civiltà ed emarginazione

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  • 8/3/2019 Civilt ed emarginazione

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    Sguardi

    Antonio Chiocchi

    CIVILT ED EMARGINAZIONE

    PER LA CRITICA DELLA CIVILIZZAZIONE

    R

    ASSOCIAZIONE CULTURALE RELAZIONI

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    COPYRIGHT BY ASSOCIAZIONE CULTURALE RELAZIONIMercogliano (Av) - 1 edizione aprile 1998

    Avellino - 2a edizione gennaio 2012www.cooperweb.it/relazioni

    Questa edizione, leggermente rivista ed ampliata rispetto a quella del

    1998, proietta le tematiche della civilizzazione, dellemarginazione edelle diseguaglianze oltre le barriere della modernit e delNovecento, immergendole nel fuoco rovente del XXI secolo. Lacritica della civilizzazione si corona col discorso critico sullaglobalizzazione, sviluppato nel capitolo quarto aggiunto. Col che sitenta di portare a coerente compimento le premesse da cui muove illibro.

    A. C., gennaio 2012

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    INDICE

    CAP IMATRICI, MODELLI ED EFETTI DELLA CIVILIZZAZIONE

    1. Dallagire comunicativo allagire emarginativo p. 42. Alfabetizzazione dellignoranza 103. Dialogica della memoria e dellidentit 144. Crisi e modalit dellagire 20

    CAP. IIEMARGINAZIONE DA CIVILIZZAZIONE

    0. Premessa 231. Civilizzazione come stratificazione di emarginazione e diseguaglianza 242. Emarginazione come differenzialit 323. Lemarginazione politica: la cittadinanza negata 35

    CAP. IIITRA SVILUPPO ED EMARGINAZIONE:IL MEZZOGIORNO DITALIA

    0. Premessa 401. Lo sviluppo come problema 402. I dilemmi dello sviluppo 433. La marginalit meridionale 454. Persistenti aporie 465. Il circolo chiuso 476. La prospettiva storica mondiale 487. Economia-mondo e Mezzogiorno 51

    CAP. IVDALLUMANIT IN GUERRA ALLA UMANIT DIALOGANTE1. La dissoluzione del principio umanit 542. Dal sacrificio alla libert 553. La secessione dallorigine 564. Il marchio originario 585. Rendere pi chiara la scena 596. Per la critica dellinterculturalismo istituzionale 617. Apartheid telematico 638. Lo spazio delle differenze dialoganti 659. Lavvento dei diritti globali 66

    10. Lalba incerta della cittadinanza globale 6711. La sfida delle culture e delle didattiche dialoganti 6812. Cosmovisione e passaggio al futuro 69

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    Cap. IMATRICI, MODELLI ED EFFETTI DELLA CIVILIZZAZIONE

    Nella discussione del tema civilt/emarginazione due sono i concetti chiave che vannoaffrontati preliminarmente: cultura e crisi. Intorno ad essi si vanno costruendo diversi modelli

    teorici e prassi di intervento, per levidente circostanza che in tutti i processi di esclusionesociale giocano un ruolo significativo sia componenti di antagonismo culturale che processimateriali di crisi.

    Ovviamente, in questa sede, non possiamo procedere ad una disamina esaustiva intorno aiconcetti di cultura e crisi1. Cercheremo, pi semplicemente, di esplorare alcune delle lorodimensioni che fanno intersezione con le problematiche che afferiscono alla coppiacivilt/emarginazione, cominciando con il concetto di cultura.

    1. Dallagire comunicativo allagire emarginativo

    Come noto, lindirizzo pi propriamente antropologico, che ha in Tylor il suo precursore2,fornisce della cultura una concettualizzazione universalizzante, in un duplice senso:

    a) configurandola come totalit onnicomprensiva, ricca di sfaccettature e determinazioniinterne;b) categorizzandola come concetto/situazione avente una relazione non di alterit, ma

    di isomorfismo con la civilt, della quale sarebbe un costrutto semanticointercambiabile; lap-proccio filosofico, storicistico e sociologico, dallinizio del XXsecolo, si incaricher di capovolgere tale assunto, incuneando un contrastoirredimibile tra cultura e civilizzazione3.

