani...

è molto scomodo e fastidioso

anche se si è coraggiosi e robusti,

e se il Paradiso è alla fine del viaggio.

Certo, e però egli doveva difendere

il suo prestigio

poiché era il figlio del cielo,

il bambino prodigio,

lui era il Messia, e non lo ignorava.

Tra suo padre e lui, c’era un tacito accordo:

tu sali sulla croce e io ti risuscito!

Si muore di fiducia, con un papà simile!

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221

Il a donné sa vie sans doute mais son zèle

Avait une portée quasi universelle

Qui rendait le supplice un peu moins douloureux.

Il savait que, dans chaque église, il serait tête

D’affiche et qu’il aurait

son portrait en vedette,

Entouré des élus, des saints, des bienheureux.

En se sacrifiant,

il sauvait tous les hommes.

Du moins le croyait-il!

Au point où nous en sommes,

On peut considérer qu’il s’est fichu dedans.

Le jeu, si j’ose dire, en valait la chandelle.

Bon nombre de chrétiens et même d’infidèles,

Pour un but aussi noble, en feraient tout autant.

Cela dit je ne suis pas

l’Antéchrist de service.

19??

Egli ha forse dato la sua vita, ma il suo zelo

aveva una portata quasi universale,

il che rendeva il supplizio un po’ meno doloroso.

Egli sapeva che in ogni chiesa sarebbe stato

l’ospite d’onore, e che il suo ritratto

sarebbe andato in prima pagina,

circondato di eletti, santi e beati.

Compiendo il sacrificio,

egli salvava tutti gli uomini.

Almeno, così credeva!

Al punto in cui siamo,

si può dire che sia andato in malora.

Il gioco, se posso dirlo, valeva la candela.

Parecchi cristiani, e pure molti infedeli,

per uno scopo così nobile, farebbero lo stesso.

Detto questo, non sono

l’Anticristo della situazione.

2010

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Titre CD(?)

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Titolo

testo

2010

Le progrès

(Musique de Jean Bertola)

Que le progrès soit salutaire,

C’est entendu, c’est entendu.

Mais ils feraient mieux de se taire,

Ceux qui dis’nt que le presbytère

De son charme du vieux temps passé n’a rien perdu,

N’a rien perdu.

Supplantés par des betteraves,

Les beaux lilas! les beaux lilas!

Sans mentir, il faut être un brave

Fourbe pour dire d’un ton grave,

Que le jardin du curé garde tout son éclat,

Tout son éclat.

Entre les tours monumentales

Toujours croissant, toujours croissant,

Qui cherche sa maison natale

Se perd comme dans un dédale.

Au mal du pays, plus aucun remède à présent,

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222

Remède à présent.

C’est de la malice certaine,

C’est inhumain! c’est inhumain!

Ils ont asséché la fontaine

Où les belles samaritaines

Nous faisaient boire, en été, l’eau fraîche dans leurs mains,

Fraîche dans leurs mains.

Ils ont abattu, les vandales,

Et sans remords, et sans remords,

L’arbre couvert en capitales

De noms d’amants: c’est un scandale!

Les amours mort’s n’ont plus de monuments aux morts,

Monuments aux morts.

L’a fait des affaires prospères,

Le ferrailleur, le ferrailleur,

En fauchant les vieux réverbères.

Maintenant quand on désespère,

On est contraint et forcé d’aller se pendre ailleurs,

Se pendre ailleurs.

Et c’est ce que j’ai fait sur l’heure,

Et sans délai, et sans délai.

Le coq du clocher n’est qu’un leurre,

Une girouette de malheur(e).

Ingrate patrie, tu n’auras pas mes feux follets,

Mes feux follets.

Que le progrès soit salutaire,

C’est entendu, c’est entendu.

Mais ils feraient mieux de se taire,

Ceux qui dis’nt que le presbytère

De son charme du vieux temps passé n’a rien perdu,

N’a rien perdu.

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Titolo

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2010

Le revenant

(Musique de Jean Bertola)

Calme, confortable, officiel,

En un mot résidentiel,

Tel était le cimetière où

Cet imbécile avait son trou.

Comme il ne reconnaissait pas

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223

Le bien-fondé de son trépas,

L’a voulu faire - aberration! -

Sa petite résurrection.

Les vieux morts, les vieux "ici-gît",

Les braves sépulcres blanchis,

Insistèrent pour qu’il revînt

Sur sa décision mais en vain.

L’ayant astiquée, il remit

Sur pied sa vieille anatomie,

Et tout pimpant, tout satisfait,

Prit la clef du champ de navets.

Chez lui s’en étant revenu,

Son chien ne l’a pas reconnu

Et lui croque en deux coups de dents

Un des os les plus importants.

En guise de consolation,

Pensa faire une libation,

Boire un coup de vin généreux,

Mais tous ses tonneaux sonnaient creux.

Quand dans l’alcôve il est entré

Embrasser sa veuve éplorée,

Il jugea d’un simple coup d’oeil

Qu’elle ne portait plus son deuil.

Il la trouve se réchauffant

Avec un salaud de vivant,

Alors chancelant dans sa foi

Mourut une seconde fois.

La commère au potron-minet

Ramassa les os qui traînaient

Et pour une bouchée de pain

Les vendit à des carabins.

Et, depuis lors, ce macchabée,

Dans l’amphithéâtre tombé,

Malheureux, poussiéreux, transi,

Chante: "Ah! ce qu’on s’emmerde ici"!

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Titolo

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2010

Les châteaux de sable

(Musique de Jean Bertola)

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Je chante la petite guerre

Des braves enfants de naguère

Qui sur la plage ont bataillé

Pour sauver un château de sable

Et ses remparts infranchissables

Qu’une vague allait balayer.

J’en étais: l’arme à la bretelle,

Retranchés dans la citadelle,

De pied ferme nous attendions

Une cohorte sarrasine

Partie de la côte voisine

A l’assaut de notre bastion.

A cent pas de là sur la dune,

En attendant que la fortune

Des armes sourie aux vainqueurs,

Languissant d’être courtisées

Nos promises, nos fiancées

Préparaient doucement leur coeur.

Tout à coup l’Armada sauvage

Déferla sur notre rivage

Avec ses lances, ses pavois,

Pour commettre force rapines,

Et même enlever nos Sabines

Plus belles que les leurs, ma foi.

La mêlée fut digne d’Homère,

Et la défaite bien amère

A l’ennemi pourtant nombreux,

Qu’on battit à plate couture,

Qui partit en déconfiture

En déroute, en sauve-qui-peut.

Oui, cette horde de barbares

Que notre fureur désempare

Fit retraite avec ses vaisseaux,

En n’emportant pour tous trophées,

Moins que rien, deux balles crevées,

Trois raquettes, quatre cerceaux.

Après la victoire fameuse

En chantant l’air de "Sambre et Meuse"

Et de la "Marseillaise", ô gué,

On courut vers la récompense

Que le joli sexe dispense

Aux petits héros fatigués.

Tandis que tout bas à l’oreille

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De nos Fanny, de nos Mireille,

On racontait notre saga,

Qu’au doigt on leur passait la bague,

Surgit une espèce de vague

Que personne ne remarqua.

Au demeurant ce n’était qu’une

Vague sans amplitude aucune,

Une vaguelette égarée,

Mais en atteignant au rivage

Elle causa plus de ravages,

De dégâts qu’un raz-de-marée.

Expéditive, la traîtresse

Investit notre forteresse,

La renversant, la détruisant.

Adieu donjon, tours et courtines,

Que quatre gouttes anodines

Avaient effacés en passant.

A quelque temps de là nous sommes

Allés mener parmi les hommes

D’autres barouds plus décevants,

Allés mener d’autres campagnes,

Où les châteaux sont plus d’Espagne,

Et de sable qu’auparavant.

Quand je vois lutter sur la plage

Des soldats à la fleur de l’âge,

Je ne les décourage pas,

Quoique je sache, ayant naguère

Livré moi-même cette guerre,

L’issue fatale du combat.

Je sais que malgré leur défense,

Leur histoire est perdue d’avance,

Mais je les laisse batailler,

Pour sauver un château de sable

Et ses remparts infranchissables,

Qu’une vague va balayer.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

L’orphelin

(Musique de Jean Bertola)

Sauf dans le cas fréquent, hélas!

Où ce sont de vrais dégueulasses,

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On ne devrait perdre jamais

Ses père et mère, bien sûr, mais

A moins d’être un petit malin

Qui meurt avant d’être orphelin,

Ou un infortuné bâtard,

Ca nous pend au nez tôt ou tard.

Quand se drapant dans un linceul

Ses parents le laissent tout seul,

Le petit orphelin, ma foi,

Est bien à plaindre. Toutefois,

Sans aller jusqu’à décréter

Qu’il devient un enfant gâté,

Disons que dans son affliction

Il trouve des compensations.

D’abord au dessert aussitôt

La meilleure part du gâteau,

Et puis plus d’école, pardi

La semaine aux quatre-jeudis.

On le traite comme un pacha,

A sa place on fouette le chat,

Et le trouvant très chic en deuil,

Les filles lui font des clins d’oeil.

Il serait par trop saugrenu

D’énumérer par le menu

Les faveurs et les passe-droits

Qu’en l’occurrence on lui octroie.

Tirant même un tel bénéfice

En perdant leurs parents, des fils

Dénaturés regrettent de

N’en avoir à perdre que deux.

Hier j’ai dit à un animal

De flic qui me voulait du mal:

Je suis orphelin, savez-vous?

Il me répondit: je m’en fous.

J’aurais eu quarante ans de moins

Je suis sûr que par les témoins

La brute aurait été mouchée.

Mais ces lâches n’ont pas bougé.

Aussi mon enfant si tu dois

Etre orphelin, dépêche-toi.

Tant qu’à perdre tes chers parents,

Petit, n’attends pas d’être grand:

L’orphelin d’âge canonique

Personne ne le plaint: bernique!

Et pour tout le monde il demeure

Orphelin de la onzième heure.

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Celui qui a fait cette chanson

A voulu dire à sa façon,

Que la perte des vieux est par-

Fois perte sèche, blague à part.

Avec l’âge c’est bien normal,

Les plaies du coeur guérissent mal.

Souventes fois même, salut!

Elles ne se referment plus.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

S’faire enculer

(Musique de Jean Bertola)

La lune s’attristait. On comprend sa tristesse

On tapait plus dedans. Ell’ s’ demandait quand est-ce

Qu’on va s’ rappeler de m’enculer.

Dans mon affreux jargon, carence inexplicable,

Brillait par son absence un des pires vocables

C’est: "enculé". Lacun’ comblée.

Lâcher ce terme bas, Dieu sait ce qu’il m’en coûte,

La chos’ ne me gên’ pas mais le mot me dégoûte,

J’ suis désolé d’ dire enculé.

Oui mais depuis qu’Adam se fit charmer par Eve

L’éternel féminin nous emmerde et je rêve

Parfois d’aller m’ faire enculer.

Sous les coups de boutoir des ligues féministes

La moitié des messieurs brûle d’être onaniste,

L’autre d’aller s’ faire enculer.

A force d’être en butte au tir des suffragettes

En son for intérieur chacun de nous projette

D’hélas aller s’ faire enculer.

Quand on veut les trousser, on est un phallocrate,

Quand on ne le veut point, un émul’ de Socrate,

Reste d’aller s’ faire enculer.

Qu’espèrent en coassant des légions de grenouilles?

Que le royaum’ de France enfin tombe en quenouille,

Qu’on coure aller s’ faire enculer?

Y a beaux jours que c’est fait devant ces tyrannettes,

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On dans’ comm’ des pantins, comm’ des marionnettes

Au lieu d’aller s’ faire enculer.

Pompadour, Montespan, La Vallière et j’en passe

Talonnèrent le roi qui marchait tête basse

Souhaitant aller s’ faire enculer.

A de rar’s exceptions, nom d’un chien, ce sont elles

Qui toujours min’ de rien déclenchent la bagatelle ;

Il faut aller s’ faire enculer.

Oui la plupart du temps sans aucune équivoque

En tortillant du cul ces dames nous provoquent,

Mieux vaut aller s’ faire enculer.

Fatigué de souffrir leur long réquisitoire

Ayant en vain cherché d’autres échappatoires,

Je vais aller m’ faire enculer.

D’à partir de ce soir cessant d’ croquer la pomme

J’embarque pour Cythère en passant par Sodome,

Afin d’aller m’ faire enculer.

Afin qu’aucun’ de vous mesdames n’imagine

Que j’ai du parti pris, que je suis misogyne,

Avant d’aller m’ faire enculer

J’avoue publiquement que vous êtes nos égales,

Qu’il faut valider çà dans un’ formul’ légale,

J’ suis enculé mais régulier.

En vertu d’ quel pouvoir, injustes que nous sommes,

Vous refus’-t-on les droits que l’on accorde aux hommes,

Comme d’aller s’ faire enculer.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Tant qu’il y a des Pyrénées

Frapper le gros Mussolini,

Même avec un macaroni,

Le Romain qui jouait à ça

Se voyait privé de pizza.

Après le Frente Popular,

L’hidalgo non capitulard

Qui s’avisait de dire "niet"

Mourait au son des castagnettes.

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Refrain

J’ai conspué Franco la fleur à la guitare

Durant pas mal d’années ; (bis)

Faut dire qu’entre nous deux, simple petit détail

Y avait les Pyrénées! (bis)

Qui crachait sur la croix gammée,

Dans une mine était sommé

De descendre extraire du sel

Pour assaisonner les Bretzels.

Avant que son jour ne décline,

Qui s’élevait contre Staline

Filait manu militari

Aux sports d’hiver en Sibérie.

(Au Refrain)

Aux quatre coins du monde encore,

Qui se lève et crie: "Pas d’accord!"

En un tournemain se fait cou-

per le sifflet, tordre le cou.

Dans mon village, on peut à l’heure

Qu’il est, sans risque de malheur,

Brandir son drapeau quel qu’il soit,

Mais jusques à quand? Chi Io sà?

(Au Refrain)

(Coda)

S’engager par le mot, trois couplets un refrain,

Par le biais du micro, (bis)

Ça s’fait sur une jambe et ça n’engage à rien,

Et peut rapporter gros. (bis)

A mon frère revenant d’Italie

(Poème de Alfred de Musset)

Ainsi, mon cher, tu t’en reviens

Du pays dont je me souviens,

Comme d’un rêve,

De ces beaux lieux où l’oranger

Naquit pour nous dédommager

Du péché d’Eve.

‘Tu l’as vu, ce fantôme altier

Qui jadis eut le monde entier

Sous son empire.

César dans sa pourpre est tombé ;

Dans un petit manteau d’abbé

Sa veuve expire.

Tu t’es bercé sur ce flot pur

Où Naples enchâsse dans l’azur

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Sa mosaïque,

Oreiller des lazzaroni

Où sont nés le macaroni

Et la musique.

Qu’il soit rusé, simple ou moqueur,

N’est-ce pas qu’il nous laisse au cœur

Un charme étrange,

Ce peuple ami de la gaieté

Qui donnerait gloire et beauté

Pour une orange?

Ischia! c’est là qu’on a des yeux,

C’est là qu’un corsage amoureux

Serre la hanche.

Sur un bas rouge bien tiré

Brille, sous le jupon doré,

La mule blanche.

Pauvre Ischia! bien des gens n’ont vu

Tes jeunes filles que pied nu

Dans la poussière.

On les endimanche à prix d’or ;

Mais ton pur soleil brille encor

Sur leur misère.

Quoi qu’il en soit, il est certain

Que l’on ne parle pas latin

Dans les Abruzzes,

Et que jamais un postillon

N’y sera l’enfant d’Apollon

Ni des neuf Muses.

Toits superbes! froids monuments!

Linceul d’or sur des ossements!

Ci-gît Venise.

Là mon pauvre coeur est resté.

S’il doit m’en être rapporté,

Dieu le conduise!

Mais de quoi vais-je ici parler?

Que ferait l’homme désolé,

Quand toi, cher frère,

Ces lieux où j’ai failli mourir,

Tu t’en viens de les parcourir

Pour te distraire?

Frère, ne t’en va plus si loin.

D’un peu d’aide j’ai grand besoin,

Quoi qu’il m’advienne.

Je ne sais où va mon chemin,

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Mais je marche mieux quand ta main

Serre la mienne.

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2010

Ballade à la lune

(Poème de Alfred de Musset)

C’était, dans la nuit brune,

Sur un clocher jauni,

La lune,

Comme un point sur un i.

Lune, quel esprit sombre

Promène au bout d’un fil,

Dans l’ombre,

Ta face et ton profil?

Es-tu l’oeil du ciel borgne?

Quel chérubin cafard

Nous lorgne

Sous ton masque blafard?

Est-ce un ver qui te ronge

Quand ton disque noirci

S’allonge

En croissant rétréci?

Es-tu, je t’en soupçonne,

Le vieux cadran de fer

Qui sonne

L’heure aux damnés d’enfer?

Sur ton front qui voyage,

Ce soir ont-ils compté

Quel âge

A leur éternité?

Qui t’avait éborgnée

L’autre nuit? T’étais-tu

Cognée

Contre un arbre pointu?

Car tu vins, pâle et morne,

Coller sur mes carreaux

Ta corne,

A travers les barreaux.

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Lune, en notre mémoire,

De tes belles amours

L’histoire

T’embellira toujours.

Et toujours rajeunie,

Tu seras du passant

Bénie,

Pleine lune ou croissant.

Et qu’il vente ou qu’il neige,

Moi-même, chaque soir,

Que fais-je,

Venant ici m’asseoir?

Je viens voir à la brune,

Sur le clocher jauni

La lune

Comme un point sur un i.

Je viens voir à la brune,

Sur le clocher jauni,

La lune,

Comme un point sur un i.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Carcassonne

(Poème de Gustave Nadaud)

"Je me fais vieux, j’ai soixante ans,

J’ai travaillé toute ma vie

Sans avoir, durant tout ce temps,

Pu satisfaire mon envie.

Je vois bien qu’il n’est ici-bas

De bonheur complet pour personne.

Mon voeu ne s’accomplira pas:

Je n’ai jamais vu Carcassonne!"

"On dit qu’on y voit tous les jours,

Ni plus ni moins que les dimanches,

Des gens s’en aller sur le cours,

En habits neufs, en robes blanches.

On dit qu’on y voit des châteaux

Grands comme ceux de Babylone,

Un évêque et deux généraux!

Je ne connais pas Carcassonne!"

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"Le vicaire a cent fois raison:

C’est des imprudents que nous sommes.

Il disait dans son oraison

Que l’ambition perd les hommes.

Si je pouvais trouver pourtant

Deux jours sur la fin de l’automne…

Mon Dieu! que je mourrais content

Après avoir vu Carcassonne!"

"Mon Dieu! mon Dieu! pardonnez-moi

Si ma prière vous offense ;

On voit toujours plus haut que soi,

En vieillesse comme en enfance.

Ma femme, avec mon fils Aignan,

A voyagé jusqu’à Narbonne ;

Mon filleul a vu Perpignan,

Et je n’ai pas vu Carcassonne!"

Ainsi chantait, près de Limoux,

Un paysan courbé par l’âge.

Je lui dis: "Ami, levez-vous ;

Nous allons faire le voyage."

Nous partîmes le lendemain ;

Mais (que le bon Dieu lui pardonne!)

Il mourut à moitié chemin:

Il n’a jamais vu Carcassonne!

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2010

Elégie à un rat de cave

(avec Moustache et les Petits Français)

Personne n’aurait cru ce cave

Prophétisant que par malheur,

Mon pauvre petit rat de cave,

Tu débarquerais avant l’heure.

Tu n’étais pas du genre qui vire

De bord et tous on le savait,

Du genre à quitter le navire,

Et tu es la première qui l’aies fait.

Maintenant m’amie qu’on te séquestre

Au sein des cieux,

Que je m’ déguise en chanteur d’orchestre

Pour tes beaux yeux,

En partant m’amie je te l’assure,

Tu as fichu le noir au fond de nous,

Quoiqu’on n’ait pas mis de crêpe sur

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Nos putains de binious.

On n’ m’a jamais vu, faut que tu l’ notes,

C’est une primeur,

Faire un boeuf avec des croque-notes,

C’est en ton honneur.

Sache aussi qu’en écoutant Bechet(e),

Foll’ gamberge, on voit la nuit tombée,

Ton fantôme qui sautille en cachette

Rue du Vieux Colombier.

Ton fantôme qui sautille en cachette

Rue du Vieux Colombier.

Sans aucun "au revoir mes frères"

Mais on n’ t’en veut pas pour autant,

Mine de rien tu es allée faire

Ton trou dans les neiges d’antan.

Désormais, c’est pas des salades,

Parmi Flora, Jeanne, Thaïs,

J’inclus ton nom à la ballade

Des belles dam’s du temps jadis.

Maintenant m’amie qu’ ta place est faite

Chez les gentils,

Qu’ tu as retrouvé pour l’éternelle fête,

Papa Zutty,

Chauff’ la place à tous les vieux potaches,

Machin, Chose, et Luter et Longnon,

Et ce gras du bide de Moustache,

Tes fidèl’s compagnons.

S’il est brave, pourquoi que Dieu le père

Là-haut ferait

Quelque différence entre Saint-Pierre

Et Saint-Germain-des-Prés?

De tout coeur on espère que dans ce

Paradis miséricordieux,

Brill’nt pour toi des lendemains qui dansent

Où y a pas de bon Dieu.

Brill’nt pour toi des lendemains qui dansent

Où y a pas de bon Dieu.

Titre CD(?)

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2010

Jehan l’advenu

(Norge, Jacques Yvart)

Puis il revint comme il était parti:

Bon pied, bon œil, personne d’averti.

Aux dents, toujours la vive marguerite,

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Aux yeux, toujours la flamme qui crépite.

Mit sur ta lèvre, Aline, un long baiser ;

Mit sur la table un peu d’or étranger ;

Chanta, chanta deux chansons de marine ;

S’alla dormir dans la chambre enfantine.

Puis il revint comme il était parti:

Bon pied, bon œil, personne d’averti.

Aux dents, toujours la vive marguerite,

Aux yeux, toujours la flamme qui crépite.

Rêva tout haut d’écume et de cavale,

S’entortilla dans d’étranges rafales.

Puis au réveil, quand l’aube se devine,

Chanta, chanta deux chansons de marine.

Puis il revint comme il était parti:

Bon pied, bon œil, personne d’averti.

Aux dents, toujours la vive marguerite,

Aux yeux, toujours la flamme qui crépite.

Fit au pays son adieu saugrenu ;

Et s’en alla comme il était venu.

Fit au pays son adieu saugrenu ;

Et s’en alla comme il était venu.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

C’était un peu leste

Et quand elle eut fini de coudre le linceul

Et de faire la sieste,

La veuve a décidé de ne pas rester seule

C’était un peu leste.

Et quand elle eut fini de couver ce dessein

Elle mit sa veste,

Et vint frapper chez moi, son plus proche voisin,

C’était un peu leste.

Et quand elle eut fini la dernière bouchée

D’un repas modeste,

Ell’ dit: "Il se fait tard, c’est l’heur’ de se coucher",

C’était un peu leste.

Et quand elle eut fini de bassiner le lit,

Alea jacta est(e),

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Dans ses bras accueillants, j’étais enseveli,

C’était un peu leste.

Et quand elle eut fini d’ me presser sur son coeur,

De leurs voix célestes

Les anges d’alentour soupiraient tous en choeur,

C’était un peu leste.

Et quand elle eut fini d’ reprendre ses esprits,

Elle manifeste

La fâcheuse intention de m’avoir pour mari,

C’était un peu leste.

Et quand elle eut fini de tenir ces propos,

Tonnerre de Brest(e)!

Je la flanquai dehors avec ses oripeaux,

C’était un peu leste.

Et quand elle eut fini de dévaler l’ perron

Et dit: "J’ te déteste",

Elle se pendit au cou d’un troisième larron,

C’était un peu leste.

Et quand elle fut sortie de mon champ visuel,

Parfumés d’un zeste,

Je bus cinq à six coups, l’antidote usuel,

C’était un peu leste.

Et quand j’eus bien cuvé mon vin, je me suis dit,

Regrettant mon geste,

Que j’avais peut-être pas été des plus gentils,

C’était un peu leste.

Et quand ell’ m’entendit fair’ mon mea culpa,

La petite peste,

Me fit alors savoir qu’ell’ ne m’en voulait pas,

C’était un peu leste.

Et quand à l’avenir ell’ tomb’ra veuve encor,

Son penchant funeste,

Qu’elle vienne frapper chez moi dès la levée du corps

Sans d’mander son reste!

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Je bivouaque au pays de Cocagne

Une rue sans joie où les sbires

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237

Tout seuls ne s’aventurent pas,

Un coupe-gorge et même pire,

La venelle où traînaient mes pas!

Mais j’avais mangé du poète,

Je marchais un peu sur la tête,

Et cett’ rue je l’ai traversée

Comm’ l’avenue des Champs-Élysées.

Refrain

Je bivouaque au

Pays de Co -

cagne depuis

Que j’ai bouté

La vérité

Au fond du puits.

Beauté du diable et qui n’inspire

Pas l’envie d’aller en sabbat,

Epouvantail et même pire,

La fille m’offrant ses appas!

Mais j’avais mangé du poète,

Je marchais un peu sur la tête,

Et j’ai changé cette petite

En une Vénus Aphrodite.

(Au Refrain)

Quatre anges déchus qui soupirent

Si peu qu’on ne les entend pas,

Jamais étreinte ne fut pire,

Jamais amour vola si bas!

Mais j’avais mangé du poète,

Je marchais un peu sur la tête,

Et quittant doucement la terre

Je fus à bon port à Cythère.

(Au Refrain)

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

L’arc-en-ciel d’un quart d’heure

Cet arc-en-ciel qui nous étonne,

Quand il se lève après la pluie,

S’il insiste, il fait monotone

Et l’on se détourne de lui.

L’adage a raison: la meilleure

Chose en traînant se dévalue.

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Personne ne l’admire plus.

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238

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Est superflu.

Celui que l’aura populaire

Avait mis au gouvernail quand

Il fallait sauver la galère

En détresse dans l’ouragan,

Passé péril en la demeure,

Ne fut même pas réélu.

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Personne ne l’admire plus.

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Est superflu.

Cette adorable créature

Me répétait: "je t’aime tant

Qu’à ta mort, sur ta sépulture,

Je me brûle vive à l’instant!"

A mon décès, l’ordonnateur(e)

Des pompes funèbres lui plut.

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Personne ne l’admire plus.

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Est superflu.

Ce cabotin naguère illustre,

Et que la foule applaudissait

A tout rompre durant trois lustres,

Nul à présent ne sait qui c’est ;

Aucune lueur ne demeure

De son étoile révolue.

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Personne ne l’admire plus.

L’arc-en-ciel qui dure un quart d’heure

Est superflu.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Le cauchemar

Sa majesté n’avait pas l’air d’un Cypriote,

D’un Belge, un Suisse, un Ecossais,

Mais tout bonnement hélas! d’un d’ nos compatriotes,

Dans mon rêve le roi des cons était Français.

Quand un olibrius portait une couronne,

Tous en choeur on applaudissait,

Nous les fiers descendants du général Cambronne,

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Dans mon rêve où le roi des cons était Français.

Et tous comme un seul homme, on courait à l’embauche

Dès qu’un botteur de culs passait,

Tendant les miches à droite, tendant les miches à gauche,

Dans mon rêve où le roi des cons était Français.

Dupont, Durand, Dubois, Duval, Dupuis, Duchêne,

A nos fusils la fleur poussait,

Toujours prêts à nous fair’ descendre à la prochaine,

Dans mon rêve où le roi des cons était Français.

On prenait la Bastille, et la chose étant faite,

Sur la plac’ publique on dansait,

Pour en bâtir une autre à la fin de la fête,

Dans mon rêve où le roi des cons était Français.

Entre deux coups de chien, on s’occupait de fesses,

On s’embrassait, on s’enlaçait,

Afin que des cocus continuât l’espèce,

Dans mon rêve où le roi des cons était Français.

Quand je sautai du lit, que j’entendis la somme

De balivernes qui florissaient,

J’eus comme l’impression d’ êtr’ pas sorti d’ mon somme,

De mon rêve où le roi des cons était Français.

Sa majesté n’avait pas l’air d’un Cypriote,

D’un Belge, un Suisse, un Ecossais,

Mais tout bonnement hélas d’un d’ nos compatriotes,

Dans mon rêve le roi des cons était Français.

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Titolo

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2010

Le fidèle absolu

Le seul arbre qu’il connaissait

Sous sa fenêtre florissait.

C’était le rustique absolu,

L’homme d’un seul jardin, pas plus.

Et les globe-trotters,

Et les explorateurs,

Coureurs de forêts vierges,

Regardaient, étonnés,

Ce bonhomme enchaîné

A sa tige d’asperge.

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240

Bonhomme sais-tu pas

Qu’il existe là-bas

Des forêts luxuriantes,

Des forêts de Bondy,

Des forêts de Gasti-

ne et de Brocéliande?

Et l’homme répondit

"Je le sais bien, pardi,

Mais le diable m’emporte

Si je m’en vais chercher

Au diable ce que j’ai

Juste devant ma porte."

Je n’ai vu qu’un seul arbre, un seul, mais je l’ai vu,

Et je connais par coeur sa ramure touffue,

Et ce tout petit bout de branche me suffit:

Pour connaître une feuille, il faut toute une vie.

Si l’envie vous prenait de vous pendre haut et court,

Soyez gentil, ne vous pendez pas à mon arbre!

Il n’avait jamais voyagé

Plus loin que l’ombre du clocher.

C’était l’autochtone absolu,

L’homme d’un seul pays, pas plus.

Et les globe-trotters,

Et les explorateurs,

Tous les gens du voyage,

Regardaient étonnés

Cet être cantonné

Dans son petit village.

Bonhomme sais-tu pas

Qu’il existe là-bas,

Derrière tes montagnes,

Des pays merveilleux,

Des pays de cocagne

Et l’homme répondit:

"Je le sais bien, pardi,

Mais le diable m’emporte

Si je m’en vais chercher

Au diable ce que j’ai

Juste devant ma porte."

Je n’ai vu qu’un village, un seul, mais je l’ai vu,

Et ses quatre maisons ont su combler ma vue,

Et ce tout petit bout de monde me suffit:

Pour connaître une rue, il faut toute une vie.

Si l’envie vous prenait de tirer le canon,

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241

Soyez gentil, ne tirez pas sur mon village.

Il n’avait jamais embrassé

Personne que sa fiancée.

C’était le fidèle absolu,

L’homme d’un seul amour, pas plus.

Et les globe-trotters,

Et les explorateurs,

Friands de bagatelle,

Regardaient étonnés

Ce bonhomme enchaîné

A son bout de dentelle.

Bonhomme sais-tu pas

Qu’il existe là-bas

Des beautés par séquelles,

Et qu’on peut sans ennui

Connaître mille nuits

De noces avec elles?

Et l’homme répondit:

"Je le sais bien, pardi,

Mais le diable m’emporte

Si je m’en vais chercher

Loin d’ici ce que j’ai

Juste devant ma porte."

Je n’ai vu qu’un amour, un seul, mais je l’ai vu,

Et ce grain de beauté a su combler ma vue,

Et ce tout petit bout de Vénus me suffit:

Pour connaître une femme, il faut toute une vie.

Si l’envie vous prenait de courir les jupons,

Soyez gentil, ne courez pas après ma belle.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Le mérinos

Oh non! tu n’es pas à la noce

Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos.

Si le Rhône est empoisonné,

C’est toi qu’on veut incriminer.

Les poissons morts, on te les doit,

Bête damnée, à cause de toi,

Tous les abreuvoirs sont croupis

Et les poules ont la pépie.

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C’est moi qui suis l’enfant de salaud,

Celui qui fait des ronds dans l’eau,

Mais comme j’ai pas mal de culot,

Je garde la tête bien haute.

Car si l’eau qui coule sous les ponts

D’Avignon, Beaucaire et Tarascon,

N’a pas toujours que du bon

Mon Dieu! c’est pas ma faute.

Plus de naïades chevelues,

Et plus de lavandières non plus,

Tu fais sombrer sans t’émouvoir

L’armada des bateaux lavoirs.

Et le curé de Cucugnan

Baptise le monde en se plaignant

Que les eaux de son bénitier

Ne protègent plus qu’à moitié.

A la fontaine de Vaucluse,

Plus moyen d’taquiner les muses

Vers d’autres bords elles ont fui

Et les Pétrarques ont suivi.

Si la fontaine de Jouvence

Ne fait plus d’miracle en Provence,

Lave plus l’injure du temps,

C’est ton oeuvre, gros dégoûtant!

Oh non! Tu n’es pas à la noce

Ces temps-ci, pauvre vieux mérinos,

On veut te mettre le fardeau

Des plaies d’ l’Egypte sur le dos.

On te dénie le sens civique

Mais calme, fier, serein, magnifique,

Tu traites tout çà par dessous

La jambe. Et puis baste! Et puis zou!

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Titolo

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2010

Le petit-fils d’Oedipe

Papa m’envoie quérir cent sous de mortadelle.

Empochant la monnaie, moi je file au bordel(e).

"Où vas-tu mon garçon de cette’ allur’ fougueuse?"

Me lance grand’maman. "Je vais courir la gueuse."

"Il est inconvenant de fréquenter les putes.

Tu m’en donn’s la moitié, juste et tu me culbutes."

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"Quoique j’atteigne hélas un âge canonique,

A bien des jeun’s au pieu je fais encor’ la nique."

"D’abord ça te permet quelques économies,

Et puis le patrimoine sort pas de la famille."

J’ tends mes deux francs cinquante à cette bonne vieille ;

Ce fut un’ bonn’ affaire: ell’ baisait à merveille.

Le père, à mon retour, me demande: "Où est-elle?"

Le bâfreur attendait son bout de mortadelle.

En voyant la portion que je mis sur la table,

L’auteur d’ mes jours poussa des cris épouvantables.

Il parlait de botter dans la région fessière

Cell’ qui n’en pouvait mais, la gente saucissière.

Il ouvrit un museau de carpe suffocante,

Quand il connut l’emploi des aut’s deux francs cinquante.

"- T’as baisé ma maman, petit énergumène."

"- T’avais qu’à commencer par pas baiser la mienne."

Mon argumentation vous lui coupa la chique

Les Français ne résistent pas à la logique.

Depuis, bibliquement, jusqu’à c’ qu’ell’ rende l’âme,

Je connais ma grand’mère et baste à qui me blâme.

Quand la hausse des cours devient extravagante,

Mémé bloque son prix: toujours deux francs cinquante.

Mais si mon père est pris d’un’ fringale de saucisse,

Il va l’acheter lui-même, excellent exercice!

Du coup j’ai plus d’argent ; de peur que je n’en vole,

Grand’mèr’ m’accorde alors ses faveurs bénévoles.

Pour qu’ la moral’ soit sauve et qu’ la chanson finisse,

jJ bais’ grand’mère à l’œil ; le bon Dieu la bénisse!

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Titolo

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2010

Le pince-fesses

Pour deux ou trois chansons, lesquell’s je le confesse

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244

Sont discutables sous le rapport du bon goût,

J’ai la réputation d’un sacré pince-fesses

Mais c’est une légende, et j’en souffre beaucoup.

Refrain

Les fesses, ça me plaît, je n’ crains pas de le dire,

Sur l’herbe tendre j’aime à les faire bondir.

Dans certains cas, je vais jusqu’à les botter mais

Dieu m’est témoin que je ne les pince jamais.

En me voyant venir, femmes, filles, fillettes,

Au fur et à mesure avec des cris aigus,

Courent mettre en lieu sûr leurs fesses trop douillettes,

Suivies des jeunes gens aux rondeurs ambiguës.

Quand une bonne soeur m’invite entre deux messes

A lui pincer la croupe infidèle à Jésus,

Pour chasser le démon qui habite ses fesses,

Je lui vide un grand verre d’eau bénite dessus.

En revanche, si la même enlevant son cilice

Et me montrant ses reins me dit: "J’ai mal ici:

Embrassez-moi, de grâce arrêtez mon supplice!"

Je m’exécute en parfait chrétien que je suis.

Quand me courant après, la marchande d’hosties

Me prie d’épousseter les traces que les doigts

Des mitrons ont laissées sur sa chair rebondie,

Je la brosse: un Français se doit d’être courtois!

Et quand, à la kermesse, un’ belle pratiquante

M’appelle à son secours pour s’être enfoncé dans

Sa fesse maladroite une herbe un peu piquante,

Je ne ménage ni mes lèvres ni mes dents.

Cert’s, un jour, j’ai pincé l’éminence charnue

A une moribonde afin de savoir si

Elle vivait encore: une gifle est venue

Me prouver qu’elle n’était qu’en catalepsie.

Enfin, si désormais quelqu’une de vos proches

Affirme en vous montrant son cul couvert de bleus,

Qu’ c’est moi qui les ai faits, avec mes pattes croches,

En doute révoquez ses propos scandaleux.

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Titolo

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2010

Le sein de chair et le sein de bois

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Après avoir fait son devoir de mère,

Gorgé de lait notre dernier blanc-bec,

Ma femme constata, surprise amère,

Qu’il avait tété la mamelle avec.

Le coeur rongé, c’est le cas de le dire,

La malheureuse criait comme un putois.

Le lendemain, pour calmer son délire,

Je lui fis faire un nouveau sein de bois.

Imaginez le trouble qui fut nôtre

Quand ma femm’ m’ayant demandé: "Dis-moi

Quel est le faux" je lui désignai l’autre,

Le vrai, celui qui n’était pas en bois.

Ivres de joie, nous ne pouvions comprendre

Qu’ cett’ ressemblance allait nous coûter cher,

Que nous allions bientôt pâtir de prendre

Le sein de bois pour le vrai sein de chair.

Une nuit, dans la conjugale couche,

Tourmenté par le démon de Vénus,

Je me jetai sur ma femme et, farouche,

Vous la fis mettre in naturalibus.

Lui promenant la main sur l’épiderme,

Je m’écrai, le coeur vibrant d’émoi:

"Oh mon amie, que votre sein est ferme!

- Ça se comprend, dit-elle, il est en bois."

Comme au cours d’une scène épouvantable

Elle m’avait bassement insulté,

Prenant un kriss qui traînait sur la table

J’ fis l’ simulacre de la poignarder.

Persuadé qu’ c’était son sein postiche

Qui allait essuyer le choc du fer,

J’y vais d’une main ferme et le lui fiche

Jusqu’à la garde dans le sein de chair.

Un célèbre disciple d’Esculape

Lui ayant proprement bouché ce trou,

En quelques jours ma femme se retape

Et reprend son beau rôle de nounou.

Epouvanté par la frimousse étique

Du nourrisson, j’enquête et m’aperçois

Que si le pauvre gosse est squelettique,

C’est qu’ell’ lui fait téter le sein de bois.

Ce fut l’ultime erreur la plus terrible:

Au cours d’un hiver extrêmement froid,

Nous avions brûlé tout le combustible

A l’exception du fameux sein de bois.

Ma pauvre femme alors, la mort dans l’âme,

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Saisit un sein dans son corsage ouvert,

L’arrache et le jette en pâture aux flammes,

C’était naturellement le sein de chair…

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Titolo

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2010

L’enterrement de Paul Fort

Tous les oiseaux étaient dehors

Et toutes les plantes aussi.

Le petit cheval n’est pas mort

Dans le mauvais temps, Dieu merci.

Le bon soleil criait si fort:

Il fait beau, qu’on était ravis.

Moi, l’enterrement de Paul Fort,

Fut le plus beau jour de ma vie.

On comptait bien quelques pécores,

Quelques dindes à Montlhéry,

Quelques méchants, que sais-je encore:

Des moches, des mauvais esprits,

Mais qu’importe? Après tout ; les morts

Sont à tout le monde. Tant pis,

Moi, l’enterrement de Paul Fort,

Fut le plus beau jours de ma vie.

Le curé allait un peu fort

De Requiem à mon avis.

Longuement penché sur le corps,

Il tirait l’âme à son profit,

Comme s’il fallait un passeport

Aux poètes pour le paradis.

S’il fallait à Dieu du renfort

Pour reconnaître ses amis.

Tous derrière en gardes du corps

Et lui devant, on a suivi.

Le petit cheval n’est pas mort

Comme un chien je le certifie.

Tous les oiseaux étaient dehors

Et toutes les plantes aussi.

Moi, l’enterrement de Paul Fort,

Fut le plus beau jour de ma vie.

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Titolo

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2010

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Les croque-morts améliorés

L’habit de deuil jusqu’à présent

Ne se portait assidûment

Que chez l’personnel funéraire,

Les anciens croque-morts ordinaires.

Depuis qu’ la vogue est au noirâtre,*

Dans les rues d’ Saint-Germain-des-Prés,

Y a des croque-morts améliorés!

Il ne m’importe aucunement

Qu’on mène mon enterrement

Avec des croque-morts ordinaires

Ou bien leurs nouveaux congénères.

Mais le bruit court que des emplâtres

Ont un’ peur bleue d’être enterrés

Par les croqu’-morts améliorés!

Et c’est pourquoi j’ai fait ce chant

Qui va permettre aux braves gens

De distinguer les funéraires,

Les anciens croque-morts ordinaires,

Des galopins un peu folâtres

Qui se mettent en deuil exprès

Les croque-morts améliorés!

Si le croque-mort s’en va sifflant

Les joyeux couplets à vingt francs,

C’est un honnête fonctionnaire,

C’est un croque-mort ordinaire.

Mais s’il écoute en idolâtre

Les disques des be-bop cassés,

C’est un croque-mort amélioré!

* Aux alentours des années cinquante,

à Saint-Germain-des-Prés,

la mode voulait qu’on s’habillât en noir.

Titre CD(?)

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Titolo

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2010

Les voisins

Si j’étais tout-puissant demain

Je n’irais pas par quat’ chemins,

Et ferais passer par le fer

Tous les voisins de l’univers.

Dans un moment, quand vous saurez

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Tout ce qu’ils me font endurer,

Vous direz en votre âme: "Il a

Raison d’ vouloir être Attila."

Refrain

Les voisins sont tous des sal’s types

Les voisins sont tous des sal’s gens.

Ces gens auxquels je n’ai rien fait,

Auxquels je montre un tact parfait,

Passent leurs jours, passent leurs nuits

A me susciter des ennuis.

Ils possèdent un Mistigri

Qui croque toutes les souris,

Sauf les miennes bien entendu

Car ils le lui ont défendu.

(Refrain)

Mais en revanche il prend bien soin

De ne pas faire ses besoins

Ailleurs que sur mon paillasson,

Comme on lui en fit la leçon,

Et puis ils vont criant partout

Si je jett’ la pierre au matou:

"Il met ça sur le dos du chat,

Mais c’est lui qui se soulagea!"

(Refrain)

Et dans tout le quartier bientôt,

Je passe pour un Hottentot

Qui s’acharne à souiller, souiller

Les paillassons mal surveillés.

Lors quand je vais déambulant,

Chacun me fait l’affront sanglant

De mettre au fur et à mesur’

Tous les paillassons en lieu sûr.

(Refrain)

Ma grand-mère âgée de cent ans

M’adore et vient de temps en temps

Faire un séjour en ma demeure.

Ils trouvent ça contraire aux moeurs,

Ils font entendre à mots couverts

Que je suis un affreux pervers,

Un incestueux garnement

Qui couche avec sa grand-maman.

(Refrain)

Et, comme pour les paillassons,

Tous les crétins à l’unisson,

Afin d’m’empêcher d’les violer

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Mettent leurs grand-mères sous clef.

En outre, la société

Protectric’ des vieux maltraités

Me combat de tout son pouvoir

Et m’inscrit sur sa liste noir’.

(Refrain)

Ayant un jour lavé mes pieds,

J’attendais la femm’ d’un pompier,

Sûr d’abuser d’elle à huis clos.

J’avais compté sans ces salauds.

Comm’ dans l’ couloir il faisait nuit

Et qu’elle ne trouvait pas mon huis,

Elle alla tirer par erreur

Le cordon de mes dénigreurs.

(Refrain)

Ils lui répondent: "Ce citoyen

Habit’ le taudis mitoyen,

Mais quand vous sortirez d’ chez lui

Portez donc vos pas à Saint-Louis."

Alors ma visiteuse, à corps

Perdu, partit et court encor’,

Et je dus convenir enfin

Qu’ j’avais lavé mes pieds en vain.

(Refrain)

L’affair’ ne se borna pas là,

De nouveau, tout l’ monde en parla,

Et les sapeurs-pompiers d’ Paris

Me clouèrent au pilori.

Ils retirèr’nt par précaution

Leurs femm’s de la circulation

Et promir’nt d’être sans émoi

Si jamais l’ feu prenait chez moi.

(Refrain)

Je passe ainsi pour un garçon

Qui s’oublie sur les paillassons,

Qui viole les vieilles grand-mèr’s,

Qui contamine les pompièr’s.

Maintenant que vous savez tout,

Vous donnez votre accord sans dou-

Te à mon zèle exterminateur

De cette bande d’emmerdeurs.

Et comme on n’en finirait plus

Permettez qu’ici je conclue

En sonnant encor’ le tocsin

Contre l’engeance des voisins.

Titre CD(?) Titolo

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2010

L’inestimable sceau

M’amie, en ce temps-là, chaque année au mois d’août,

Se campait sur la grève, et çà m’était très doux

D’ainsi la voir en place.

Dans cette position, pour se désennuyer,

Sans jamais une erreur, ell’ comptait les noyés

En suçant de la glace.

Ses aimables rondeurs avaient fait à la fin

Un joli petit trou parmi le sable fin,

Une niche idéale.

Quand je voulais partir, elle entrait en courroux,

En disant: "C’est trop tôt, j’ai pas fini mon trou ;

C’est pas le trou des Halles."

Près d’elle, un jour, passa superbe un ange blond,

Un bellâtre, un belître au torse d’Apollon,

Une espèce d’athlète.

Comme mue d’un ressort, dressée sur son séant,

Elle partit avec cet homme de néant,

Costaud de la Villette.

La volage, en volant vers ce nouveau bonheur,

Me fit un pied de nez doublé d’un bras d’honneur,

Adorable pimbêche!

J’hésite à simuler ce geste: il est trop bas.

On vous l’a souvent fait, d’ailleurs je ne peux pas

La guitare m’empêche!

J’eus beau la supplier: "De grâce, ma Nini,

Rassieds-toi, rassieds-toi: ton trou n’est pas fini."

D’une voix sans réplique,

"Je m’en fous" cria-t-elle "Et puisqu’il te plaît tant,

C’est l’instant ou jamais de t’enfouir dedans:

T’as bien fait "La Supplique"!"

Et je retournai voir, morfondu de chagrin,

La trace laissée par la chute de ses reins,

Par ses parties dodues.

J’ai cherché, recherché, fébrile jusqu’au soir,

L’endroit où elle avait coutume de s’asseoir,

Ce fut peine perdue.

La vague indifférente hélas avait roulé,

Avait fait plage rase, avait annihilé

L’empreinte de ses sphères.

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Si j’avais retrouvé l’inestimable sceau,

Je l’aurais emporté, grain par grain, seau par seau,

Mais m’eût-on laissé faire?

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2010

Une ombre au tableau

Si j’ai bonne mémoire, elle allait dégrafée ;

On comptait plus les yeux qu’elle avait pu crever.

Elle faisait du tort aux statues de l’antique ;

Elle était si prodigue à montrer ses appas

Que la visite au Louvre ne s’imposait pas.

Avec elle le nu devenait art plastique.

Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,

Rendre à son piédestal la Vénus de Milo.

La belle dégrafée a changé d’esthétique,

Un vent de honte a balayé le pont des Arts,

Et les collets sont montés comme par hasard.

"Les jeunes filles d’aujourd’hui sont impudiques."

De la mode, naguère, elle ignorait le cours,

Invariablement, elle s’habillait court.

Elle aimait accuser le jeu de ses chevilles ;

Quand le vent s’en mêlait, c’était fête pour nous

On avait un droit de regard sur ses genoux,

Et l’on en abusait, je vous le certifie.

Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,

Les jupes tout à coup sont tombées de bien haut.

La belle retroussée est devenue Sophie ;

A peine maintenant si l’on voit ses talons,

Quelle que soit la mode, elle s’habille long.

"Elles en font vraiment trop voir, les jeunes filles."

Et s’il avait fallu vêtir une poupée

Du soupçon de chiffon dont elle était nippée,

L’étoffe aurait paru tout juste suffisante ;

C’était rien, moins que rien, ça lui couvrait le corps

D’une seconde peau qui la rendait encore

Plus nue toute habillée et plus appétissante.

Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,

Elle a de la tenue et flétrit le culot

De ces beautés du diable, ces adolescentes,

Qui, la robe collée sur leur peau de satin,

Ont l’air de revenir du faubourg Saint-Martin.

"Les jeunes filles d’aujourd’hui sont indécentes."

Cela dit, sans vouloir lui laver le chignon,

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La bagatelle était son gros péché mignon.

L’amour était toujours pendu à sa ceinture.

Légère, elle a connu les mille et une nuits

De noce et son ange gardien, pauvre de lui,

Dut passer auprès d’elle une vie de tortures.

Mais les temps sont venus mettre une ombre au tableau,

Sous le pont des soupirs, il a coulé de l’eau.

La belle enamourée a changé de posture,

Maintenant qu’Adonis a déserté sa cour,

Que l’amour la délaisse, elle laisse l’amour

Aux jeunes filles d’aujourd’hui, ces créatures!

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Jean rentre au village

Jean rentre au village

Son père chercher,

Le cherche trois heures,

Où s’est-il caché?

Mais un brave coeur lui dit:

Ton papa, pauvre petit,

Il est en hospice,

Le bon Dieu n’est pas gentil.

Jean va-t-en hospice

Son père chercher.

Le cherche trois heures,

Où s’est-il caché?

Mais un brave coeur lui dit

Ton papa pauvre petit

L’est déjà-t-en morgue,

Le bon Dieu n’est pas gentil.

Jean s’en va-t-en morgue

Son père chercher,

Le cherche trois heures,

Où s’est-il caché?

Mais un brave coeur lui dit

Ton papa, pauvre petit,

L’est déjà-t-en bière,

Le bon Dieu n’est pas gentil.

Jean s’en va-t-en bière

Son père chercher,

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253

Le cherche trois heures,

Où s’est-il caché?

Mais un brave coeur lui dit

Ton papa, pauvre petit,

L’est déjà-t-en route,

Le bon Dieu n’est pas gentil.

Jean s’en va-t-en route

Son père chercher,

Le cherche trois heures,

Où s’est-il caché?

Mais un brave coeur lui dit

Ton papa, pauvre petit,

L’est déjà-t-en terre,

Le bon Dieu n’est pas gentil.

Jean s’en va-t-en terre

Son père chercher,

Le cherche trois heures,

Où s’est-il caché?

Mais un brave coeur lui dit

Ton papa, pauvre petit,

L’est déjà-t-en cendres,

Le bon Dieu n’est pas gentil.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

La guerre

A voir le succès que se taille

Le moindre récit de bataille,

On pourrait en déduire que

Les braves gens sont belliqueux.

La guerre,

C’est sûr,

La faire,

C’est dur,

Coquin de sort

Mais quelle

Bell’ fête,

Lorsqu’elle

Est faite,

Et qu’on s’en sort!

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C’est un sacré frisson que donne

Au ciné, le canon qui tonne.

Il était sans nul doute d’un

Autre genre autour de Verdun.

Bien qu’on n’ait pas la tête épique

Au pays de France, on se pique

D’art martial, on se repaît

De stratégie en temps de paix.

"Allons enfants de la patrie",

A tue-tête, on le chante et crie.

Qu’on nous dise: "Faut y aller!",

On est dans nos petits souliers.

C’est beau, les marches militaires,

Ca nous fait battre les artères.

On semble un peu moins fanfaron,

Sitôt qu’on approche du front.

Les uniformes et les bottes,

Les tuniques et les capotes,

C’est à la mode, on les enfile

Très volontiers dans le civil...

A voir le succès que se taille

Le moindre récit de bataille

On pourrait en déduire que

Les braves gens sont belliqueux.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Les radis

Chacun sait qu’autrefois les femm’s convaincues d’adultère

Se voyaient enfoncer dans un endroit qu’il me faut taire

Par modestie…

Un énorme radis.

Or quand j’étais tout gosse, un jour de foire en mon village,

J’eus la douleur de voir punir d’une épouse volage

La perfidie,

Au moyen du radis.

La malheureuse fut traînée sur la place publique

Par le cruel cornard armé du radis symbolique,

Ah! sapristi,

Mes aïeux quel radis!

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Vers la pauvre martyre on vit courir les bonn’s épouses

Qui, soit dit entre nous, de sa débauche étaient jalouses.

Je n’ai pas dit:

Jalouses du radis.

Si j’étais dans les rangs de cette avide et basse troupe,

C’est qu’à cette époqu’-là j’ n’avais encor’ pas vu de croupe

Ni de radis,

Ça m’était interdit.

Le cornard attendit que le forum fût noir de monde

Pour se mettre en devoir d’accomplir l’empal’ment immonde,

Lors il brandit

Le colossal radis.

La victime acceptait le châtiment avec noblesse,

Mais il faut convenir qu’elle serrait bien fort les fesses

Qui, du radis,

Allaient être nanties.

Le cornard mit l’ radis dans cet endroit qu’il me faut taire,

Où les honnêtes gens ne laissent entrer que des clystères.

On applaudit

Les progrès du radis.

La pampe du légume était seule à présent visible,

La plante était allée jusqu’aux limites du possible,

On attendit

Les effets du radis.

Or, à l’étonnement du cornard et des gross’s pécores

L’empalée enchantée criait: "Encore, encore, encore,

Hardi hardi,

Pousse le radis, dis!"

Ell’ dit à pleine voix: "J’ n’aurais pas cru qu’un tel supplice

Pût en si peu de temps me procurer un tel délice!

Mais les radis

Mènent en paradis!"

Ell’ n’avait pas fini de chanter le panégyrique

Du légume en question que toutes les pécor’s lubriques

Avaient bondi

Vers les champs de radis.

L’oeil fou, l’écume aux dents, ces furies se jetèrent en meute

Dans les champs de radis qui devinrent des champs d’émeute.

Y en aura-t-y

Pour toutes, des radis?

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Ell’s firent un désastre et laissèrent loin derrière elles

Les ravages causés par les nuées de sauterelles.

Dans le pays,

Plus l’ombre d’un radis.

Beaucoup de maraîchers constatèrent qu’en certain nombre

Il leur manquait aussi des betterav’s et des concombres

Raflés pardi

Comme de vils radis.

Tout le temps que dura cette manie contre nature,

Les innocents radis en vir’nt de vert’s et de pas mûres,

Pauvres radis,

Héros de tragédie.

Lassés d’être enfoncés dans cet endroit qu’il me faut taire,

Les plus intelligents de ces légumes méditèrent.

Ils se sont dit:

"Cessons d’être radis!"

Alors les maraîchers semant des radis récoltèrent

Des melons, des choux-fleurs, des artichauts, des pomm’s de terre

Et des orties,

Mais pas un seul radis.

A partir de ce jour, la bonne plante potagère

Devint dans le village une des denrées les plus chères

Plus de radis

Pour les gagne-petit.

Cettain’s pécor’s fûtées dir’nt sans façons: "Nous, on s’en fiche

De cette pénurie, on emploie le radis postiche

Qui garantit

Du manque de radis."

La mode du radis réduisant le nombre de mères

Qui donnaient au village une postérité, le maire,

Dans un édit

Prohiba le radis.

Un crieur annonça: "Toute femme prise à se mettre

Dans l’endroit réservé au clystère et au thermomètre

Même posti-

Che un semblant de radis

Sera livrée aux mains d’une maîtresse couturière

Qui, sans aucun délai, lui faufilera le derrière

Pour interdi-

Re l’accès du radis."

Cette loi draconienne eut raison de l’usage louche

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D’absorber le radis par d’autres voies que par la bouche,

Et le radis,

Le légume maudit,

Ne fut plus désormais l’instrument de basses manoeuvres

Et n’entra plus que dans la composition des hors-d’œuvre

Qui, à midi,

Aiguisent l’appétit.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Charlotte ou Sarah?

(par Pierre Louki ; paroles de Pierre Louki ; musique de Georges Brassens)

N’ayant pas connu l’amour depuis plus de vingt ans

J’avais, disons, le coeur en veilleuse.

Pourtant j’ai du sex-appeal et je suis bien portant,

Mais pas de Juliette pour autant.

Et voilà que dans ma vie tombent en même temps

Deux créatures ensorceleuses.

Mais deux à la fois c’est beaucoup pour un débutant,

Pardonnez si je suis hésitant.

Je n’sais pas

Si je dois baiser Charlotte

Ou embras-

Ser Sarah.

Charlotte a

De délicieuses culottes,

Sarah a de beaux bras.

Je n’sais pas

Si Charlotte sans culotte

Est mieux qu’Sa-

Rah sans bras.

Si c’est la

Culotte qui me pilote

Voyez mon embarras.

Je n’ peux pas dire que je n’aime pas Sarah à cause des culottes qu’elle n’a pas.

Mais j’ peux pas soutenir de même que Charlotte ne me plaît pas à cause des bras de Sarah.

Dans mon cas

Comment faire saperlotte?

Si je choi-

Sis Sarah,

Dans ses bras

La culotte de Charlotte

Pour sûr me manquera.

Plus je rêve de cueillir ces fruits d’amour charmants

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Et plus j’appréhende la cueillette.

Me faudra-t-il les honorer simultanément

Et comment m’en sortir autrement?

Si je peux offrir mon coeur à chacune en donnant

Un ventricule et une oreillette,

Il est d’autres attributs que je ne puis vraiment

Détailler inconsidérément.

Je n’sais pas

Si je dois chasser Charlotte

Ou rembar-

Rer Sarah.

Que fera

La culotte de Charlotte

Si Sarah baisse les bras?

Et si Sa-

Rah veut porter la culotte,

Qu’est-c’ que Char-

Lotte dira?

Car si Char-

Lotte a beaucoup de culottes,

Sarah n’a que deux bras.

Bien sûr Charlotte m’asticote, pour un coeur tant et tant de culottes, tentation!

Oui mais Sarah est polyglotte, une polyglotte sans culotte c’est bien pour la conversation.

Me faudra-

T-il me donner à Charlotte

Et Sarah

A la fois?

Gare à moi,

Si deux souris me pelotent,

Je suis fait comme un rat.

Je n’ sais pas

Si je dois baiser Charlotte

Ou embras-

Ser Sarah.

Charlotte a

De délicieuses culottes,

Sarah a de beaux bras.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Discours des fleurs

(par Eric Zimmermann ; musique de Eric Zimmermann)

Sachant bien que même si

Je suis amoureux transi,

Jamais ma main ne les cueille

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De bon cœur les fleurs m’accueillent.

Et m’esquivant des salons,

Où l’on déblatère, où l’on

Tient des propos byzantins,

J’vais faire un tour au jardin.

Car je préfère, ma foi,

En voyant ce que parfois,

Ceux des hommes peuvent faire,

Les discours des primevères.

Des bourdes, des inepties,

Les fleurs en disent aussi,

Mais jamais personne en meurt

Et ça plaît à mon humeur.

Le premier Mai c’est pas gai,

Je trime a dit le muguet,

Dix fois plus que d’habitude,

Regrettable servitude.

Muguet, sois pas chicaneur,

Car tu donnes du bonheur,

Pas cher à tout un chacun.

Brin d’ muguet, tu es quelqu’un.

Mon nom savant me désol’,

Appelez-moi tournesol,

Ronchonnait l’héliotrope,

Ou je deviens misanthrope.

Tournesol c’est entendu,

Mais en échange veux-tu

Nous donner un gros paquet

De graines de perroquet?

L’églantine en rougissant

Dit: ça me tourne les sangs,

Que gratte-cul l’on me nomme,

Cré nom d’un petit bonhomme!

Eglantine on te promet

De ne plus le faire, mais

Toi tu ne piqueras plus.

Adjugé, marché conclu.

Les "je t’aime un peu beaucoup",

Ne sont guère de mon goût,

Les serments d’amour m’irritent,

Se plaignait la marguerite.

Car c’est là mon infortune,

Aussitôt que débute une

Affaire sentimentale,

J’y laisse tous mes pétal’s.

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Un myosotis clamait:

Non je n’oublierai jamais,

Quand je vivrais cent ans d’âge,

Mille ans et même davantage.

Plein de souvenance allons,

Cent ans c’est long, c’est bien long,

Même vingt et même dix,

Pour un seul myosotis.

Mais minuit sonnait déjà,

Lors en pensant que mes chats,

Privés de leur mou peuchère,

Devaient dire: "il exagère".

Et saluant mes amies

Les fleurs je leur ai promis

Que je reviendrais bientôt.

Et vivent les végétaux.

Car je préfère ma foi,

En voyant ce que parfois,

Ceux des hommes peuvent faire,

Les discours des primevères.

Des bourdesdes inepties,

Les fleurs en disent aussi,

Mais jamais personne en meurt,

Et ça plaît à mon humeur.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

La file indienne

(par Bernard Lavalette)

Un chien caniche à l’oeil coquin,

Qui venait de chez son béguin,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Descendait, en s’ poussant du col,

Le boulevard de Sébastopol,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Une midinette en repos,

Se plut à suivre le cabot,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Sans voir que son corps magnétique

Entraînait un jeune loustic,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Or, l’amante de celui-ci

Jalouse le suivait aussi,

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Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,.

Et l’ vieux mari de celle-là,

Le talonnait de ses pieds plats,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Un dur balafré courait sus

Au vieux qu’il prenait pour Crésus,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Et derrière le dur balafré

Marchait un flic à pas feutrés,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Et tous, cabot, trottin, loustic,

Epouse, époux, et dur et flic,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Descendaient à la queue leu leu

Le long boulevard si populeux,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Voilà que l’animal, soudain,

Profane les pieds du trottin,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Furieus’ ell’ flanque avec ferveur

Un’ pair’ de gifles à son suiveur,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Celui-ci la tête à l’envers

Voit la jalous’ l’oeil grand ouvert,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Et l’abreuv’ d’injur’s bien senties,

Que j’vous dirai à la sortie,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Derrièr’ arrivait le mari,

Ce fut à lui qu’elle s’en prit,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

En le traitant d’un’ voix aiguë

De tambour-major des cocus.

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Le mari rebroussant chemin

Voit le dur et lui dit "gamin",

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

C’est trop tard pour me détrousser,

Ma femme vous a devancé,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Le dur vexé de fair’ chou blanc

Dégaine un couteau rutilant,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Qu’il plante à la joie du public,

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A travers la carcass’ du flic,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas.

Et tous, bandit, couple, loustic,

Trottin, cabot, tous, sauf le flic,

Tortillant de la croupe et claquetant de la semelle,

Suivir’nt à la queue leu leu

L’enterrement du flic parbleu,

Tortillant de la croupe et redoublant le pas. (bis)

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Le bricoleur

(par Patachou)

Pendant les rar’s moments de pause,

Où il n’ répar’ pas quelque chose,

Il cherch’ le coin disponible où

L’on peut encor planter un clou (boîte à outils). (bis)

Le clou qu’il enfonce à la place

Du clou d’hier, il le remplace-

Ra demain par un clou meilleur,

Le même qu’avant-hier d’ailleurs.

Refrain

Mon Dieu, quel bonheur!

Mon Dieu, quel bonheur

D’avoir un mari qui bricole

Mon Dieu, quel bonheur!

Mon Dieu, quel bonheur

D’avoir un mari bricoleur

(Boîte à outils). (bis)

Au cours d’une de mes grossesses,

Devant lui je pestais sans cesse

Contre l’incroyable cherté

D’une layette de bébé (boîte à outils). (bis)

Mais lorsque l’enfant vint au monde,

J’ vis avec une joie profonde

Qu’ mon mari s’était débrouillé

Pour me le fair’ tout habillé.

(Au Refrain)

A l’heure actuelle, il fabrique

Un nouveau système électrique,

Qui va permettre à l’homme, enfin,

De fair’ de l’eau avec du vin (boîte à outils). (bis)

Mais dans ses calculs il se trompe,

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Et quand on veut boire à la pompe,

Il nous arriv’ d’ingurgiter

Un grand verre d’électricité.

(Au Refrain)

Comme il redout’ que des canailles

Convoit’nt ses rabots, ses tenailles,

En se couchant, il les installe

Au milieu du lit conjugal (boîte à outils). (bis)

Et souvent, la nuit, je m’éveille,

En rêvant aux monts et merveilles

Qu’annonce un frôlement coquin,

Mais ce n’est qu’un vilebrequin!

Mon Dieu, quel malheur,

Mon Dieu, quel malheur

D’avoir un mari qui bricole!

Mon Dieu, quel malheur,

Mon Dieu, quel malheur

D’avoir un mari bricoleur!

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Le chapeau de Mireille

(par Marcel Amont)

Le chapeau de Mireille,

Quand en plein vol je l’ai rattrapé,

Entre Sète et Marseille,

Quel est l’ bon vent qui l’avait chipé?

Le chapeau de Mireille,

Quand en plein vol je l’ai rattrapé,

Entre Sète et Marseille,

Quel joli vent l’avait chipé?

C’est pas le zéphyr,

N’aurait pu suffir’,

C’est pas lui non plus

L’aquilon joufflu,

C’est pas pour autant

L’autan.

Non, mais c’est le plus fol

Et le plus magistral

De la bande à Eole,

En un mot: le mistral.

Il me la fit connaître,

Aussi, dorénavant,

Je ne mouds plus mon blé

Qu’à des moulins à vent.

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Quand la jupe à Mireille

Haut se troussa, haut se retroussa,

Découvrant des merveilles:

Quel est l’ bon vent qui s’est permis ça?

Quand la jupe à Mireille

Haut se troussa, haut se retroussa,

Découvrant des merveilles:

Quel joli vent s’est permis ça?

C’est pas le zéphyr,

N’aurait pu suffir’,

C’est pas lui non plus,

L’aquilon joufflu,

C’est pas pour autant

L’autan.

Non, mais c’est le plus fol

Et le plus magistral

De la bande à Eole,

En un mot: le mistral.

Il me montra sa jambe,

Aussi reconnaissant,

Je lui laisse emporter

Mes tuiles en passant.

Quand j’embrassai Mireille,

Qu’elle se cabra, qu’elle me rembarra,

Me tira les oreilles,

Quel est l’ bon vent qui retint son bras?

Quand j’embrassai Mireille,

Qu’elle se cabra, qu’elle me rembarra,

Me tira les oreilles,

Quel joli vent retint son bras?

C’est pas le zéphyr,

N’aurait pu suffir’,

C’est pas lui non plus

L’aquilon joufflu,

C’est pas pour autant

L’autan.

Non, mais c’est le plus fol

Et le plus magistral

De la bande à Eole,

En un mot: le mistral.

Il m’épargna la gifle,

Aussi, dessus mon toit

Y’ avait un’ seul’ girouette

Y’ en a maintenant trois.

Et quand avec Mireille

Dans le fossé on s’est enlacés,

A l’ombre d’une treille,

Quel est l’ bon vent qui nous a poussés?

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Et quand avec Mireille

Dans le fossé on s’est enlacés,

A l’ombre d’une treille,

Quel joli vent nous a poussés?

C’est pas le zéphyr,

N’aurait pu suffir’,

C’est pas lui non plus

L’aquilon joufflu,

C’est pas pour autant

L’autan.

Non, mais c’est le plus fol

Et le plus magistral de la bande à Eole,

En un mot: le mistral.

Il me coucha sur elle,

En échange aussitôt

Je mis un’ voil’ de plus

A mon petit bateau.

Quand j’ai perdu Mireille,

Que j’épanchai le coeur affligé

Des larmes sans pareilles,

Quel est l’ bon vent qui les a séchées?

Quand j’ai perdu Mireille,

Que j’épanchai le coeur affligé

Des larmes sans pareilles,

Quel joli vent les a séchées?

C’est pas le zéphyr,

N’aurait pu suffir’,

C’est pas lui non plus

L’aquilon joufflu,

C’est pas pour autant

L’autan,

Non, mais c’est le plus fol

Et le plus magistral

De la bande à Eole,

En un mot: le mistral.

Il balaya ma peine

Aussi, sans lésiner

Je lui donne toujours

Mes boeufs à décorner.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Le cœur à l’automne

(par Pierre Louki ; paroles de Pierre Louki ; musique de Georges Brassens)

Quand la musique entra chez moi - que nul ne s’étonne -

J’avais, ça m’arrive parfois, le coeur à l’automne.

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C’était un air en demi-teinte,

Mi-joie et moitié plainte.

Je lui ai dit: "Le temps est fou,

Le vent du dehors vous chiffonne.

Etendez-vous donc sur mon magnétophone

Et reposez-vous."

Je n’avais ouï de longtemps musique pareille.

Je n’en croyais en l’écoutant mes grandes oreilles.

Elle me dit: "J’ai quitté mon maître,

Un saut par la fenêtre.

Il me gardait depuis cinq ans

En me promettant des paroles.

J’étais nue et nue ça n’est pas toujours drôle.

J’ai foutu le camp."

Moi qui suis un peu parolier, jugez de l’aubaine.

"Je peux, dis-je, vous habiller. Oubliez vos peines.

Je sais les mots faits pour vous plaire

Et j’ai deux dictionnaires."

Elle répondit: "Va pour l’essai. Vous me paraissez brave type.

Lui aussi l’était mais il fumait la pipe,

Ca m’ faisait tousser."

Et la mélodie envolée d’une autre guitare,

Avec mes mots s’est installée dans mon répertoire.

Et bien que je sois sans moustaches,

A moi elle s’attache.

Et les soirs où je me sens vieux,

Lorsque j’ai le coeur à l’automne,

Elle insiste un peu pour que je la chantonne.

Alors ça va mieux.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Le myosotis

(par Sacha Distel)

Quand tu partis, quand

Tu levas le camp

Pour suivre les pas

De ton vieux nabab,

De peur qu’ je n’ sois triste,

Tu allas chez l’ fleuriste

Quérir un’ fleur bleue,

Un petit bouquet d’adieu,

Bouquet d’artifice ;

Un myosotis,

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267

En disant tout bas

Ne m’oubliez pas.

Afin d’avoir l’heur’

De parler de toi,

J’appris à la fleur

Le langag’ françois.

Sitôt qu’elles causent

Paraît que les roses

Murmurent toujours

Trois ou quatre mots d’amour.

Les myosotis

Eux autres vous dis’nt,

Vous disent tout bas:

Ne m’oubliez pas.

Les temps ont passé.

D’autres fiancées,

Parole d’honneur,

M’offrir’nt le bonheur.

Dès qu’une bergère

Me devenait chère,

Sortant de son pot

Se dressant sur ses ergots

Le myosotis

Braillait comme dix

Pour dire "Hé là-bas,

Ne m’oubliez pas."

Un jour Dieu sait quand,

Je lèv’rai le camp,

Je m’envol’rai vers

Le ciel ou l’enfer.

Que mes légataires,

Mes testamentaires,

Aient l’extrême bonté,

Sur mon ventre de planter

Ce sera justic’

Le myosotis

Qui dira tout bas:

Ne m’oubliez pas.

Si tu vis encor’,

Petite pécor’,

Un d’ ces quat’ jeudis,

Viens si l’coeur t’en dit

Au dernier asile

De cet imbécile

Qui a gâché son coeur,

Au nom d’une simple fleur.

Y a neuf chanc’s sur dix

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Qu’ le myosotis

Te dise tout bas:

Ne m’oubliez pas.

Titre CD(?)

texte

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Titolo

testo

2010

Le vieux fossile

(par Marcel Amont ; musique de Marcel Amont)

Quand ell’ passe avec ses appas,

Et qu’on ne la contemple pas,

On est un mufle un esprit bas,

Un vieux fossile.

Mais qu’on la dévore des yeux,

On est un pourceau malicieux.

Pour lui complaire, justes cieux,

C’est difficile.

Quand on ne lui fait pas la cour,

Pas le moindre galant discours,

On est un mufle sans recours,

Un vieux fossile.

Qu’on lui tienn’ des propos flatteurs,

On est un fourbe, un séducteur,

Pour être juste à sa hauteur,

C’est difficile.

Quand on néglige de poser,

Sur sa bouche en coeur un baiser,

On est un mufle renforcé,

Un vieux fossile.

Qu’on aille lui sauter au cou

On récolte un’ moisson de coups.

Pour faire une chose à son goût,

C’est difficile.

Quand, pétri de bons sentiments,

On l’aime platoniquement,

On est un mufle, un garnement,

Un vieux fossile.

Qu’on lui manque un peu de respect,

D’être un faune on devient suspect,

Avec elle pour être en paix,

C’est difficile.

Quand étant passé sur son corps,

L’on s’enfuit et l’on court encore,

On est un mufle de record,

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Un vieux fossile.

Qu’on veuille vivre à ses côtés

Ell’ crie: "vive la liberté".

Tomber juste à la vérité,

C’est difficile.

Quand elle attente à la vertu,

Qu’elle nous trompe et qu’on la tue,

On est un mufle, un être obtus,

Un vieux fossile.

Qu’on pardonne, on est à l’instant

Plat, vil, cocu, battu, content.

Pour n’être pas à contretemps,

C’est difficile.

Ceci dit, belles, je vous l’avoue

Le chemin qui mène vers vous,

J’ le suivrai toujours tel un fou

Digne d’asile.

En vous faisant toujours crédit,

Car il est naturel pardi,

Que le chemin du paradis

Soit difficile,

Que le chemin du paradis

Soit difficile.

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Sur la mort d’une cousine de sept ans

(par les Compagnons de la Chanson;

poème de Hégésippe Moreau;

musique de Georges Brassens)

Hélas, si j’avais su lorsque ma voix qui prêche

T’ennuyait de leçons, que sur toi rose et fraîche

L’oiseau noir du malheur planait inaperçu,

Que la fièvre guettait sa proie et que la porte

Où tu jouais hier te verrait passer morte…

Hélas, si j’avais su!…

Enfant, je t’aurais fait l’existence bien douce,

Sous chacun de tes pas j’aurais mis de la mousse ;

Tes ris auraient sonné chacun de tes instants ;

Et j’aurais fait tenir dans ta petite vie

Des trésors de bonheur immense à faire envie

Aux heureux de cent ans.

Loin des bancs où pâlit l’enfance prisonnière,

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270

Nous aurions fait tous deux l’école buissonnière.

Au milieu des parfums et des champs d’alentour

J’aurais vidé les nids pour emplir ta corbeille ;

Et je t’aurais donné plus de fleurs qu’une abeille

N’en peut voir en un jour.

Puis, quand le vieux janvier les épaules drapées

D’un long manteau de neige et suivi de poupées,

De magots, de pantins, minuit sonnant accourt ;

Parmi tous les cadeaux qui pleuvent pour étrenne,

Je t’aurais faite asseoir comme une jeune reine

Au milieu de sa cour.

Mais je ne savais pas et je prêchais encore ;

Sûr de ton avenir, je le pressais d’éclore,

Quand tout à coup pleurant un pauvre espoir déçu,

De ta petite main j’ai vu tomber le livre ;

Tu cessas à la fois de m’entendre et de vivre…

Hélas, si j’avais su!

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Une petite Eve en trop

(par Marcel Amont ; musique de Marcel Amont)

Bien que je ne sois pas de la côte d’Adam,

Je vis seul sur la terre et c’est débilitant,

Débilitant.

Au sein de mon foyer, pas l’ombre d’un grillon,

Jamais le plus léger frou-frou de cotillon,

Un amour de p’tite Ève avec de longs cheveux,

Qui filerait la laine assise au coin du feu,

Qui partagerait ma joie et ma mélancolie,

Qui m’aiderait à faire et défaire mon lit.

Refrain

Personne pour m’aider à porter mon coeur gros?

Le ciel n’aurait-il pas une petite Eve en trop?

Personne pour m’aider à porter mon coeur gros?

Le ciel n’aurait-il pas une petite Eve en trop?

Une petite Eve en trop?

Bien longues sont les nuits que l’on passe tout seul,

Le drap le plus douillet ressemble à un linceul,

A un linceul.

Et pour peu qu’on n’ait pas la nature d’un saint,

On se prend à rêver de la femme du voisin.

J’en ferai pas ma bonne et mon souffre-douleur.

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Je ne la battrai pas, même avec une fleur,

Au plus de temps en temps, et sauf votre respect,

jusqu’à froisser sa robe je pousserai le toupet.

(Au Refrain)

J’ajoute à ce propos qu’il n’me déplairait pas

Qu’aux alentours du coeur elle eut quelques appas,

Quelques appas.

Quand les fruits du pommier ne sont plus de saison,

Heureux qui croque encore la pomme à la maison.

Par avance Seigneur je vous en remercie.

Donnez-moi vite une compagne, même si

De l’une de mes côtes il faut faire les frais.

Maintenant, j’en suis plus à une côte près!

(Au Refrain)

Titre CD(?)

texte

?

Titolo

testo

2010

Vendetta

(par Christian Méry)

Mes pipelets sont corses tous deux,

J’eus tort en disant devant eux,

Que Tino et Napoléon

Jouaient mal de l’accordéon.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

Fermement résolus d’ se venger,

Mes compatriotes outragés,

S’appliquèrent avec passion

A ternir ma réputation.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

Leurs coups de bec eurent c’est certain,

Sur mon lamentable destin,

Des répercussions fantastiques,

Dépassant tous les pronostics,

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

M’étant un jour lavé les pieds,

J’attendais la femme d’un pompier,

Sûr d’abuser d’elle à huis-clos,

J’avais compté sans ces ballots.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

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Comme dans le couloir il faisait nuit,

Et qu’elle ne trouvait pas mon huis,

Elle s’adressa funeste erreur,

A ma paire de dénigreurs.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

Ils répondirent: cet espèce de con-

Tagieux là, demeure au second,

Mais dès que vous sortirez de chez lui,

Courez à l’hôpital Saint-Louis.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

Alors ma visiteuse à corps

Perdu, partit et court encore,

Et je dus convenir enfin

Que je m’étais lavé les pieds en vain.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

Mis au fait, les pompiers de Paris,

Me clouèrent au pilori.

Ils retirèrent par précaution

Leurs femmes de la circulation.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

Et tout ça, tout ça, voyez-vous

Parce qu’un jour j’ai dit à ces fous,

Que Tino et Napoléon

Jouaient mal de l’accordéon.

Vendetta, vendetta,

Vendetta, vendetta.

Trompe la mort CD 12 TRACK 01

Avec cette neige à foison

Qui coiffe, coiffe ma toison,

On peut me croire à vue de nez

Blanchi sous le harnais.

Eh bien, Mesdames et Messieurs,

C’est rien que de la poudre aux yeux,

C’est rien que de la comédie,

Que de la parodie.

C’est pour tenter de couper court

À l’avance du temps qui court,

De persuader ce vieux goujat

Que tout le mal est fait déjà.

Inganna la morte

Con questa neve in abbondanza

che copre, copre la capigliatura,

mi si crederebbe, a lume di naso,

invecchiato nel mestiere.

Ebbene, Signore e Signori,

non è che polvere negli occhi,

non è altro che una commedia,

una parodia,

il tentativo di tagliar corto,

d’anticipare il Tempo che corre,

di persuadere quel vecchio cafone

che tutto il male è già fatto.

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273

Mais dessous la perruque j’ai

Mes vrais cheveux couleur de jais.

C’est pas demain la veille, bon Dieu!

De mes adieux.

Et si j’ai l’air moins guilleret,

Moins solide sur mes jarrets

Si je chemine avec lenteur

D’un train de sénateur,

N’allez pas dire « Il est perclus »

N’allez pas dire « Il n’en peut plus ».

C’est rien que de la comédie,

Que de la parodie.

Histoire d’endormir le temps,

Calculateur impénitent,

De tout brouiller, tout embrouiller

Dans le fatidique sablier.

En fait à l’envers du décor,

Comme à vingt ans, je trotte encore.

C’est pas demain la veille, bon Dieu!

De mes adieux.

Et si mon coeur bat moins souvent

Et moins vite qu’auparavant,

Si je chasse avec moins de zèle

Les gentes demoiselles,

Pensez pas que je sois blasé

De leurs caresses, leurs baisers,

C’est rien que de la comédie,

Que de la parodie.

Pour convaincre le temps berné

Qu’mes fêtes galantes sont terminées,

Que je me retire en coulisse,

Que je n’entrerai plus en lice.

Mais je reste un sacré gaillard

Toujours actif, toujours paillard.

C’est pas demain la veille, bon Dieu!

De mes adieux.

Et si jamais au cimetière,

Un de ces quatre on porte en terre,

Me ressemblant à s’y tromper,

Un genre de macchabée,

N’allez pas noyer le souffleur

En lâchant la bonde à vos pleurs,

Ce sera rien que comédie

Rien que fausse sortie.

Et puis, coup de théâtre, quand

Le temps aura levé le camp,

Estimant que la farce est jouée

Moi tout heureux, tout enjoué,

Ma sotto alla parrucca ho

i miei veri capelli, corvini.

Non sarà domani la vigilia, buon Dio,

della mia dipartita.

E se ho l’aspetto meno arzillo,

e se meno saldo sulle gambe

cammino lentamente e con fatica,

con un passo da senatore,

non andate a dire « E’ un’impedito »

non andate a dire « Non ne può più ».

Non è altro che una commedia,

una parodia.

E’ tanto per addormentare il Tempo,

calcolatore impenitente,

per confondere tutto, ingarbugliare tutto

nella fatidica clessidra.

In realtà, al contrario di come appare,

come a vent’anni io trotto ancora.

Non sarà domani la vigilia, buon Dio,

della mia dipartita.

E se il mio cuore batte meno spesso

e meno rapidamente di prima,

se vado a caccia di ragazze

con minore zelo,

non pensate che io sia stanco

delle loro carezze, dei loro baci,

non è altro che una commedia,

una parodia,

per convincere il Tempo beffato

che le mie feste galanti sono finite,

che mi ritiro dietro le quinte,

che non entrerò più in lizza.

Macchè! Io resto un pezzo di marcantonio,

ancora attivo, ancor gaudente.

Non sarà domani la vigilia, buon Dio,

della mia dipartita.