    Molto dellimpostazione antropologico-culturalista resiste e viene recuperato nel dibattitosociologico e informativo-comunicazionale che si andato affermando negli ultimi decenni DELNovecento.

    Negli anni 60 e 70, con propaggini che arrivano alla prima met degli anni 80, si sviluppata unaccesa e non univoca discussione intorno alla nozione di cultura, a lato delle

    trasformazioni sistemico-ambientali intervenute nelle societ industriali avanzate. In Italia,questo dibattito viene prontamente recepito e d luogo a indirizzi variamente motivati e incompetizione tra di loro4. Probabilmente, un discrimine di tale discussione stata la riflessione,

    1 Per una prima parziale ricognizione intorno al concetto di cultura, si rinvia, comunque, ad Asso-ciazione culturale Relazioni, Cultura ed istituzioni locali, Avellino, Associazione culturale Relazioni,1993. Per quanto riguarda, invece, il concetto di crisi, si rinvia alla sintetica analisi che si proponenel 4 del presente capitolo.

    2 E. B. Tylor, Primitive Culture, London, 1871.3 Sulla contrapposizione civilt/cultura, si rinvia alle classiche pagine di N. Elias, Il processo di ci-

    vilizzazione, Bologna, Il Mulino, 1988; in particolare, si rinvia ai due capitoli che compongono la Par-

    te Prima (Civilt e Cultura) de La civilt delle buone maniere, rispettivamente: 1) Genesi socia-le dellantitesi civilt e cultura in Germania (pp. 109-144); 2) Genesi sociale dellantitesi ci-vilt e cultura in Francia (pp. 145-163). Tra il primo e il secondo conflitto mondiale, particolar-mente nellarea culturale di lingua tedesca che il dibattito conosce una di-rompente ripresa: cfr. G.Marramao, Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo, Roma, Editori Riuniti, 1983, pp. 187-223.

    4 Per seguire questo dibattito, cfr. F. Alberoni, Llite senza potere, Milano, Vita e pensiero,1963; L. Cavalli, Sociologia delle comunicazioni di massa, in AA.VV.,Antologia delle scienze sociali,Bologna, Il Mulino, 1963; U. Eco, Apocalittici e integrati. Milano, Bompiani, 1964; M. Livolsi (a curadi), Comunicazioni e cultura di massa, Milano, Hoepli, 1969; G. Bechelloni (a cura di), Politica cultu-rale?, Bologna, Guaraldi, 1970; C. Manucci, La societ di massa, Comunit, 1970; F. Rositi, Contrad-dizioni di cultura?, Bologna, Guaraldi, 1971; A. Abruzzese, Forme estetiche e societ di massa, Pado-

    va, Marsilio, 1973; G. Statera, Societ e comunicazioni di massa, Palermo, Palumbo, 1974; A. Abruz-zese, Verso una sociologia del lavoro intellettuale, Napoli, Liguori, 1979; G. Bechelloni, Modelli dicultura e classe politica, Roma, Officina, 1979; G. Fabris, Sociologia delle comunicazioni di massa,Milano, Angeli, 1980; F. Rositi, Mercati di cultura, Bari, De Donato, 1982; R. Williams, Sociologia del-

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    sul punto, proposta da E. Morin, dagli anni 50 alla prima met degli 805.Come si sa, per Morin, a partire dalla modernit, nelle societ occidentali si sono insediati

    tre tipidi cultura:a) la cultura umanistica;b) la cultura scientifica;c) la cultura di massa6.

    Non intendiamo qui discutere il paradigma tripolare di Morin. Ci interessa, invece, rifletteresulle considerazioni che, in particolare, egli formula sulle concatenazioni semantiche tra idiversi tipi di cultura e sui caratteri di senso della cultura di massa. Siamo indotti a ci dallaregistrazione di unevidenza empirica: con lavvento della cultura di massa e laplanetarizzazione degli stili di vita e dei modelli di consumo da essa veicolati, i fenomeni diemarginazione sociale e culturale sono andati, da un lato, approfondendosi e, dallaltro,assumendo crude e impensate forme di espressione.