E se caso mai al cimitero,

uno di questi giorni, caleranno in terra

un certo cadavere

che mi somiglia tanto,

non annegate il suggeritore

dando sfogo a tutte le vostre lacrime,

non sarà altro che una commedia,

una parodia.

E poi, colpo di scena! Quando

il Tempo avrà tolto le tende,

pensando che lo scherzo sia riuscito,

tutto contento, pieno di vita

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J’ m’exhumerai du caveau

Pour saluer sous les bravos.

C’est pas demain la veille, bon Dieu!

De mes adieux.

1976

mi riesumerò dalla tomba

per salutare tra gli applausi scroscianti.

Non sarà domani la vigilia, buon Dio,

della mia dipartita.

2009

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APPROFONDIMENTI – ANALISI TESTUALE

Au bois de mon coeur

Porte des Lilas

Cette chanson figure dans le seul film qu'ait tourné Brassens, "Porte des Lilas" de René Clair (1957).

01Au bois d' Clamart y' a des petit's fleurs,

02Y' a des petit's fleurs,

Les petites fleurs

Il n'y a pas de rapport entre le film de René Clair et les paroles des chansons de Brassens composées pour lui. Les

petites fleurs, des prostituées ? Bizarre... D'autant qu'à l'époque il n'y avait pas de prostituées dans les bois comme

aujourd'hui.

03Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,

04Au, au bois d' mon coeur.

05Au fond de d' ma cour j' suis renommé,

06Au fond de d' ma cour j' suis renommé,

07J'suis renommé

08Pour avoir le coeur mal famé,

09Le coeur mal famé.

Mal famé

Du latin famus/fama qui signifie "la renommée".

Voir le vers précédent : je suis renommé.

10Au bois d' Vincennes, y' a des petit's fleurs,

11Y' a des petit's fleurs,

12Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,

13Au, au bois d' mon coeur.

14Quand y' a plus d' vin dans mon tonneau,

15Quand y' a plus d' vin dans mon tonneau,

16Dans mon tonneau,

17Ils n'ont pas peur de boir' mon eau,

18De boire mon eau.

19Au bois d' Meudon y' a des petit's fleurs,

20Y' a des petit's fleurs,

21Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,

22Au, au bois d' mon coeur.

23Ils m'accompagnent à la mairie,

24Ils m'accompagnent à la mairie,

25À la mairie,

26Chaque fois que je me marie,

27Que je me marie.

28Au bois d' Saint-Cloud y' a des petit's fleurs,

29Y' a des petit's fleurs,

30Y' a des copains au, au bois d' mon coeur,

31Au, au bois d' mon coeur.

32Chaqu' fois qu' je meurs, fidèlement

Question de virgule

Toutes les versions que l'on trouve de ce texte sur internet placent une virgule après l'adverbe ; c'est une erreur : il faut

la placer avant ; l'adverbe se rapporte à "ils suivent", non à "je meurs" ; le sujet de la chanson ne meurt pas fidèlement ;

ses amis suivent fidèlement son enterrement". D'ailleurs, dans l'enregistrement de cette chanson, Georges Brassens fait

très clairement une pause avant l'adverbe et une liaison entre l'adverbe et le "ils" qui suivent. C'est donc bien

"fidèlement ils suivent mon enterrement" qu'il faut comprendre.

Virgules et double sens

En complément : la transcription traditionnelle est malheureusement toujours musicale et masque la forme poétique.

Ici, il s'agit chaque fois d'un distique (deux vers à rime plate) que Brassens augmente par des répétitions. D'abord, il

répète tout le premier vers, puis la seconde partie de ce premier vers, ce qui fait des quatre syllabes où se place

"fidèlement" une sorte de pivot. Tant que l'auditeur ne connaît pas la suite, il doit rapporter "fidèlement" à "je meurs",

faute d'autres repères (la langue verbale est dynamique par opposition à la langue écrite). C'est là la structure

particulière de cette chanson.

Il en est de même de la seconde strophe où "dans mon tonneau" correspond non seulement au premier, mais aussi

parfaitement au deuxième vers : "Dans mon tonneau, il n'ont pas peur de boir' mon eau."

Dans la troisième strophe, "à la mairie" devient, pour le bref moment de la répétition, une exclamation : "A la mairie !"

(venez avec moi!).

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Ces jeux "dynamiques" avec ce que l'on appelle parfois "valences" sont typiques pour Brassens.

Dans son recueil "Alcools", Apollinaire avait renoncé à toute ponctuation pour ne pas détruire les "polyvalences" de la

langue française.

Complément

Apollinaire :

Sous le pont Mirabeau coule la Seine

Et nos amours faut-il qu'il m'en souvienne.

La polyvalence pourrait également nous faire comprendre :

Sous le pont Mirabeau coulent la Seine et nos amours

Faut-il qu'il m'en souvienne.

33Chaqu' fois qu' je meurs, fidèlement

34Fidèlement

35Ils suivent mon enterrement,

36Mon enterrement.

37Des petites fleurs

38Des petites fleurs

39Au, au bois d' mon coeur...

40Au, au bois d' mon coeur...

Auprès de mon arbre

01Auprès de mon arbre,

L'arbre

A savoir que l'arbre (et en particulier le hêtre - ou fayard - et le chêne) a toujours représenté chez les poètes la majesté,

la grandeur d'âme, et c'est à son pied, souvent, que le poète vient trouver son inspiration.

(A noter en passant : le chêne est aussi un arbre qualifié de ''royal'', dans la mesure où il était planté dans des forêts

royales pour la construction de navires. A noter également les allusions de La Fontaine du Chêne et le Roseau)

A ne pas oublier aussi le sens ''auprès de mon arbre'' pour dire ''dans ma région natale''.

02Je vivais heureux,

03J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...

04Auprès de mon arbre,

05Je vivais heureux,

06J'aurais jamais dû le quitter des yeux...

Eloigner ... quitter des yeux

Il paraît que Brassens a modelé son refrain sur l'expression: "Loin des yeux, loin du coeur, c'est-à-dire l'absence

refroidit." (Le LITTRE).

07J'ai plaqué mon chêne

Chêne

Rapprocher de l'expression : 'ces chênes qu'on abat' ? L'usage de 'plaqué' est amusant puisqu'on utilise le chêne en

contreplaqué !

Complément

On parle alors de chêne plaqué.

08Comme un saligaud,

Saligaud

"Personne qui agit de façon ignoble ou méprisable" [Larousse]. Le terme devait être plus ordurier dans les années 50

que de nos jours...

09Mon copain le chêne

10Mon alter ego,

Alter ego

Latin = littéralement "autre moi", mon autre moi-même, c'est à dire mon meilleur ami.

11On était du même bois

12Un peu rustique, un peu brut,

13Dont on fait n'importe quoi

14Sauf, naturell'ment, les flûtes...

être du bois dont on fait les flûtes

Félix Benoît dans son ouvrage "À la Découverte du Pot aux Roses", donne de cette expression la définition suivante :

"S'adapter à toutes les situations, ne pas être à cheval sur les principes" et ajoute que l'expression originelle comportait

"flêches" et non pas flûtes, et se rattachait à l'expression "faire flêche de tout bois", ce qui colle parfaitement.

Le bois dont on fait les flûtes

"être du bois dont on fait les flûtes" est une expression signifiant "être très complaisant"

Du bois dont on fait les flûtes...

Comme d'habitude, Georges a travaillé ses effets et on sait qu'il ne laissait s'envoler une chanson que lorsqu'elle lui

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plaisait, au sens de jouir, ("frissonner de plaisir").

Cette expression vient dans la même veine que le reste du poème. C'est une chanson de regret dans laquelle il nous

explique que les vraies valeurs sont dans les plaisirs simples qu'on prend quand ils arrivent, sans avoir à les convoiter ou

les fleurir de luxe...

Pardon, pour en revenir à notre bois, pour faire des flûtes, il faut des bois sélectionnés, nobles peut-être rares et très

travaillés. Lui, Georges, sa propre essence est le contraire, rustique et simple, c'est du brut.

On mesure ici toute la profondeur du travail et de l'Art de Georges qui a, on le sent dans le sens du poème, envisagé

toutes les interprétations de ces expressions populaires, qui vibrent en nous, jusqu'à transporter sa nostalgie, ses regrets

vers nos propres souvenirs.

Entre chêne et flûte

Il ne faut pas oublier non plus que le chêne servait en effet à tout (aux poètes pour l'inspiration, mais aussi à la

construction, car droit, large et robuste, mais aussi au chauffage, etc...).

Mais pas les flûtes, car les flûtes en bois sont aussi ces petits objets inutiles que taillait le berger (surtout dans le sud, sa

région natale) pour passer le temps.

15J'ai maint'nant des frênes,

16Des arbr's de Judée,

Judée

Allusion au bois de la Croix ?

Arbre aux pendus ?

L'arbre de Judée était voué à pendre les hommes et les traîtres dans l'ancienne Rome (autre destin que le chêne, autre

idéal)

Arbre de Judée

Selon la légende, Judas avait choisi cet arbre pour s'y pendre. L'image est forte et le parallélisme est clair : Judas a trahi

Jésus et puis s'est pendu ; le Je de la chanson a plaqué son chêne et... vit encore, d'ailleurs commodément !

Pas de justice en l'occurrence...

Arbre de Judée (gainier)

Gainier : Nom usuel de l’arbre de Judée, césalpiniacée aux fleurs roses, cultivée comme ornementale dans les jardins.

17Tous de bonne graine,

18De haute futaie...

Rime

La rime JUDÉE / FUTAIE peut étonner chez Brassens, versificateur assez pointilleux. En poésie classique, le É rime

mal avec le È, qui est plus ouvert. À la décharge du poète, il faut noter que dans le midi, dont il est originaire, la

distinction entre les deux est beaucoup plus lâche qu'en Bourgogne par exemple. Il semble aussi que cette différence

tende à disparaître chez de nombreux francophones depuis quelques dizaines d'années (brassage des accents + influence

de la radio et de la télé sans doute).

Complément

Avec cette rime, Brassens est tout de même en bonne compagnie. On trouve une rime analogue (soirée/roseraie) par

exemple dans le Palais d'Apollinaire :

Vers le palais de Rosemonde au fond du Rêve

Mes rêveuses pensées pieds nus vont en soirée

Le palais don du roi comme un roi nu s'élève

Des chairs fouettées des roses de la roseraie

Complément

Etant du Sud-Ouest, je confirme que je ne fais personnellement aucunement la différence, à l'oreille, entre ces deux

prononciations, et je pense qu'il en va de même pour beaucoup de gens de la zone occitanophone, où la plupart des "é"

(y compris dans "haie", "futaie", "dais" etc.) sont fermés, tandis que la plupart des "o" ("gauche", "moche", "poche")

sont ouverts. L'ouverture du "è" est plutôt perçue comme une prononciation "parisienne" voire précieuse.

Rime Judée / Futaie

Au Québec particulièrement, ces deux rimes sont assez différentes, ainsi que les rimes "eux / e" et "in / un" qui n'ont pas

du tout la même sonorité. En France, cela me semble moins radical...

Rime

Faire rimer les sons "é" et "è" est courant chez les poètes (Rimbaud, dans le Bateau ivre, fait rimer "mai" avec

"embaumé").

Brassens utilise couramment ce genre de consonances :

"Verdun et Pétain", "Train et être un", "que et qu'eux", "mai et aimer", etc.

Prononciation é & è

Pour abonder dans le sens du premier commentaire. Dans la région de Marseille, où j'habite, ces deux phonèmes sont

parfois carrément inversés. Le mot même de "marseillais" se dira dans le nord : marsÉyÈ, à Marseille on dit : marsÈyÉ.

De haute futaie

Il est à noter que le Larousse mentionne que l'expression en elle-même est rentrée dans le langage du quotidien ; elle

qualifie une chose "de qualité, de haute tenue".

Entier dans son art, Brassens l'emploie fort à propos puisqu'il la ramène dans le domaine de la sylviculture d'où elle tire

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bien certainement son origine et lui confère ainsi un sens autrement plus fort.

19Mais toi tu manque' à l'appel

20Ma vieill' branche de campagne

21Mon seul arbre de Noël,

22Mon mât de cocagne!

Cocagne

Le Pays de Cocagne était un pays légendaire où des jambons poussaient sur les arbres et du vin coulait dans les

ruisseaux. Dans les fêtes de village, le mât de cocagne, attraction traditionnelle, était un poteau savonné en haut duquel

on accrochait des jambons, des bouteilles et autres friandises que les jeunes montaient décrocher à leurs risques ete

périls et au grand amusement de la foule.

Complément

Le Pays de Cocagne est un territoire situé entre Toulouse, Albi et Carcassonne. Il doit son nom à la cocagne (caucanha,

en occitan) qui est une boule de feuilles de pastel pressées et séchées, donnant une teinture bleue unique longtemps

utilisée dans les arts et les artisanats à travers toute l'Europe.

Cette production a valu à la contrée son image d'abondance qui s'est popularisée sous le nom de Pays de Cocagne.

23Auprès de mon arbre,

24Je vivais heureux,

25J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...

26Auprès de mon arbre,

27Je vivais heureux,

28J'aurais jamais dû le quitter des yeux...

29Je suis un pauv' type,

30J'aurais plus de joie:

31J'ai jeté ma pipe,

32Ma vieill' pipe en bois,

33Qui avait fumé sans s' fâcher,

34Sans jamais m'brûler la lippe,

Lippe

"Lèvre inférieure proéminente" [Larrouse].

Terme qu'affectionne particuliérement Brassens. On le retrouve notamment dans Le Grand Pan, dernier couplet :

Un beau jour on va voir le Christ

Descendre du calvaire en disant dans sa lippe

35L' tabac d' la vache enragée

Manger de la vache enragée

C'est avoir faim, peut-être en référence aux "vaches maigres" de la Bible. Pendant la guerre, que Brassens a passée en

partie en camp de travail obligatoire en Allemagne, faute de tabac, on fumait n'importe quoi, du tilleul, de l'eucalyptus,

des feuilles de choux séchées... C'était ça, le tabac de la vache enragée.

36Dans sa bonn' vieill' têt' de pipe...

37J'ai des pip's d'écume

écume

Il s'agit de "l'écume de mer" ou magnésite, un silicate naturel dont on fait de très belles pipes blanches et légères.

38Ornées de fleurons,

Fleuron

Décoration en forme de fleur, et souvent en forme de fleur de lys pour le bord des couronnes royales. C'est entre les

fleurons ou sur les fleurons eux-mêmes que sont sertis les "joyaux de la couronne".

39De ces pip's qu'on fume

40En levant le front,

Lever le front

Regarder les gens de haut, prendre un air supérieur, faire le fier.

Le contraire étant baisser le nez, regarder ses chaussures (comme le jeune homme riche de l'Evangile) pour prendre un

air humble ou penaud.

Complément

Le contraire étant aussi tout simplement baisser le front. Brassens ne dit il pas dans La fessée: je baissai le front, piteux

quand il crut, honteux, avoir frappé trop fort?

Complément

J'aurais plus perçu le fornt levé comme un acte de réflexion, je le voyais non toisant du regard mais plutôt les yeux au

ciel, serein en quelque sorte... une pipe amenant la réflexion et la sérénité.

41Mais j' retrouv'rai plus, ma foi,

42Dans mon coeur ni sur ma lippe,

43Le goût d' ma vieill' pip' en bois,

44Sacré nom d'un' pipe!

45Auprès de mon arbre,

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46Je vivais heureux,

47J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...

48Auprès de mon arbre,

49Je vivais heureux,

50J'aurais jamais dû le quitter des yeux...

51Le surnom d'infâme

52Me va comme un gant:

53D'avecques ma femme

Avecques

Forme ancienne (comme doncques) du mot "avec", largement utilisée en versification.

54J'ai foutu le camp,

55Parc' que depuis tant d'années,

56C'était pas un' sinécure

Sinécure

Du latin "sine cura" = sans souci. Une sinécure était (est encore) un emploi qui rapporte mais dont l'activité est soit

nulle, soit purement symbolique. Ainsi Ronsard, le poète, vivait de sa charge de... curé du prieuré de Saint-Cosme.

Drôle de curé ce Monsieur Ronsard (Mignonne allons voir si la rose...).

57De lui voir tout l' temps le nez

58Au milieu de la figure...

Le nez au milieu du visage

Emprunté à la locution : "cela paraît comme le nez au milieu du visage, se dit d'une chose très apparente." (citation tirée

du LITTRÉ, 1876) .

59Je bats la campagne

Battre la campagne

Subtile double sens ici. Battre la campagne c'est parcourir en tous sens, mais lorsque c'est l'esprit qui bat la campagne...

Quel esprit ne bat la campagne ?

Qui ne fait châteaux en Espagne ?

Picrochole, Pyrrhus, la Laitière, enfin tous,

Autant les sages que les fous ?

(La Fontaine - Perrette et le pot au lait).

On peut aussi battre la campagne comme Claude Roy :

Je bats la campagne, tu bats la campagne,

Il bat la campagne à coups de bâton.

La campagne ? Pourquoi la battre ?

Elle ne m'a jamais rien fait.

(Claude Roy - Enfantasques )

60Pour dénicher la

61Nouvelle compagne

62Valant celle-là,

63Qui, bien sûr, laissait beaucoup

64Trop de pierr's dans les lentilles,

Pierres dans les lentilles

Avant les supermarchés, on achetait les lentilles en vrac chez l'épicier et il n'était pas rare d'y trouver des petits cailloux.

Étant enfant, j'ai souvent aidé ma grand'mère à trier les lentilles, ce qui consistait à les étaler bien à plat sur la table, puis

à repérer les pierres au fait qu'elles n'étaient pas aussi rondes que les lentilles. Une épouse qui laissait des pierres dans

les lentilles était une épouse négligente, qui mettait en danger la dentition de son mari.

Complément

"En triant les lentilles" : titre d'une chanson (a priori postérieure à celle-ci) de Pierre Louki, ami de GB.

65Mais se pendait à mon cou

66Quand j' perdais mes billes!

Billes

Pour expliquer cette expression, j'ai consulté directement quelques vieux copains quinquas et sexas (première

génération Brassens). J'ai été obligé de censurer des mails entiers. Voilà ce que donnent les réponses les plus

convaincantes (et les plus décentes) :

A mon avis quand j'perdais mes billes veut dire quand je perdais des tunes, sous, blé, pépéttes, pognon etc. (cf: j'ai mis

des billes dans cette affaire - ou je retire mes billes de cette affaire ou cette association) [benhamf]

Brassens avait des coliques néphrétiques. Il a souvent parlé des crises terribles où il devait pisser des "cailloux, choux,

genoux, hiboux" d'une taille respectable. Ces crises étaient sa douleur à lui, la guerre de quatorze de Céline, la cécité de

Ray Charles, la courte-cuisserie de Toulouse-Lautrec, la belgitude de Brel. Je ne suis pas urologue et je ne le regrette

pas (quoique le touché rectal...) Je ne sais pas de quoi sont faites ces "billes". Mais putain, ça doit faire vachement mal

et quand on trinque comme ça, on est bien content d¹avoir une bonne copine qui se pend à votre cou... [Pierre

Ballouhey]

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Je crois qu'il ne faut pas chercher trop loin. C'est la petite copine de l'école qui t'aime bien. Et quand elle te voit triste

parce que tu as perdu tes billes en jouant contre un type plus fort que toi elle essaie de te consoler en t'embrassant. Le

poète a grandi et la consolation est devenue une métaphore, je l'ai toujours compris comme ça. [lmjjchevallier]

J'ai aussi un autre copain qui m'assure que son père, grand jaspineur d'argomuche, employait "perdre ses billes" dans le

sens d'être désemparé, déprimé, avoir le cafard... [pelisson.bouveret]

Perdre ses billes

Dans l'analyse postée ci-dessus, c'est le dernier point qui est vrai : en argot, "perdre ses billes", c'est-être désappointé,

décontenancé.

Sens de l'expression

Je suis en plein accord avec l'explication de Monsieur "Pelisson Bouveret". Banlieusard de plus de 50 ans ayant pratiqué

couramment la belle langue imagée dite "argot", je confirme sa proposition. Cela veut dire : avoir un coup de blues.

67Auprès de mon arbre,

68Je vivais heureux,

69J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...

70Auprès de mon arbre,

71Je vivais heureux,

72J'aurais jamais dû le quitter des yeux...

73J'avais un' mansarde

Mansarde

Il s'agit d'une pièce située sous un comble et dont un mur est incliné, selon le Larousse.

Il est à rajouter que, que ce soit pour les maisons bourgeoises en milieu rural des XVIIIème ou XIXème siècles, ou les

bâtiments urbains de la même période, les mansardes servaient à loger le personnel au service d'une famille aisée.

Complément

Cela vient du nom de l'architecte François Mansard au XVIIIe siècle, et de la forme particulière des combles des hôtels

particuliers qu'il a dessinés (voir le quartier du Marais à Paris) ...

Généralement la pointe de la lucarne entraîne un double pan incliné ! On parle aussi de "toit à la Mansard" !

Situés au dernier étage des bâtiments concernés, la "lézarde sur le firmament" se comprend d'autant mieux...

74Pour tout logement,

75Avec des lézardes

76Sur le firmament,

77Je l'savais par coeur depuis

Le firmament

Pouvait être vu à travers les lézardes, ce qui avait donné au poète l'occasion d'apprendre par coeur la carte du ciel. D'où

ce rôle de guide qu'il se donne pour emmener ses belles de nuit faire un tour au (7ème) ciel, ici symbolisé par la Grande

Ourse. On reconnaît la virtuosité avec laquelle GB tricote les métaphores.

78Et, pour un baiser la course,

79J'emmenais mes bell's de nuit

80Faire un tour sur la Grande Ourse...

Sur la Grande Ourse

Dans tout ça, il n'y a pas loin de monter au ciel. GB semble très efficace pour procurer aux femmes ce genre de voyage

nocturne.

Complément

Dans le même registre, ces vers de Rimbeau dans Ma bohème sont aussi intéressants :

Mon auberge était à la grande Ourse.

Mes étoiles au ciel avaient un doux frou-frou

81J'habit' plus d' mansarde,

82Il peut désormais

83Tomber des hall'bardes,

Tomber des hallebardes

Une hallebarde est une pique sous la lame de laquelle est fixée une hache. Les Gardes Suisses du Vatican en sont encore

équipés.

Il tombe des hallebardes = il pleut comme vache qui pisse.

Suisse

Le "Suisse" qui officiait naguère dans les églises d'une certaine importance portait une hallebarde à la main gauche, et

une canne à pommeau d'argent dans la droite. C'était un personnage un tantinet ridicule que Fernand Raynaud a

brocardé dans un de ses sketches au refrain célèbre à l'époque: "Tiens! V'là l'hallebardier!"

84Je m'en bats l'oeil mais,

85Mais si quelqu'un monte aux cieux

Monter au ciel

Cousin de "voir le 7ème ciel", c'est "s'envoyer en l'air", "prendre son pied", bref, jouir.

86Moins que moi j'y paie des prunes:

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J'y paie des prunes

Je te paie des prunes = je suis prêt à parier n'importe quoi, à payer cher pour voir ça

87Y a cent sept ans, qui dit mieux,

107 ans

Une éternité

88Qu' j'ai pas vu la lune !

Voir la lune

C'est voir le derrière de quelqu'un. Les quatre vers précédents pourraient donc s'analyser comme suit : "Mais si

quelqu'un baise moins souvent que moi, je lui paye ce qu'il veut, car il y a une éternité que je n'ai pas vu le cul d'une

femme dans mon lit".

Complément

Au vu de ces quatre vers, j'interprète plutôt j'ai pas vu la lune comme une façon de dire "je ne suis pas monté aux cieux"

(cf. vers 85), car si on est au ciel on est bien placé pour voir la lune. Le rapprochement lune/fesses marche aussi mais il

me semble que dans l'esprit des vers c'est plutôt la notion de "ne pas avoir joui depuis des lustres" qui est présentée.

Complément

Brassens remarque dans Le mauvais sujet repenti que la débutante peut :

Faire fortune

En bougeant l'endroit où le dos

R'ssemble à la lune

Complément

Le terme "lune" est utilisé dans le même sens métaphorique dans le premier vers de l{S'faire enculer}l}.

Ici, Brassens emploie le terme à la fois au propre et au figuré : la mansarde que le narrateur regrette d'avoir abandonnée

avait des "lézardes sur le firmament" - c'est-à-dire un toit percé par lequel on pouvait voir le ciel. En quittant ce logis

pour un endroit mieux couvert, le narrateur s'est donc privé de la vue de la lune en tant qu'astre et en tant que partie du

corps...

La lune.

La métaphore est simple et peut paraître facile mais toute sa richesse vient des vers précédents, habilement constitués

d'une succession d'expressions populaires et argotiques qui deviennent un vrai langage, un "parlage". Ce clin d'oeil de

Georges nous empêche de trop nous épancher et démystifie la frustration et la tristesse de l'évocation.

89Auprès de mon arbre,

90Je vivais heureux,

91J'aurais jamais dû m'éloigner d' mon arbre...

92Auprès de mon arbre,

93Je vivais heureux,

94J'aurais jamais dû le quitter des yeux...

Bonhomme

01Malgré la bise qui mord,

M-B-M

Les consonnes de bonhomme : M(algré) - B(ise) - M(ord)

02La pauvre vieille de somme

Vieille de somme

Jeu de mots sur "bête de somme". Le cheval, le chameau, les boeufs étaient - sont encore - utilisés pour porter ou tirer

de lourdes charges (somme = bât ou charge en vieux français).

03Va ramasser du bois mort

04Pour chauffer Bonhomme,

05Bonhomme qui va mourir

06De mort naturelle

Mort naturelle

Cela se dit par opposition à une mort par accident ou par fait délibéré. Ici, la répétition de l'expression à la fin de chaque

strophe nous amène à nous poser la question : s'agit-il bien d'une mort naturelle ? Bonhomme ne crève-t-il pas de

l'indifférence des autres ? Qui donc, parmi nous, aura cette mort sur sa conscience ? On pense forcément ici aux appels

de l'Abbé Pierre en faveur des sans-abris. Brassens, lui, touche l'opinion à sa façon, mais sa "bonhommie" cache mal

une profonde révolte contre l'injustice.

Complément

On se dit en effet que sa mort n'a rien de naturel, mais l'identité du coupable n'a rien de si compliqué, c'est sa femme,

tout simplement, guidée par "cette autre et sombre voie" évoquée à la fin. Pas besoin d'aller chercher une morale

sociale, à mon avis. Il place une intrigue amoureuse dans un milieu modeste parce que la littérature a toujours préféré

décrire les vicissitudes adultérines des riches, nobles etc., mais je ne pense pas que la raison d'être de cette chanson soit

la dénonciation de la pauvreté et de notre attitude vis à vis d'elle.

Mort naturelle

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En quoi la mort peut-elle être naturelle ? C'est en l'existence même de la mort que réside l'injustice. L'idée d'une mort

"naturelle", c'est l'idée d'une résignation, d'une acceptation passive de son destin, de sa condition. Une telle résignation

est contraire à la vie de poète et de libertaire. On retrouve ce refus d'accepter sa condition dans Les oiseaux de passage,

par exemple.

Il est très peu probable qu'il s'agisse du crime d'une femme bafouée. Plus bas, on lit "celui qu'elle aime, qu'elle aime"

(2x !) et il fut infidèle "autrefois". Au contraire, la chanson relativise cette faute et met en évidence son caractère anodin

par rapport au drame qui se joue, la mort.

07Mélancolique, elle va

08À travers la forêt blême

Blême

Cet adjectif, synonyme de pâle, blafard, livide, est souvent associé à la mort. Voir Le Pornographe, où "l'heure blême"

est l'heure de la mort, peut-être à cause du petit matin, l'heure où l'on guillotinait les condamnés.

09Où jadis elle rêva

10De celui qu'elle aime,

11Qu'elle aime et qui va mourir

12De mort naturelle.

13Rien n'arrêtera le cours

Césure de fin de vers

La césure à la fin de ce vers fait sous-entendre le "cours général (fatidique) des astres" -- constatation générale qui est

spécifiée par les deux vers qui suivent. Le sort général s'abat sur l'individu (voir aussi la fin de cette chanson).

14De la vieille qui moissonne

15Le bois mort de ses doigts gourds,

16Ni rien ni personne,

17Car Bonhomme va mourir

18De mort naturelle.

19Non, rien ne l'arrêtera

20Ni cette voix de malheur

21Qui dit : "Quand tu rentreras

22Chez toi, tout à l'heure

23Bonhomm' sera déjà mort

24De mort naturelle."

25Ni cette autre et sombre voix,

26Montant du plus profond d'elle

27Lui rappeler qu'autrefois

28Il fut infidèle,

29Car Bonhomme, il va mourir

Il

Contrairement à la conclusion généralisante des chansons Je rejoindrai ma belle ("ma belle" devenant "la belle") et Le

Père Noël et la petite fille ("il a mis" devenant "on a mis"), où le texte fait finalement abstraction de l'individu, cette

chanson prend sa "chute" en spécifiant: "Bonhomme, il va mourir..." (ici, le lot général et éternel finit par concerner

l'individu).

30De mort naturelle.

Chanson pour l’Auvergnat L'Evangile selon Brassens

Il y a un net rapprochement à faire avec l'Evangile selon Matthieu (25, 35-36), qui rapporte les propos du Christ : «

J’avais faim. Vous m’avez nourri. J’avais soif. Vous m’avez donné à boire. J’étais un étranger. Vous m’avez ouvert

votre porte. J’étais sans vêtements. Vous m’avez vêtu…. »

Le Christ est remplacé par un « marginal », mis au ban de la société, et c’est un simple Auvergnat, lui-même exclu de la

majorité bien pensante, qui vient à son secours, avec ses maigres moyens.

Cette discrétion dans la « bonne action » est clairement le reflet de la modestie prêchée par le Christ. Après tout, comme

disait l’autre, « il est plus facile pour un chameau de passer dans le chas d’une aiguille que d’entrer au Royaume des

cieux », et tout ça.

A ce compte, l’Auvergnat mérite davantage que bien des croquants de se retrouver devant le Père éternel. Celui-ci,

après tout, n’a pas le monopole de la solidarité, de la fraternité ou de la tolérance, valeurs humaines fondamentales qui

n’ont pas besoin d’un Dieu pour être mises en pratique...

Brassens se retourne dans sa tombe

Il est vrai qu'encore aujourd'hui, beaucoup de personnes considèrent cette chanson comme "évangélique". À ce terme, le

pauvre Georges doit se retourner dans sa tombe. Lui, l'anticlérical fanatique mais prêt à défendre le curé qui dit La

messe au pendu, serait certainement très gêné qu'on le récupère ainsi.

En réponse à ceux qui le taxaient de "chrétien sans le savoir", il a écrit la chanson assassine Tempête dans un bénitier.

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Laissons-lui ses contradictions et ses idées, sans essayer de les récupérer, et constatons tout simplement que les valeurs

que ses textes véhiculent sont simplement des valeurs d'humanité.

Complément

Toutes paradoxales qu'aient pu sembler les idées de Monsieur Tonton Georges Brassens, elles ne se laissent pas

facilement enfermer dans un carcan quelconque. Alors avant de vouloir définitivement ranger cet être humain et son

oeuvre dans une boîte estampillée "anar" ou "chrétien sans le savoir", voire "anti-flic", savourons simplement sa belle

écriture pleine d'humour et de culture.

01Elle est à toi, cette chanson,

02Toi, l'Auvergnat qui, sans façon,

L'Auvergnat

L'Auvergnat, à Paris, était autrefois traditionnellement le marchand de "Vins &Charbon", le Charbougna, le Bougnat.

Rien de surprenant à ce qu'il vende aussi du bois, les paquets de petit bois, bûchettes fendues qui servaient à faire

démarrer le feu de charbon dans les cuisinières. Il est possible aussi qu'à l'origine, avant les houillères, il ait vendu du

charbon de bois, car les forêts d'Auvergne étaient immenses.

Hospitalité / avarice

La réputation d'hospitalité des Auvergnats ne fait guère partie du folklore, à ma connaissance. Leur avarice, en

revanche, est légendaire, mais c'est peut-être ce que voulait dire Brassens : c'est un Auvergnat (travailleur, âpre au gain,

qui d'ordinaire ne fait pas cadeau de son charbon) qui a brûlé son bois pour le réchauffer quand il crevait de froid.

Il s'inscrit ainsi en faux contre un cliché parisien (l'Auvergnat radin).

Auvergnat

Au début du XXe siècle, à une époque où la France était encore très rurale, et où Paris commençait à attirer les gens de

Province, les parisiens rejetaient les auvergnats, les bretons, etc...

Les auvergnats avaient en effet la réputation d'être très avares.

L'auvergnat de cette chanson symbolise bien la générosite de cette personne rejetée par la bonne société, et qui se

montre en réalité bien plus généreuse que "les croquants".

L'auvergnat

L'auvergnat de la chanson désigne également quelqu'un de précis : il s'agit de Marcel Planche, mari de Jeanne (le 2nd

couplet fait d'ailleurs référence à Jeanne)

Auvergnat

Le dit Marcel, mari de Jeanne, à qui s'adresse la chanson, était en fait normand. Discrétion respectueusement pudique,

ou license poétique?

Auvergnat

Marcel Planche et Jeanne ont hébergé GB quand, rentré en permission des camps de travail allemands en 1944 il se

cacha en France.

Complément

Selon le Guide du promeneur 14e arrondissement, l'Auvergnat aurait été le patron du café à l'angle de la rue Bardinet et

de la rue d'Alésia, en face de l'Impasse Florimont où Brassens résidait chez Jeanne et Marcel Planche.

03M'as donné quatre bouts de bois

04Quand, dans ma vie, il faisait froid.

05Toi qui m'as donné du feu quand

06Les croquantes et les croquants,

Croquant

C'est un "passant", juste un(e) anonyme, ici un "bien-pensant"

07Tous les gens bien intentionnés

08M'avaient fermé la porte au nez...

09Ce n'était rien qu'un feu de bois,

10Mais il m'avait chauffé le corps,

11Et dans mon âme il brûle encor

12À la manièr' d'un feu de joie.

13Toi, l'Auvergnat, quand tu mourras,

14Quand le croqu'mort t'emportera,

15Qu'il te conduise, à travers ciel,

A travers ciel

Expression dérivée de "à travers champs" / "à travers bois" = la voie la plus courte et la plus directe...

16Au Père Éternel.

17Elle est à toi, cette chanson,

18Toi, l'Hôtesse qui, sans façon,

19M'as donné quatre bouts de pain

20Quand, dans ma vie, il faisait faim.

21Toi qui m'ouvris ta huche quand

Huche

Bahut ou coffre de bois où l'on rangeait le pain. Les grosses miches de pain rondes duraient une semaine en moyenne.

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Autrefois il y avait aussi des huches à vêtements, à provisions, etc.

22Les croquantes et les croquants,

23Tous les gens bien intentionnés,

24S'amusaient à me voir jeûner...

25Ce n'était rien qu'un peu de pain,

26Mais il m'avait chauffé le corps,

27Et dans mon âme il brûle encor

28À la manièr' d'un grand festin.

29Toi, l'Hôtesse, quand tu mourras,

L'hôtesse

Brassens fait ici allusion à Jeanne, qui l'hébergea impasse Florimont.

[contact auteur : Philippe L.] - [compléter cette analyse]

30Quand le croqu'mort t'emportera,

31Qu'il te conduise, à travers ciel,

32Au Père Éternel.

33Elle est à toi, cette chanson,

34Toi, l'Étranger qui, sans façon,

L'Etrangère

Comme on l'a dit plus haut, Brassens fait référence à des personnages réels. Il me plairait assez que l'étranger fut une

étrangère, une Polonaise peut être, pourquoi pas nommée Pupchen...

Mais peut-être ne sont-ils pas tous réels. Brassens a dit un jour "Vous me voyez, moi, écrivant 'Toi, le boucher, qui sans

façon, m'a donné quatre escalopes '" ?

L'étranger

Je pense que cela a été bien traduit en espagnol par Pierre Pascal "el forastero" qui veut dire "el que vienne de fuera" ou

"celui qui vient de dehors. Ce n'est sans doute pas obligatoirement une personne précise.

L'étranger

En fait cette chanson est dédiée à Marcel, le compagnon de Jeanne, bien connue pour avoir hébergé Brassens dans le

14ème arrondissement de Paris. Ici l'étranger est tout simplement cet homme. Brassens n'a pas souhaité qu'il soit

nommé, mais c'est bien à lui que Brassens pense (cf. émissions tv pour les commémorations de la mort de GB).

L'étranger

Il est possible qu'il faille prendre ce terme tout simplement dans son sens premier (celui qui nous est inconnu) et que

GB fasse allusion à quelqu'un qu'il aurait remarqué au milieu de la foule et qui ne se serait pas réjoui.

35D'un air malheureux m'as souri

36Lorsque les gendarmes m'ont pris.

37Toi qui n'as pas applaudi quand

38Les croquantes et les croquants,

39Tous les gens bien intentionnés,

40Riaient de me voir emmener...

41Ce n'était rien qu'un peu de miel,

42Mais il m'avait chauffé le corps,

43Et dans mon âme il brûle encor

44À la manièr' d'un grand soleil.

45Toi, l'Étranger, quand tu mourras,

46Quand le croqu'mort t'emportera,

47Qu'il te conduise, à travers ciel,

48Au Père Éternel.

Hécatombe Hécatombe

Massacre d'un grand nombre d'hommes ou d'animaux Larousse

Hécatombe (étymologie)

A l'origine, c'est le sacrifice de 100 boeufs.

01Au marché de Briv'-la-Gaillarde

Brive

Aujourd'hui, le "marché paysan" de Brive-la-Gaillarde (19100), où l'on peut trouver des foies gras succulents, se

nomme "Halle Georges Brassens".

Brive la Gaillarde

Les brivistes ont longtemps cru qu'il se vengeait d'eux pour avoir été mal reçu par la ville au temps de ses débuts. En

fait il a trouvé le nom sur un dictionnaire en cherchant une rime, toute trouvée, avec gaillarde.

Complément

Outre la rime très riche issue du dictionnaire, il convient de noter que le marché de Brive-la-Gaillarde est un marché très

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important de centre-ville, très étendu, très fréquenté ; il est donc de dimension à être le théâtre d'une scène aussi

grandiose.

Complément

A noter qu'il y a traditionnellement à Brive-la-Gaillarde un "marché aux oignons" dont la tradition se perd dans

l'histoire...

La géographie des vaudevillistes

Dans le Grand Dictionnaire Universel du XIXe siécle de Pierre Larousse, on trouve, à propos de bruit dans

Landerneau:

"Allus. littér. : Il y aura, cela fera du bruit dans Landerneau. Certaines villes, en France, ont toujours joui du privilège

d'exciter la verve maligne des vaudevillistes et des journalistes du petit format. Tour à tour, c'est Pézenas, Carpentras,

Lons-le-Saunier, Pontoise, Brive-la-Gaillarde, qui reviennent sous leur plume. Pour La Fontaine, c'était Quimper-

Corentin..."

Géographie empruntée par Brassens: La première fille (Pontoise, Landerneau), À l'ombre du coeur de ma mie

(Landerneau), Tempête dans un bénitier (Quimper-Corentin)...

02A propos de bottes d'oignons,

03Quelques douzaines de gaillardes

Gaillardes

Une gaillarde se dit d’une forte femme qui a souvent des allures trop libres.

04Se crêpaient un jour le chignon.

Se crêper le chignon

Se prendre aux cheveux, en venir aux mains

05A pied, à cheval, en voiture,

A pied, à cheval, en voiture

C'est le titre d'une chanson de Bourvil de 1947

06Des gendarmes mal inspirés

Gendarme

(de gens d'armes) militaire appartenant au corps chargé sur tout le territoire national et aux armées de veiller à la

sécurité publique, au maintien de l'ordre et à l'exécution des lois Larousse

07Vinrent pour tenter l'aventure

08D'interrompre l'échauffourée.

échauffourée

Bagarre confuse Larousse

09Or, sous tous les cieux sans vergogne,

Sans vergogne

Sans pudeur, sans scrupule Larousse

10C'est un usag' bien établi,

11Dès qu'il s'agit d' rosser les cognes

Cogne

Agent de police ou gendarme Larousse

Rosser

Battre violemment, rouer de coups Larousse

12Tout le mond' se réconcilie.

13Ces furies perdant tout' mesure

14Se ruèrent sur les guignols,

Guignol

Marionnette d'origine lyonnaise, ou personne comique ou ridicule Larousse

Guignol & le Gendarme

Au théâtre de marionnettes, il y a justement un Gendarme qui est l'ennemi de Guignol et se fait régulièrement rosser par

ce dernier. D'où ironie d'appeler ici les gendarmes "guignols".

Guignols

Guignol = gendarme, gardien de la paix: "Les mômes ils avaient horreur de voir les guignols... Comme ça, j'étais bien

tranquille! Ils nous fileraient sûrement pas!" (Louis-ferdinand Céline)

Faire le guignol, règler la circulation à un carrefour: "Après, changement d'uniforme, la maison poulaga, par la porte de

service, le guignol aux carrefours sous la flotte." (Coatmeur) -

Dictionnaire de l'Argot (Larousse, 1990)

15Et donnèrent je vous l'assure

16Un spectacle assez croquignol.

Croquignol

Comique, marrant, insolite

Complément

Nom d'un des trois "PIEDS NICKELES" de Forton puis de Pellos.

17En voyant ces braves pandores

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Pandore

Gendarme (type popularisé par une chanson de Gustave Nadaud, dont Brassens est admirateur : il a interprété deux de

ses textes)

18Etre à deux doigts de succomber,

19Moi, j' bichais car je les adore

Bicher

être satisfait Larousse

20Sous la forme de macchabées

Sous forme de macchabée

Aragon chantait aussi dans les années 30 : « Descendez les flics, camarades, descendez les flics ». C'était moins bien

dit, mais l'intention était la même...

21De la mansarde où je réside

Mansarde

Vous trouverez bien un briviste pour montrer la fenêtre de la fameuse mansarde ; mais n'en croyez pas un mot. Il n'a

jamais résidé à Brive la Gaillarde

Complément

Dans l'interview avec Philippe Nemo, Brassens déclare n'avoir pas pensé à la ville proprement dite. Mon dico franco-

allemand de 1885 (de Carl Sachs, professeur de français en Prusse) donne "digne de Brive-la-Gaillarde" pour désigner

des "nigauderies".

22J'excitais les farouches bras

23Des mégères gendarmicides

Mégère

Femme hargneuse, acariâtre et méchante

Gendarmicide

Néologisme signifiant "tueur de gendarme"

24En criant: "Hip, hip, hip, hourra!"

25Frénétiqu' l'une d'elles attache

26Le vieux maréchal des logis

Maréchal des logis

Sous-officier des armes anciennement montées (gendarmerie, cavalerie, artillerie et train) d'un grade correspondant à

celui de sergent dans les autres armes de l'armée de terre Larousse

27Et lui fait crier: "Mort aux vaches,

Vache

Désignation argotique de l'agent de police

Mort aux vaches

Cette expression date de la guerre de 14-18, où le peuple criait "mort au Wacht" (Wacht =police allemande). Mais les

anarchistes l'ont transformée et en ont fait leur slogan.

Complément

Peut-être s'agissait-il du peuple alsacien occupé (wache = gardien en alsacien)? Les Français n'ont pas eu souvent

affaire à la police allemande en 14. En revanche, dès avant 1870, on appelait (déjà) les gardiens de prisons des vachers.

Faire des vacheries est attesté dès 1885, donner un coup de pied en vache, c'est à dire en traître, par derrière, dès 1877.

Une vache est indifféremment un inspecteur de la Sûreté ou un indicateur (une balance!).

La vie étrange de l'argot par Emile Chautard, 1931. Réédition Nigel Gauvin (Denoël) 1992.

Complément

Il n'est pas exact de dire que la population française n'a guère été en contact avec la police allemande en 14-18; en effet,

tout le Nord de la France jusqu'au front a été occupé (de même que la Belgique).

28Mort aux lois, vive l'anarchie!"

Anarchie

René Fallet remarquera par la suite qu'il s'agit de la seule chanson de Brassens où apparaît ce terme d'anarchie, ce qui

est assez surprenant au vu des opinions libertaires de l'ami Georges...

29Une autre fourre avec rudesse

30Le crâne d'un de ces lourdauds

31Entre ses gigantesques fesses

32Qu'elle serre comme un étau.

33La plus grasse de ces femelles

34Ouvrant son corsag' dilaté

35Matraque à grands coups de mamelles

Matraque

Arme contondante qui, ironiquement, fait partie de l'uniforme de certains membres des forces de l'ordre

36Tous ceux qui pass'nt à sa portée.

37Ils tombent, tombent, tombent, tombent,

38Et s'lon les avis compétents

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39Il paraît que cette hécatombe

Hécatombe

Massacre d'un grand nombre d'hommes ou d'animaux Larousse (ici les vaches ?)

Complément

Historiquement, et étymologiquement, une hécatombe est le sacrifice de cent boeufs.

Quel terme plus approprié pour un massacre de vaches ?

40Fut la plus bell' de tous les temps.

41Jugeant enfin que leurs victimes

42Avaient eu leur content de gnons,

Avoir son content de quelque chose

En avoir eu autant qu'on désirait

Gnon(s)

Enflure provoquée par un coup Le Petit Robert

43Ces furies comme outrage ultime

Outrage

Injure, offense grave || Dr. délit consistant à mettre en cause l'honneur ou la délicatesse d'un magistrat, d'un juré, d'un

officier ministériel, etc., dans l'exercice de leurs fonctions Larousse

Furies

Le terme "Furies" renvoie aux "Érinyes" qui dans la mythologie grecque personnifient les trois déesses de la

Vengeance. Appelées aussi "les Euménides", elles ont été assimilées aux Furies par les Romains. Larousse

44En retournant à leurs oignons,

Retourner à ses oignons

L’expression “retourner à ses oignons”, variante de “se mêler de ses oignons”, est à prendre au propre comme au figuré

puisque les bottes d’oignons étaient l’objet du crêpage de chignon initial.

45Ces furies, à peine si j'ose

46Le dire tellement c'est bas,

47Leur auraient mêm' coupé les choses

48Par bonheur ils n'en avaient pas.

Anecdote

A propos de ce vers, Brassens aurait eu du remords, quand suite à une crise de colique néphrétique, il aurait été secouru

par un gendarme qui l'a recouvert de sa cape et qui lui aurait gentiment reproché ce vers.

Remords

Le remords dont il est fait mention dans l'analyse précédente a poussé Brassens à revenir, dans L'épave, sur sa position :

Et depuis ce jour-là, moi, le fier, le bravache,

Moi, dont le cri de guerr' fut toujours 'Mort aux vaches!'

Plus une seule fois je n'ai pu le brailler...

49Leur auraient mêm' coupé les choses

50Par bonheur ils n'en avaient pas.

L’ancêtre 01Notre voisin l'ancêtre était un fier galant

Fier galant

Ce pourrait être une déformation de l'expression "vert galant" qui s'appliquait à Henri IV.

02Qui n'emmerdait personne avec sa barbe blanche,

03Et quand le bruit courut qu' ses jours étaient comptés,

04On s'en fut à l'hospice afin de l'assister.

Afin de l'assister

"assister" un mourant est, dans la tradition chrétienne, lui porter "les secours de la religion" pour "accompagner" son

passage de vie à trépas. GB fait d'ailleurs référence, à chaque conclusion de couplet, aux pratiques religieuses des

bonnes soeurs qui, jusqu'au milieu du siècle, avaient encore un rôle accepté jusque dans certains hospices et hôpitaux

publics.

05On avait apporté les guitar's avec nous

06Car, devant la musique, il tombait à genoux,

07Excepté toutefois les marches militaires

08Qu'il écoutait en se tapant le cul par terre.

Marches militaires

C'est un relent des idées anarchistes que GB côtoya dans sa jeunesse. Ne disait-on pas : "La musique militaire est à la

musique ce que la justice militaire est à la justice" ?

09Émules de Django, disciples de Crolla,

Crolla

Henri Crolla, guitariste et jazzman français d'origine italienne, contemporain de Django Reinhart, au phrasé plus

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méditatif, moins brillant mais d'une élégance parfaite. Il a fait entre autres la musique du Ballon Rouge, un film

délicieux d'Albert Lamorisse. Un disque lui est consacré dans la collection Gitanes, Jazz in Paris.

Django

Django Reinhardt est cité deux fois dans les chansons de Brassens, une fois entre la rue Didot et la rue de Vanves et une

fois ici. Mais Django est présent dans tout le répertoire de Brassens puisqu'en regardant de plus près la guitare de

Brassens, on se rend compte qu'il jouait sur des cordes Argentine, que sa guitare possède un cordier et que si elles

avaient un pan coupé ses guitares seraient les répliques des guitare Selmer qu'utilisait Django.

10Toute la fine fleur des cordes était là

L'ancêtre

Réduire "la fine fleur des cordes" aux seuls guitaristes est peu aimable pour les autres instrumentistes "à cordes" que

sont les violonistes, altistes, violoncellistes, contrebassistes... et quelques autres (luth, banjo, mandoline)...

Complément

Il ne faut toutefois pas taxer Brassens de sectarisme en matière d'instruments à cordes. Certes passionné de guitare, il fit

appel à un grand accompagnateur contrebassiste, Pierre Nicolas.

Grand amateur de Reinhardt et Crolla, il apprécia sans doute le violoniste de jazz, stéphane Grapelli.

Fine fleur

Terme de meunerie : la fleur de farine, c'est la partie la plus fine de la mouture, a fortiori "la fine fleur" : au sens figuré,

c'est donc l'élite de l'élite.

11Pour offrir à l'ancêtre, en signe d'affection,

12En guis' de viatique, une ultime audition.

Viatique

Sacrement de l'eucharistie administré à un chrétien en danger de mort Larousse

Viatique

Le viatique, c'est aussi littéralement les provisions pour le voyage. L'Eucharistie étant un morceau de pain, on rejoint là

les vieux rituels égyptiens, romains et autres, où l'on place dans la tombe de la nourriture, dans la bouche du mort une

pièce de monnaie pour payer le voyage, etc. Les Chinois laissent de la nourriture sur les tombes et "nourrir les ancêtres"

fait partie des obligations de tout un chacun.

13Hélas ! les carabins ne les ont pas reçus,

Carabin

Le carabin est le surnom donné aux étudiants en médecine. C'est la définition qu'en donnent à la fois le Larousse et le

Petit Robert.

On imagine donc que, vu l'heure probablement tardive à laquelle les amis de l'ancêtre viennent lui rendre visite à

l'hospice, celui-ci n'est plus gardé que par des étudiants ou internes.

Etymologiquement, ce terme vient du vieux français 'escarrabin' (1521), signifiant 'ensevelisseur de pestiférés'. Tout se

tient ! Cette tâche ingrate était dévolue aux étudiants, comme celle d'ailleurs de rester de garde aux heures indues. Et

comme l'ancêtre est au bout de sa vie, il ne va pas tarder à devoir recourir aux services d'un ensevelisseur !

14Les guitar's sont restées à la porte cochère,

Porte cochère

C'était la porte par laquelle sortaient les coches ou fiacres. La porte elle-même a généralement deux pans, avec le haut

en demi-lune, et descend jusqu'au parterre. Elle est, bien sûr, assez haute pour laisser passer un coche. Côté bâtiment,

derrière la porte, se trouve une arcade menant à une cour intérieure.

15Et le dernier concert de l'ancêtre déçu

16Ce fut un pot-pourri de cantiques, peuchère !

17Quand nous serons ancêtres,

18Du côté de Bicêtre,

Bicêtre

Bicêtre a passé par différents états au cours de l'Histoire : maison de campagne, confrérie de Pères Chartreux, Château

de Winchester (déformé en Vincestre, qui a plus tard donné Bicêtre), hôpital de pauvres, de déchus, de vieillards, de

criminels et fous, puis prison reconvertie en hôpital spécialisé.

19Pas de musique d'orgue, oh ! non,

Orgue

Nourri de chansons durant son enfance, Brassens ne semble pas avoir goûté la musique d'orgue, sans doute trop

évocatrice de cérémonies religieuses auxquelles il était peut-être contraint, étant enfant, d'assister. Dans La marche

nuptiale, il s'évoque au (re-)mariage de sa mère : Sur mon harmonica jouant les grandes orgues.

[Mais on ne sache pas qu'il se soit jamais intéressé à cet instrument fabuleux, à la différence d'un autre musicien

"populaire", Freddy Balta, l'accordéoniste d'Yves Montand qui, lui, avait obtenu un prix d'orgue au Conservatoire de

Paris dans la classe de Marcel Dupré et, toute sa vie, avait collectionné les documents sur les orgues à tuyaux. Même, il

en avait deux chez lui, qui furent vendus le 12 décembre 2004 à Nogent-sur-Marne, aux enchères.]

20Pas de chants liturgiques

21Pour qui aval' sa chique,

Avaler sa chique

C'est-à-dire mourir.

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On dit aussi "avaler son bulletin de naissance".

22Mais des guitar's, cré nom de nom !

23On avait apporté quelques litres aussi,

24Car le bonhomme avait la fièvre de Bercy

Bercy

Bercy fut, jusqu'aux années 70, un des plus importants centres de négoce de vins en France.

Complément

état pathologique en médecine précédant la phase de delirium tremens

25Et les soirs de nouba, parol' de tavernier,

Nouba

Faire la nouba, c'est dès la fin XIXe faire bombance, mais Brassens ignorait peut-être qu'il réintroduisait ici la musique

militaire : au départ, la nouba est la musique des tirailleurs algériens, qui se faisait à tour de rôle devant la maison de

chaque officier du régiment.

26À rouler sous la table il était le dernier.

27Saumur, Entre-Deux-Mers, Beaujolais, Marsala,

Marsala

Pas facile de trouver une rime en "la" dans le vignoble français, du moins si l'on reste dans les appellations très

connues... Le marsala est un vin blanc de Sicile, produit près de la ville portuaire du même nom.

28Toute la fine fleur de la vigne était là

29Pour offrir à l'ancêtre, en signe d'affection,

30En guis' de viatique, une ultim' libation.

Libation

Ce nom, plus fréquent au pluriel, désigne d'abord le vin versé, et parfois consommé, lors des sacrifices religieux

antiques. (On reste dans le même domaine que "viatique".)

31Hélas ! les carabins ne les ont pas reçus,

32Les litres sont restés à la porte cochère,

33Et l' coup de l'étrier de l'ancêtre déçu

Coup de l'étrier

Désigne le coup de 'gnole' pris à la fin d'un repas pour faire digérer.

Coup de l'étrier

C'était aussi le coup que l'on buvait juste avant de mettre le pied à l'étrier (ou juste après), et donc "le dernier pour la

route" comme on dit aussi. La coutume, à ma connaissance, existe encore avant les chasses à courre en Angleterre, où

les cavaliers, une fois en selle, boivent "the stirrup cup", la coupe de l'étrier.

34Ce fut un grand verre d'eau bénite, peuchère !

35Quand nous serons ancêtres,

36Du côté de Bicêtre,

37Ne nous faites pas boire, oh ! non,

38De ces eaux minéral's, bénites ou lustrales,

Lustrale

L'eau lustrale est l'eau de la purification, entre autres celle du baptême. Déjà, à Rome, avant l'ère chrétienne, les

nouveau-nés étaient purifiés au cours d'une cérémonie appelée lustration. L'eau bénite à l'entrée des églises symbolise

cette "toilette", cette purification que les Musulmans pratiquent aussi : à l'entrée de la mosquée, on se lave même les

pieds.

39Mais du bon vin, cré nom de nom !

40On avait emmené les belles du quartier,

41Car l'ancêtre courait la gueuse volontiers.

Courir la gueuse

C'est bien sûr "courir les filles" ; mais le mot "gueuse", féminin de l'argot "gueux" qui remonte à François Villon

(1452), ajoute une dimension populaire, voire "de mauvaise vie". Les monarchistes ont longtemps qualifié de Gueuse la

République française.

Brassens rappelle très souvent la dignité (cf. vers suivant) des femmes méprisées, rejoignant en cela la thématique de

Marie Madeleine.

42De sa main toujours leste et digne cependant

43Il troussait les jupons par n'importe quel temps.

44Depuis Manon Lescaut jusques à Dalila

Manon Lescaut et Dalila

Héroïne du roman éponyme de l'Abbé Prévost, Manon oscille entre la débauche et l'amour véritable dans tout ce roman

du XVIIIème siècle.

Dalila, héroïne biblique, qui séduit Samson pour obtenir le secret de sa force légendaire, puis le trahit pour les Philistins.

Ces deux personnages évoquent, dans deux contextes différents, la séduction, la débauche, mais aussi la trahison.

45Toute la fine fleur du beau sexe était là

46Pour offrir à l'ancêtre, en signe d'affection,

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47En guis' de viatique, une ultime érection.

48Hélas ! les carabins ne les ont pas reçues,

49Les belles sont restées à la porte cochère,

50Et le dernier froufrou de l'ancêtre déçu

51Ce fut celui d'une robe de sœur, peuchère !

52Quand nous serons ancêtres,

53Du côté de Bicêtre,

54Pas d'enfants de Marie, oh ! non,

Enfants de Marie

Mouvement de jeunesse catholique de l'entre-deux guerre réservé aux filles (il y a eu aussi les Croisés, pour les garçons)

surtout consacré à la prière pour le salut du monde, face à la menace athée en général et communiste en particulier. Par

extension, une Enfant de Marie signifiait une Sainte Nitouche. Des spécialistes ont remarqué que le culte de la Vierge

Marie est relancé par Rome chaque fois que l'Église se sent en danger.

Complément

"Les Enfants de Marie" est antérieur à l'entre-deux-guerres (ou alors peut-être entre 1870 et 1914) puisque la 2e édition

de son "Manuel..." date de 1906. On en trouvera de savoureux extraits sous

www.denistouret.net/textes/Enfants_de_Marie.html.

55Remplacez-nous les nonnes

56Par des belles mignonnes

57Et qui fument, cré nom de nom !

Fument

Cf. l'interjection obscène: "Fume! C'est du (tabac) belge!"

Allusion directe au talent des "tailleuses de pipe" et autres virtuoses de la fellation.

Complément

En dépit des vers 46-47, je ne pense pas que GB ait voulu mettre là un sous-entendu obscène, trop vulgaire pour lui.

Peut-être me trompé-je. Mais le fait de fumer en public était encore, pour une femme et même dans le milieu de St-

Germain-des-Prés, l'indice d'un caractère libre et affranchi des conventions bourgeoises.

Complément

Il me semble que Brassens se réfère à une expression populaire de sa génération ,dont j'ignore l'origine, encore en cours

dans les années 60 : "à nous les femmes qui fument et qui pètent dans la soie !"

L’Antéchrist Antéchrist

En théologie, l'Antéchrist est l'Ennemi du Christ qui, selon l'Apocalypse de St Jean, viendra prêcher une religion hostile

au Christianisme un peu avant la fin du monde. Le Petit Robert

01Je ne suis pas du tout l'antéchrist de service,

02J'ai même pour Jésus et pour son sacrifice

03Un brin d'admiration, soit dit sans ironie.

04Car ce n'est sûrement pas une sinécure,

05Non, que de se laisser cracher à la figure

Sinécure / figure

Rime déjà employée dans Auprès de mon arbre.

06Par la canaille et la racaille réunies.

Cracher à la figure

Cf. St Marc, XV, 17-20.

"Ils le revêtent de pourpre, puis, ayant tressé une couronne d'épines, ils la lui mettent. Et ils se mirent à le saluer : Salut,

Roi des Juifs! Et ils lui frappaient la tête avec un roseau et ils lui crachaient dessus, et ils ployaient le genou devant lui

pour lui rendre hommage. Puis, quand ils se furent moqués de lui, ils lui ôtèrent le manteau de pourpre et lui rendirent

ses vêtements."

07Bien sûr, il est normal que la foule révère

08Ce héros qui jadis partit pour aller faire

09L'alpiniste avant l'heure en haut du Golgotha,

L'alpiniste

Brassens s'inscrit ici dans une tradition "burlesque" assez ancienne en fait.

Pour le XXe siècle, Genette cite et commente la « Passion considérée comme une course de côte » qu'Alfred Jarry

publia dans Le Canard Sauvage le 11 avril 1903, où il recourait au vocabulaire des courses cyclistes pour narrer la

Passion du Christ.

Ce texte figure aussi dans l'Anthologie de l'Humour Noir qu'avait compilée dans les années 30 André Breton, le pape du

Surréalisme.

10En portant sur l'épaule une croix accablante,

11En méprisant l'insulte et le remonte-pente,

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Burlesque

Engendré par le décalage entre l'attitude noble du début du vers (accomplissement d'un devoir au mépris de l'insulte) et

le caractère trivial du remonte-pente.

Trivial...

Et surtout comique parce qu'anachronique !

12Et sans aucun bravo qui le réconfortât !

13Bien sûr, autour du front, la couronne d'épines,

14L'éponge trempée dans Dieu sait quelle bibine,

Bibine

Cf. l'Évangile de St Marc, XV, 35-37, à la fin du récit de la Passion.

"Certains dirent en l'entendant : Voilà qu'il appelle Élie! Quelqu'un courut tremper une éponge dans du vinaigre et,

l'ayant mise au bout d'un roseau, il lui donnait à boire en disant: "Attendez voir si Élie va venir le descendre!" Or Jésus,

jetant un grand cri, expira."

Le vinaigre en question était sans doute la piquette infâme que buvaient les soldats romains de service ce jour-là.

Complément

Quelle ironie que de lier Dieu supposé tout puissant à l'ignorance de la marque de la piquette !

Complément

Les grecs et les romains buvaient l' eau additionnée de vinaigre.

15Et les clous enfoncés dans les pieds et les mains,

16C'est très inconfortable et ça vous tarabuste,

Burlesque

A nouveau et comme dans toute la chanson, le comique provient du décalage :

- la couronne d'épine / la bibine

- les clous enfoncés / c'est très inconfortable

17Même si l'on est brave et si l'on est robuste,

18Et si le paradis est au bout du chemin.

19Bien sûr, mais il devait défendre son prestige,

20Car il était le fils du ciel, l'enfant prodige,

L'enfant prodige

Notez la référence à la parabole de l'enfant prodigue. Jésus n'ayant pas été prodigue, Brassens le considère ici prodige...

prodigieux, miraculeux, quoi.

21Il était le Messie et ne l'ignorait pas.

Messie

Pour mémoire, dans la théologie juive, le Messie est l'Envoyé de Dieu, l'Emmanuel, celui qui viendra délivrer le peuple

d'Israël après avoir réalisé toutes les prophéties.

À ce jour, la seule vraie différence entre le Christianisme et le Judaïsme réside dans ce détail : les Chrétiens croient que

Jésus était bien le Messie annoncé par les prophètes, alors que les Juifs l'attendent encore, et pensent que Jésus n'était

qu'un prophète mineur.

Prophète

Pour mémoire encore, le Coran, qui reconnaît Abraham, Moïse & C°, reconnaît aussi Jésus comme prophète (et comme

fils de Marie mais pas comme fils de Dieu bien sûr) et lui fait dire : Je suis le serviteur de Dieu... Il m'a donné l'Évangile

et m'a établi prophète. (Sourate 19, Marie.)

On se prend à rêver à la chanson que Brassens aurait pu faire sur ces trois religions qui n'ont cessé de s'étriper au cours

de l'Histoire alors qu'elles ont les mêmes prophètes et le même fondement monothéiste.

Complément

Cette ironie n'a pas échappé à Pierre Desproges, dont on appréciera la définition du Judaïsme dans son Dictionnaire

superflu à l'usage de l'élite et des bien-nantis}ri} :

"Judaïsme: n. m. Religion des juifs, fondée sur la croyance en un Dieu unique, ce qui la distingue de la religion

chrétienne, qui s'appuie sur la foi en un seul Dieu, et plus encore de la religion musulmane, résolument monothéiste."

22Entre son père et lui, c'était l'accord tacite :

23Tu montes sur la croix et je te ressuscite !

24On meurt de confiance avec un tel papa.

25Il a donné sa vie sans doute mais son zèle

26Avait une portée quasi universelle

Portée universelle

Tout à fait exact selon la théologie chrétienne : Jésus, le Christ, étend le message de la Bible juive (qui, à l'époque était

inouï parce qu'il annonçait un Dieu unique face à la multitude des dieux païens, Égyptiens, Grecs et Romains) à tous les

peuples de la terre : "Allez et enseignez toutes les nations", dira Jésus à ses apôtres.

27Qui rendait le supplice un peu moins douloureux.

28Il savait que, dans chaque église, il serait tête

29D'affiche et qu'il aurait son portrait en vedette,

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Tête d'affiche

L'enjambement surprend, le clin d'oeil au "chaud bizness" n'en est que plus savoureux

30Entouré des élus, des saints, des bienheureux.

31En se sacrifiant, il sauvait tous les hommes.

32Du moins le croyait-il ! Au point où nous en sommes,

33On peut considérer qu'il s'est fichu dedans.

34Le jeu, si j'ose dire, en valait la chandelle.

Le jeu en valait la chandelle

Dans l'esprit, allusion au pari de Pascal pour l'aspect religieux ,et plus généralement à la notion d'espérance

mathématique.

Voir Ma nuit chez Maud de Rohmer à ce propos.

35Bon nombre de chrétiens et même d'infidèles,

36Pour un but aussi noble, en feraient tout autant.

37Cela dit je ne suis pas l'antéchrist de service.

La cane de Jeanne Jeanne

Il s'agit de la logeuse de Brassens, impasse Florimont, qui l'a caché, logé et nourri après son évasion du STO pendant la

guerre. Elle est "l'hôtesse" de l'Auvergnat. Il lui a consacré une autre chanson, intitulée simplement "Jeanne", dans

l'album Les Trompettes de la Renommée.

Scansion magnifique de cette chanson

En effet on a la versification suivante :

3 syllabes

3 syllabes

6 syllabes

7 syllabes

3 syllabes

2 syllabes

Ce qui génère une montée progressive dans l'allongement des vers, puis un retour balancé pour finir en chute brutale sur

une rime dissyllabique et qui plus est, masculine.

Comptage des syllabes

En prosodie française, il faut faire la distinction entre rime féminine et rime masculine, ce qui fait que LA CANE n'est

pas un trisyllabe, mais un dissyllabe à rime féminine (l'e muet en fin de vers ne compte pas, mais donne la rime

féminine).

La structure syllabique est : 2-2-6-6-2-2.

La structure poétique est : AAbCCb (sizain à rythme tripartite ; la majuscule représentant la rime féminine, la minuscule

la rime masculine).

Il faut voir qu'Aragon et Apollinaire ont bousculé un peu ces notions classiques. Chez Aragon, la rime "tard" est

féminine dite depuis "consonantique" (rime avec "guitare" dans Il n'y a pas d'amour heureux). Brassens reste dans les

traditions et utilise cette rime consonantique rarement, par exemple dans Bonhomme : voix de malheur(e) - ce qui est

indiqué par le e muet entre parenthèses.

Scansion

L'analyse précédente est tout à fait juste, mais je faisais ici référence à la musique, c'est pourquoi je ne parlais pas de

"pieds", mais de "syllabe". J'aurais donc dû écrire "notes", car on entend bien :

La-ca-neu

De-Jean-neu

Complément

Ce procédé qui convient bien à la chanson permet à chaque fois de gagner une syllabe (ou un pied) sans rajouter de mot.

Ainsi la sobriété, la simplicité travaillée à l'extrême donne plus de poids au texte et ralentit le rythme pour donner une

pulsation de marche funèbre (ou de marche de canard).

La cane

Cette chanson est tirée d'une anecdocte réelle (en tout cas, rapportée par Brassens lui-même). Comme tous étaient très

pauvres chez Jeanne, ils avaient obtenu une cane pour la manger. Le problème, c'est que tous aimaient trop les animaux

pour pouvoir la tuer ; si bien qu'elle est décédée de sa belle mort !

01La cane

02De Jeanne

03Est morte au gui l'an neuf,

Au gui l'an neuf

à la nouvelle année, où la tradition veut qu'on s'échange un baiser sous un bouquet de gui pour se souhaiter du bonheur

04Elle avait fait, la veille,

05Merveille !

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06Un oeuf !

07La cane

08De Jeanne

09Est morte d'avoir fait,

10Du moins on le présume,

11Un rhume,

12Mauvais !

13La cane

14De Jeanne

15Est morte sur son oeuf

16Et dans son beau costume

17De plumes,

18Tout neuf !

19La cane

20De Jeanne,

21Ne laissant pas de veuf,

22C'est nous autres qui eûmes

23Les plumes,

24Et l'oeuf !

L'oeuf

Cet oeuf, c'est le symbole de la vie qui se perpétue, des naissances qui remplacent les morts. La vie continue!!!

25Tous, toutes,

26Sans doute,

27Garderont longtemps le

28Souvenir de la cane

29De Jeanne

30Morbleu !

Morbleu

(de "mort de dieu") juron ancien marquant la colère ou l'impatience Larousse

Complément

La chute de la chanson se fait sur un juron, il exprime la colère, la révolte mais aussi l'impuissance devant la mort.

Comme Le petit cheval de Paul Fort, cette chanson est une allégorie dont le but, caché derrière l'anecdotique, est de

nous inviter à réfléchir à la problématique de la mort.

Mort bleu

Sans oublier l'allusion au canard (mort) bleu qui aurait occupé une place de choix sur la table du réveillon - au gui l'an

neuf !

La complainte des filles de joie Remerciements

Le 16 juin 1976 le collectif des prostituées de Paris adresse à Georges Brassens la lettre suivante :

"Cher Georges Brassens,

Nous les Putains vous disons merci pour vos si belles chansons qui nous aident à vivre. Malheureusement nous n'avons

eu votre adresse que très tard. Voici une invitation. Nous vous embrassons toutes.

Vos Copines du Collectif de tout coeur avec vous toujours."

01Bien que ces vaches de bourgeois

02Les appell'nt des filles de joie

03C'est pas tous les jours qu'ell's rigolent,

04Parole, parole,

Parole

Je vous en donne ma parole (de gentilhomme, d'homme d'honneur, de scout, etc.), c'est à dire, je le jure.

05C'est pas tous les jours qu'elles rigolent.

06Car, même avec des pieds de grues,

Pieds de grue

Les jambes des péripatéticiennes sont bien souvent dénudées sur une bonne longueur et donnent l'impression d'être très

longues ; la comparaison avec les pieds de grues - dont ce sont aussi des caractéristiques - est alors évidente.

Grue

(1415) fig. et pop. (des stations prolongées de la fille qui fait "le pied de grue"). Femme de moeurs légères et vénales.

Le Petit Robert

Pied de grue

Faire le pied de grue (populaire) : se déplacer de ci de là en attendant quelqu'un ou quelque chose.

Complément

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Petit détail qui n'a rien à voir avec l'usage de cette expression dans la chanson mais qui m'a toujours fasciné: "pied de

grue" , dans le sens de "marque à trois branches indiquant l'ascendance sur un arbre généalogique", est à l'origine du

mot anglais "pedigree" que le français a réemprunté ensuite (c'est un "prêté-rendu", comme "tunnel", "tennis", "volley"

"budget", "ticket" etc.)

07Fair' les cent pas le long des rues

08C'est fatigant pour les guibolles,

Guibolle

Le Petit Robert dit que ce mot est attesté depuis 1840 et viendrait du normand "guibonne", même racine que

"regimber", qui signifie ruer. Le sens de "jambe" semble donc tout à fait logique, car on ne rue pas, que je sache, avec

les mains.

09Parole, parole,

10C'est fatigant pour les guibolles.

11Non seulement ell's ont des cors,

12Des oeils-de-perdrix, mais encor

Oeil de perdrix

(ou "cor mou") affection commune localisée dans les espaces interdigitaux, toujours vis-à-vis d'une articulation inter-

phalangienne ; il se retrouve souvent sur le bord latéral externe du quatrième orteil, et son pourtour est d 'aspect

blanchâtre, spongieux et surélevé à cause de la macération des tissus.

13C'est fou ce qu'ell's usent de grolles,

Grolles

Souliers, chaussures.

D'après le Petit Robert, ce mot d'origine dialectale et incertaine est attesté dès le XIIIème siècle, et donc le Moyen-Âge,

alors que le godillot date seulement de 1876, du nom du fournisseur officiel de l'armée.

14Parole, parole,

15C'est fou ce qu'ell's usent de grolles.

16Y'a des clients, y'a des salauds

17Qui se trempent jamais dans l'eau

18Faut pourtant qu'elles les cajolent,

19Parole, parole,

20Faut pourtant qu'elles les cajolent.

Cajoler

Synonyme de caresser

Cajoler

C'est plutôt caliner, et ça se dit surtout pour les mères qui cajolent leur bébé. Prendre dans ses bras une personne qui

sphincte n'est pas évident.

21Qu'ell's leur fassent la courte échelle

22Pour monter au septième ciel

Courte échelle

La jolie trouvaille qui allie "faire la courte échelle" et "monter au septième ciel" est peut-être à mettre en rapport avec

l'image biblique de l'échelle de Jacob : le patriarche voit en songe une échelle où les anges - qui, eux, n'ont pas de sexe -

montent et descendent tandis que Dieu bénit sa descendance.

23Les sous, croyez pas qu'ell's les volent,

24Parole, parole,

25Les sous, croyez pas qu'ell's les volent.

26Ell's sont méprisées du public,

27Ell's sont bousculées par les flics,

28Et menacées de la vérole,

Vérole

Ne pas confondre la petite vérole, nom ancien de la variole, qui laissait le visage couvert de cicatrices disgrâcieuses

("un visage vérolé", comme celui de Mirabeau) d'une part ; et la vérole tout court, nom populaire de la syphilis, maladie

vénérienne grave et longtemps incurable (dont moururent, entre autres, Louis XV, Maupassant et sans doute Gauguin).

29Parole, parole,

30Et menacées de la vérole.

31Bien qu' tout' la vie ell's fass'nt l'amour,

32Qu'ell's se marient vingt fois par jour,

33La noce est jamais pour leur fiole,

C'est pas pour ma fiole

C'est pas pour moi.

Double sens de "noce" ici. D'abord elles ne passent jamais devant le maire, et ensuite l'amour n'est pas pour elles une

partie de plaisir (elles ne font guère la noce le long des trottoirs).

34Parole, parole,

35La noce est jamais pour leur fiole.

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36Fils de pécore et de minus,

Pécore

Femme ou jeune fille sotte et prétentieuse

37Ris pas de la pauvre Vénus,

Lune et vénus

L'astronomie nous dit que la lune ne peut jamais rentrer en conjonction avec Vénus, il suffit pour cela de vérifier la

définition de "être en conjonction avec".

De là à dire que Vénus, déesse de l'amour soit incompatible avec l'usage de votre lune...

38La pauvre vieille casserole,

Récipient

Casserole, cruche, marmite, cocotte, cageot, potiche, etc... les termes de mépris qui s'appliquent aux femmes et les

ravalent au rang de récipients indiquent bien qu'ils proviennent de l'incurable machisme des hommes.

39Parole, parole,

40La pauvre vieille casserole.

41Il s'en fallait de peu, mon cher,

Il s'en fallait de peu

Brassens se moque du fils de pécore en insinuant simplement que son père a sans doute autant couché avec sa mère

qu'avec la putain (si ce n'est plus). Il renforce l'idée que tout homme va voir les prostituées, et même les bons pères de

famille.

42Que cett' putain ne fût ta mère,

Cette Putain

Brassens precise au fur et à mesure de la chanson de qui il parle, même si on le comprend vite, et il emploie dans la fin

du texte un terme carrément vulgaire accompagné de l'article "cette" qui ne fait que le renforcer...

Putain et mère

On notera que "la maman et la putain", film de Jean Eustache (1973) est bien postérieur à cette chanson

43Cette putain dont tu rigoles,

44Parole, parole,

45Cette putain dont tu rigoles.

La femme d’Hector 01En notre tour de Babel

Tour de Babel

Grande tour que, d'après la Bible, les fils de Noé voulurent élever à Babel (nom hébreu de Babylone) pour atteindre le

ciel ; Dieu aurait anéanti par la confusion des langues ces efforts insensés (ce mythe est inspiré par la ziggourat

babylonienne)

Complément

Ce pourrait bien être ici "La tour des miracles" du roman des jeunes années de GB, au temps où "les copains" parisiens

cohabitaient peu ou prou.

Tour de Babel

Représente l'ensemble des parlers, et par extension, la planète entière

02Laquelle est la plus belle,

Babel / belle

Il ne faut pas négliger non plus le poids de la rime Babel / belle dans le choix de la tour biblique. De façon générale, le

premier quatrain de chaque couplet joue de manière très appuyée avec les sonorités à la rime. Ici, jeu sur le mot "belle"

contenu dans "Babel" (et d'ailleurs, serait-il exagéré de suggérer que l'on entend presque "pas belle" ?)

03La plus aimable parmi

Aimable

Qui peut être aimé(e)

04Les femmes de nos amis ?

Parmi / amis

Cette fois, jeu sur une rime presque disyllabique pArMI-AMI, où, de même que pour le couple Babel-belle, les

sonorités du mot à la rime du deuxième vers sont contenues dans le mot qui l'a précédé, ce qui permet de marteler la

rime. Il me semble surtout que cette rime très "voyante" (devrais-je dire "entendante" ?) souligne le choix audacieux

quoique fréquent chez Brassens de mettre une préposition à la rime, choix qui rend la syntaxe difficile à percevoir, et

qui rend donc le texte plus ambitieux.

05Laquelle est notre vraie nounou

La vraie nounou

Allusion cachée à Rousseau ? Celui avait écrit : "La véritable nourrice est la mère." (Emile). Si oui, on pourrait croire

voir ici un "mater nostra" : au nom de la mère ("vraie nounou"), de la soeur ("petite soeur des pauvres") et du "principe

de la bonté féminine" (la "bonne fée")... Si non, on reconnaît tout de même le clin d'oeil du farceur mettant à l'envers le

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patriarchat (cherchez la femme... derrière l'homme !)

06La p'tite soeur des pauvres de nous,

La petite soeur des pauvres de nous

Jeu de mots avec "Les Petites Soeurs des Pauvres" : communauté religieuse dont les membres sont au service des

personnes âgées démunies [Jeanne Jugan (1792-1879) est la fondatrice de cette congrégation ; elle a été béatifiée par

Jean-Paul II en 1982]

Complément

GB a renouvelé cette plaisanterie dans Mélanie, définie comme ancienne Enfant de Marie-Salope.

Complément

L'expression, amusante, est aussi parfaitement adéquate. "Pauvre de nous !" est une interjection de détresse collective.

Or, la bande de copains sera évoquée comme dansant bien souvent devant le buffet... : pauvre d'argent et parfois aussi

d'affection.

Complément

Sans doute, mais c'est encore plus amusant par l'allusion que fait GB à un ordre de religieuses, les "Petites Soeurs des

Pauvres" (il existe aussi les "Petits Frères.."). La conjonction avec l'expression courante "Pauvres de nous!" est un trait

d'humour que beaucoup, ignorant l'existance de cet ordre, laissent passer.

07Dans le guignon toujours présente

Guignon

Le guignon, ou la guigne ("J'ai encore perdu mes lunettes. Quelle guigne!"), c'est la malchance. Cf. l'hymne des

Bourguignons :

"Joyeux enfant de la Bourgogne

Je n'ai jamais eu de guigon

Quand je vois rougir ma trogne

Je suis fier d'être Bourguignon."

08Quelle est cette fée bienfaisante ?

Rimes du premier couplet

On constate une répétition binaire du jeu avec les rimes : rime par aphérèse (le deuxième mot est raccourci à partir du

premier) Babel-belle, rime dissyllabique légèrement irrégulière parmi-amis, rime par aphérèse nounou-nous (avec de

plus un jeu tautologique sur la syllabe "nou"), rime dissyllabique présente-bienfaisante. A la structure apparemment très

simple en rimes plates se superpose à l'échelle du couplet une structure d'alternance phonétique plus subtile.

Complément

Courte rectification, la rime "présente-bienfaisante" n'est pas dissyllabique, elle n'est que riche.

09C'est pas la femme de Bertrand

10Pas la femme de Gontrand

11Pas la femme de Pamphile,

12C'est pas la femme de Firmin

13Pas la femme de Germain

14Ni celle de Benjamin,

15C'est pas la femme d'Honoré

16Ni celle de Désiré

17Ni celle de Théophile,

18Encore moins la femme de Nestor

Encore moins la femme de Nestor

Du point de vue musical il y a dans ce vers une cassure rythmique qui vient du temps fort (et de l'accent) à deux reprises

sur une syllabe faible : "enCOre moins la femME de Nestor". On remarquera que dans les autres termes de cette litanie,

au mètre d'ailleurs variable (6 à 10 pieds) le e final de "femme" est élidé - comme dans "celle" - alors qu'ici il est

souligné à contretemps. J'y vois davantage une petite maladresse (exceptionnelle chez GB) qu'un effet voulu.

19Non, c'est la femme d'Hector !

Hector Nestor et les autres

Toujours dans son trip passéiste et nostalgique du XIXème siècle, GB donne ici à tous les copains de la bande des

prénoms qui, en vogue avant 1900, étaient d'un ringard total en 1950, avec un petit qqchose de comique, de

chaplinesque.

Complément

A signaler aussi la volonté de jouer avec les signifiants, c'est-à-dire de faire rimer entre eux des noms passés de mode

pour le pur plaisir phonique. On a bien affaire à une bande de carton-pâte : les amis n'existent pas vraiment, ce ne sont

que des prénoms rigolos et, par conséquent, la femme d'Hector elle-même est une légende, certes plaisante, que l'on

chante en se poussant du coude.

Et, bien entendu, cette galéjade repose sur une structure de rime assez subtile sur trois tercets et un distique. Je vous

épargne les codifications de type aabccc etc. et je signale simplement que la logique voudrait qu'il y ait un vers

supplémentaire rimant en "or" avec les deux derniers vers mais que son absence crée un effet de chute.

Complément

Ne peut-on voir une référence à la mythologie grecque, dont on sait que GB était friand et fin connaisseur? La femme

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d'Hector, fils de Priam, roi de Troie, n'est autre qu'Andromaque, modèle de vertus domestiques et familiales...