    Prerogativa della cultura di massa, osserva Morin, al pari di quella scientifica, lelabora-zione di una mole impressionante di informazioni. Ma, diversamente da quella scientifica, lacultura di massa non d luogo a rappresentazioni logico-matematiche; bens trascriveinformazioni non strutturate sotto forma di rumore: Nella cultura di massa una nuova nube diinformazione scaccia via quella del giorno prima7. Il rumore elevato dalla cultura di massa si

    erge come un muro di interdizione elevato di contro alla riflessione sistematica e globale,antico requisito della cultura umanistica. Al contrario, la cultura scientifica inibisce lariflessione, attraverso la proliferazione degli specialismi. La cultura nelle societcontemporanee, conclude Morin, sia nelle forme umanistiche che in quelle scientifiche e dimassa, si caratterizza per la sua sistematica a-riflessivit:

    In definitiva, il nodo della tragedia culturale moderna la tragedia dellariflessione. Mentre la conoscenza sembrava destinata a essere pensata, discussa,riflessa, per essere incorporata nellesperienza della vita, la riflessione si degradadappertutto, anche nella cultura umanistica, il cui mulino gira a vuoto, non potendopi afferrare i materiali della cultura scientifica per rifletterli. Anche tra filosofia escienza le comunicazioni sono diventate molto rare. La difficolt di acquisire il

    sapere scientifico specializzato rende impossibile alla cultura umanistica di svolgereil suo ruolo di riflessione sulla conoscenza delluomo nel mondo.Nella cultura scientifica, laccumulazione delle conoscenze nelle anonime banche

    dati, il lavoro al computer fanno correre il rischio, anche in tal caso, che lo spiritoumano venga espropriato del sapere; e fanno temere lirru-zione di un nuovo tipo diignoranza per accumulazione di conoscenze.

    La cultura di massa, infine, d il colpo di pollice a questa degradazione dellapossibilit riflessiva. Del resto, a questa degradazione corrisponde nella societ unapromozione di tecnocrati, tecnici, esperti specializzati. Assistiamo al paradosso diuna cultura come la nostra che ha aspetti molto ricchi nella sua pluralit, perchmantiene insieme tre tipi di cultura molto vivi; e al tempo stesso produce sviluppi dibarbarie, oltre al gran vuoto culturale sul terreno del quotidiano e della vitasociopolitica. Qui c una terra di nessuno culturale. Alcuni commentatoriradiotelevisivi, cercando di riflettere non solo sui fatti di ieri, ma anche su piccolifatti della civilt (droga, alcolismo, insicurezza, ecc.), riempiono un po questovuoto, ma alla svelta. I pedagoghi e gli istitutori non sono capaci di riflettere questacultura che appare loro concorrenziale, perch sanno che gli alunni preferiscono latelevisione ai loro compiti. A parte il fatto che la vita politica rimane sotto il dominio

    la cultura, Bologna, Il Mulino, 1983; A. Abruzzese, Ai confini della serialit, Napoli, Sen, 1984; G.Bechelloni, Limmaginario quotidiano, Torino, Eri, 1984.

    5 La parte pi significativa degli interventi di Morin sulla cultura, relativamente al periodo consi-derato, possibile reperirla in Sociologia della sociologia, Parte terza (Le culture della nostra cultu-ra), Roma, Edizioni Lavoro, 1985, pp. 207-285. Lopera in questione traduce le parti 1, 2 e 4 di So-

    ciologie, Paris, Fayard, 1984. Per i temi qui in discussione, si confronti, altres, linformata e appro-fondita prefazione di A. Abruzzese allopera di Morin appena citata.6 E. Morin, op. cit., pp. 206-210 epassim.7Ibidem, p. 209.

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    dei miti, delle illusioni, degli errori, del rumore e del furore...La reintroduzione di una comunicazione fra queste tre culture la grande

    necessit culturale del nostro secolo. E questa comunicazione sar reintrodottasoltanto se ci sar un movimento critico autoriflessivo allinterno di ognuna di esse8.

    Ora, proprio in questo vuoto culturale, in questa terra di nessuno culturale che germina e

    nidifica la polisemia del concetto di cultura, che ricontestualizza in un ambitomultidimensionale i tre tipi di cultura isolati da Morin. Ambito che, di fatto, riamalgama in s,differenziandole in subcodificazioni funzionali, tutte le concettualizzazioni "fondazionali":

    a) lapproccio culturalista organico: cultura come sistema compiuto e dotato di sensospecificamente umano, in contrapposizione agli habitat e ai codici della natura;

    b) lapproccio culturalista residuale: cultura come condotta selettiva e differenziata cheraccoglie tutto ci che non rientra nelle scienze umane e sociali e che si concentranellambito sensibile-psicologico;

    c) lapproccio culturalista esistenzialista: cultura come modalit dellesistere.Puntualmente, Morin coglie il senso strutturante dei primi due approcci e il senso

    esistenziale del terzo. Ci indurrebbe a considerare la cultura come un sistema che mette incomunicazione, dialettizandole, unesperienza esistenziale e un sapere costituito9.

    Lapproccio di Morin, con tutta evidenza, sospende i paradigmi separatisti della tradizionesociologica, per i quali la cultura un unicum di valori e princpi, in relazione contrappositivaed escludente con la civilt che stratificherebbe, invece, i suoi dati e i suoi attributi peraccumulazione oggettiva e impersonale10.

    Inoltre, Morin, concependo la cultura come sistema metabolico11, di fatto, indirizza unacritica puntuale sia alla posizione marxista che a quella funzionalista: proprio in quanto circuitometabolico, la cultura ricongiunge linfrastrutturale al sovrastrutturale, il reale allimmaginario,il mitico al pratico12.

    La conseguenza pratica dellapproccio rilevante. Quanto pi la cultura metabolizzante,tanto pi interconnette dimensioni di senso differenziate: vale a dire, tanto pi il profilo deicontesti sociali e di senso tra/e dentro i quali avviene la metabolizzazione culturale si specificaper la sua policulturalit. A differenza delle societ arcaiche, osserva, Morin, la societ

    complessa una societpoliculturale13

    .Possiamo, anzi, dire: il tratto specifico che differenzia e connota la complessit sociale lapoliculturalit. Ci non solo e non tanto nellaccezione individuata da Morin: policulturalitcome compresenza (in un unico pattern globale differenziato per intrecci e antagonismi interni)della cultura umanistica, delle culture nazionali, delle culture religiose, delle culture politiche edella cultura di massa; quanto nel senso che la situazione di policulturalit diviene veicolo ditrasversalit culturale.

    Nelle condizioni della differenziazione comunicativa e della complessit sociale, lacompresenza ravvicinata e proliferante di matrici culturali diverse potenzia oltremodo i processidella trasversalit culturale. Non a caso, uno dei tratti distintivi del procedere delleinvestigazioni in tutti i tre tipi fondamentali di cultura quello della narrazionemetaforologica. Paradigmi e figure mitopoietiche vengono trasliletterati da un campo culturaleallaltro e sempre pi gli stessi saperi specialistici fanno un uso progressivamente dirompentedi costrutti fondazionali che si qualificano per aver rotto il cordone ombelicale con le logicherigide della predicibilit razionale, assegnando un posto rilevantissimo al caso,allimprevedibile, alloscuro, al latente e/o al virtuale. La filosofia della scienza e lepistemologiavanno sciogliendo il loro statuto in avvolgenti codificazioni simboliche, definitivamente sottratte

    8Ibidem, pp. 209-210; corsivi nostri.9Ibidem, p. 213.10 ancora questo il punto di vista affermato da R. K. Merton nellimportante articolo Civilization

    and Culture, Sociology and Social Research, XXI, 1936, p. 112. Sul punto, agevole rinvenirelinfluenza delle concettualizzazioni di F. Tnnies, Comunit e societ, Milano, Comunit, 1963. Peruna panoramica critica su questo snodo particolare e sullintera tematica, cfr. C. Kluckhohn-A. L.

    Kroeber, Il concetto di cultura, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 24-25 ss.11 E. Morin, op, cit., p. 215.12Ibidem.13Ibidem.

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    al modello cartesiano e post-cartesiano di razionalit scientifica, in tutte le sue possibili variantie riattualizzazioni14. Morin medesimo, con alcune sue opere fondamentali, stato uno deipionieri nellapertura di questi nuovi orizzonti di ricerca15.