Prénoms à la mode

Il est intéressant de noter que ces prénoms sont en train de revenir à la mode : j'ai parmi mes neveux et connaissances

quelques Bertrand, plusieurs Benjamin, un Théophile, et à défaut de Nestor, j'ai un Balthazar!

La Femme d'Hector est une vrai nounou

Brassens a écrit cette chanson pour la femme d'un ami intime, qui ne s'appelle pas Hector d'ailleurs mais dont le prénom

a la même terminaison. Ce n'est pas pour préserver son anonymat que Brassens a modifié ce prénom mais parce que

"l'effet sonore" rendu n'est pas le même.

Note : la femme d'Hector existe bel et bien, j'ai la chance de la connaître et elle et son mari sont des gens tout à fait

respectables et formidables.

20Comme nous dansons devant

Danser devant le buffet

Expression signifiant "n'avoir rien à manger"

21Le buffet bien souvent,

22On a toujours peu ou prou

23Les bas criblés de trous...

24Qui raccommode ces malheurs

25De fils de toutes les couleurs,

26Qui brode, divine cousette,

Cousette, midinette ou "petite main"

Jeune employée dans une maison de couture.

27Des arcs-en-ciel à nos chaussettes ?

Des arcs-en-ciel à nos chaussettes

Ce couplet est marquée par la métaphore filée (c'est le cas de le dire) de l'âme représentée par les chaussettes. On peut

penser qu'il s'agit d'une lointaine réminiscence de l'expression "avoir le moral dans les chaussettes". Le rôle de la femme

d'Hector dans cette métaphore filée est celui de la brodeuse de vie, la "divine cousette". Rappelons que dans la

mythologie grecques, trois divinités, les Parques tissaient, maintenaient et coupaient le fil des destinées humaines,

chacune assumant une de ces fonctions. La femme d'Hector semble être une Parque joyeuse, multicolore là où chaque

Parque n'est associée qu'à une seule couleur.

28C'est pas la femme de Bertrand

29Pas la femme de Gontrand

30Pas la femme de Pamphile,

31C'est pas la femme de Firmin

32Pas la femme de Germain

33Ni celle de Benjamin,

34C'est pas la femme d'Honoré

35Ni celle de Désiré

36Ni celle de Théophile,

37Encore moins la femme de Nestor

38Non, c'est la femme d'Hector !

Mais qui est la femme d'Hector ?

Hector serait Marcel et cette femme serait donc Jeanne!

39Quand on nous prend la main sac-

Sac -ré

L'enjambement pour la rime est audacieux et d'un réel effet comique.

40Ré Bon Dieu dans un sac,

41Et qu'on nous envoie planter

42Des choux à la Santé,

La Santé

Prison du XIVème arrondissement de Paris

Planter des choux

Périphrase pour désigner un séjour en prison. C'est décidément par un filtre obstinément optimiste que passent tous les

éléments possiblement tragiques de cette chanson.

A comparer par exemple avec la formule sarcastique de Celui qui a mal tourné :

[...] m'envoyer à la Santé

Me refaire une honnêteté

43Quelle est cell' qui, prenant modèle

44Sur les vertus des chiens fidèles,

Vertus

Notons que, selon une solide tradition objectivement misogyne, la vertu féminine par excellence est la fidélité et donc,

lorsque le mari est éloigné (prisonnier, marin, soldat, etc.), la chasteté. Double sens avec comparaison ironique sur les

"chiens fidèles" ou simple habitude de langage ? Difficile à dire...

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Complément

Regarder les sculptures médiévales le long des murs dans les niches des églises : bien souvent, un chien fidèle se trouve

aux pieds du chevalier et de sa femme.

45Reste à l'arrêt devant la porte

Chien d'arrêt

Au contraire des chiens "courants" utilisés pour la chasse à courre, le chien d'arrêt s'immobilise le nez pointé vers le

gibier dès qu'il l'a localisé, et attend que le chasseur vienne le tirer.

Complément

L'expression est d'autant mieux choisie que les prisons sont officiellement des "Maisons d'arrêt".

46En attendant qu'on en ressorte ?

47C'est pas la femme de Bertrand

48Pas la femme de Gontrand

49Pas la femme de Pamphile,

50C'est pas la femme de Firmin

51Pas la femme de Germain

52Ni celle de Benjamin,

53C'est pas la femme d'Honoré

54Ni celle de Désiré

55Ni celle de Théophile,

56Encore moins la femme de Nestor

57Non, c'est la femme d'Hector !

58Et quand l'un d'entre nous meurt,

59Qu'on nous met en demeure

60De débarrasser l'hôtel

L'un d'entre nous ... l'hôtel

Le rapprochement entre la mort d'un membre de la bande et un espace clos n'est pas sans rappeler Les Copains d'Abord:

Quand l'un d'entre eux manquait à bord

C'est qu'il était mort.

Mais ici, il ne s'agit que de s'occuper de la dépouille : aucune douleur inconsolable n'est possible dans cette chanson

allègre.

61De ses restes mortels,

62Quelle est cell' qui r'mue tout Paris

63Pour qu'on lui fasse, au plus bas prix,

64Des funérailles gigantesques,

65Pas nationales, non, mais presque ?

66C'est pas la femme de Bertrand

67Pas la femme de Gontrand

68Pas la femme de Pamphile,

69C'est pas la femme de Firmin

70Pas la femme de Germain

71Ni celle de Benjamin,

72C'est pas la femme d'Honoré

73Ni celle de Désiré

74Ni celle de Théophile,

75Encore moins la femme de Nestor

76Non, c'est la femme d'Hector !

77Et quand vient le mois de mai,

78Le joli temps d'aimer,

79Que sans écho, dans les cours,

80Nous hurlons à l'amour,

81Quelle est cell' qui nous plaint beaucoup,

82Quelle est cell' qui nous saute au cou,

83Qui nous dispense sa tendresse,

84Toutes ses économies d'caresses ?

Tendresse et caresses pour tous

Il semble qu'il y ait là, comme d'ailleurs dans pas mal d'autres chansons de Brassens, un écho de son fameux roman de

jeunesse, La Tour des Miracles, où une certaine Annie Panpan était particulièrement accueillante pour tous les copains

de la bande (où l'on trouvait entre autres, Corne d'Aurochs).

économies

La femme d'Hector est une vraie Pénélope : elle attend un retour annoncé, celui du printemps éveillant la bande de

copains étant équivalent à celui d'Ulysse.

85C'est pas la femme de Bertrand

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86Pas la femme de Gontrand

87Pas la femme de Pamphile,

88C'est pas la femme de Firmin

89Pas la femme de Germain

90Ni celle de Benjamin,

91C'est pas la femme d'Honoré

92Ni celle de Désiré

93Ni celle de Théophile,

94Encore moins la femme de Nestor

95Non, c'est la femme d'Hector !

96Ne jetons pas les morceaux

97De nos coeurs aux pourceaux,

Pourceau

Porc

Aux pourceaux

Évangile de St Matthieu VII, 6.

"Ne donnez pas aux chiens ce qui est sacré, ne jetez pas vos perles devant les porcs: ils pourraient bien les piétiner, puis

se retourner contre vous pour vous déchirer."

Plus familièrement, on dit "Donner de la confiture aux cochons".

Tout cela signifiant qu'il ne sert à rien de gaspiller ses talents pour les gens qui ne peuvent pas les apprécier.

98Perdons pas notre latin

99Au profit des pantins,

Perdre son latin

C'est ne rien comprendre à ce qui se passe

(Ex. Quel cafouillage! C'est à y perdre son latin!"). Mais ici, enchaînant sur la Langue des Dieux, GB veut dire perdre

son temps à parler le latin (la langue des clercs, des initiés, des poètes... et des Dieux) au profit de gens qui n'y

comprendraient rien.

100Chantons pas la langue des dieux

Langue des Dieux

Voir le commentaire du titre et des vers 11 à 14 de Tempête dans un bénitier.

101Pour les balourds, les fess'-mathieux,

Fesse-mathieu

Usurier, avare Larousse

102Les paltoquets, ni les bobèches

Paltoquet

(de "paletot" = casaque de paysan) homme grossier, insignifiant et prétentieux Larousse

Bobèche

Disque de verre ou de métal adapté à un bougeoir pour empêcher la bougie de couler || partie supérieure du chandelier,

où se place la bougie Larousse

Bobèche

Pitre, bouffon

103Les foutriquets, ni les pimbêches,

Foutriquet

Personnage insignifiant Larousse

Pimbêche

Femme prétentieuse qui fait des embarras Larousse

Foutriquet

(familier, péjoratif) personne chétive, de petite taille ; personne insignifiante

104Ni pour la femme de Bertrand

105Pour la femme de Gontrand

106Pour la femme de Pamphile,

Pamphile

GB s'est certainement souvenu d'une vieille chanson paillarde : "Le cordonnier Pamphile"

Par exemple ici : www.abbe-priape.com/chansons/pamphile.htm

Complément

En grec signifie "qui aime tout le monde"

107Ni pour la femme de Firmin

108Pour la femme de Germain

109Pour celle de Benjamin,

110Ni pour la femme d'Honoré

111La femme de Désiré

112La femme de Théophile,

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113Encore moins pour la femme de Nestor

114Mais pour la femme d'Hector !

La femme d'Hector

N'oublions pas quand même que la femme d'Hector, le héros de la Guerre de Troie et adversaire malheureux d'Achille,

c'était Andromaque. Or Andromaque, au moins dans la tragédie de Racine, est un personnage à la vertu admirable, tout

entier défini par sa fidélité à son défunt mari. Ce qui n'est pas exactement le cas dans la chanson de Brassens,

affectueusement iconoclaste, une fois de plus.

Complément

La "vertu" d'Andromaque est peut-être moins "admirable" que celle de la femme d'Hector. Malgré le couplet "tendresse

et caresses pour tous" (v.77-84) il n'y a pas de connotation réellement sexuelle entre la femme d'Hector et les copains de

son mari, qui sont aussi les siens. Elle les écoute, les console, leur saute au cou et leur dispense même des caresses, mais

c'est qu'elle les traite comme ses grands enfants. Serait-elle comme une Jeanne en plus jeune?

La marche nuptiale 01Mariage d'amour, mariage d'argent,

02J'ai vu se marier toutes sortes de gens :

03Des gens de basse source et des grands de la terre,

04Des prétendus coiffeurs, des soi-disant notaires...

05Quand même je vivrais jusqu'à la fin des temps,

06Je garderai toujours le souvenir content

07Du jour de pauvre noce où mon père et ma mère

08S'allèrent épouser devant Monsieur le Maire.

S'allèrent épouser

Au lieu de "allèrent s'épouser" est une tournure un peu désuète, mais tout à fait classique, du moins en poésie.

09C'est dans un char à boeufs, s'il faut parler bien franc,

10Tiré par les amis, poussé par les parents,

11Que les vieux amoureux firent leurs épousailles

12Après long temps d'amour, long temps de fiançailles.

13Cortège nuptial hors de l'ordre courant,

14La foule nous couvait d'un oeil protubérant :

15Nous étions contemplés par le monde futile

16Qui n'avait jamais vu de noces de ce style.

Ce style

Selon l'ordre discographique, et si on excepte les poèmes des poètes mis en musique par lui, Brassens utilise ici pour la

première fois l'alexandrin et la strophe (sans refrain). Je le trouve prudent dans le rythme (un peu ennuyeux) et les rimes

sont peu nombreuses. J'ai toujours considéré cette chanson comme un exercice de "style". Ce n'est qu'à partir de la

chanson Pénélope (aussi sur le mariage) que cette nouvelle option va trouver son génial épanouissement et faire entrer

GB dans le Panthéon des grands poètes français.

Complément

Dans la versification classique, les rimes "moyennes" ont deux phonèmes en commun ; ici, elles sont nombreuses à en

compter trois ( [til], [mèr], [tèr], [koer], [loer] ), donc à faire partie des rimes riches, d'autant plus que certains groupes

de rimes se ressemblent et se rappellent les uns les autres. Je ne considère pas le rythme comme ennuyeux ; sa longueur,

sa "monotonie", sont à l'image d'une procession lente et appuient le ton triste d'un mariage bien proche d'un enterrement

(cortège, marche, vieux amoureux, syllepse sur le mot morgue, ambivalence des grandes orgues, musique utilisée

précédemment pour le texte L'enterrement de Verlaine). Les réseaux de sens sont riches (en sus de l'omniprésence de la

mort : char à boeufs // oeil protubérant : renversement, c'est la "foule" qui est bovine et bête. Exclusion sociale : mariage

devant monsieur le Maire et non à l'église, etc...). C'est donc à mon sens une oeuvre virtuose, dans laquelle musique et

texte se complètent à merveille.

Alexandrin

On trouve déjà l'alexandrin à cette époque, mais :

- en hétérométrie (P... de toi : les second et troisième vers de chaque strophe) ou en vers morcelé (Le mauvais sujet

repenti : où chaque ensemble de deux vers - octosyllabe + tétrasyllabe - donne un "alexandrin caché")

- en vers asymétrique (le quatrain d'introduction de Je suis un voyou - un alexandrin 7/5 au lieu de 6/6). Tout le reste de

la chanson Je suis un voyou continue cette structure 7/5 (7 = vers féminin / 5 = vers masculin).

Rythme

N'est-il pas frappant que cette chanson, qui raconte un mariage, est écrite sur un rythme d'enterrement ? Et que c'est

peut-être justement de cela qu'elle tire son mystère (elle est en mineur en plus, la tonalité de la mélancolie) et donc sa

poésie ?

Complément

Le rythme est en effet ici plus proche d'une marche funèbre que d'une noce : il est éclairé par l'image du "char à boeufs"

sans boeufs puisque tiré par les amis, poussé par les parents sous la pluie. Le mineur n'est pas une tonalité mais un mode

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en musique. Il n'est pas nécessairement l'illustration de la mélancolie mais ici, c'est bien le cas.

Complément

Il est à remarquer que, bien que la chanson soit en mode mineur, la cadence de fin résout la chanson sur un accord

majeur, sorte de tierce picarde en terme musicologique. Cette "modulation" finale donne un effet renversant quant au

sens du rythme durant tout la chanson. Je serais d'avis que cette lourdeur illustre plutôt la lenteur du cortège. Cet accord

majeur représente et accompagne lui l'expression "vive la mariée" et lui donne de la force.

17Voici le vent qui souffle emportant, crève-coeur !

18Le chapeau de mon père et les enfants de choeur...

19Voilà la plui' qui tombe en pesant bien ses gouttes,

Homophonie ?

N'y a t-il pas un jeu de mots entre "en pesant" qui vient du verbe peser et "empesant" qui vient du verbe empeser

(amidonner) ?

empesant bien ses gouttes serait correct également dans le sens ou la pluie "alourdit" ses gouttes pour perturber la

marche nuptiale.

20Comme pour empêcher la noc', coûte que coûte.

21Je n'oublierai jamais la mariée en pleurs

22Berçant comme un' poupé' son gros bouquet de fleurs...

Un' poupé'

Noter que Brassens, en versificateur rigoureux, signale au moyen d'apostrophes que les "e muets" sont élidés (il ne les

prononce pas) dans la chanson. De même pour "la plui' ", "la noc' " et "les homm's"...

La chanson, forme de poésie populaire, se permet ce genre d'accroc que la poésie classique ne tolére pas.

23Moi, pour la consoler, moi, de toute ma morgue,

24Sur mon harmonica, jouant les grandes orgues.

Orgues

Cf. vers 19 de L'ancêtre.

25Tous les garçons d'honneur, montrant le poing aux nues,

26Criaient : "Par Jupiter, la noce continue !"

27Par les homm's décriée, par les dieux contrariée,

Décriée

Dénigrée, dépréciée (ici, le sujet est la noce)

28La noce continue et viv' la mariée !

La mauvaise herbe 01Quand l' jour de gloire est arrivé,

Le jour de gloire est arrivé

Clin d'oeil à l'hymne national français, la Marseillaise, que les vers suivants désapprouvent

Double sens

On peut aussi penser à la Libération de 1945

02Comm' tous les autr's étaient crevés,

03Moi seul connus le déshonneur

04De n' pas êtr' mort au champ d'honneur.

05Je suis d'la mauvaise herbe,

06Braves gens, braves gens,

07C'est pas moi qu'on rumine

08Et c'est pas moi qu'on met en gerbe...

Herbe

L'herbe (en fait, diverses plantes de la famille des Graminées) que ruminent les vaches, c'est aussi celle qui, fauchée et

séchée, leur permettra de survivre en hiver : c'est le foin.

Les graminées qu'on met en gerbe, c'est le blé, l'orge, le seigle, dont on moudra le grain pour en faire des farines et du

pain.

La mauvaise herbe, ortie, chardon ou autre, ne sert à nourrir ni les vaches ni les hommes. Elle n'a pas d'utilité sociale.

C'est ici une métaphore pour l'anarchiste que voulait être Brassens. Dans le langage courant, "C'est de la mauvaise

herbe" signifiait "Si ça n'est pas encore un voyou, il va le devenir rapidement".

09La mort faucha les autres

La mort

La mort, souvent représentée avec une faux, a fauché les autres (les bonnes herbes, opposées à la mauvaise) "au champ

d'honneur", c'est à dire à la guerre. Brassens continue à "filer la métaphore", c'est à dire à parler d'une chose (son parti-

pris anarchiste et pacifiste) en décrivant autre chose (l'herbe, le champ [d'honneur], les gerbes, la faux...).

10Braves gens, braves gens,

11Et me fit grâce à moi,

12C'est immoral et c'est comm' ça !

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13La la la la la la la la

14La la la la la la la la

15Et je m' demand'

16Pourquoi, Bon Dieu,

17Ça vous dérange

18Que j' vive un peu...

19Et je m' demand'

20Pourquoi, Bon Dieu,

21Ça vous dérange

Vous

Dans la formulation concrète, trois acceptions de "vous" s'entremêlent:

1) vous - les braves gens

2) vous - Bon Dieu

3) vous - n'importe qui ("on")

Interprétation purement linguistique : si Sartre dit que "L'enfer c'est les autres", ce quatrain de Brassens dit que "Le Bon

Dieu c'est les braves gens".

22Que j' vive un peu...

ça vous dérange que je vive un peu

Brassens voit en ce champ une microsociété avec les plantes dites de "valeurs" et celles qui dérangent, tout comme

certaines personnes éprouvant quelques difficultés face aux personnes ne présentant peu ou prou d'aspect culturellement

commun...

Lorsqu'il répète "brave gens, braves gens", il évoque ici une provocation d'une personne née en périphérie qui, par

respect ironique, insiste sur sa condition sociale en mentionnant la leur. Qui plus est, dans les couplets, il va de soi

qu'une référence pécuniaire s'y décèle. On sent aisément l'air libertaire des jeunes gens voyageurs des régions

ardéchoises ou pyrénéennes.

23La fille à tout l'monde a bon coeur,

24Ell' me donne, au petit bonheur,

25Les p'tits bouts d' sa peau, bien cachés,

26Que les autres n'ont pas touchés.

Les petits bouts de sa peau bien cachés

Si la fille à tout le monde est une prostituée, il est rare qu'elle se déshabille entièrement pour ses clients. Le poète, en

revanche, a droit à un traitement de faveur. Sur ce thème des amours privilégiées du poète avec les prostituées, voir

Putain de Toi et Les croquants.

27Je suis d' la mauvaise herbe,

28Braves gens, braves gens,

29C'est pas moi qu'on rumine

30Et c'est pas moi qu'on met en gerbe...

31Elle se vend aux autres,

32Braves gens, braves gens,

33Elle se donne à moi,

34C'est immoral et c'est comme ça !

35La la la la la la la la

36La la la la la la la la

37Et je m' demand'

38Pourquoi, Bon Dieu,

39Ça vous dérange

40Qu'on m'aime un peu...

41Et je m' demand'

42Pourquoi, Bon Dieu,

43Ça vous dérange

44Qu'on m'aime un peu...

45Les hommes sont faits, nous dit-on,

46Pour vivre en band', comm' les moutons.

47Moi, j' vis seul, et c'est pas demain

48Que je suivrai leur droit chemin.

Les moutons

On connaît l'histoire des moutons de Panurge (dans le Pantagruel de Rabelais) pour qui ce chemin-là mène droit à la

noyade.

Nous dit-on

Sans oublier l'image chrétienne du mouton ("nous dit-on"). Jésus est le berger ("je le bon pasteur") et les hommes sont

les moutons ("et les brebis écoutent ma voix")...

49Je suis d' la mauvaise herbe,

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50Braves gens, braves gens,

51C'est pas moi qu'on rumine

52Et c'est pas moi qu'on met en gerbe...

53Je suis d' la mauvaise herbe,

54Braves gens, braves gens,

55Je pousse en liberté

56Dans les jardins mal fréquentés !

57La la la la la la la la

58La la la la la la la la

59Et je m' demand'

60Pourquoi, Bon Dieu,

61Ça vous dérange

62Que j' vive un peu...

63Et je m' demand'

64Pourquoi, Bon Dieu,

65Ça vous dérange

66Que j' vive un peu...

La mauvaise réputation Ça ne saute pas aux yeux, mais...

Cette chanson a été traduite à l'espagnol par Pierre Pascal et chantée par Paco Ibañez. Ce qui est curieux, c'est que, ici

en Espagne, elle est comprise "surtout" comme une chanson de protestation "sociale", contre l'armée, la justice ... alors

qu'en fait, Brassens vise essentiellement ces "braves gens", comme il le fait dans bien d'autres chansons (Chanson pour

l'Auvergnat, etc.)

On a l'impression que pour Brassens, "l'ennemi", plus que la société, c'est "l'individu" qui permet cette société. Ne

disait-il pas que la vraie révolution consistait à devenir un meilleur individu jour après jour ?

Complément

Une anecdote racontée par Paco Ibanez lors d'un concert : la traduction de La mauvaise réputation eut un tel succès en

Espagne qu'une connaissance du chanteur lui dit un jour : "eh, Paco, j'ai entendu ta chanson reprise en français à la

radio!"

Complément

"Nous nous sommes trompés. Ce qu'il aurait fallu à ce pays, c'est une demi-douzaine de St François d'Assise répartis

sur le territoire."

Vladimir Ilitch Lénine, juste avant de perdre l'usage de la parole.

01Au village, sans prétention,

02J´ai mauvaise réputation.

03Qu´je m´démène ou qu´je reste coi

Rester coi

Rester calme, tranquille, silencieux Larousse

04Je pass´ pour un je-ne-sais-quoi !

05Je ne fais pourtant de tort à personne

06En suivant mon ch'min de petit bonhomme.

Chemin de petit bonhomme

Ici encore Brassens retourne une expression bien connue "suivre son petit bonhomme de chemin", qui signifie vivre

tranquillement, aller doucement, à son rythme.

07Mais les brav´s gens n´aiment pas que

Rime

"que" rimant avec "qu'eux": on voit que Brassens a joué dès ses débuts avec les rimes. Le mot à la rime porte par

définition un accent ; or il n'est pas conforme à l'usage français d'accentuer un mot-outil (comme l'est "que"). L'écart

provoque un effet assez violent, que chacun ressentira et interprétera ad libitum.

08L´on suive une autre route qu´eux,

Rime

Phonétiquement, la rime est fausse en ce qui concerne le français parlé (à l'époque de Brassens) au nord d'une ligne

Lyon-Bordeaux (en gros). Mais dans le Midi de la France, QUE est phonétiquement assez fermé et peut rimer avec

QU'EUX. Bizarrement d'ailleurs, les accents régionaux tendant à s'uniformiser sur les modèles de ce qu'on entend à la

radio et à la télé d'une part, et d'autre part sous l'influence des accents pied-noir et arabe depuis les années 60-70, il me

semble que la différence phonétique entre "E" et "EUX", de même que entre "É" et "Ê" est de plus en plus mince.

Écoutez les présentateurs télé : "Moi jeu dis queu c'é tré vré ceu queu vous nous dites là."

Complément

à ma connaissance, Brassens n'a pas confondu dans ses rimes é et è ce qui fut par contre le jeu de Bobby Lapointe.

Je souscris à cette analyse sur la dégradation de la prononciation chez les présentateurs télé mais il faut écouter

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d'anciens interviews pour s'apercevoir que la tendance existait déjà il y plusieurs dizaines d'années.

En fait cette prononciation n'est peut être pas toujours à attribuer à des restes d'accent du midi (comme chez Julien Le

Pers ou Jammy Gouraud) mais peut être aussi à une mauvaise assimilation des phonèmes du français historique dans les

milieux artistiques souvent cosmopolites.

Parmi les mots les premiers touchés : mé, lé, fé, cé, déché, méfé,

09Non les brav´s gens n´aiment pas que

10L´on suive une autre route qu´eux,

11Tout le monde médit de moi,

12Sauf les muets, ça va de soi.

Mutisme et parole

Les deux derniers vers de ce couplet amènent une première image à propos des handicaps liés à la perte d'une fonction

corporelle. On retrouve le même thème métaphorique employé par GB dans Les patriotes.

Ici, "médire" renvoit à "mauvaise réputation" et "muets" à "rester coi".

Complément

Dans les refrains, iln'y apas toujours de rapport sémantique avec le couplet, par contre tout au long de la chanson on

peut observer une gradation :

- tout le monde médit de moi

- tout le monde me montre au doigt

- tout le monde se rue sur moi

- tout le monde viendra me voir pendu

voilà où mène la rumeur...

13Le jour du Quatorze Juillet

Brassens

Le 14 juillet, c'est le jour de la fête nationale de la prise de la Bastille. A cette occasion les troupes militaires françaises

défilent sur les Champs Elysées au son de la fanfare et sous le regard du Président de la République. Par ce vers,

Brassens exprime son refus de participer à ce genre de manifestation. Il préfère son "lit douillet" à "la musique qui

marche au pas". Par ces quelques vers, Brassens illustre à la fois son anticonformisme et son antimilitarisme.

Complément

Le 14 juillet ne commémore pas la prise de la Bastille (1789) mais la fête de la fédération (1790). Il est vrai qu'elle fut si

peu utile qu'on l'oublie facilement.

14Je reste dans mon lit douillet.

15La musique qui marche au pas,

Musique militaire

"Pour marcher au pas d'une musique militaire, il n'y a pas besoin de cerveau. Seule la moelle épinière suffit."

(Albert Einstein)

16Cela ne me regarde pas.

Regarde

On aurait pu avoir un octosyllabe comme Cela ne m'intéresse pas ou Cela ne me concerne pas... Mais le choix d'un

verbe appartenant au champ sémantique des 5 sens prouve encore une fois le souci du détail poétique cher à GB.

Complément

La mauvaise réputation

Le dernier vers de chaque couplet qui constitue une métaphore ironique sur les handicaps corporels renvoie au vers

précédent qui le justifie parfaitement : 1)"médit " et "les muets" 2) "montre au doigt" et "les manchots" 3) "se rue" et les

"culs de jatte" 4) vie,dra me voir " et les "aveugles" .

17Je ne fais pourtant de tort à personne,

18En n´écoutant pas le clairon qui sonne.

Clairon

Le clairon est le descendant du "buccin" romain et l'ancêtre de la trompette moderne. En fait c'est une trompette

primitive, sans pistons ni clés, et donc capable de jouer uniquement un nombre limité de notes, ce qui est apparemment

suffisant pour les grands succès de la musique militaire ("Troufion lève-toi", "V'là l'général qui passe", "Aux morts",

etc.).

Complément

GB connaissait peut-être la chanson intitulée "Bergeries" de Philippe Desportes (1546-1606) qui résume sa philosophie

épicurienne :

Ô bienheureux qui peut passer sa vie

Entre les siens franc de haine et d'envie

[...]

Et quand la nuit à son aise il sommeille

Une trompette en sursaut ne l'éveille

Pour l'envoyer du lit au monument.

19Mais les brav´s gens n´aiment pas que

20L´on suive une autre route qu´eux,

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21Non les brav´s gens n´aiment pas que

22L´on suive une autre route qu´eux,

23Tout le monde me montre au doigt

24Sauf les manchots, ça va de soi.

Manchots

A la fin de ce deuxième couplet, la métaphore est filée, avec les manchots. Mais on ne retrouve pas de renvoi au corps

du couplet, qui, lui, ferait plutôt référence à la surdité.

A ce propos, un des nombreux traducteurs-adaptateurs de Brassens, Ralf Tauchmann, s'est permis justement de

remplacer dans une version allemande, les manchots, qui n'ont pas d'équivalents simples dans la langue de Goethe par

des sourds ; et alors un lien est créé entre ceux "qui prêtent l'oreille", "les sourds", "le clairon qui sonne" et "la musique

qui marche au pas".

Complément

A vrai dire, le renvoi à la surdité n'est que de surface ; ce dont il s'agit réellement est l'antimilitarisme, et c'est cette

attitude que "les braves gens" montrent du doigt, vilipendent.

25Quand j´croise un voleur malchanceux,

26Poursuivi par un cul-terreux,

27J´lance la patte et pourquoi le taire,

J'lance la patte

Pour lui faire un "croche-pied" ou "croc-en-jambe" qui le fera tomber.

28Le cul-terreux s´retrouv´ par terre.

Cul-terreux

Paysan Larousse

Cul-terreux

Le caractère "terreux" de ce cul qui se retrouve "par terre" montre combien il est bien à sa place

Cul-terreux

Paysan, oui, mais dans le langage populaire du XIXème siècle, ce vocable ne s'appliquait qu'aux "domestiques"

(manoeuvres)

Les propriétaires étaient qualifiés de "maître" ou "Baïle en languedoc"

29Je ne fais pourtant de tort à personne,

30En laissant courir les voleurs de pommes.

Voleur de pommes

Dans le folklore traditionnel, les voleurs de pommes sont les enfants ou les Gitans, lesquels ont aussi la réputation de

"voleurs de poules". On peut souligner la parenté de la bohème que vivent les Gitans avec l'anarchisme que professait

Brassens : ni Dieu, ni Maître.

Complément

Ne pas oublier que le discours catholique dénonce Adam et Eve comme les premiers voleurs de pommes de l'Histoire...

31Mais les brav´s gens n´aiment pas que

32L´on suive une autre route qu´eux,

33Non les brav´s gens n´aiment pas que

34L´on suive une autre route qu´eux,

35Tout le monde se rue sur moi,

36Sauf les culs-de-jatte, ça va de soi.

Cul-de-jatte

La jatte (lat. gabata = plat) est un vase rond et sans rebord ; par extension, un "cul-de-jatte" est une personne privée de

ses jambes Larousse

Culs-de-jatte

Métaphore toujours filée sur les handicaps corporels. Et les références au reste du couplet sont ici évidentes:

"poursuivi", "la patte", "courir", et même le mot cul de "cul-terreux" et "culs-de-jatte".

37Pas besoin d´être Jérémie,

Jérémie

Prophète biblique dont la prédiction a préparé le peuple juif à l'épreuve de l'Exil

Jérémiades

Dans le langage courant, Jérémie passe un peu pour un prophète de malheur, un spécialiste des lamentations. Au point

que "jérémiades" a fini par prendre le sens de lamentations incessantes, pas forcément fondées et particulièrement

pénibles pour les auditeurs. Ex: "Arrête un peu tes jérémiades, tu nous casses les pieds."

38Pour d´viner l´sort qui m´est promis,

39S´ils trouv´nt une corde à leur goût,

Corde à leur goût

Littéralement : s'ils trouvent le moindre motif...

Corde

A signaler par ailleurs que la corde du pendu, peut-être par hommage au célèbre poème de Villon, revêt une importance

réelle pour les bourreaux ou les bien pensants... Se souvenir de Celui qui a mal tourné :

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Y s'voyaient déjà partageant

Ma corde, en tout bien tout honneur

En guise de porte-bonheur

40Ils me la passeront au cou,

41Je ne fais pourtant de tort à personne,

42En suivant les ch´mins qui n´mènent pas à Rome,

Les chemins qui ne mènent pas à Rome

Appropriation du proverbe "tous les chemins mènent à Rome"

Complément

En retournant cette expression bien connue, Brassens exprime son non-conformisme, son refus de suivre le même

chemin, de vivre la même vie, que les "braves gens", qui regardent de travers ceux qui pensent autrement qu'eux.

Rome

Sur le fond, les chemins qui mènent à Rome, résidence du Pape, sont ceux de la morale catholique, dont Brassens n'était

pas un adepte enthousiaste. Voir L'Antéchrist, entre autres.

Pour comprendre l'anticléricalisme de Brassens, il faut se souvenir qu'il a passé son enfance à entendre des sermons sur

"la France fille aînée de l'Église" et des chansons du genre "Catholique et Français toujours!" sous Pétain.

43Mais les brav´s gens n´aiment pas que

44L´on suive une autre route qu´eux,

45Non les brav´s gens n´aiment pas que

46L´on suive une autre route qu´eux,

47Tout l´mond´ viendra me voir pendu,

Tout l´mond´ viendra me voir pendu,

On peut rappeler ici qu'il n'y a pas si longtemps, le spectacle du "châtiment suprême" (mise à mort d'un condamné) était

un spectacle public et très couru... Drôles de moeurs.

Pendu

Il y a une obsession de la mort par pendaison chez Brassens. Voir Le verger du Roi Louis, La messe au pendu, Le

moyenâgeux, Le grand chêne...

48Sauf les aveugles, bien entendu.

Aveugles

La symétrie de la métaphore filée se poursuit jusqu'au dernier vers. Mais il n'est pas certain que l'on puisse trouver un

quelconque rapport entre la cécité et le reste du dernier couplet. Si ce n'est que Jérémie raconte dans l'Ancien Testament

comment Nabuchodonosor, roi de Babylone, détruisit le Temple de Jérusalem, tuant les fils de son vassal, Sédécias,

sous les yeux de celui-ci, avant de les lui crever.

La non demande en mariage Brassens et Puppchen

Au début des années 1950, Brassens rencontre une jeune femme née en Estonie, Joha Heiman, surnommée Puppchen :

un amour au départ quasi-clandestin (Joha est mariée, et son mariage se disloque) mais qui va durer jusqu'à la mort de

Georges, pendant plus de 30 ans, d'une façon assez particulière.

Louis-Jean Calvet, dans sa biographie de Brassens, nous raconte qu'"ils vivront une vie commune séparée, chacun chez

soi mais toujours ensemble. Chacun en effet a son appartement. Georges téléphone tous les jours à Joha qui passe le

voir fréquemment; elle ira avec lui dans sa maison de campagne à Crespières puis à Lézardrieux, elle le suivra en

tournée, toujours là, toujours dans les coulisses, veillant à tout. Mais en même temps, chacun gardera ainsi sa distance,

sa liberté." (L-J. Calvet, Georges Brassens)

Brassens pouvait-il rendre un plus bel hommage à Puppchen en chantant La non-demande en mariage, symbole de cet

amour sans entraves ?

Complément

Détail insolite : Sur la tombe de Brassens, une faute d’orthographe s’est glissée dans le nom de Püppchen. Ecrit avec « 2

pp » la traduction est bien « Petite poupée », mais écrit avec « 1 seul p » (et c’est le cas) la traduction devient « Petit pet

» !

01Ma mie, de grâce, ne mettons

02Pas sous la gorge à Cupidon

Cupidon

Le dieu latin de l'Amour (équivalent du grec Eros). De son arc, il décochait les flèches qui inspiraient l'amour.

Complément

Ma mie:

terme littéraire ancien. En utilisant ce mot, GB joue sur la dualité entre la distance temporelle du terme et le rapport

intime avec son amie; entre la liberté et l'amour.

03Sa propre flèche,

04Tant d'amoureux l'ont essayé

05Qui, de leur bonheur, ont payé

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06Ce sacrilège...

Sacrilège

Ici, Brassens emploie le mot "sacrilège" pour parler du mariage qui est considéré par l'église catholique comme un

"sacrement"...

Sacrilège

En sous-entendant que le mariage est un sacrilège envers Cupidon (lui mettre la flèche sous la gorge)

07J'ai l'honneur de

Métrique, prosodie

Les six vers du refrain constituent deux alexandrins coupés en trois (trimètres) avec des rimes internes. Cela rappelle

une autre expérimentation rythmique très audacieuse et savante à la fois : celle dans Le vin (voir une note à cet endroit)

08Ne pas te de-

09Mander ta main,

De de dé

GB met l'accent sur les syllabes "de" "de" "dé" pour souligner l'idée du couple. Ou comment la forme rejoint finement

le fond...

10Ne gravons pas

Antithèse

Derrière les décors, on peut croire voir une antithèse avec "graver les noms sur un arbre". Dans son interview avec

Philippe Nemo, Brassens dit bien que cette chanson concerne la "cohabitation", car "le mariage n'est rien". Le fond

sentimental de cette chanson n'est pas moins vrai pour la cohabitation hors mariage, le PACS ou toute autre

organisation de cohabitation existante ou encore à venir.

11Nos noms au bas

12D'un parchemin.

Ne gravons pas nos noms...

C'est à dire ne signons pas d'engagement ni de contrat de mariage.

Graver sur un parchemin

Le verbe "graver" est là pour marquer le caractère définitif de la signature. Car, au sens propre, on écrit sur un

parchemin et on grave le métal ou la pierre, comme dans le v.15 de L'andropause : Ils gravent sur mon mur en style

lapidaire

Alexandrin ?

Au contraire de la première partie du refrain, Brassens chante d'un seul tenant ces trois vers, ce qui en fait de fait un

alexandrin, comme si le vers canonique était le plus approprié pour exprimer cette sentence.

A propos des jeux de rimes internes, il s'agit là d'un cas d'école : si l'on en fait un alexandrin, les deux mesures de

chaque hémistiche riment entre elles ("gravons" avec "nos noms" et "au bas d'un" avec "parchemin"), et l'on peut

conserver la diction en trimètre avec la rime entre "pas" et "bas"

13Laissons le champ libre à l'oiseau,

14Nous serons tous les deux priso-

15Nniers sur parole,

16Au diable, les maîtresses queux

Maîtresses queux

Un maître queux est un cuisinier

Complément

L'expression 'maîtresses queux', résume joliment ce que GB pense du mariage qui peut transformer une amante

(maîtresse) en cuisinière.

17Qui attachent les coeurs aux queues

Clinquante allitération

queux...Qui...coeurs....queux

Des sonorités qui laissent entendre les entrechoquement des casseroles avant que le mot apparaisse.

18Des casseroles !

19J'ai l'honneur de

20Ne pas te de-

21Mander ta main,

22Ne gravons pas

23Nos noms au bas

24D'un parchemin.

25Vénus se fait vieille souvent,

Vieillesse

Allitérations en v qui soulignent et font résonner le mot "vieille" (plus une assonance en "è" dans "fait")

26Elle perd son latin devant

Vénus qui perd son latin...

Ceci est d'autant plus drôle que Vénus est une déesse romaine.

27La lèchefrite...

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Lèchefrite

(de lèche, et ancien français "froie" = frotte) : ustensile de cuisine placé sous la broche ou le gril pour recevoir le jus et

la graisse d'une pièce de viande mise à rôtir Larousse

28À aucun prix, moi je ne veux

A aucun prix

Les expressions équivalentes "en aucun cas" "d'aucune manière" "d'aucune façon" ne manquent pas. Mais à mon sens

Brassens n'a pas choisi le mot "prix" au hasard, on pourrait l'entendre ici comme le prix marchand de l'alliance,

soulignant le matérialisme et la symbolique à deux sous dont font preuve les mariés.

29Effeuiller dans le pot-au-feu

30La marguerite.

La marguerite dans le pot-au-feu

La même idée est exprimée dans Pénélope, mais vue "côté jardin", dans l'expression "mettre la marguerite au jardin

potager = introduire la poésie dans la vie quotidienne.

Mais toujours sans mettre son nom au bas d'un parchemin.

31J'ai l'honneur de

32Ne pas te de-

33Mander ta main,

34Ne gravons pas

35Nos noms au bas

36D'un parchemin.

37On leur ôte bien des attraits,

38En dévoilant trop les secrets

39De Mélusine.

Mélusine

Personnage d'un roman du XIVième siècle de Jean d'Arras, Mélusine est une fée qui après s'être fait jeter un mauvais

sort, se changeait en sirène tous les samedis. Ce secret ne devait être connu de personne afin qu'elle puisse garder son

apparence humaine pendant les autres jours de la semaine. Elle demanda donc à son futur époux, Raymondin, de ne

jamais chercher à connaître ses origines et de ne jamais la voir les samedis.

Complément

En faisant référence à Mélusine, Brassens indique que selon lui, l'amour ne peut durer qu'en respectant le jardin secret

de l'autre, sans doute la raison pour laquelle ils avaient fait le choix, avec sa compagne, de vivre séparément.

40L'encre des billets doux pâlit

Billets doux

Les billets doux sont évidemment les lettres d'amours

41Vite entre les feuillets des li-

Livre de cuisine

Ce passage rejoint l'idée déjà entamée plus haut quand Brassens dit: "Vénus [...] perd son latin devant la lèche-frite" =>

l'amour pâlit, s'affaiblit, dans la routine de la vie quotidienne, routine de préparer la cuisine par exemple.

42Vres de cuisine

43J'ai l'honneur de

44Ne pas te de-

45Mander ta main,

46Ne gravons pas

47Nos noms au bas

48D'un parchemin.

49Il peut sembler de tout repos

50De mettre à l'ombre, au fond d'un pot

Mettre à l'ombre

Peut aussi s'apparenter à l'emprisonnement, dû au mariage : notion de liberté restreinte, d'enfermement.

51De confiture,

52La jolie pomme défendue,

Pomme

Nouvelle variation sur les stéréotypes du sentiment amoureux, ici la pomme qu'Eve tend à Adam dans le jardin d'Eden,

souvent assimilée au péché de chair.

53Mais elle est cuite, elle a perdu

Cuite

Double sens : elle est littéralement cuite si elle a été réduite en confiture, mais aussi elle est cuite au sens de "elle est

fichue".

54Son goût "nature".

Nature

La pomme a perdu son goût "nature", c'est-à-dire que la relation du couple perd de sa spontanéité, voire son goût

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d'"interdit"

55J'ai l'honneur de

56Ne pas te de-

57Mander ta main,

58Ne gravons pas

59Nos noms au bas

60D'un parchemin.

61De servante n'ai pas besoin,

De servante

Jolie homonymie que fait Brassens avec De Cervantes, l'auteur de Don Quichotte mentionné un peu plus loin.

62Et du ménage et de ses soins

63Je te dispense...

64Qu'en éternelle fiancée,

65À la dame de mes pensées

La dame de mes pensées

C'est un des clichés que Don Quichotte emploie pour désigner Dulcinée. Cliché qui viendrait des coutumes de la

chevalerie : l'aspirant chevalier pouvait fort bien dédier ses tournois et autres hauts faits à une "dame de ses pensées"

avec laquelle il n'avait qu'une relation platonique, pour la bonne raison qu'elle était souvent déjà mariée.

66Toujours je pense...

67J'ai l'honneur de

68Ne pas te de-

69Mander ta main,

70Ne gravons pas

71Nos noms au bas

72D'un parchemin.

Le gorille "Je me suis engagé"

En réalité, je me suis engagé. Seulement, les mauvais esprits ou ceux qui sont dépourvus d’esprit ne s’en sont pas

aperçus. Pour que les gens un peu imbéciles s’imaginent que vous êtes engagé, il faut que vous énonciez des faits, il

faut que vous leur disiez, voilà : "je suis contre la peine de mort". Moi, je n’ai pas dit "je suis contre la peine de mort",

j’ai écrit Le gorille.

Traductions

On trouve aujourd'hui sur internet au moins six traductions anglaises du Gorille, certaines sont très, très réussies. La

plus belle étant, selon moi, celle l'anglais Jake Thackeray.

Complément

Il y a aussi une merveilleuse traduction en italien de Fabrizio De Andrè,qui pendant sa vie avait pris Brassens comme

son exemple et son maître.

Complément

Il existe même une version en wallon (de Philippe Antoine)

Complément

Si l'anglaise est belle et l'italienne merveilleuse, la wallonne est savoureuse. Et de plus, aussi impertinente que

l'originale...

Métaphore du Gorille

GB se sert de l'image du gorille pour représenter "la chose sexuelle", que tout le monde connaît mieux que personne (cf

"Bien des femmes vous le diront") et dont chacun parle à voix basse bien que tous soient au courant.

Par extension, le gorille est donc une espèce de boîte de Pandore dont tout le monde connaît le contenu et que l'on

idéalise tant qu'elle est close, mais qui en fait, une fois ouverte, se révèle être le reflet de ce que l'on n'ose jamais

regarder en face, et par suite, la sanction de cette ignorance entretenue.

Complément

Le gorille représente en effet la puissance du sexe, idéalisé ou craint. On peut donc voir dans l'ouverture de la cage une

dangereuse libération des instincts sexuels les plus sauvages. Certes. Il n'est que d'examiner le cas des deux personnages

qui restent pour se rendre compte que cette métaphore (qui est en réalité plutôt une allégorie) est riche de sens

concernant deux cas de non-normalité sexuelle.

Selon l'interprétation ci-dessus, le désir devrait être inconnu de la vieille puisque le gorille s'en détourne. Et ce n'est pas

le cas : "Qu'on put encore me désirer Ce serait (...) inespéré. Ou alors il faudrait prendre l'adjectif "inespéré" dans son

sens littéral [non-espéré] et non dans son sens courant [espéré bien que très peu probable]. Ce n'est pas ainsi que

l'auditeur reçoit la chanson mais ce n'est pas impossible que GB ait inséré cette piste pour une lecture du texte plus

approfondie.

Pour ce qui est du juge, les choses sont bien plus claires : le gorille représente un désir homosexuel caché. Et le couplet

final expose en effet la sanction de cette ignorance entretenue. Freud parlerait sans aucun doute de refoulement. Mais ce

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qui paraît central bien sûr, c'est l'association de l'acte sexuel et de la peine de mort (dans les deux derniers vers de la

chanson), le premier représentant une sorte de substitut de l'autre. C'est le désir sexuel qui permet de triompher de la

violence des échanges humains. "Faites l'amour et pas la guerre" en quelque sorte. Ce qui n'est pas sans rappeler le sens

de plusieurs autres chansons, par exemple Les lilas où la Porte des Lilas remplace la Porte d'Orléans, par où rentrent les

chefs de guerre (Leclerc, De Gaulle, mais aussi Jeanne d'Arc).

01C'est à travers de larges grilles,

02Que les femelles du canton,

Femelles

Relève du champ lexical de l'animal

03Contemplaient un puissant gorille,

04Sans souci du qu'en-dira-t-on ;

Qu'en dira-t-on

Ragot, cancan, commérage (il est amusant que ce soit les comméres elles-mêmes qui soient insouciantes des

commérages)

Complément

L'attitude des commères est le premier indice d'une inversion généralisée des codes : non seulement ce sont des

commères insensibles aux commérages mais de plus elles ne sont là que des "femelles" c'est-à-dire réduites au rang

d'animal.

A noter que dans cette logique de l'inversion, les commères ne parlent pas mais se contentent de regarder, puis de fuir,

alors que le gorille, lui, est doué de parole : ("C'est aujourd'hui que j'le perds"). Qui est l'humain, qui est l'animal ?

05Avec impudeur, ces commères

06Lorgnaient même un endroit précis

07Que rigoureusement ma mère

Ma mère

L'évocation de la mère à la fin de cette première longue phrase (le premier couplet) permet à Brassens d'imaginer un

personnage de narrateur de cette anecdote, personnage qui serait un jeune homme adepte des histoires grivoises et

libertaires mais en proie à la censure de la mère (cf. aussi le début du dernier couplet). Bien entendu, le contraste entre

ces deux faces du personnage de narrateur crée une tension comique (effets de censure / contenu osé).

Au passage s'instaure une opposition entre les commères et la vraie mère : les unes adulant le sexe du gorille, l'autre le

censurant.

08M'a défendu d' nommer ici...

09Gare au gorille !...

10Tout à coup, la prison bien close,

11Où vivait le bel animal,

12S'ouvre on n'sait pourquoi (je suppose

13Qu'on avait dû la fermer mal) ;

14Le singe, en sortant de sa cage

15Dit: "C'est aujourd'hui que j'le perds !"

16Il parlait de son pucelage,

17Vous aviez deviné, j'espère !

18Gare au gorille !...

19L'patron de la ménagerie

Ménagerie

Lieu où sont rassemblés des animaux rares (dans un jardin zoologique, dans les exhibitions foraines, etc.).

20Criait, éperdu : "Nom de nom !

21C'est assommant car le gorille

Assommant

Ennuyeux à l'excès

Assommant

Rappocher peut-être la force de ce mot et la puissance du gorille

22N'a jamais connu de guenon !"

Guenon

Singe femelle, ou femme très laide Larousse

Connu de guenon

"Connaître une femme" pour dire baiser, ça se trouve dans la Bible, au départ. C'est amusant de voir que dans cette

chanson carrément scandaleuse (elle a été censurée je crois), Brassens emploie la formule la plus distinguée et

pudibonde pour dire coucher. Encore un sacrilège de sa part...

Et en plus, dire "connaître" pour une guenon, c'est ravaler les hommes au rang de singe, et contredire la religion

(l'homme créé à l'image de Dieu, roi de la création, etc.)

Connu

Les deux sens, bien sûr, ont leur valeur en même temps dans la chanson. C'est un double sens, qui permet un double

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niveau de lecture. Bref, c'est de la poésie.

23Dès que la féminine engeance

Engeance

Ensemble de personnes méprisables Larousse

Complément

Ce n'est sans doute pas ce sens du mot "engeance" qu'il faut comprendre ici, mais celui, archaïque, de "race d'animaux",

que Brassens rapproche peut-être du verbe "engendrer" (dont il est historiquement distinct) pour en faire un synonyme

de "congénère".

24Sut que le singe était puceau,

25Au lieu de profiter de la chance

26Elle fit feu des deux fuseaux !

Fuseau

Pantalon de sport dont les jambes vont en se rétrécissant vers le bas ; le port de ce pantalon rend ces femelles d'autant

moins sensuelles, et d'autant plus disposées à s'enfuir

Faire feu

Penser au coup de pistolet qui donne le départ des courses de vitesse

Faire feu des deux fuseaux

Il s'agit là d'une "métaphore-valise" au sens des "mots-valises" de Lewis Caroll : on en a deux pour le prix d'une :

- 1. Faire feu des quatre fers, c'était, pour un cheval, dont les quatre fers faisaient des étincelles sur le pavé, démarrer en

trombe.

- 2. Tricoter des fuseaux, c'est courir. Les jambes comparées à des fuseaux, c'est vieux comme les quenouilles et les

rouets (ça n'a pas attendu les sports d'hiver). Le fuseau, c'était la baguette sur laquelle s'enroulait la laine filée en prenant

la forme d'une pelote allongée, "fuselée" justement. La quenouille était l'autre baguette où était enroulée "en vrac" la

laine pas encore filée.

Expression combinée

Pour être plus précis, il s'agit de la fusion entre "faire feu des quatre fers", c-à-d "démarrer au galop" (pour un cheval,

fait référence aux étincelles causées par ses fers) et "tricoter des fuseaux" pour "courir", l'analogie fuseau/jambe ayant

déjà été expliquée.

C'est un procédé familier à GB (voir Auprès de mon arbre, fumer le tabac de la vache enragée, entre cent exemples).

Elle fit feu des deux fuseaux

Expression qui signifie "prendre ses jambes à son cou"

Piquer des deux

L'expression "piquer des deux" est une expression équestre qui signifie "lancer son cheval au galop". La similitude de

cette expression avec celle employée par GB n'est peut-être pas innocente, d'autant qu'avec un fuseau on se pique (et on

s'en trouve parfois ensommeillé pendant 100 ans...)

Fit feu des deux fuseaux

Notable allitération en [f] qui souligne la vitesse de l'action, rappelant le son dû au passage d'un objet à grande célérité.

27Gare au gorille !...

28Celles-là mêmes qui, naguère,

29Le couvaient d'un oeil décidé,

30Fuirent, prouvant qu'ell's n'avaient guère

31De la suite dans les idées ;

Ni par l'esprit

Dans cette anecdote, on assiste à une série de mauvais choix dus à un défaut d'intelligence : celui-ci, où les commères

fuient ce qu'elles devraient rechercher, celui du juge, qui reste là où il devrait fuir, en dépit du bon sens ("La suite lui

prouva que non") et bien sûr celui du gorille, qui préfère le juge à la vieille, privilégiant ainsi le viol à l'acte consenti,

puisqu'il ne brille Ni par le goût ni par l'esprit

32D'autant plus vaine était leur crainte

33Que le gorille est un luron

Luron

Personne joyeuse, sans souci, hardie en amour Larousse

34Supérieur à l'homme dans l'étreinte,

Supérieur à l'homme dans l'étreinte

Pour certains, la taille du sexe masculin en érection est un critère de "performance" sexuelle, un plus grand pénis

signifiant une meilleure "performance". Or, sauf erreur, le gorille moyen ne dépasse pas les 4 cm lorsqu'il bande.

35Bien des femmes vous le diront !

Des femmes vous le diront

Avec Beaucoup d'humour, G.B. sous entend ici, pour en tirer des comparaisons, que bien des femmes ont essayé

"l'étreinte" avec des gorilles...

Bien des femmes vous le diront

Souligne une fois de plus la contradiction féminine symbolisée plus haut...

36Gare au gorille !...

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37Tout le monde se précipite

38Hors d'atteinte du singe en rut,

Rut

(lat. rugitus = rugissement) état physiologique des mammifères qui les pousse à rechercher l'accouplement Larousse

39Sauf une vielle décrépite

Décrépite

Affaiblie par l'âge Larousse

40Et un jeune juge en bois brut ;

En bois brut

De par ses fonctions, le juge doit rester "de bois", c'est à dire impassible, lorsqu'il décide d'envoyer un condamné en

prison ou à la guillotine. L'indifférence des juges à la souffrance des condamnés est un thème qui doit remonter à

Villon, un des maîtres de Brassens. Le dernier couplet va nous nous éclairer là-dessus.

Par rapport au "bois brut"

... mais en plus si le juge doit rester de bois, c'est le gorille qui, lui, ne le reste pas (il a la trique)

Juge en bois brut

Mal dégrossi, sans expérience, tout neuf dans sa profession, du fait de sa jeunesse. Cette inexpérience va lui être

"fatale"!

Bois brut

Bois brut... comme le bois de justice, ancienne appellation de l'échafaud.

41Voyant que toutes se dérobent,

42Le quadrumane accéléra

Quadrumane

Qui a quatre mains

Complément

Jeu amusant avec les termes zoologiques : on attendrait bien plutôt "quadrupède" opposé aux bipèdes humains. Le

gorille marche sur ses mains, se rapprochant par là du monstre.

43Son dandinement vers les robes

Dandinement

Un dandin est un homme niais, aux manières gauches Larousse

Le 'dandinement' prend sa racine dans ce mot, et la démarche en question n'est donc pas très assurée.

Complément

La démarche dénote un manque d'assurance chez un humain, mais pas chez cet animal qui, Brassens l'a rappelé, est

quadrumane. son dandinement me semble donc naturel, en course.

Complément

Ce qui est frappant avec ce "dandinement", c'est que, du coup, le gorille lui aussi est ridicule. Dans cette histoire, aucun

personnage ne mérite le respect ou l'admiration. C'est une chanson d'un Brassens persifleur, où tout (et tous) prête à rire.

44De la vieille et du magistrat !

Les robes

A noter la similitude faite entre les robes des juges et des vieilles... On pourra également songer aux robes des

ecclésiastiques, autre profession peu prisée de GB.

45Gare au gorille !...

46"Bah ! soupirait la centenaire,

47Qu'on puisse encor' me désirer,

48Ce serait extraordinaire,

49Et, pour tout dire, inespéré !"

50Le juge pensait, impassible:

Impassible

Qui ne manifeste aucun trouble, aucune émotion, aucun sentiment Larousse

51"Qu'on me prenn' pour une guenon,

52C'est complètement impossible..."

53La suite lui prouva que non !

54Gare au gorille !...

55Supposez qu'un de vous puisse être,

56Comme le singe, obligé de

Obligé

Avec humour, on note que si le choix du partenaire est laissé au gorille, celui de perdre son pucelage est un impératif...

57Violer un juge ou une ancêtre,

58Lequel choisirait-il des deux ?

59Qu'une alternative pareille,

60Un de ces quatre jours, m'échoie,

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échoir

Arriver par hasard Larousse

61C'est, j'en suis convaicu, la vieille

62Qui sera l'objet de mon choix !

Couplet délibératif

Dans ce couplet, le narrateur fait une pause dans la narration pour examiner le choix qui s'offre au gorille. Ce faisant, il

ouvre sur deux récits possibles (violer la vieille ou le juge), ce qui est le principe même du récit édifiant du prêche :

mettre le croyant en position de choisir entre deux voies, l'une étant censée être celle de la tentation et l'autre celle de la

rédemption. Il y a donc bien ici une parodie du discours parabolique et moral de l'Eglise. Le discours moral tombe a

fortiori en quenouille au couplet suivant, où le fruit de cette réflexion délibérative est annulé par le choix réel de

l'animal, dont le narrateur semble suggérer son "goût" vicié pour ceux de son sexe plutôt que pour le sexe opposé.

Jouissive mise en faillite du discours moralisant petit-bourgeois représenté également par les incursions de la mère dans

le cours du récit.

63Gare au gorille !...

64Mais, par malheur, si le gorille

65Aux jeux de l'amour vaut son prix,

66On sait qu'en revanche il ne brille

67Ni par le goût, ni par l'esprit.

68Lors, au lieu d'opter pour la vieille,

Au lieu d'opter pour la vieille

Allégorie de l'erreur judiciaire : le gorille choisit un homme au lieu d'une femme tout comme le juge peut condamner à

mort un innocent au lieu du vrai coupable

69Comme aurait fait n'importe qui,

70Il saisit le juge à l'oreille

71Et l'entraîna dans un maquis !

72Gare au gorille !...

73La suite serait délectable,

74Malheureusement, je ne peux

75Pas la dire, et c'est regrettable,

Malheureusement / c'est regrettable

Le narrateur semble empêché de poursuivre sa narration par une force extérieure. On peut y voir un rappel du

personnage de la mère évoqué au premier couplet, et de toute façon une forme de censure moralisante interdisant gros

mots et paillardises.

76Ça nous aurait fait rire un peu ;

77Car le juge, au moment suprême,

78Criait : "Maman !", pleurait beaucoup,

79Comme l'homme auquel, le jour même,

80Il avait fait trancher le cou.

Trancher le cou

L'ironie de la situation traduit la prise de position de Brassens contre la peine de mort (qui ne fut abolie en france que le

9 octobre 1981... Brassens est mort le 29)

81Gare au gorille !...

Suite et fin ?

Trouvée sur Internet (membres.lycos.fr/textesbrassens/le_gorille.html), ce dernier couplet qui fut, parait-il, retiré de la

chanson par G. Brassens :

Nous terminerons cette histoire

Par un conseil aux chats-fourrés

Redoutant l'attaque notoire

Qu'un d'eux subit dans des fourrés :

Quand un singe fauteur d'opprob'e

Hante les rues de leur quartier

Ils n'ont qu'à retirer la robe

Ou mieux à changer de métier.

Le mécreant 01Est-il en notre temps rien de plus odieux,

02De plus désespérant, que de n'pas croire en Dieu ?

03J'voudrais avoir la foi, la foi d'mon charbonnier,

La foi du charbonnier

Vieille expression désignant "la foi humble et naïve des simples". Le Petit Robert

"Cet homme avait la foi du charbonnier. Il aimait la Sainte Vierge comme il eût aimé sa femme." (Balzac)

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Les charbonniers étaient, avant l'époque des houillères, les paysans qui, en dehors des travaux de saison, arrondissaient

leurs fins de mois en allant faire du charbon de bois dans les forêts. Ils y vivaient en campement, dans des conditions

assez primitives.

04Qui est heureux comme un pape et con comme un panier.

05Mon voisin du dessus, un certain Blais' Pascal,

Blaise Pascal

Blaise Pascal conçut vers 1656 l'idée d'une "apologie de la religion chrétienne", mais il mourut sans l'avoir terminée.

Des fragments en furent néanmoins publiés après sa mort sous le titre de "pensées". Dans ce texte, Pascal en arrive à

conclure que seule la religion peut venir en aide à l'homme. Mais comment acquérir la foi ? Par la prière, assure-t-il.

Complément

"Si dieu n'existe pas, on ne perdra rien à croire en lui, alors que s'il existe, on perdra tout en n'y croyant pas."

Blaise Pascal

06M'a gentiment donné ce conseil amical :

07Mettez-vous à genoux, priez et implorez,

08Faites semblant de croire, et bientôt vous croirez.

Faites semblant de croire

Ce vers est une allusion directe au fameux "pari" de Pascal, qui tentait de prouver par l'argument suivant que sa

croyance en Dieu était rationnelle : "Si Dieu n'existe pas, on ne perdra rien à croire en lui, alors que s'il existe, on perdra

tout en n'y croyant pas".

Complément

Pascal n'exposait pas un argument pour prouver l'existence de Dieu. Il appliquait à notre comportement hésitant la règle

des probabilités qu'il avait découverte. Disons que Pascal a "mathématiquement" raison. C'est d'ailleurs très curieux

qu'il n'ait jamais eu de contradicteurs. Prévert (cf. Les paris stupides dans Paroles) lui oppose le mépris mais Brassens,

lui, cherche une issue par l'expérimentation.

Complément

Dire que Pascal n'a pas eu de contradicteurs dans son syllogisme dit du "pari" est un peu aventuré. Sans attendre le Curé

Meslier, ni Voltaire, ni Sade, nombreux sont les libres-penseurs qui ont dénoncé la faiblesse de l'argumentation suivant

laquelle, si Dieu n'existe pas, on ne perd rien à croire en lui ! Ils n'étaient pas en peine, au contraire, de prouver tout ce

qu'on y perd, surtout aux XVIIe et XVIIIe s. où la pratique religieuse (et pas seulement janséniste) était une école de la

mortification la plus malsaine.

09J'me mis à débiter, les rotules à terre,

10Tous les Ave Maria, tous les Pater Noster,

11Dans les ru's, les cafés, les trains, les autobus,

12Tous les De Profundis, tous les morpionibus...

De Profundis, morpionibus

C'est le refrain d'une célèbre chanson paillarde que l'on trouve sous diverses versions plus ou moins expurgées...

Tapez "morpionibus" sous votre moteur de recherche favori pour les paroles...

Voir également Les quat'z'arts

13Sur ces entrefait's-là, trouvant dans les orties

Orties

Les orties poussent volontiers dans les terrains vagues et les décharges. Jeter quelque chose aux orties, c'est s'en

débarrasser.

Se débarrasser de sa soutane, pour un curé, c'est se défroquer, c'est à dire quitter son ministère de prêtre. Le problème

des prêtres défroqués a pas mal agité l'opinion (encore très catholique) dans les années 50, en particulier à la suite du

mouvement des prêtres ouvriers. Nombre d'entre eux avaient repris une vie laïque (en même temps que leur carte de la

CGT). Rome devait donner un coup d'arrêt au mouvement en 54. Voir à ce propos le roman de Gilbert Cesbron : Les

Saints vont en Enfer, et le film de Léo Joannon : Le Défroqué, avec Pierre Fresnay.

Jeter le froc aux orties

Fig. et familièrement. Jeter le froc aux orties: renoncer à la profession monacale. 'Un compère qui avait jeté le froc aux

orties, ne devait pas être de trop bonnes moeurs', SÉVIGNY 237. [Le Littré]

Jeter le froc aux orties

Il est intéressant de noter que dans toutes les matières médicales phytothérapeutiques, spagyriques et

aromathérapeutiques, l'ortie est reconnue comme purificatrice. En effet, elle purifie les terrains où elle pousse (souvent

des terrains à gravats). Ainsi le défrocage du prêtre est-il une action purificatrice pour ce dernier. Larcin verbal peut-être

bien involontaire, mais rajoutant à l'anticléricalité de Georges Brassens.

14Un' soutane à ma taille, je m'en suis travesti

Soutane

Il s'agit probablement d'une allusion au père Duval cité nommément dans "les trompettes de la renommée".

15Et, tonsuré de frais, ma guitare à la main,

Tonsuré

Voir le commentaire sur la tonsure dans Trompettes de la Renommée

16Vers la foi salvatrice, je me mis en chemin.

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17J' tombai sur un boisseau d'punais's de sacristie,

Boisseau

Mesure de capacité pour les grains ; sans doute brassens fait-il allusion aux chapelets égrenés par les punaises de

sacristie

Punaise de sacristie

Bigote

18Me prenant pour un autre, en choeur, elles m'ont dit :

Un autre

Probablement le Père Duval, que Brassens appelle "La calotte chantante" dans les Trompettes de la Renommée.

19Mon père, chantez-nous donc quelque refrain sacré,

20Quelque sainte chanson dont vous avez l' secret !

21Grattant avec ferveur les cordes sous mes doigts,

Grattant avec ferveur

Moi qui suis toujours séduit par le talent mélodique de GB, je fais exception pour cette chanson : je la trouve fatigante,

très courte, répétitive, très revancharde. Mais je ne peux me résigner à penser qu'il ne l'ait pas voulue ainsi. Car si le

texte n'est pas des plus méchants par rapport à la religion puisque tout y est absurde et qu'il fustige la bigotterie plutôt

que la foi, la mélodie par contre paraît hargneuse, ce qui n'est pas habituel chez GB.

Complément

Cette mélodie courte et répétititive me semble être une parodie de musique de cantique.

22J'entonnai Le Gorille avec Putain De Toi.

Auto-citations

Il semble que ce soit ici la seule fois que GB fasse allusion à des titres de ses chansons : Le gorille et P... de toi.

De même, il ne s'est qu'une seule fois nommé ou plutôt prénommé (bien qu'il parle très souvent à la première personne

du singulier), c'est dans Le bulletin de santé : Ne dites pas : "C'est Tonton Georges qui expire"

23Criant à l'imposteur, au traître, au papelard,

Papelard

Nom et adjectif : faux dévôt, tartuffe, hypocrite.

24Ells veul'nt me fair' subir le supplic' d'Abélard,

Abélard

Philosophe et théologien français du XIme siècle dont le nom est resté connu en raison de sa passion pour Héloïse,

nièce d'un chanoine qui le fit châtrer par des gens à sa solde

25Je vais grossir les rangs des muets du sérail,

Muets du sérail

Allusion aux eunuques, seuls hommes autorisés à approcher les femmes du harem dans le palais du sultan de la turquie

ottomane

26Les bell's ne viendront plus se pendre à mon poitrail,

27Grâce à ma voix coupée j'aurai la plac' de choix

Voix coupée

évocation des castrats, chanteurs qu'on castrait jadis avant la puberté pour qu'ils gardent une voix aigüe

28Au milieu des Petits Chanteurs à la Croix d'Bois.

Les Petits Chanteurs à la Croix de Bois

Manécanterie, ou chorale d'enfants, au répertoire religieux à l'origine, qui connut un certain succès en France pendant

les années 50/60, aux débuts du microsillon. Fondés en 1908 par l'Abbé Maillet, ils existent encore et ont même un site

sur le net : www.lespetitschanteursalacroixdebois.com

Chanteurs à la Croix de Bois

Il y a peut-être dans cette chanson l'expression d'un agacement face à l'envahissement dans les années 50 des chanteurs

"calotins"...

29Attirée par le bruit, un' dam' de charité,

Les Dames de Charité

01/09/1823 : L'Abbé Poirot fonde, à Château-Salins l'Association des Dames de Charité qui a pour objet "la charité à

domicile". Douze dames étaient chargées, à tour de rôle, de visiter les malades et de distribuer des secours en nature.

(Trouvé sur le site de la Gazette Vicoise)

Sous le Second Empire, cette association de bienfaisance avait des antennes dans la France entière.

30Leur dit : "Que faites-vous ? Malheureus's, arrêtez !

31Y'a tant d'hommes aujourd'hui qui ont un penchant pervers

32À prendre obstinément Cupidon à l'envers,

Homophobie

Difficile, ici, de ne pas noter, avec l'adjectif "pervers", l'homophobie de GB, qui n'avait d'ailleurs rien de "politiquement

incorrect" à l'époque.

Complément

Pour moi ces 3 dernièrs vers sont à mettre dans la bouche de la sus-dite "dame de charité" ainsi que les 2 qui suivent car

comme on le voit bien ils sont encadrés de " ... " .

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Je ne connais pas trop l'état d'esprit de Brassens à ce sujet mais je pense qu'il fait là, comme dans le reste de son oeuvre,

son travail d'observateur et de critique de la société de son époque.

33Tant d'hommes dépourvus de leurs virils appas,

34À ceux qui en ont encor' ne les enlevons pas !"

35Ces arguments massues firent un grosse impression,

36On me laissa partir avec des ovations.

37Mais, su' l' chemin du ciel, je n' ferai plus un pas,

38La foi viendra d'ell'-même ou ell' ne viendra pas.

39Je n'ai jamais tué, jamais violé non plus,

Notion de crime

Notez que notre ami place le viol comme deuxième plus grand crime, après le meurtre, mais avant le vol (contrairement

à ce que dictent les évangiles).

40Y'a déjà quelque temps que je ne vole plus,

Je ne vole plus

Allusion aux ennuis que Brassens aurait eus avec la police dans sa jeunesse pour quelques larcins.

Voir Les quatre bacheliers. Il aimait beaucoup, dans ses premières chansons (Je suis un voyou, La mauvaise réputation,

L'Auvergnat, Putain de toi, Le mauvais sujet repenti...) sous-entendre qu'il avait eu un passé un peu agité. C'était moins

une pose qu'une façon de se ranger du côté des "voleurs de pommes" et des rejetés de la société.

41Si l'Éternel existe, en fin de compte, il voit

42Qu' je m' conduis guèr' plus mal que si j'avais la foi.

Conclusion

C'est la conclusion de cette chanson. Pied de nez à la religion.

Guère plus mal

D'où l'inutilité de tenter le pari de Pascal (voir le film Ma nuit chez Maud de Rohmer)

Le pornographe Pornographe

(du grec "pornê" = prostituée, et "graphein" = écrire) auteur spécialisé dans la représentation complaisante d'actes

sexuels, en matière littéraire, artistique ou cinématographique Larousse

01Autrefois, quand j'étais marmot,

02J'avais la phobie des gros mots,

03Et si j' pensais "merde" tout bas,

04Je ne le disais pas...

05Mais

06Aujourd'hui que mon gagne-pain

07C'est d' parler comme un turlupin,

Turlupin

Henri Le Grand, dit Belleville ou Turlupin (Paris 1587 - id. 1637) : acteur français ; farceur sur les tréteaux de la Foire

Larousse

Les turlupins

Egalement le nom d'une secte aux XIIe et XIVe siècles. Selon le GRAND DICTIONNAIRE UNIVERSEL (Larousse

1876):

"Les turlupins se rattachaient peut-être aux vaudois et aux bégards. Ils se nommaient eux-mêmes Société des pauvres,

enseignaient que l'homme peut arriver dans cette vie à l'impeccabilité et furent accusés de se livrer aux plus honteux

désordres. Excommuniés par Grégoire XI en 1372, ils furent détruits par les ordres du roi de France Charles V."

On y lit également :

"DAUBENTON, DAUBENTONNE ou DABENTONNE (Jeanne ou Pieroime), née à Paris, où elle fut brûlée vive en

1372. Elle se mêla à une bande de turlupins, au milieu desquels elle joua un rôle des plus actifs. Devenue l'éloquente

interprète de leur doctrine, elle se livra à la prédication, annonça que l'idéal de la perfection chrétienne consiste à être

pauvre et à aller à-peu près entièrement nu, que tous les devoirs religieux doivent se réduire à une simple oraison

mentale, et enfin que, pour les saints, c'est-à-dire les adeptes de ses idées, il n'y a nul péché à satisfaire ses passions et

tous les désirs des sens. Condamnée au supplice du feu, Jeanne Daubenton fut brûlée en place de Grève."

08Je n' pense plus "merde", pardi !

09Mais je le dis.

10J'suis l' pornographe

11Du phonographe,

12Le polisson

13De la chanson.

14Afin d'amuser la gal'rie

15Je crache des gauloiseries,

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Gauloiserie

1. Caractère de ce qui est gaulois, exprimé de façon libre.

2. Propos libre ou licencieux.

Larousse

16Des pleines bouches de mots crus

17Tout à fait incongrus...

18Mais

19En m' retrouvant seul sous mon toit,

20Dans ma psyché j' me montre au doigt

Psyché

(de "Psyché" = dans la mythologie grecque, jeune fille d'une grande beauté aimée par Éros, grâce à l'amour duquel elle

deviendra immortelle après une longue suite d'épreuves)

- grand miroir mobile par rapport au châssis, posé au sol, qui le supporte

- au sens philosophique, synonyme du "moi" pris dans ses composants relationnels et affectifs Larousse

21Et m' crie : "va t'faire, homme incorrect,

22Voir par les grecs"

23J'suis l' pornographe

24Du phonographe,

25Le polisson

26De la chanson.

27Tous les sam'dis j' vais à confess'

28M'accuser d'avoir parlé d' fess's

29Et j'promets ferme au marabout

Le marabout

Ici, c'est bien sûr le curé à qui le poète confesse ses péchés. Dans le Maghreb, un marabout est un saint homme, souvent

un ermite, à qui l'on rend visite lorsqu'on a des problèmes. Il peut être un peu sorcier sur les bords, mais pas

nécessairement. Par extension, le marabout désigne aussi la petite maison carrée, blanche, dans laquelle il vit, à l'écart

de la ville ou du village.

30De les mettre tabou...

Tabou

Les langues polynésiennes (tahitien, hawaïen, maori...) nous ont donné trois mots devenus assez courants. Le "tabou",

c'est l'interdit, au sens profane autant que sacré (d'ailleurs sacré signifie bien interdit, à l'origine).

Il y a aussi le "tatau", qui, par l'anglais "tattoo", a donné notre tatouage, adopté par les baleiniers au XIXème dans les

Îles Marquises. Et enfin le "mana", pouvoir charismatique des chefs, mais aussi des lieux et des objets.

31Mais

32Craignant, si je n'en parle plus,

33D' finir à l'Armée du Salut,

L'Armée du Salut

Dissidence de l'Église Méthodiste d'Angleterre, l'Armée du Salut a été fondée en 1865 par William Booth (1829-1912)

qui s'adjugea le titre de "général". (L'organisation "militaire" n'était pas si nouvelle que ça: déjà au XVIIème siècle, les

Jésuites se voulaient soldats du Christ et sont encore à cette heure dirigés par un "général" depuis Rome.)

Le ridicule des uniformes que ses membres continuent à porter, leurs fanfares et leurs cantiques ringards ne doivent pas

faire oublier le travail considérable que l'AS fait depuis le début, c'est à dire plus d'un siècle, en direction des plus

démunis et de ceux qui sont rejetés par la société. Et ce, dans le monde entier.

Complément

GB joue ici de sa "sainte" horreur de la religion, présentant le fait de finir chez les religieux comme la pire des

sentences.

A noter d'ailleurs que c'est également chez les religieux, plus exactement chez les religieuses, au couvent, que

finissaient souvent les princesses désavouées (par leur mari ou parce qu'elles se sont déshonorées).

34Je r'mets bientôt sur le tapis

35Les fesses impies.

36J'suis l' pornographe

37Du phonographe,

38Le polisson

39De la chanson.

40Ma femme est, soit dit en passant,

41D'un naturel concupiscent

42Qui l'incite à se coucher nue

43Sous le premier venu...

44Mais

45M'est-il permis, soyons sincères,

46D'en parler au café-concert

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Café-concert

Le café-concert, le "caf'conç'" pour les habitués, c'était dans les années 1900 l'endroit où on allait écouter les

chansonniers (Aristide Bruant au Chat Noir, à Montmartre par ex.).

Brassens, lui, n'a jamais chanté que dans des petits théâtres au début, puis de grands music-halls. Mais c'est très

intéressant de le voir encore une fois se projeter dans le passé, à la charnière du XIXème et du XXème siècle, époque

dont le vocabulaire imprègne toutes ses chansons.

Le caf'conç' reviendra à la mode sous d'autres formes dans les années 50 sur la Rive Gauche, puis dans les années 70

avec le Café de la Gare, le Splendid etc.

47Sans dire qu'elle a, suraigu,

48Le feu au cul ?

49J'suis l' pornographe

50Du phonographe,

51Le polisson

52De la chanson.

53J'aurais sans doute du bonheur,

54Et peut-être la Croix d'Honneur,

55À chanter avec decorum

56L'amour qui mène à Rome...

à rome

"l'amour qui mène à Rome" : l'amour divin, parler de religion. Ici, sans doute encore un clin d'oeil de Brassens au Père

Duval "la calotte chantante" des Trompettes de la renommée

57Mais

58Mon ang' m'a dit: "Turlututu !

Mon ange

Mon ange gardien, bien sûr. On reste dans la mythologie chrétienne, sauf que cet ange gardien-là a sans doute les pieds

fourchus et des cornes sur la tête.

59Chanter l'amour t'est défendu

60S'il n'éclôt pas sur le destin

61D'une putain."

Référence

Dans ce couplet, GB fait sans doute allusion à sa chanson Le mauvais sujet repenti...

62J'suis l' pornographe

63Du phonographe,

64Le polisson

65De la chanson.

66Et quand j'entonne, guilleret,

67À un patron de cabaret

68Une adorable bucolique,

69Il est mélancolique...

70Et

71Me dit, la voix noyée de pleurs,

72"S'il vous plaît de chanter les fleurs,

73Qu'ell's poussent au moins rue Blondel

Rue Blondel

Célèbre rue parisienne proche des Halles, un peu moins "pittoresque" depuis l'interdiction des bordels. Touristes qui

venez voir Notre-Dame, passez donc la Seine et remontez un peu le boulevard Sébastopol, c'est aussi une attraction fort

instructive...

74Dans un bordel"

75J'suis l' pornographe

76Du phonographe,

77Le polisson

78De la chanson.

79Chaque soir avant le dîner,

80À mon balcon mettant le nez,

81Je contemple les bonnes gens

Les ''bonnes gens''

L'une des expressions favorites de ce cher poète lorsqu'il ironise sur les gens qui méprisent, jugent et condamnent autrui

sans même le connaître, juste par bêtise humaine.

82Dans le soleil couchant...

83Mais

84N' me d'mandez pas d' chanter ça, si

85Vous redoutez d'entendre ici

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86Que j'aime à voir, de mon balcon,

87Passer les cons.

Les cons

Les "braves gens" du début de ce couplet se prennent dans la foulée une singlante injure. Résultat d'un coup classique

de Brassens : le passage brutal de la langue de bois au language soutenu (politesse oblige). La sincérité brut de

décoffrage de ces termes grossiers donne toute son efficacité à l'ironie recherchée. C'est certainement ce qui apporte le

plus à l'humour des chansons de G.B.

Complément

Finir la strophe sur le mot "con" n'est pas anodin.

En effet, con signifiant également, et dans son sens premier, l'organe sexuel de la femme.

Ainsi, juste avant de reprendre qu'il est le pornographe, GB avoue qu'il aime voir passer les cons, dans son sens

premier...

88J'suis l' pornographe

89Du phonographe,

90Le polisson

91De la chanson.

92Les bonnes âmes d'ici-bas

93Comptent ferme qu'à mon trépas

94Satan va venir embrocher

Embrocher

Satan est traditionnellement muni d'une fourche avec laquelle il embroche les damnés pour les jeter dans les flammes de

l'Enfer.

95Ce mort mal embouché...

96Mais,

97Mais veuille le grand Manitou,

98Pour qui le mot n'est rien du tout,

99Admettre en sa Jérusalem,

Jérusalem

La "Jérusalem céleste", c'est le Paradis ou Dieu (le Grand Manitou) accueille les élus, c'est à dire ceux qui ont eut la

chance d'échapper à la fourche de Satan.

100À l'heure blême,

L'heure blême

L'heure de la mort. Peut-être aussi le souvenir de Verlaine (mis en musique par Charles Trenet):

Tout suffocant

Et blême quand

Sonne l'heure,

Je me souviens

Des jours anciens

Et je pleure.

101Le pornographe

102Du phonographe,

103Le polisson

104De la chanson.

Le vieux Léon Rythme du texte

Une des rares chansons en vers de 4 pieds de Brassens

Complément

C'est aussi une chansons en rimes exclusivement masculines (c'est aussi le cas de Les Copains d'Abord ). Le but est sans

doute de marquer le rythme saccadé de la java jouée par l'accordéoniste de rue qu'est le vieux Léon...

Autres compléments

1) Le fait que la pièce soit en vers de quatre « pieds » (de quatre syllabes en réalité, car le pied, au sens classique, n’est

pas forcément une syllabe et on appelle justement ces vers des quadrisyllabes) est une question de métrique et non de «

rythme du texte » (qui concerne plutôt les rimes et les assonances internes).

2) On a le droit de rêver et même de dire à quoi nous fait rêver une chanson (les chansons sont exactement faites pour

ça), mais de là à poser des choses non vérifiables ou fausses comme des vérités, il y a un pas, et c’est celui qui nous

ferait quitter, hélas ! le domaine de l’analyse :

- a) le mouvement (ou le tempo) de cette chanson est celui d’une valse et non celui d’une java ;

- b) cette valse, qui nous dit, même si c’est fort plausible, que G. B. en attribue l’exécution au personnage du vieux

Léon ? (Ou alors nous suggère-t-il aussi que l’Auvergnat, l’hôtesse et l’étranger de Chanson pour l’Auvergnat

fredonnaient tous le même air de valse en accomplissant leurs fraternelles démarches ?) ;

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- c) la métrique des vers n’est pas toujours en rapport avec le rythme ou le tempo choisi pour la musique et l’on connaît

des javas (pour le coup) tant sur des vers courts (cf. les pentasyllabes du Bistrot) que sur des vers longs (cf. les

hendécasyllabes d’Embrasse-les tous).

01Y'a tout à l'heur'

02Quinze ans d' malheur

03Mon vieux Léon

04Que tu es parti

Synérèse (tu es = t'es)

Une petite synérèse (fusion de deux voyelles en une seule syllabe) permet de réduire à 4 pieds ce vers de 5 :

GB chante "que t'es parti"...