    Ora, policulturalit e trasversalit culturale, differentemente da quanto a tutta prima si portati a ritenere, velocificando i flussi comunicazionali tra generi, tipi e contesti culturalidiversi, conducono ad un innalzamento dei tassi di conflittualit e interconflittualit disciplinare

    tra/e nei vari campi e soggetti culturali.Si apre un fenomeno doppiamente connotato. Difatti, la fludificazione policulturale:

    a) da un lato, migliora la comunicazione e comunicativit del messaggio di ognisingolo campo/soggetto, contaminandone e arricchendone lidentit con apportiprovenienti da altri campi/soggetto;

    b) dallaltro, accentua le pulsioni tendenti alla difesa ad oltranza della propriaidentit, minacciata proprio dallurto del flusso della contaminazione culturale.

    I due fenomeni non sono in alternativa luno allaltro; ma convivono permanentemente nellostesso campo/soggetto. Anzi, proprio questa compresenza a determinare le condotteprincipali attraverso cui passano i processi di formazione e consolidamento dellidentit(singola e collettiva) nella societ globale e planetaria attuale, caratterizzata come da unasituazione permanente di trasversalit culturale.

    La policulturalit , nello stesso tempo:a) veicolo dialogico e, dunque, espressione di avvicinamento e di vicinanza;b) fattore disseminatore di differenze e, dunque, elemento moltiplicatore di antagonismi.

    I processi dissociativi che, dalla caduta del "muro di Berlino", hanno proliferato a livelloplanetario e allinterno di ogni singola comunit nazionale e/o locale trovano in ci una delleloro cause scatenanti. La fine del bipolarismo, ben lungi dal segnare pace, ordine e sicurezza,ha dato luogo allesplosione di violenti conflitti sul piano regionale ed ha aperto, nel contempo,una competizione simbolica irriducibile tra rappresentazioni orientali e occidentali del mondo edella vita.

    Nella societ planetaria interamente occidentalizzata, diversamente da quanto alcuniavevano desiderato e altri pronosticato, non reggono pi gli stili di vita, le culture e gliarchetipi che la civilt occidentale, dalla scoperta dellAmerica in avanti, andata diffondendo

    in tutto il mondo e nelle coscienze dei singoli.Quanto pi la societ complessa occidentale si scoperta policulturale, tanto pi harappresentato lurgenza di una valorizzazione delle differenze che, a tutti i livelli, costituisconolelemento precipuo che ne definisce il profilo. Ma omettendo di riconoscere pienamente e finoalle estreme conseguenze lautonomia e le sfere di libert delle differenze, la societ globaleoccidentale ha consentito che la loro difesa e la loro espressione potessero avvenireesclusivamente nelle forme del fondamentalismo culturale.

    La policulturalit a cui approdata la civilt occidentale, non prolungandosi in pieno e totalericonoscimento dellAltro, si andata capovolgendo in una variante ultramodernizzata difondamentalismo. Latteggiamento di superiorit culturale, tipico della civilt occidentale, ha,cos, trovato modo di esprimersi in forme ancora pi invasive e autoritarie.

    Laddove la policulturalit non viene presa sul serio, i conflitti tra identit non trovanocanalizzazione, esplodendo in maniera virulenta sotto forma di fondamentalismi. Lapoliculturalit e il trasversalismo culturale, da occasione per il superamento dellemarginazione

    14 Uno dei percorsi esplicativi di tali tendenze epistemologiche sta nei due seguenti lavori: a) G.Bocchi-M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessit, Milano, Feltrinelli, 1983; M. Ceruti-P. Fabbri-G. Giorello-L. Petra (a cura di), Il caso e la libert, Milano, Il Saggiatore, 1994; ai due testi si rinviaper una esauriente bibliografia generale. Allinterno di questa linea di sviluppo si inserisce un'intensaattivit convegnistica tenuta negli anni '90. Qui citiamo, a titolo esemplificativo, due Convegni parti-colarmente significativi del 1994: a) Con Darwin al di l di Cartesio, organizzato dai Dipartimenti diFisica e Storico-geografico dellUniversit di Pavia, dal Politecnico di Milano, dalla Fondazione Berna-sconi e dal Centro di Cultura scientifica A. Volta di Como, Pavia-Como, 17-19 novembre 1994 (cfr.M. Porro, Simmetria e fantasia, dal caos all ordine, il manifesto, 17/11/1994); b) Ordine e ca-

    os, organizzato dal Goethe-Institute, Roma, 16-18 novembre 1994 (cfr. G. Ba., Il caos fa bene alcuore e alla mente, il manifesto, 18/11/1994).15 Basti, al riguardo, ricordare due testi: Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione, Milano,

    Feltrinelli, 1983; Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling & Kupfer, 1993.