Synérèse

En écoutant attentivement ce vers nous pouvons constater que la synérèse ne s'actualise pas vraiment. Chaque vers de

cette chanson emprunte à travers une mesure ternaire à 6 croches la figure rythmique suivante (croche-croche-croche-

noire pointée), alors que ce vers fait plutôt entendre ce rythme (croche et double croche en triolet + croche-croche-noire

pointée), ce qui donne 5 figures rythmiques au lieu de 4 comme le ferait entendre ici la synérèse si elle était vraiment

appliquée (tu es - t'es).

Synérèse, graphie

La digression qui suit peut avoir quelque importance pour ceux qui pensent, à juste titre, à la chanson (qui se capte par

les oreilles) plus qu’au livre (enfermé « dans sa typographie », comme disait si bien Léo Ferré)

Il est dommage (et dommageable) de transcrire une synérèse soit comme une élision (« t’es »), soit comme une…

diérèse (« tu / es »).

En effet, la synérèse et la diérèse « sauvages » sont courantes dans les interprétations par Brassens de ses propres

œuvres, et bien des chanteurs s’y trompent lorsqu’ils déchiffrent un texte pour lui redonner la vie : le chant naît

difforme.

L’apostrophe indique depuis toujours une élision, et (en dehors des outils spécifiques des phonéticiens) il me semble

qu’aucun signe courant n’a été choisi pour indiquer une synérèse, une diérèse ou simplement une liaison. Est-ce une

raison pour détourner l’apostrophe, qui a un sens précis et un seul, et l’appliquer à une multitude de cas différents, voire

contradictoires ? Sans y gagner aucune précision, on y perdrait celle de l’apostrophe.

N. B. : peut-être existe-t-il déjà des conventions, des protocoles quant à la graphie (pas trop ésotérique et accessible à

tout « parfait honnête homme ») des textes destinés à être articulés (pour le chant ? l’opéra ? le théâtre ? la politique ? la

radio ou la télé ?).

05Au paradis

Syntaxe

Partir à tel endroit, bien que très fréquent, est incorrect. On part pour ou vers tel endroit, et il eût donc fallu :

Que t(u) es parti

Pour l'paradis

06D' l'accordéon,

07Parti bon train

08Voir si l' bastrin-

09Gue et la java

Le bastringue et la java

Ces éléments datent assez précisément les activités musicales du Vieux Léon. Le bastringue était une guinguette, un bal

musette, puis le mot a fini par désigner l'orchestre qui y jouait. La java, qui est une valse un peu saccadée, a connu une

grande vogue dans les années 1920-30 et les bals populaires. Elle se jouait surtout à l'accordéon.

10Avaient gardé

11Droit de cité

12Chez Jéhovah.

Jéhovah

Yaveh, Jéhova... C'est le même nom. "Chez Jéhova" veut donc dire que le musicien est mort et part jouer de la musique

auprès de Dieu.

13Quinze ans bientôt

14Qu' musique au dos

Musique au dos

Musique, ici, dans le sens vieilli d'instrument de musique. Le Vieux Léon portait son "piano à bretelles" sur l'épaule ou

sur le dos (dans sa boîte noire en carton bouilli).

Musique au dos

Allusion également à "sac au dos". Toute la première strophe évoque des locutions de départ et d'ailleurs d'un départ

HEUREUX, plein d'espoirs et d'attentes : partir au paradis, partir bon train, partir en java (allusion indirecte), partir/s'en

aller sac au dos, s'en aller mener le bal... A la fin, Léon "SE PLAIT (sûrement) au firmament". Brassens ne dit pas que

Léon EST au firmament, mais il ne se permet pas d'ôter à Léon sa croyance "de départ", histoire d'honorer son souvenir,

et il va même si loin de lui demander sa propre place : "Quel temps fait-il chez les gentils...?" Quoi de plus émouvant...

15Tu t'en allais

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16Mener le bal

17À l'amical'

18Des feux follets,

L'amicale des feux follets

C'est le cimetière, l'endroit où, en ville du moins, on risque le plus de voir des feux follets ("exhalaison d'hydrogène

phosphoré spontanément combustible". Le Petit Robert). On en voit parfois aussi dans les marais, la nuit.

La danse des âmes

Une fois encore le génie de Brassens entre en résonance avec sa force créatrice. Il parle des morts, d'un Léon qu'il

verrait bien en maître de cérémonie, et aux honneurs, à l'inverse d'ici "bien bas" ("c'est une erreur, mais les joueurs

d'accordéon, au grand jamais on ne les met au Panthéon")...

Comment évoquer la danse des âmes si ce n'est par ce phénomène presque surnaturel qui sévit dans les cimetières...

limpide !

19En cet asile

20Par Saint' Cécile

Ste Cécile

Sainte Cécile est la patronne des musiciens.

Par Saint' Cécil'

L'élision du "e" muet final permet de maintenir la rime masculine.

21Pardonne-nous

22De n'avoir pas

23Su faire cas

24De ton biniou.

Biniou

Cf. Élégie pour un Rat de Cave

25C'est une erreur

26Mais les joueurs

27D'accordéon

28Au grand jamais

29On ne les met

30Au Panthéon,

Panthéon

à l'origine un panthéon était un temple dédié à tous les dieux. À Paris, le Panthéon est le grand édifice à coupole, en

haut de la rue Soufflot, près du Boulevard St Michel, où reposent les grands hommes, ou ceux qui ont, à des titres

divers, bien mérité de la patrie reconnaissante: Napoléon, Victor Hugo, Jean Moulin, sont au Panthéon. On y a

récemment transféré les cendres d'Alexandre Dumas, l'auteur des Trois Mousquetaires, ce qui l'aurait sans doute

beaucoup amusé.

31Mon vieux tu as dû

Synérèse (tu as = t'as)

Une petite synérèse (fusion de deux voyelles en une seule syllabe) permet de réduire à 4 pieds ce vers de 5 :

GB chante "Mon vieux t'as dû"...

32T' contenter du

33Champ de navets,

Champ de navets

Cimetière (voir Les Quat'Z'arts et le Revenant).

34Sans grandes pom-

35Pes, et sans pompons

Pe(s), et sans pompons

Le maintien du pluriel forcerait une prononciation : pompes z'et sans pompons que GB ne fait pas conformément à la

langue populaire utilisée dans cette chanson.

Complément

Difficulté de transcription aussi, car le vers implique l'élision de l'e muet de pomp's : Une autre raison pourrait être

l'enchaînement de "ET" qui va suivre et qui réclame une espèce de détachement :

Sans grandes pomp's -- ET sans pompons -- ET sans ave

36Et sans Ave.

Et sans ave

Brassens fait ici allusion à la tradition de l'Eglise catholique qui se refusait à enterrer avec une cérémonie officielle les

comédiens et autres artistes (voir par exemple l'inhumation quasi clandestine de Molière), car les métiers de théâtre

étaient considérés comme blasphématoires.

Ave : premier mot de l'Ave Maria (Je vous salue Marie)

37Mais les copains

38Suivaient l' sapin

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Le sapin

Figure métonymique. Le sapin, c'est le cercueil, et particulièrement le cercueil des pauvres, car le sapin est un des bois

les moins chers. On dit de quelqu'un "Il sent le sapin" quand, de toute évidence, il n'en a plus pour longtemps à vivre.

Complément

Dans Le testament :

Est-il encore debout le chêne

Ou le sapin de mon cercueil ?

39Le coeur serré

40En rigolant

41Pour fair' semblant

42De n' pas pleurer,

43Et dans nos coeurs

44Pauvre joueur

45D'accordéon

46Il fait ma foi

47Beaucoup moins froid

48Qu'au Panthéon.

49Depuis mon vieux

50Qu'au fond des cieux

51Tu as fait ton trou

Synérèse (tu as = t'as)

Une petite synérèse (fusion de deux voyelles en une seule syllabe) permet de réduire à 4 pieds ce vers de 5 :

GB chante "T'as fait ton trou"...

Complément

Opposition amusante entre les cieux qui sont au-dessus de nous et un trou qu'on verrait plutôt en dessous.

De même il fait apparaître un fond aux cieux qui sont par nature infinis.

52Il a coulé

53De l'eau sous les

54Ponts de chez nous,

55Les bons enfants

56D' la ru' de Van-

57Ve' à la Gaîté

La rue de Vanves

Voir aussi la chanson Entre la rue Didot et la rue de Vanves

Complément

Ce sont deux rues qui encadrent l'impasse Florimont (chez Jeanne)

Rue de la Gaîté

Cette rue était avant le XIXème siècle en dehors de Paris. Des bistrots y étaient installés en raison d'exemptions de

taxes. Et avec ceux-ci, quelques guinguettes. D'où le nom de cette rue (qui se justifie maintenant pour des plaisirs peut

être moins terrestres qu'autrefois).

58L'un comme l'au-

59Tre au gré des flots

60Fur'nt emportés.

61Mais aucun d'eux

62N'a fait fi de

63Son temps jadis

64Tous sont restés

65Du parti des

66Myosotis,

Le parti des myosotis

Le parti des myosotis ("ne m'oubliez pas", dans le langage des fleurs ; voir Les Deux Oncles), c'est la bande des copains

qui n'oublient pas le disparu. Voir aussi dans Les Copains d'Abord: "Oui mais jamais... son trou dans l'eau ne se

refermait".

La fidélité aux copains, vivants ou morts, semble bien être une des vertus majeures, pour Brassens.

67Tous ces Pierrots

Pierrot

Pierrot, c'est le clown blanc, l'enfariné, éternel amoureux (de Colombine), que l'on représente souvent une guitare à la

main et la larme à l'oeil.

Pierrot

Le pierrot, c'est aussi le moineau dit "franc", le piaf de base, qui fait partie de la mythologie parisienne.

À la fin du XIXème, c'était aussi une façon de désigner les "bleus" dans l'armée.

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Aujourd'hui, c'est souvent un synonyme de guignol, d'ahuri.

68Ont le coeur gros

69Mon vieux Léon

70En entendant

71Le moindre chant

72D'accordéon.

73Quel temps fait-il

74Chez les gentils

Les gentils

Hist. relig. Nom que les juifs et les premiers chrétiens donnaient aux païens. [Le Petit Robert]

Complément

Les premiers chrétiens ayant été, par la force des choses, des Juifs, il semble que le Petit Robert se plante un peu, là. Au

commencement, les Gentils étaient bien uniquement les non-Juifs, et il y a eu tout un débat dans l'Eglise Primitive pour

savoir 1. si on pouvait intégrer les Gentils, et 2. si pour les intégrer il était nécessaire de les faire d'abord souscrire à la

loi juive (la loi de Moïse). Paul, "l'apôtre des Gentils", s'est violemment fait attaquer par les premiers Chrétiens (Juifs):

voir Actes XXII, 21-22. L'Eglise n'a vraiment commencé à avoir du succès qu'avec la prédication de Paul, et l'ouverture

du message évangélique aux Gentils (Actes XV, 1-29). Sans Paul, d'ailleurs, elle serait vraisemblablement restée une

des nombreuses "sectes" juives comme il en existait des dizaines à l'époque, la plus connue étant celle des Esséniens.

(Pour ceux que ça intéresse, voir les livres Jésus contre Jésus, et Jésus après Jésus de Gérard Mordillat et Jérôme Prieur,

Editions du Seuil)

Complément

Le Littré : "Il se dit des anciens polythéistes, par opposition aux Juifs et aux Chrétiens. C'était un gentil. Nous avons été

baptisés dans le même esprit, pour n'être tous ensemble qu'un même corps, soit juifs ou gentils, soit esclaves ou libres,

SACI, Bible, St Paul, 1re épît. aux Corinth. XII"

Le terme "gentils" est important pour la chanson Le vieux Léon qui est une chanson polythéiste (images et notions "non

terrestres" depuis les feux follets jusqu'à la Sainte Cécile en passant par Jéhovah...).

En allemand, par exemple, il n'y a qu'un seul terme pour "gentils" et "paiens".

75De l'au-delà ?

76Les musiciens

77Ont-ils enfin

78Trouvé le la ?

Le la

Le LA 440 donné par le diapason.

79Et le p'tit bleu

Le p'tit bleu

Ou le gros bleu, c'est le vin de tous les jours, à l'origine "le gros rouge qui tache bleu" sans doute parce qu'on a forcé sur

le tanin pour lui donner de la couleur.

Du gros bleu qui tache

Voir Le vin :

Hélas il ne pleut - jamais du gros bleu - qui tache

80Est-c' que ça n' le

81Rend pas meilleur

82D'être servi

83Au sein des vi-

84Gnes du Seigneur ?

Les vignes du Seigneur

à l'origine, travailler à la vigne du Seigneur c'est travailler pour Dieu, c'est à dire convertir des païens.

Par détournement de sens, "être dans les vignes du Seigneur" en est venu à signifier "être ivre".

Encore une fois GB détourne une expression toute faite : le vieux Léon est mort, il est donc au Paradis, chez Dieu, où il

continue à fréquenter les vignes du Seigneur.

85Si d' temps en temps

86Un' dam' d'antan

87S' laisse embrasser

88Sûr'ment papa

Papa

Je suis toujours intrigué par le fait de savoir si cette chanson est tout entière dédiée au père de GB. 'Mon vieux' est déjà

une évocatoin familère au paternel. Je ne comprends pas car les dates ne correspondent pas. Son père est décédé en

1965 alors qu'il avait déjà enregistré la chanson en octobre 1958...

Complément

Voici ce que GB disait à ce sujet lors d'une entrevue sur Europe No1 le 9 février 1974:

"Le vieux Léon", évidemment, c'est l'histoire d'un type qui jouait de l'accordéon dans la rue de Vanves dans le XIVe et

dont, nous autres, nous nous foutions un petit peu, quoi. Parce que nous n'aimions pas l'accordéon. Et puis, il est mort et

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alors là, on s'est aperçu qu'on aimait l'accordéon et qu'on l'aimait. C'est une déclaration d'amour "le vieux Léon",

malheureusement qui arrive trop tard puisque celui à qui elle s'adresse ne peut l'entendre.

Complément

En argot, et aujourd'hui en français familier, on appelle "Papa" quiconque est plus (ou moins) vieux que vous. Il ne

s'agit pas ici de paternité. Le chauffeur de taxi s'écrie volontiers (ou s'écriait à l'époque de Brassens) à l'adresse d'un

automobiliste trop lent à démarrer au feu vert : "Alors Papa, on roupille?"

89Que tu r'grett's pas

90D'être passé,

Passer

Mourir

Complément

Superbe jeu de mots ici avec les sonorités qui font comprendre "être passé" en même temps que "trépassé".

91Et si l' Bon Dieu

92Aim' tant soit peu

93L'accordéon

94Au firmament

95Tu t' plais sûr'ment

96Mon vieux Léon !

Les amours d’antan Antan

Fait écho aux "neiges d'antan" de la Ballade des Dames du Temps Jadis

Les amours d'antan

Cette chanson évoque selon moi les "Scènes de la vie de Bohème" de Henry Murger, que Brassens connaissait

certainement, et dont Puccini a tiré son célèbre opéra. On y retrouve les prénoms des héroïnes : Mimi, Musette, ainsi

que les lieux : la barrière.

Dans sa préface, Murger cite Villon et Pierre Gringoire (Le poète de "Notre Dame de Paris" de V. Hugo). Brassens

revendique son appartenance à cette famille, à cette lignée. En 2005 a été donné à l'opéra de Tours une très belle version

de "La Bohème". Le metteur en scène avait transposé l'action dans le Paris des années 50, celui de Brassens.

01Moi, mes amours d'antan c'était de la grisette

Grisette

On le disait par mépris de toutes les femmes ou filles de basse condition, vêtues ou non de cette étoffe de peu de valeur

appelée du même nom, à cause de sa couleur (Trévoux)

02Margot, la blanchecaille, et Fanchon, la cousette...

Blanchecaille

En argot, une blanchisseuse

Margot

L'utilisation de "Margot " est doublement significative :

- c'est le diminutif de Marguerite, un prénom symbolique dans les jeux amoureux où l'on effeuille la marguerite

- le caractère familier du diminutif suggère la simplicité, la fraîcheur de la fille et de la relation entretenue avec elle

Cette symbolique est peut-être inspirée à Brassens par Musset, poète qu'il affectionne , et auquel on doit le vers :

Vive le mélodrame où Margot a pleuré dans Après une lecture

03Pas la moindre noblesse, excusez-moi du peu,

Excusez du peu !

Allusion à "excusez du peu" (dit par le chanteur à lui-même).

Il paraît que l'excuse n'est pas vraiment une excuse, mais oppose l'ambition (préconçue) à la réalité (rencontrée), ce que

les deux vers suivants illustrent (grâces... oui, mais rôturière ; Vénus... oui, mais de barrière ; nymphes... oui, mais de

ruisseau)

04C'étaient, me direz-vous, des grâces roturières,

Imparfait et futur

Admirable formule qui m'avait frappé à la première écoute -- imparfait et futur si étroitement lié avec toute une gamme

de possibilités d'interprétations selon le goût de l'auditeur : "vous" peut être le "prince" du dernier vers, mais également

"tout le monde" ; le futur "me direz-vous" peut être avenir (entrée dans le paradis de la nostalgie) ou hypothèse...

En six syllabes (hémistiche), Brassens mélange passé (= nostalgie), présent (= cette chanson) et avenir (= la

postériorité), ce qui évoque... une éternité !

05Des nymphes de ruisseau, des Vénus de barrière...

Vénus de barrière

Dans un sens vieilli ou littéraire, une "Vénus de barrière" désigne une femme de plaisir, une fille de joie...

Complément

...oui, parce que les barrières étaient ici les portes de la ville (voir Le Petit Robert), près des "fortifs", les fortifications

de Paris que chantait Bruant, lieux fréquentés par le bas peuple et les filles légères. Quant aux ruisseaux, on les

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appellerait aujourd'hui des caniveaux.

Complément

Dans le midi de la France, à Bordeaux et à Albi notamment, les "barrières", anciennement d'octroi, désignent toujours

les anciens accès à la ville. Les habitants de ces quartiers qu'on dirait aujourd'hui "de banlieue" n'étaient pas des plus

fortunés car les loyers y étaient plus modestes qu'en ville.

06Mon Prince, on a les dam's du temps jadis qu'on peut...

07Car le coeur à vingt ans se pose où l'oeil se pose,

08Le premier cotillon venu vous en impose,

09La plus humble bergère est un morceau de roi.

10Ça manquait de marquise, on connut la soubrette,

11Faute de fleur de lys on eut la pâquerette,

12Au printemps Cupidon fait flèche de tout bois...

Faire flèche de tout bois

Brassens s'approprie l'expression "faire feu de tout bois", qui signifie "utiliser toutes les possibilités", et l'associe aux

flèches de Cupidon pour marquer le fait que le printemps rend les amours volages

Complément

... et surtout qu'à vingt ans (le printemps de la vie), lorsqu'on est pauvre, on ne fait pas le/la difficile, du moins quant à la

condition sociale du/de la partenaire.

Complément

En fait, non, l'expression originelle est bien "faire flèche (et non pas feu) de tout bois" : utiliser tous les morceaux de

bois pour dont on peut disposer pour les tirer à l'arc en direction de l'objectif à atteindre. Brassens démontre encore là sa

grande connaissance de la langue française et, c'est vrai, trousse encore une jolie association d'images entre l'arc, arme

mortelle et les flèches de Cupidon, tout aussi mortelles mais pour d'autres raisons...

Claude Gagnière, pour tout l'or des mots col. Bouquins, Ed. Robert Lafont, Paris 1996, page 468.

13On rencontrait la belle aux Puces, le dimanche :

14"Je te plais, tu me plais..." et c'était dans la manche,

15Et les grands sentiments n'étaient pas de rigueur.

16"Je te plais, tu me plais... viens donc beau militaire..."

17Dans un train de banlieue on partait pour Cythère,

Embarquement de Cythère

Tel est le nom d'une peinture d'Antoine Watteau de 1717. Dans cette chanson merveilleuse, Brassens crée une collision

permanente entre la sublimité/noblesse (l'art) et la réalité terre-à-terre (la vie). Les grâces... ne sont que roturières, les

nymphes... que de ruisseau, les Vénus... que de barrière. Cythère... n'est que la station d'un train de banlieue... (et, de

l'autre côté : Psyché se retrouve dans la "moindre des mortelles", comme Goethe l'a dit dans une merveilleuse élégie : il

faut que je touche à la chair de femme pour comprendre la beauté de la statue antique).

Quelle beauté, cette chanson de Brassens !

18On n'était pas tenu mêm' d'apporter son coeur...

19Mimi, de prime abord, payait guère de mine,

Mi-Mi

On peut noter l'allitération de [m] et l'assonance en [i] : Mimi de prime abord payait guère de mine. Tout se passe

comme si le prénom "Mimi" de la jeune fille se diffusait dans le vers, le premier "mi" inversé dans "prime" et le second

"mi" dans "mine". En se servant de peu de sonorités, ce vers se fait aussi simple et peu sophistiqué que la jeune fille. Or

il s'agit surtout de faire ressortir la beauté du son même des mots, dans une chanson plus dite que chantée.

20Chez son fourreur sans doute on ignorait l'hermine,

Fourrure

L'hermine était la fourrure réservée au manteau royal (voir le portrait de Louis XIV par Hyacinthe Rigaud, au Louvre),

et donc le top du luxe. Il est douteux, d'autre part, que Mimi ait eu un fourreur attitré, ce qui était l'apanage des

bourgeoises, ni même porté de la fourrure, qui a toujours été hors de prix.

21Son habit sortait point de l'atelier d'un dieu...

Atelier d'un dieu

Cela me semble faire référence à l"Iliade" : quand Achille a perdu ses armes, sa mère Thétis lui en "commande" de

nouvelles à Héphaïstos (Vulcain). Il s'agit donc d'une évocation héroïque placée dans un contexte terre-à-terre.

22Mais quand, par-dessus le Moulin de la Galette,

Le Moulin de la Galette

Lieu parisien immortalisé par Renoir en 1876 (Le Bal Du Moulin De La Galette), qui évoque une atmosphère égrillarde

et festive

23Elle jetait pour vous sa parure simplette,

Jeter par-dessus le moulin

Calque probable sur l'expression Jeter son bonnet par-dessus les moulins : "braver l'opinion, la bienséance (surtout en

parlant d'une femme, d'une jeune fille)." Grand Robert

Complément

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Comme "Jeter sa soutane aux orties..."

24C'est Psyché tout entièr' qui vous sautait aux yeux.

Psyché

Dans la mythologie grecque, Psyché est une jeune fille d'une grande beauté, aimée par Éros. Une nuit, elle alluma une

lampe, désobéissant au dieu qui lui avait interdit de voir son visage ; Éros la quitta et elle ne le retrouva qu'au terme

d'une longue suite d'aventures.

Le mythe de Psyché a figuré par la suite le destin de l'âme déchue, qui, après des épreuves purificatrices, s'unit pour

toujours à l'amour divin. Larousse

25Au second rendez-vous y' avait parfois personne,

26Elle avait fait faux bond, la petite amazone,

Amazone

Outre le sens de femme guerrière montant à cheval, le sein droit coupé pour mieux pouvoir tirer à l'arc (ainsi que le veut

la légende), et ne s'unissant qu'à des inconnues, l'amazone désigne aussi, dans son sens argotique, une prostituée en

voiture.

Les bonds de l'amazone

Au vu des deux sens donnés ci-dessus au terme "amazone", le jeu de mots avec "bond" est d'autant plus amusant : quoi

de plus naturel en effet pour une cavalière ou une prostituée, que de faire des bonds...

27Mais l'on ne courait pas se pendre pour autant...

28La marguerite commencée avec Suzette,

29On finissait de l'effeuiller avec Lisette

30Et l'amour y trouvait quand même son content.

Trouver son content

Signifie "être satisfait " (contentement).

31C'étaient, me direz-vous, des grâces roturières,

Roturier

Qui n'est pas noble

32Des nymphes de ruisseau, des Vénus de barrière,

33Mais c'étaient mes amours, excusez-moi du peu,

34Des Manon, des Mimi, des Suzon, des Musette,

35Margot la blanche caille, et Fanchon, la cousette,

36Mon Prince, on a les dam's du temps jadis qu'on peut...

Mon prince

Référence au "Prince" à qui sont traditionnellement adressées les ballades (voir la Ballade des Dames du Temps Jadis)

Les ricochets 01J'avais dix-huit ans

18 ans

C'est en février 1940, que Georges Brassens quitte Sète et prend le train pour Paris. GB a donc 18 ans depuis octobre

1939.

02Tout juste et quittant

03Ma ville natale,

Ma ville natale

Ne retrouve t-on pas ici la thématique d'Aznavour dans "Je m'voyais déjà" (1960) :

A dix-huit ans j'ai quitté ma province

Bien décidé à empoigner la vie

Le coeur léger et le bagage mince

J'étais certain de conquérir Paris !

04Un beau jour, ô gué !

05Je vins débarquer

06Dans la capitale.

07J'entrai pas aux cris

08D'"À nous deux, Paris !"

A nous deux, Paris !

Brassens paraphrase ici Rastignac, personnage Balzacien qui, surplombant Paris, lance à la ville la formule suivante :

"A nous deux maintenant !"

09En Île-de-France,

10Que ton Rastignac

Rastignac

Personnage créé par Balzac dans 'Le Père Goriot'. Type de l'arriviste élégant, qui reparaît dans la plupart des romans se

déroulant dans la société parisienne (entre autres dans 'Les Illusions perdues', 'Etude de femme', 'La Peau de chagrin',

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'La Maison Nuncigen'...)

11N'ait cure, ô Balzac,

12De ma concurrence,

13De ma concurrence.

14Gens en place, dormez

15Sans vous alarmer,

16Rien ne vous menace :

17Ce n'est qu'un jeune sot

18Qui monte à l'assaut

19Du p'tit Montparnasse.

Le Petit Montparnasse

Théâtre parisien de la rue de la Gaîté située dans le 14me arrondissement (où vécut Brassens)

P'tit Montparnasse

Il me semble que volontairement Brassens n'a pas mis de majuscule à p'tit (de "p'tit Montparnasse"), il s'agit donc à mon

avis bel et bien de la colline Montparnasse et qu'il a voulu ainsi atténuer ou tourner en ridicule par une antithèse le vers

"qui monte à l'assaut". Ainsi, le parallèle est fait avec le début où il ne fait montre d'aucune ambition démesurée.

20On n's'étonn'ra pas

21Si mes premiers pas

22Tout droit me menèrent

23Au pont Mirabeau

Le Pont Mirabeau

Le Pont Mirabeau est le titre d'un poème de Guillaume Apollinaire, inclus dans le recueil 'Alcools', débutant ainsi :

Sous le pont Mirabeau coule la Seine

Et nos amours

Le Pont Mirabeau

Pont parisien construit entre 1895 et 1897. Il a été classé monument historique en 1975. Le pont enjambe la Seine du

15e arrondissement (situé sur la rive gauche de la Seine), au 16e arrondissement. Il relie la rue de la Convention et la

place Mirabeau, sur la rive gauche, à la rue de Rémusat, et est desservi par les stations de métro Mirabeau et Javel -

André Citroën. La décision de construire un nouveau pont au droit du carrefour formé par l'avenue de Versailles et la

rue Mirabeau, est prise par le président de la République Sadi Carnot, le 12 janvier 1893. La longueur du pont est de

173 m, la largeur de 20 m.

Le Pont Mirabeau - Poésie - Guillaume Apollinaire

C'est le Pont Mirabeau de Paris qui le fait se souvenir. Le poème Le Pont Mirabeau est un extrait du recueil Alcools

paru en 1913. L'auteur y fait allusion à sa rupture avec Marie Laurencin et au-delà, évoque la fuite du temps semblable à

l'eau qui s'en va. Apollinaire et Marie Laurencin passaient souvent par le pont Mirabeau.

24Pour un coup d' chapeau

25À l'Apollinaire,

26À l'Apollinaire.

27Bec enfariné

Bec enfariné

On retrouve ici la même racine que dans "Blanc bec", façon de désigner un oiseau très jeune et ne sachant pas encore

voler (et dont le bec n'est pas coloré), mais aussi un jeune homme sans expérience.

Bec enfariné

Ayant une confiance naïve ou ridicule

28Pouvais-je deviner

29Le remue-ménage

30Que dans mon destin

31Causerait soudain

32Ce pélerinage ?

33Que circonvenu

34Mon coeur ingénu

35Allait faire des siennes

36Tomber amoureux

37De sa toute pre-

38Mière parisienne,

39Mière parisienne.

40N'anticipons pas,

41Sur la berge en bas

42Tout contre une pile,

43La belle tâchait

44D' fair' des ricochets

45D'un' main malhabile.

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46Moi, dans ce temps-là

47— Je n' dis pas cela

48En bombant le torse,

49L'air avantageux —

50J'étais à ce jeu

51De première force,

52De première force.

53Tu m' donn's un baiser,

54Ai-je proposé

55À la demoiselle ;

56Et moi, sans retard

57J' t'apprends de cet art

58Toutes les ficelles.

59Affaire conclue,

60En une heure elle eut,

61L'adresse requise.

62En échange, moi,

63J' cueillis plein d'émoi

64Ses lèvres exquises,

65Ses lèvres exquises.

66Et durant un temps

67— Les journaux d'antan

68D'ailleurs le relatent —

69Fallait se lever

70Matin pour trouver

71Une pierre plate.

72On redessina

73Du pont d'Iéna

74Au pont Alexandre

75Jusqu'à Saint-Michel,

Saint-Michel

Le quartier Saint Michel est situé dans le quartier latin de Paris (5è arrondissement). Quartier très agréable pour visiter

Paris, il est aussi réputé pour ses nombreux restaurants et cafés.

76Mais à notre échelle,

77La Carte du Tendre,

La Carte du Tendre

Carte bien réelle d'un pays imaginaire où la géographie était celle des émotions et des démarches amoureuses. Elle fut

mise au point par les Précieuses (celles que Molière trouvait ridicules) au XVIIème siècle. Le chemin de Jalousie, par

exemple, y menait au lac d'Indifférence, etc.

La Carte du Tendre

La carte du tendre a été tracée par Mlle de Scudéry dans son roman Clélie (1654-1660)

78La Carte du Tendre.

79Mais c'était trop beau :

80Au pont Mirabeau

81La belle volage

82Un jour se perchait

83Sur un ricochet

84Et gagnait le large.

Gagner le large

Dans le poème 'Le Pont Mirabeau' d'Apollinaire, est entre autres le vers suivant :

L'amour s'en va comme cette eau courante

85Ell' me fit faux-bond

Faux-bond

Expression amusante utilisée en miroir des bonds que font les ricochets

86Pour un vieux barbon,

Barbon

Homme d'âge plus que mûr, le barbon est souvent le pivot des pièces de Molière : il est riche, s'appelle Sganarelle ou

George Dandin, et veut épouser l'ingénue (qui évidemment est amoureuse du jeune premier).

Barbon (bis)

Ici, GB inverse le schéma consacré par Molière. Comme dans Le Père Noël et la Petite Fille et dans Comme une soeur,

l'ingénue se retrouve dans le lit du barbon.

87La petite ingrate,

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88Un Crésus vivant,

Crésus

Roi de Lydie (une des provinces côtières de l'actuelle Turquie, sur la mer Égée) environ 450 ans av. JC, il était

immensément riche car le fleuve qui traversait son pays (le fameux Pactole) contenait des sables aurifères.

89Détail aggravant,

90Sur la Rive Droite,

Rive droite

Non seulement il était vieux, mais il était riche, et en plus il n'habitait pas la Rive Gauche, résidence habituelle des

artistes, poètes et étudiants. En passant Rive Droite, la donzelle change de milieu mais, ce qui est plus grave, elle

commet une faute de goût.

Rive droite / rive gauche

Le pont Mirabeau était le lieu où se retrouvaient (et se quittaient?) Guillaume Apollinaire, qui habitait un quartier

bourgeois sur la rive droite, et Marie Laurencin qui, artiste, vivait sur la rive gauche.

91Sur la Rive Droite.

92J'en pleurai pas mal,

93Le flux lacrymal

94Me fit la quinzaine ;

95Au viaduc d'Auteuil

Viaduc d'Auteuil

Bien connu des artistes et souvent représenté par les peintres impressionnistes

96Paraît qu'à vue d'oeil

Ajout plus tardif

Brassens continuait à travailler ses chansons bien après leur enregistrement. Il lui arrivait d'ailleurs fréquemment de se «

tromper » sur scène.

Voici un ajout plus tardif que j'ai entendu sur un enregistrement radio.

Bonnes gens dormez

sans peur qu'avec mes

déluges de larmes

on voit l'niveau d'eau

atteindre bientôt

la côte d'alarme.

Dormez riverains

si tous les chagrins

qui dans son lit pleuvent

provoquaient des crues

y'a longtemps qu'vos rues

seraient sous le fleuve.

97Grossissait la Seine.

98Et si, pont d' l'Alma,

99J'ai pas noyé ma

100Détresse ineffable,

101C'est qu' l'eau coulant sous

102Les pieds du zouzou

Les pieds du zouzou

Sur l'un des piliers du pont de l'Alma se trouve la scuplture d'un zouave, par Dieboldt, faite en hommage aux Zouaves

de la campagne de Crimée (1854-1855), et qui étalonne les crues de la Seine (il est plus ou moins noyé selon leur

importance).

103Était imbuvable,

104Était imbuvable.

Imbuvable

à rapprocher de la chanson Le Vin :

Que vienne le temps

Du vin coulant dans

La Seine

Les gens, par milliers,

Courront y noyer

Leur peine

105Et qu' j'avais acquis

106Cett' conviction qui

107Du reste me navre,

108Que mort ou vivant

109Ce n'est pas souvent

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110Qu'on arrive au havre.

Havre

Deux définitions :

1 - Petit port bien abrité.

2 - Refuge sûr et tranquille.

Au havre

Jeu de mot avec Le Havre, ville portuaire située à l'embouchure de la Seine

111Nous attristons pas,

112Allons de ce pas

113Donner, débonnaires,

114Au pont Mirabeau

115Un coup de chapeau

116À l'Apollinaire,

117À l'Apollinaire.

Oncle Archibald 01Ô vous, les arracheurs de dents,

Arracheurs de dents

De l'expression 'mentir comme un arracheur de dents' = mentir effrontément

02Tous les cafards, les charlatans,

Cafard

(de l'arabe 'kafir' = renégat) Personne qui cafarde : mouchard, rapporteur

Complément

Voir La ballade à la lune : es-tu l'oeil du ciel borgne ? / quel chérubin cafard / nous lorgne / sous ton masque blafard.

Prophètes

à rapprocher des "jeteurs de sort" dans Les Copains d'Abord (vers 12)

03Les prophètes,

04Comptez plus sur Oncle Archibald

05Pour payer les violons du bal

Payer les violons du bal

Payer pour une chose dont on ne profite pas soi-même

Complément

Reste à dresser le profil de l'oncle Archibald : un brave type, bon vivant et généreux, qui payait les pots cassés, sachant

mal se défendre contre les faux-culs en tous genres qui profitaient sans vergogne de ce qu'ils croyaient être sa naïveté. Il

se pourrait que GB se dépeigne lui-même...

06À vos fêtes... (bis)

07En courant sus à un voleur

Courir sus

Poursuivre avec des intentions hostiles. Larousse

08Qui venait de lui chiper l'heure

Chiper l'heure

Deux interprétations :

1 - du fait qu'il n'a plus l'heure, Oncle Archibald semble fort avoir vécu sa dernière heure

2 - jeu de mots sur l'expression courante 'donner l'heure', qui rend la situation absurde (mais il n'y a pas d'heure pour

mourir - et là, il n'y en a plus)

09À sa montre,

10Oncle Archibald, - coquin de sort !

11Fit, de Sa Majesté La Mort,

12La rencontre... (bis)

13Telle un' femm' de petit' vertu,

Putain de mort

L'image de la mort en tant que prostituée qui couche avec tout le monde est une image assez traditionnelle. Il est donc

intéressant de voir que la putain sera devenue la "compagne" à la fin de la chanson.

14Elle arpentait le trottoir du

15Cimetière,

16Aguichant les homm's en troussant

17Un peu plus haut qu'il n'est décent

18Son suaire... (bis)

Trousser son suaire

De la coquetterie des macchabées femelles. Cf. Le fantôme :

J'aurai bonn' mine avec mon drap

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Plein de faux-plis et de coutures

19Oncle Archibald, d'un ton gouailleur,

20Lui dit : "va-t'en fair' pendre ailleurs

Pendre ton squelette

On a l'impression que l'oncle demande à la Camarde d'aller faire pendre son squelette dans une salle de cours : il n'y a

bien que là qu'on voit pendre des os.

21Ton squelette...

22Fi des femelles décharnées !

Maigreur

Cf. La fille à cent sous : ça n'me concerne pas d'étreindre les squelettes

23Vive les bell's un tantinet

24Rondelettes !" (bis)

25Lors, montant sur ses grands chevaux,

Montant sur ses grand chevaux

La mort est souvent représentée comme un squelette à cheval. Mais, comme souvent, GB joue sur le double-sens :

"monter sur ses grands chevaux" est une expression signifiant "se mettre dans une violente colère".

26La mort brandit la longue faux

Phonétique

On notera dans ces deux vers le choix des phonèmes en R et en O, qui induisent un ton théâtral à la Mounet-Sully, ici

tragi-comique.

27D'agronome

Faux d'agronome

Passons rapidement sur le fait que la faux est plutôt l'instrument de l'agriculteur (l'agronome étant celui qui étudie les

relations entre les plantes, le milieu, les techniques agricoles...).

Complément

A part le contenu concret et la forme concrète (rime avec "bonhomme"), "agronome" semble s'inscrire dans la ligne

notionnelle "grands chevaux -- longue faux", l'image de la Mort en cheval étant celle de la mort collective et terrifiante

(apocalyptique) et "agronome" étant un "grand" nom. La première partie de la strophe évoque la mort collective

(planant sur tout le monde) qui finit par s'abattre sur l'individu.

28Qu'elle serrait dans son linceul,

29Et faucha d'un seul coup, d'un seul,

Mourir de sa belle mort

Toute la chanson joue sur la notion de "belle mort" (cf. vers 56) :

Loc. Mourir de sa belle mort, de vieillesse et sans souffrance" (GRAND ROBERT).

Ici, "d'un seul coup d'un seul" (registre familier) souligne l'absence de souffrance et s'oppose aux trois premiers vers qui

dessinent la mort brutale et violente (grands chevaux -- longue faux).

Faucha

"faucher" n'est pas mis par hasard, puisqu'on fauche avec une faux, et la faux est l'allégorie du temps et de la mort.

30Le bonhomme... (bis)

31Comme il n'avait pas l'air content,

32Elle lui dit : "Ça fait longtemps

33Que je t'aime...

34Et notre hymen à tous les deux

Hymen

Selon le Grand Robert :

Dans la poésie classique; littér. Mariage, union conjugale.

Fig., littér. Alliance, association, union.

Le terme anatomique, la virginité intacte (autrefois une condition rigoureuse pour un mariage), semble également

s'emmêler un tout petit peu. Le dernier vers ajoute le baptême comme troisième élément symbolisant l'initiation. La

Mort (d'abord Majesté, puis femme de petite vertu commence à redevenir vierge en quelque sorte.

35Était prévu depuis l' jour de

36Ton baptême... (bis)

Depuis ton baptême

A moins d'inventer ici une connotation religieuse qui ne serait nulle part ailleurs attestée, il faut comprendre "baptême"

dans le sens de "naissance". On baptisait d'ailleurs souvent les enfants le jour même de leur naissance.

37Si tu te couches dans mes bras,

38Alors la vie te semblera

39Plus facile...

40Tu y seras hors de portée

41Des chiens, des loups, des homm's et des

Optimiste

C'est pour moi une touche très optimiste de Brassens. Il distingue ici l'Homme non seulement de l'animal, mais

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également des imbéciles. Pour lui, l'humanité n'est donc pas intrinsèquement imbécile...

Complément

Sauf le respect, je verrais plutôt dans ce vers une graduation croissante du danger, d'où un sens fort peu estimable pour

l'homme.

Chien et loup

GRAND ROBERT: "Entre chien et loup : au crépuscule, quand la nuit commence à tomber et que l'on ne saurait

distinguer un chien d'un loup. "

LE LITTRÉ : "On ne lui demande pas es-tu chien ? es-tu loup ? se dit d'un misérable qu'on abandonne."

42Imbéciles... (bis)

43Nul n'y contestera tes droits,

44Tu pourras crier : viv' le roi !

45Sans intrigue...

46Si l'envie te prend de changer,

47Tu pourras crier sans danger

48Viv' la Ligue ! (bis)

Roi et Ligue

Le roi est Henri III, et la Ligue est l'association de catholiques zélés dirigée par le duc de Guise vers 1580, qui voulait

mettre sur le trône le cardinal de Bourbon (oncle du futur Henri IV).

Vive la Ligue

Le sage dit, selon les gens :

Vive le Roi! Vive la Ligue!

La chauve-souris et les deux belettes, Jean de La Fontaine

Complément

Il y a maldonne quant à l'auteur de cette note, très intéressante. Par ailleurs, il faudrait noter le rapprochement avec

"Mourir pour des idées" : coucher avec la mort rend la vie plus facile, et c'est le seul moyen de pouvoir "sans danger"

changer d'opinion! Sauf à être de ces révolutionnaires, évêques ou ayatollahs cacochymes dont il dit que "mourir pour

des idées, c'est leur raison de vivre, ils ne s'en privent pas". GB a rarement atteint cette virtuosité dans le paradoxe.

49Ton temps de dupe est révolu,

50Personne ne se payera plus

51Sur ta bête...

Payer sur sa bête

L'expression semble venir de ce que, aux gens fauchés qui ne pouvaient payer l'aubergiste, celui-ci disait: "Laissez-moi

votre cheval, je me paierai sur votre bête."

Complément

GB revient ici sur l'idée du v. 5 : Archibald "payait les violons du bal" de tous les menteurs de son entourage.

52Les "Plaît-il, maître?" auront plus cours,

Plaît-il, maître ?

Expression tirée du langage des serviteurs au XVIIIe s. = marque de soumission contrainte envers un plus puissant ou

plus fortuné.

A noter qu'il manque la négation "n'", pourtant présente supra et infra.

Complément

J'ai connu dans les années 1950 une vieille demoiselle, originaire du Midi, qui disait encore "Plaît-il?" là où nous disons

"Pardon?" pour demander à l'interlocuteur de répéter ce qu'il vient de dire.

53Plus jamais tu n'auras à cour-

Enjambement

C'est un enjambement : le vers est coupé en deux, la seconde partie complète la première qui fait la rime au vers

précédent.

54-ber la tête..." (bis)

55Et mon oncle emboîta le pas

56De la bell', qui ne semblait pas,

La belle

La Mort sous forme de "belle mort" (cf. vers 29) est rapprochée à la belle des contes de fées (p. ex. par opposition à bête

en vers 51) et des chansons. Comme souvent, les rimes de Brassens tissent des liens "cachés" dans une trame

intérieure...

57Si féroce...

Revirement féminin

Comme souvent dans les scènes de ménage, après être "montée sur ses grands chevaux", "la belle" se fait moins féroce

et passe au registre sentimental : il s'agit bien, entre l'homme et la mort, d'un rapport haine-séduction.

58Et les voilà, bras d'ssus, bras d'ssous,

59Les voilà partis je n' sais où

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Je ne sais où

Le scepticisme de GB quant à l'au-delà pointe ici son nez.

60Fair' leurs noces... (bis)

Faire leurs noces

L'idée est la même que dans Le fantôme (Ces belles dames de jadis - Sont de satanées polissonnes) mais le ton est ici un

peu plus grave, car ce n'est pas un rêve.

61Ô vous, les arracheurs de dents,

62Tous les cafards, les charlatans,

63Les prophètes,

64Comptez plus sur Oncle Archibald

65Pour payer les violons du bal

66À vos fêtes... (bis)

Supplique pour être enterré sur une plage de Sète Consonne d'appui

Comme dans beaucoup de ses textes, Brassens utilise la consonne d'appui pour faire ses rimes. Il ne se base pas

uniquement sur la dernière intonation pour rimer mais aussi sur la dernière syllabe.

Complément

Un point principal chez Brassens c'est la connaissance et la mise en oeuvre des principes poétologiques : rimes riches

(avec consonnes d'appui), alternance masculine-féminine etc. Parmi les chanteurs-poètes, il est le seul à l'avoir fait avec

cette conscience poétologique. Ce n'est pas la rime riche en soi qui est étonnante (elle est normale pour la poésie de

plusieurs siècles de poésie française), mais le fait de la retrouver dans la chanson.

C'est là le grand mérite de Brassens : faire aimer la poésie aux adeptes de la chanson et faire aimer la chanson aux

adeptes de la poésie. Cette poésie (au niveau strict des formes poétiques) ne se retrouve pas dans le monde de la

chanson, ni chez Brel, ni chez Ferré, ni chez quiconque.

Complément

Il y a au moins un autre chanteur qui, au XXme siècle, et avant lui, s'est astreint (et avec une étonnante légèreté) à

l'exigence prosodique du vers classique (rimes riches masculines/féminines alternées). C'est Théodore Botrel, auteur de

"la Paimpolaise", "Kénavo", "le Petit Grégoire", etc., toutes chansons très connues. Même chez Charles Trenet, mais de

façon moins assidue, on sent cette exigence. Par contre, je crois que Brassens, contrairement à eux, n'a pas craint de

livrer la chanson à cette institution poétique qu'est l'alexandrin.

Pourquoi Sète

"Je te signale que je m'en fous d'être enterré à la plage de Sète, ça m'est complètement égal. J'ai fait ça pour m'amuser,

pour aller aux bains de mer..."

Brel-Ferré-Brassens, 1969

01La Camarde, qui ne m'a jamais pardonné

Camarde

De "camard" : qui a le nez plat et comme écrasé.

La Camarde = la Mort.

02D'avoir semé des fleurs dans les trous de son nez,

Les trous de son nez

Jeu de mot avec "camarde" : les trous sont d'autant plus apparents

Semer des fleurs

Jeu sur l'expression "semer des fleurs sur la tombe de qqn", selon le Littré (1872): Fig. Semer, jeter, répandre des fleurs

sur la tombe de quelqu'un, lui donner des louanges, rendre un culte à sa mémoire.

Semer des fleurs

Sans doute une allusion à la propension de GB à s'amuser des sujets morbides (Le fossoyeur, Le testament, etc.) pour en

faire des éléments poétiques... en quelque sorte. Cette prouesse couvre de ridicule la fameuse Camarde qui poursuit

ainsi l'auteur d'un zèle qui s'avéra payant (cependant ni plus ni moins que pour les autres croquants).

03Me poursuit d'un zèle imbécile.

Zèle imbécile.

Imbécile, parce que bien inutile.

04Alors cerné de près par les enterrements,

Cerné de près par les enterrements,

Peut-être peut-on rapprocher cette chanson de Les Quat'z'arts, où Brassens constate avec amertume que "Les vrais

enterrements viennent de commencer"

Complément

Georges Brassens évoque plus particulièrement le décès de son propre père le 28 mars 65 et celui de Marcel Planche,

"l'Auvergnat" le 7 mai 65.

05J'ai cru bon de remettre à jour mon testament,

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Mon testament

Son premier "testament ", en référence à la chanson du même nom écrite en 1955

Complément

Lettre du 13 juillet 1948 à Toussenot...

06De me payer un codicille.

Codicille

Acte postérieur ajouté à un testament pour le modifier Larousse

Codicille

Par tradition, on a appelé "le Codicille" les poèmes de François Villon qui ne sont pas contenus dans "Le Testament".

Brassens fait donc une fois de plus référence à Villon. Voir : Le testament, la Ballade des dames du temps jadis, Le

moyenâgeux

Un codicille

Brassens avait déjà écrit une chanson intitulée Le testament. Il était donc logique qu'il annonce qu'il voulait "[s]e payer

un codicille".

D'ailleurs, il me semble qu'il avait prévu au départ que la Supplique pour être enterré sur la plage de Sète devait

s'appeler "Le codicille".

Les surprenantes rimes

Une qualité, et non des moindres, de la poésie de Brassens est de réunir dans la rime des mots que l'on ne s'attend pas à

voir associés (imbécile / codicille, pardonné / trous de nez, etc.). Cela ajoute à la force du poème que d'être étonnant par

la rime qui surgit comme une surprise.

07Trempe dans l'encre bleue du Golfe du Lion,

Le golfe du Lion

C'est au bord de la Méditerrannée, est plus exactement sur le Golfe du Lion que Sète s'étend. L'encre bleue, c'est la mer

bleu marine si chère à Brassens, et au bord de laquelle il veut reposer.

08Trempe, trempe ta plume, ô mon vieux tabellion,

Tabellion

Deux sens selon Larousse :

1. Fonctionnaire chargé de mettre en grosse les actes dont les minutes étaient dressées par les notaires.

2. Officier public jouant le rôle de notaire dans les juridictions subalternes

Tabellion

Dans l'Empire romain, ainsi qu'en France sous l'Ancien Régime, le tabellion est un notaire. Vu le contexte, c'est dans ce

sens qu'il faut prendre le mot ici, mais avec l'idée de l'archaïsme, d'une certaine préciosité. Brassens le choisit aussi pour

ses sonorités.

09Et, de ta plus belle écriture,

10Note ce qu'il faudrait qu'il advînt de mon corps,

Advînt

Le subjonctif imparfait est appelé par le conditionnel qui précède, selon les règles aujourd'hui peu respectées de la

concordance des temps.

Complément

Il faut noter par ailleurs que les gens du Midi de la France ont gardé plus longtemps qu'ailleurs l'usage quotidien du

passé simple et de l'imparfait du subjonctif. J'ai personnellement entendu dans les années 60 un Camarguais de souche

employer ces deux temps couramment dans la conversation, sans affectation aucune, et j'ai deux amis toulousains qui

les manient de même, avec simplicité. Je me demande si les gens de langue d'oc ne mettaient pas un point d'honneur à

manier parfaitement le français, cette langue qu'on leur a imposée au 19ème siècle, pour tenir la dragée haute aux

fonctionnaires qu'on leur envoyait de Paris. Un peu comme le font, aujourd'hui encore, certains Antillais et certaines

élites de nos ex-colonies.

Complément

En langue d'Oc, comme en espanol, les temps du subjonctif sont tous usités, même si la langue d'Oc est assez peu

parlée.

11Lorsque mon âme et lui ne seront plus d'accord

12Que sur un seul point : la rupture.

La rupture

Nous voyons ici la présence des 2 points ":" qui indiquent que la rupture est belle et bien ce seul et unique point.

Complément

L'être humain: corps et âme. Ici, une façon {i(grecque-classique)i} de décrire la mort.

13Quand mon âme aura pris son vol à l'horizon

Prendre son vol

Double sens : s'envoler et "améliorer sa position, sa situation" Petit Robert.

Corps et âme

Cette strophe réalise la rupture annoncée dans la strophe précédée. L'âme s'envole "à l'horizon" en "s'ennoblissant" en

toute modestie (à la Gavroche: l'éternel gamin chantant au moment de la mort) et tout le reste de la chanson ne

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concernera que le corps (les restes mortels) et l' écho des bons moments de la vie physique et des joies terre-à-terre.

14Vers celles de Gavroche et de Mimi Pinson,

Gavroche

Personnage des Misérables de Victor Hugo : gamin de Paris railleur, à la chanson facile, il meurt sur les barricades de

l'insurrection de 1832.

Aujourd'hui : gamin de Paris, malicieux et effronté (Larousse)

Mimi pinson

Titre d'une chanson tirée du recueil "Poésies nouvelles" d'Alfred de Musset, dans laquelle Mimi Pinson est une jeune

couturière républicaine qui sait entre autres faire "sortir la chanson de la bouteille"

(ce texte a été mis en musique par Frédéric Bérat en 1846)

Mimi Pinson

Chanteuse accordéoniste qui fait scandale dans "Le coeur sur la main", une comédie d'André Berthomieu réalisée en

1948 qui met en scène Bourvil

Celle(s)

Si "celles" est bien au pluriel dans les manuscrits, on ne peut passer sous silence que l'auditeur de la chanson entend le

pluriel comme le singulier. C'est particulièrement intéressant que l'équivoque demeure car le singulier suppose la

présence d'une seule âme globale, celle du chanteur provocateur, dans laquelle viennent se fondre Gavroche, Mimi

Pinson... et Brassens lui-même.

De toute manière, si c'est un pluriel, il est possible de dire que Brassens conçoit le paradis comme un panthéon de

chanteurs provocateurs, annonçant en cela une chanson comme Mon Bistrot Préféré de Renaud :

www.paroles.net/chansons/25476.htm

15Celles des titis, des grisettes,

Titi

Gamin de Paris, effronté et gouailleur ; gavroche Larousse

Grisette

Jeune fille coquette de condition modeste, généralement ouvrière de mode Larousse

Grisette

La grisette désignait, au siècle dernier, les "petites mains" couturières, qui valurent ce surnom aux demoiselles de

Montpellier, et, plus largement, aux "ouvrières jeunes et coquettes".

La grisette est aujourd'hui une confiserie ronde comme une bille, de la taille d'un petit pois, faite à partir de deux

produits emblématiques de la région : le miel (celui de Narbonne est réputé au XIIIe), et la réglisse, spécialité de

Montpellier dès le XVIIIe.

Complément

Titi et Grisette ; ne ce pourrait il pas que cela soit aussi une référence à la race féline , car en effet , titi et grisette sont

des noms que nous donnons volontié à cette animal de companie qu'es le chat ... miaou !

16Que vers le sol natal mon corps soit ramené

Le sol natal

Si l'on tient à tirer ce texte vers le manifeste régionaliste (ce qu'il n'est qu'en partie à mon avis), on pourra considérer

que l'emploi de l'article "le" là où l'on attendrait plutôt le déterminant possessif "mon" relève d'un régionalisme. Les

langues méridionales, de même que la plupart des langues latines et le latin lui-même, ne précisent pas le possesseur

lorsque son identité est évidente.

Complément

Il s'agit ici du sol natal du corps, le possessif n'est pas nécessaire, d'autant que le possessif pour désigner le sol natal

devait très vraisemblablement aller à l'encontre de l'esprit de Brassens, lequel ne devait sans doute pas défendre

mordicus la possession du sol, la terre appartenant à tous.

17Dans un sleeping du "Paris-Méditerranée"

Sleeping

Train-couchettes Larousse

Sleeping Paris-Méditerranée

On peut se demander pourquoi un transfert funèbre devrait se faire par wagon "sleeping" (angl. to sleep = dormir).

Allusion au "dernier sommeil"?

L'emploi de mots anglais, chez GB, est rare : il y a bien le pléonasme "une étoile une star" dans "Les trompettes de la

renommée" ; mais le mot était plus couramment admis en français, en tout cas dans le monde du spectacle.

Quant au "Paris-Méditerranée", c'est une adaptation du P.L.M. d'avant-guerre (Paris-Lyon-Marseille) dont, d'ailleurs,

Sète ne fut jamais un terminus.

Complément

Sleeping : "Anglic. Vx Voiture-couchette." (Le Petit Robert)

L'image ferroviaire (sleeping -- terminus) est une "voiture directe pour Sète", voiture en queue de train qui sera

décrochée (par ex. à Marseille) et rattelée à un autre train.

Un autre anglicisme se trouve dans Le fantôme : at home.

Complément

N'oublions pas le "reconduire at home" du Fantôme. Brassens quelquefois a tout de même employé ainsi des

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expressions anglaises, ne manquant d'ailleurs pas de souligner leur exotisme.

18Terminus en gare de Sète.

Sète

Sète (34200), ville natale de Georges Brassens, dans l'Hérault

Complément

Jusque vers 1925 le nom de la ville s'écrivait "Cette".

Complément

Dans Jeanne Martin, les quatre premiers couplets sont une lamentation de ce changement d'orthographe (de Cette à

Sète), sa première tristesse d'Olympio.

19Mon caveau de famille, hélas, n'est pas tout neuf.

20Vulgairement parlant il est plein comme un oeuf

21Et, d'ici que quelqu'un n'en sorte,

Complément

Allusion à une possible résurrection, partie intégrante du thème délicat de la religion chez Brassens.

22Il risque de se faire tard et je ne peux

23Dire à ces braves gens : "Poussez vous donc un peu !

Braves gens

Ici, contrairement à La mauvaise réputation et La mauvaise herbe, l'expression "braves gens" semble bien être

dépourvue d'ironie...

24Place aux jeunes !" en quelque sorte.

Place aux jeunes

L'amusant de l'idée est qu'il y ait des "jeunes morts" au-dessus des vieux. Quant à affirmer qu'on ne peut dire aux

"vieux" de se pousser un peu pour leur faire de la place, c'est contredit par la pratique des cimetières où l'on fait

couramment des "compressions". Peu importe. Peut-être aussi GB entendait-il souvent l'expression "place aux jeunes"

dans la bouche d'organisateurs de spectacles qui lui préféraient les chanteurs "yé-yé" ? Ce serait alors ironie à leur

endroit.

25Juste au bord de la mer, à deux pas des flots bleus,

26Creusez, si c'est possible, un petit trou moelleux,

27Une bonne petite niche,

28Auprès de mes amis d'enfance, les dauphins,

Mes amis d'enfance, les dauphins

Enfant, et comme tout Sétois qui se respecte, Brassens (bati comme un athlète) était un bon nageur. Il a donc dû bien

souvent se baigner avec ses camarades dans lé Méditerranée, où il arrive que l'on croise des dauphins ...

Complément

C'est le nom officiel de l'équipe de nageurs de la ville de Sète (reste à savoir si ça l'était aussi dans le jeune temps de

Georges Brassens)

Complément

A noter qu'un cétacé (dauphin ou baleine) en train de souffler figure sur les armoiries de la ville de Sète.

29Le long de cette grève où le sable est si fin,

Grève

La grève, plage en pente douce, servait de port fluvial pour le déchargement du

blé et du bois

Complément

Licence poétique, car une grève doit être faite de graviers, comme son nom l'indique et pas de sable, a fortiori de sable

fin

Complément

La contradiction peut être voulue : le "petit trou moelleux" peut bien être inconfortable, pourvu qu'il soit à Sète.

Du reste, qui de son âme et de son corps profitera du confort lorsqu'ils ne seront plus tout à fait d'accord...

30Sur la plage de la Corniche.

Plage de la Corniche

Nom d'une plage sètoise très fréquentée

Corniche

Terme quelque peu usurpé puisque cette plage se situe, à la différence du quartier de la Corniche, sur le cordon littoral

qui sépare l'étang de Thau de la Méditerranée. Une plage et une mer avec peu de relief, donc.

31C'est une plage ou même, à ses moments furieux,

32Neptune ne se prend jamais trop au sérieux,

Neptune

Dieu de l'Eau chez les Romains. Il devint le dieu de la Mer lorsqu'il fut assimilé au dieu grec Poséidon Larousse

Complément

Le parc du Château d'Eau, à deux pas de la maison de naissance de G. Brassens à Sète, possède une statue de Neptune.

33Où, quand un bateau fait naufrage,

34Le capitaine crie : "Je suis le maître à bord !

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35Sauve qui peut ! Le vin et le pastis d'abord !

Le vin et le pastis d'abord !

Allusion transparente à l'expression "Les femmes et les enfants d'abord !" utilisée lors des naufrages.

Complément

La paraphrase de l'expression "les femmes et les enfants d'abord" est aussi une allusion aux "Copains d'abord", autre

paraphrase.

36Chacun sa bonbonne et courage !"

37Et c'est là que jadis, à quinze ans révolus,

38À l'âge où s'amuser tout seul ne suffit plus,

S'amuser tout seul

Brassens évoque ici les plaisirs solitaires d'une façon bien plus chaste que dans La Religieuse par exemple

39Je connus la prime amourette.

Prime

Adjectif, bien entendu - variante archaïque ou littéraire (Larousse) de "première".

Prime

C'est le cousin germain du "prime" anglais (Prime Minister), qui nous est revenu récemment dans l'incontournable

"prime time". Noter cependant que le prime français n'est plus guère que féminin (prime jeunesse). Il y a aussi "de

prime abord" et le signe mathématique A', B' = A prime, B prime...

40Auprès d'une sirène, une femme-poisson,

Une femme-poisson

A noter que Charles Trénet avait écrit une chanson intitulée Le fils de la femme-poisson, (voir sur

www.paroles.net/chansons/15116.htm).

Peut-être s'agit-il d'un hommage ou d'une réminiscence de la part de Brassens...

Complément

Une femme-poisson n'est ni plus ni moins qu'une sirène, celle à qui on ne résiste pas.

41Je reçus de l'amour la première leçon,

Double sens de 'leçon'

- Conseils, règle de conduite qu'on donne à une personne.

- enseignement profitable qu'on peut tirer de qqch., et spécialement d'une erreur, d'une faute, d'une mésaventure.

(d'après le Petit Robert)

Complément

Il y a un 3e sens à "leçon" : se dit de la version donnée par un manuscrit dont on commente savamment le texte. La

première, même si c'est la plus ancienne, n'est pas toujours la meilleure. Il se peut que GB y ait aussi pensé.

42Avalai la première arête.

Avalai

Brassens joue avec le sens de cette phrase. Il conserve pour ce verbe le passé simple et supprime le sujet. Ce qui nous

laisse penser que "avalai la première arête" est une répétition de "recevoir de l'amour la première leçon" et non que

"avaler la première arête" est la première leçon. Il laisse donc le doute sur ce qu'est la première leçon de l'amour.

Raisonnement un peu abscons

Si Brassens élide le sujet "je", c'est pour renforcer la cohésion avec ce qui précède ("j'avalai la première arête" aurait

donné le même nombre de pieds). De plus, l'utilisation de ces deux passés simples montre le parallèle entre "la première

leçon" et "la première arête" (souligné par "première"). Enfin, "avaler", au mode infinitif, me semble grammaticalement

impossible. Au pire, "avalé", participe passé, aurait-il eu sa place, après deux points, ou un point virgule.

Avalai la première arête

Notez, en particulier, qu'il parle d'une "femme poisson" ; le jeu de mots, ici, souligne le fait qu'il s'agit d'un être moitié-

femme et moitié-poisson.

Avalai la première arête

Le sujet n'est pas supprimé, il est ce que l'on appelle "filé", c'est celui de la proposition précédente qui tient lieu de sujet.

Complément

L'absence, ici, du sujet, crée presque phonétiquement un effet de déglutition ; s'il est voulu, il est évidemment tout-à-fait

à propos.

Complément

En outre, l'absence du sujet crée un effet de coïncidence des deux actions : recevoir la leçon d'amour est inséparable

d'en subir les conséquences néfastes. Cette idée est un lieu commun littéraire, en particulier dans la métaphore de la

rose, que reprend Brel par exemple en constatant amèrement qu'il y a des épines aux rosa (Rosa).

La référence à la sirène pourrait renvoyer à L'Odyssée, où Homère nous dépeint des sirènes au chant agréable et

meurtrier tout à la fois. Le problème étant que la sirène de Brassens ne chante pas... (ou alors on considère "leçon" dans

son acception littéraire, et l'initiation ne serait alors pas amoureuse mais poétique ; mais le texte le dit-il vraiment ?)

Avalai la première arête

Je pense qu'il y a aussi un jeu de mots sur "arête" puisqu'on peut entendre "arrête ! ", terme que les jeunes filles utilisent

parfois quand l'amoureux se fait un peu trop pressant...

Il me semble que la manière dont Brassens prononce ce terme dans la chanson peut faire penser à une expérience de ce

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type là.

Et tous les hommes savent que quand la jeune fille dit "Arrête !", c'est dur à avaler...

La première arête

Personnellement, j'y vois plutôt un détournement de l'expression "avaler la pilule", expression probablement tiré du

lexique médical ("la pilule est amère"). Dans ce contexte, cela signifie : mal vivre queque chose, et en garder un goût

amer dans la bouche. Ce point de vue reviendrait à donner à la "1ère leçon" le sens de mésaventure.

43Déférence gardée envers Paul Valéry,

Paul Valéry

Poète, critique littéraire, essayiste né à Sète en 1871, mort en 1945, et inhumé à Sète au cimetière marin (qui est le titre

de l'un de ses poèmes). Il a été élu à l'Académie Française en 1925.

44Moi, l'humble troubadour, sur lui je renchéris,

Moi, l'humble troubadour

C'est à la poésie que s'est ouvert et essayé Brassens en tout premier lieu (depuis la classe de troisième et grâce à son

professeur de littérature d'alors, Alphonse Bonnafé). En toute humilité et peut-être même avec le souvenir de ces (ses)

premières aspirations, "prétentions" poétiques, Brassens retrace là (peut-être inconsciemment...) son cheminement de la

poésie à la chanson qui l'a révélé et lui offre l'occasion de côtoyer les Grands de la Poésie, sans la moindre prétention!

Complément

Il faut noter que Brassens utilise correctement ici le terme de "troubadour". En effet, les troubadours étaient non pas des

jongleurs ou des menestrels, mais des auteurs-compositeurs (parfois interprètes). Il s'exprimaient en langue occitane et

on créé la notion de Fin'Amor, que les Trouvères français ont ensuite repris et modifié sous le nom d'Amour Courtois.

Enfin, les Troubadours, peu soucieux de l'avis de l'Eglise, n'hésitaient pas à consommer leur relation avec leur Dame.

Des anti-conformistes avant l'heure, comme Brassens à son époque.

45Le bon maître me le pardonne,

46Et qu'au moins, si ses vers valent mieux que les miens,

Les vers

Quelle est l'étoffe dont est fait l'homme ? Cette question est posée par "les vers" de cette strophe (dont le thème est à la

fois la poésie et la mort). Quel est donc le singulier : "le vers" (poésie) ou "le ver" (qui ronge les cadavres) ?

A mon sens, les deux acceptions coexistent. Poète ou non, peu importe pour les vers des cimetières (marins ou non)...

Hardi, Brassens détruit, une fois de plus, l'un des mythes trompeurs de la civilisation : celui du poète ayant plus de

valeur que le commun des mortels ; et ce uniquement par son adresse à faire des "paroles peintes". C'est toujours la vie

réelle qui compte, être grand à quoi bon : "Vous envierez l'éternel estivant..."

Vers

S'adressant au "bon maître" Valéry, GB lui parle certainement de poésie plutôt que d'asticots.

A ce propos, quelqu'un connaît-il le poète auteur de cette épitaphe célèbre :

Passants qui scrutez cette pierre

Voyez l'inanité des choses

Jadis je composais des vers

Ici les vers me décomposent

47Mon cimetière soit plus marin que le sien,

Cimetière plus marin que le sien

Jeu de mots sur le Cimetière Marin : nom du cimetière dans lequel a été enterré Paul Valéry à Sète

Cimetière marin

Plus que le nom du cimetière où Valéry est enterré, c'est surtout le nom du plus célèbre de ses poèmes

Mon cimetière marin

A Sète, il y a en fait deux cimetières. Le cimetière dit marin se nomme Saint Charles , c'est là où repose Paul Valéry.

Brassens est enterré quant à lui au cimetière Le Py, dit le cimetière des pauvres. Du cimetière Le Py, on voit aussi la

mer (remarque personnelle : on la voit même mieux !)

Complément

Petite correction : depuis le cimetière Le Py on ne voit pas la mer mais l'étang de Thau

Cimetière marin

Il y a là un lien à faire avec la La ballade des cimetières : GB aurait des tombeaux jusqu'au fond de ce cimetière bien

particulier.

48Et n'en déplaise aux autochtones.

Les autochtones

Je pense qu'ici Brassens fait allusion à la bourgeoisie locale qui enterrait les siens dans de luxueuses sépultures,

exposant ainsi aux yeux de tous la richesse familiale.

Sa tombe -à l'opposé- est collective et très modeste.

De plus les 'riches' étaient plutôt enterrés au cimetière Saint Charles.

Complément

"N'en déplaise aux autochtones, cette tombe (...) ne donnera pas une ombre triste..." M'est avis que, malgré le saut de

couplet, il conviendrait de relier grammaticalement ce vers au suivant et, donc, si l'on tient à ponctuer, mettre une

virgule et non un point après autochtones. GB réfute par avance les objections que feront, craint-il, les bourgeois de

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Sète (ceux qui se font enterrer à Saint Charles et qu'il n'aime guère) à sa supplique. Analysé autrement, le "Et" initial de

ce vers n'a guère de sens, ni grammatical, ni logique.

Complément

Je pense qu'il faut remonter plus haut pour analyser en profondeur ce vers.

Le vers 43 "Déférence gardée envers Paul Valéry" montre un respect certain de GB pour PV. On le retrouve aussi dans

le vers 44 "Moi, l'humble troubadour, sur lui je renchéris" où le verbe renchérir a une tres grande importance.

En effet, PV a gravé son nom dans l'histoire de Sète par la qualité de ses vers, et GB ne pouvant espérer dépasser "le

bon maître" (vers 45 et 46), gravera son nom dans l'histoire de Sète par l'originalité de sa sépulture (d'où la comparaison

du vers 47)

Tout cela pour arriver au vers 48 "Et n'en déplaise aux autochtones" car il se pourrait que le fait de renchérir sur PV ne

plaise pas au bourgeois, tout comme le fait qu'un enfant du peuple puisse graver son nom dans l'histoire de la ville.

Complément

Ici, GB se plait une troisième fois à égratigner ses concitoyens.

Dire que les vertus faiblissent à Lourdes comme à Sète (Tempête dans un bénitier) n’est pas bien méchant, mais il leur

fait vraiment jouer le mauvais rôle lorsqu’il parle des sycophantes du pays et des chrétiens du pays (voyez le rappel :

‘du pays’) dans Les quatre bacheliers.

Il n’hésite pas à traiter d’imbéciles heureux ceux qui de Paris ou de Sète nous font voir du pays natal jusqu’à loucher

(La ballade des gens qui sont nés quelque part)

Exilé à Paris, il avait peut être gardé la dent dure contre les Sétois.

Une interprétation plus évidente à mon sens

Le cimetière Saint Charles change de nom en 1946. Un hommage des Sétois au poème de Paul Valéry : Le cimetière

marin.

Brassens, s'il avait été enterré sur la plage de Sète, aurait connu un cimetière plus marin que l'original, de telle sorte que

le "vrai" cimetière marin serait le sien et non celui que les autochtones ont coutume de désigner par ces mots.

Complément

C'est bien évidemment cette intreprétation-là qui semble la plus pertinente : le souhait de GB est on ne peut plus clair

dans la chanson : être enterré "sur la plage de la corniche", "le long de cette grève(..)", "en sandwich entre le ciel et

l'eau". De là, la petite revanche amicale du "modeste troubadour", et sa satisfaction d'avoir trouvé un cimetière marin

encore plus approprié que celui du "bon maître"..

49Cette tombe en sandwich entre le ciel et l'eau,

Sandwich

Nouveau mot anglais dans ce texte , et nouvelle référence alimentaire (après avoir avalé la première arête et évoqué un

oeuf)

50Ne donnera pas une ombre triste au tableau,

51Mais un charme indéfinissable.

52Les baigneuses s'en serviront de paravent

53Pour changer de tenue, et les petits enfants

54Diront : "Chouette, un château de sable !"

55Est-ce trop demander...? Sur mon petit lopin

56Plantez, je vous en prie, une espèce de pin

Plantez un pin

Georges Brassens est enterré à Sète au cimetière du Py (surnommé le "cimetière des pauvres"), où la municipalité a

depuis planté un pin parasol

Pin parasol

Ce couplet avait inspiré à Maxime Le Forestier une chanson hommage, "La Visite", mise en musique par Joël Favreau.

Il y dit de ce pin :

"C'est un pin parasol qui n'aura pas éclos

Tant viennent les amis piétiner cet enclos

J'ai peu d'espoir qu'il ne grandisse."

Les amis se seraient-ils faits plus rares ? Le pin parasol a bien grandi.

Une espèce de pin

On ne peut manquer de souligner que Brassens fait ici allusion au poème de Musset :

Mes chers amis, quand je mourrai,

Plantez un saule au cimetière

57Pin parasol, de préférence,

Pin parasol, de préférence,

Le pin parasol, outre qu'il soit une essence méditerranéenne par excellence, est aussi l'abri rêvé ... pour une sieste !

Complément

Le pin parasol est aussi évoqué dans la chanson Le modeste :

Suivi de son pin parasol,

S'il fuit sans mêm' toucher le sol

Le moindre effort comme la peste

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340

Pin Parasol

Il me semble d'ailleurs qu'un pin parasol fut effectivement planté près de la tombe de Brassens, au cimetière de Sète,

Complémént

Ici, la sieste est plutôt un repos éternel. Mais quoi de mieux qu'un parasol pour quelqu'un qui se "repose" sur une plage

dans le midi.

58Qui saura prémunir contre l'insolation

59Les bons amis venus fair' sur ma concession

60D'affectueuses révérences.

61Tantôt venant d'Espagne, et tantôt d'Italie,

Espagne, Italie

L'idée de ce tiraillement a été reprise de façon plus ludique dans l'une de ses dernières chansons : Entre l'Espagne et

l'Italie

62Tout chargés de parfums, de musiques jolies,

63Le mistral et la tramontane

Mistral et tramontane

Le mistral est un vent froid, sec et violent lié à la présence d'une dépression sur le golfe de Gènes.

La tramontane s'accélère en passant entre les Pyrénées et le sud du Massif Central.

Le mistral, italien, apporte la villanelle, et la tramontane, espagnole, le fandango.

Mistral et tramontane

Le mistral souffle du nord-ouest et la tramontane du nord-est. Dans ces conditions, difficile pour le premier d'apporter

des musiques espagnoles (puisque l'Espagne se situe au sud ouest de Sète), et pour le second d'apporter des musiques

italiennes (l'Italie étant à l'est et Naples, au sud-est de Sète) !

Rien de bien grave cependant, car l'image est bien belle...

Complément

Le mistral souffle en fait du nord vers le sud, la tramontane du nord-ouest vers le sud-est. [source: wikipedia]

Complément

Le Mistral, est lié à un équilibrage de masses d'airs, l'une chaude, en côte d'Azur, l'autre froide, dans les Landes.

Le Mistral contourne le Massif Central par le Nord, puis, arrivé à Lyon, descend la vallée du Rhône, ce qui a pour effet

de l'accélérer.

Arriver en Méditerranée (à l'embouchure du Rhône), il se disperse dans les 3 directions : vers le Sud, l'Est (côte d'Azur),

et l'Ouest (Sète).

La Tramontane est un vent longeant les Pyrénées, au sud du Massif Central.

Donc, même si ces deux vents ne passent pas par les pays cité, du point de vue "scientifique", pour le peuple il provient

l'un de l'Ouest (Espagne), l'autre de l'Est (Italie).

Annecdote : à l'inverse du Mistral, il existe le Foehn, un vent chaud remontant les Alpes.

64Sur mon dernier sommeil verseront les échos

65De villanelle un jour, un jour de fandango,

Villanelle

Deux sens :

1. Composition polyphonique de caractère populaire, originaire de Naples, en vogue aux XVe et XVIe siècles

2. Chanson pastorale et populaire, sous forme de poème à forme fixe composé d'un nombre impair de tercets et terminé

par un quatrain

Larousse

Fandango

Danse et air de danse espagnols de rythme assez vif avec accompagnement de guitare et de castagnettes Larousse

Fandango

En espagnol, fandango désigne aussi familièrement un vacarme

66De tarantelle, de sardane...

Tarantelle

Danse rapide, air à danser de l'Italie méridionale Larousse

Sardane

Air et ronde dansée, populaires en Catalogne Larousse

Tarentelle et sardane

Voir la chanson Entre l'Espagne et l'Italie. Brassens a toujours eu conscience de faire partie de cette culture latine,

méditerranéenne, occitane. Ce qui ne l'a pas empêché par ailleurs d'acheter une maison en Bretagne. Car il ne se voulait

pas "né quelque part" pour autant.

67Et quand, prenant ma butte en guise d'oreiller,

Ma butte en guise d'oreiller

Faut-il qu'elle soit modeste, pour pouvoir servir d'oreiller !

Choix du mot

Est il possible que Brassens aie choisi ici le mot butte, si proche phonétiquement d'un mot d'argot désignant le pénis, par

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hasard ? Compte tenu du sens du reste du couplet, j'en doute....

68Une ondine viendra gentiment sommeiller

Une ondine

Une ondine est une jeune nageuse très gracieuse.

Ondine

Une ondine est une nymphe des eaux, qui cherche en général à s'incarner en humaine dans les mythes celtes et

germaniques.

Cf. Ondine, de Giraudoux (1939)

69Avec moins que rien de costume,

70J'en demande pardon par avance à Jésus,

J'en demande pardon par avance à Jésus

Délicatesse un peu surprenante de la part d'un athée ... C'est que c'est tout de même sa croix, qui "s'y couche un peu

dessus", et que cette croix est le symbole du supplice de Jésus. Brassens s'excuse donc de cette utilisation un peu

désinvolte d'un symbole chrétien fort.

71Si l'ombre de ma croix s'y couche un peu dessus

La croix

Mais effectivement, une croix chrétienne vue à l'envers a une forme tout à fait caractéristique et intéressante.

Complément

Il y a peut-être aussi l'idée sous-jacente que la course du soleil déclinant amènera l'ombre de la croix à caresser son

corps, l'ombre étant une métaphore de celui qui est dessous, "au royaume des ombres". Et si l'on retient l'image

phallique, plus le soleil s'incline sur l'horizon, plus l'ombre grandit.

Complément

Je ne crois pas à l'allusion phallique mais je remarque la syntaxe anormale ; en français correct : "se couche un peu

dessus", on dirait une tournure occitane

Complément

D'autant que l'idée de la course du soleil est précédée par la douce et caressante sensation du Mistral (vent de Nord-est

sur les côtes Languedociennes) et de la Tramontane (vent de Nord-ouest) qui rappelle donc le levant et le couchant

S'y couche

"Si" et "s'y" placés au début de chaque hémistiche de l'alexandrin, il se peut que GB ait simplement voulu jouer avec les

mots, en accentuant la précision qui peut être, en outre, un clin d'oeil au parler du Sud.

Se coucher

Je pense qu'il y a une allusion très fantomatiquement sexuelle dans ce vers.

Brassens reprend une évocation faite dans Il n'y a pas d'amour heureux : "Ouvrir ses bras son ombre est celle d'une

croix", Ainsi, son esprit fantôme vient-il profiter de quelques bonheurs posthumes...

72Pour un petit bonheur posthume.

Petit bonheur posthume

Ce petit pied de nez est admirable, l'un des plus beaux de l'oeuvre de Brassens. Il est parfaitement amené, d'abord par

l'Ondine, puis par l'évocation de Jésus, de la croix... bref, il y a autant à dire sur ces quelques vers que sur toute la

chanson. De plus, ce petit bonheur n'est pas sans rappeler la "bosse dérisoire" qui conclut le livre de Boris Vian, J'irai

cracher sur vos tombes.

Complément

A l'origine, l'image poétique que voulait donner le Maître est celle de l'ombre de l'ondine qui viendrait caresser sa butte

(source interview chez Jacques Chancel). Ce n'est que plus tard, lorsqu'il en était à la fin de l'écriture de la chanson, qu'il

inversa l'image et retint celle de la croix qui se coucherait sur l'ondine.

Cette idée vient peut-être du désir de signifier que même mort, on peut ne pas être inanimé et même recouvrer vigueur

lorsque les circonstances s'y prêtent.

73Pauvres rois pharaons ! Pauvre Napoléon !

74Pauvres grands disparus gisant au Panthéon !

Panthéon

Du grec "pan" = tout, et "theos" = dieu

1. Temple que les Grecs et les Romains consacraient à tous leurs dieux

2. Ensemble des dieux d'une mythologie, d'une religion

3. Monument où sont déposés les corps des hommes illustres d'une nation

Larousse

Panthéon

Monument de Paris, sur la montagne Sainte-Geneviève (Ve arrond.). Construit à partir de 1764 par Soufflot, achevé v.

1790 par Jean-Baptiste Rondelet, ce devait être une église dédiée à la patronne de Paris. La Révolution en fit un temple

destiné à abriter les tombeaux des grands hommes et lui donna ce nom de Panthéon. Il fut église sous la Restauration et

le second Empire. La IIIe République l'a rendu au culte des hommes illustres à l'occasion des funérailles de Victor

Hugo. Peintures murales, dont celles de Puvis de Chavannes.

Complément

Allusion au caractère froid (pierres, marbres, lumières sans chaleur...) et lugubre du Panthéon, ennuyeux à force d'être

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silencieux, on ne s'y amuse pas beaucoup d'autant que les sépultures paraissent si distantes les unes des autres... La

solitude des grands de ce monde...

Quel contraste avec la proximité et l'accessibilité de la butte de GB sur la plage !

Panthéon

Les guides du Panthéon vous le confirmeront: il y a toujours quelqu'un pour se pleindre qu'on ne lui ai pas fait voir le

tombeau de Napoléon; qui est au Invalides, doit on le rappeler....

La péroraison

Brassens connaît sa rhétorique sur le bout des ongles, il achève sa chanson comme un poème, par une péroraison habile,

qui s’enfle de l’évocation des « grands disparus ». À partir de « Trempe dans l’encre bleu du Golfe du Lion », Brassens

joue avec les codes rhétoriques du grand discours pour les détourner. Ici, par exemple, les procédés oratoires de la

péroraison mettent en évidence la vaine pompe des nécropoles en opposition avec la simplicité riante du cimetière qu’il

se choisit.

75Pauvres cendres de conséquence !

Cendres de conséquence

Dérivation de l'expression "Gens de conséquence", qui désignait les personnes détentrices de pouvoirs ou d'entregent,

toutes choses évidemment perdues dans leurs cendres, fussent-elles au Panthéon.

76Vous envierez un peu l'éternel estivant,

77Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant,

78Qui passe sa mort en vacances...

Variante

Dans le livre La marguerite et le chrysanthème, l'auteur Pierre Berruer écrit ce dernier vers : Qui fait du pédalo en

rêvant qu'il passe sa mort en vacances

79Vous envierez un peu l'éternel estivant

Hommage

Maxime le Forestier a écrit une magnifique épitaphe à ces vers de Georges sur le disque Né quelque part: "la visite" Joël

Favreau à la 2ème guitare (ancien guitariste de Brassens)

80Qui fait du pédalo sur la vague en rêvant

81Qui passe sa mort en vacances...

Analisi di altre canzoni e aggiornamenti