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    dellAltro, si sono trasformati in situazione di guerra e sottomissione dellAltro. Gli antagonisminon si parlano, ma si scontrano violentemente; meglio: si parlano, attraverso lo scontroviolento.

    I mezzi della comunicazione (interculturale e policulturale) sono quelli che pi degli altripalesano tale evidenza. Si pensi agli scenari di guerra, di sofferenza e di morte (guerra delGolfo, guerre civili nellex Jugoslavia, in Somalia, in Ruanda e Burundi, morte per fame e

    denutrizione per milioni di esseri umani, crescita esponenziale della violenza omicida e anomicain tutti gli angoli del mondo, ecc.) che in questi ultimi anni, grazie alluso massivo e capillaredei media, sono entrati dolorosamente nel campo di esperienza di tutti, tracciando un crudele,se non sadico, spirito dei tempi.

    Un flusso comunicativo-simbolico tragico a sequenza illimitata parte da questi avvenimenti eirrompe nelle nostre coscienze, accerchiandole. Lorrore che ad essi si accompagna, con il suoletale deposito simbolico, invade il nostro vissuto personale, a misura in cui noi facciamoesperienza del medium che li diffonde e mette nel circuito della informazione e comunicazione.Eppure, proprio per lasetticit con cui il medium avvolge il messaggio, sono polarmentelontani e irraggiungibili dalla nostra responsabilit e dalla nostra esperienza diretta.

    Luso fondamentalista e, insieme, pervasivo del medium incute terrore nelle nostrecoscienze, gratificandole con forti dosi di deresponsabilit. Siamo posti cos vicini e, nel

    medesimo istante, talmente lontani dallAltro da non ritenerci affatto responsabili del suodestino.LAltro qui vive per noi solo come una doppia minaccia:

    a) ci inquieta, per la carica di alterit che connota la sua identit;b) ci terrorizza, per la fine cruenta che il destino gli ha assegnato.

    Siamo, perci, indotti a sentirci talmente vicini a lui, da rifuggirlo imperiosamente. Soltantomantenendolo lontano, potremo evitare di patire la sua stessa fine: cio, potremo continuare avivere. Non si tratta qui di staccarsi dallAltro; al contrario, dopo averne sentito e visto lagoniamortale, occorre decisamente e decisivamente evitare che lui ci raggiunga, ci tocchi con lasua sofferenza e con il carico dei suoi interrogativi. Ognuno si condanna e condanna lAltro arimanere nella posizione in cui gi collocato: qui il S e lAltro sono uniti solamentedallimpossibilit ad agire il cambiamento, pena il dolore, linfelicit o la morte addirittura.

    Il dolore e la morte si elevano qui a medium comunicativo supremo. Col che lapoliculturalit, anzich un agire comunicativo, mette in campo un agire emarginativo. Aquesto estremo limite spingono quei fondamentalismi che si nutrono materialmente esimbolicamente dellemarginazione dellAltro, vanificando tutte le occasioni di trasversalit epoliculturalit pure rese possibili dal tempo storico. In ballo non sono unicamente i

    fondamentalismi islamici, come i sistemi mediatici dei paesi avanzati amano accreditare. Leresponsabilit della civilt e delle culture occidentali sono, in proposito, rilevantissime.

    Lagire emarginativo obbedisce alla razionalit del dominio e della discriminazione; anchenel senso che finalizza lesercizio del potere e le sue condotte simboliche alla crescita dellediseguaglianze sociali. Le aree dellemarginazione, cos amplificate, vengono trattate con icodici culturali dello stigma e le strategie politiche della ghettizzazione sociale. Qui i fenomenidellesclusione sociale non solo vengono giustificati culturalmente e incoraggiati politicamente;ma divengono la base materiale delloppressione dei soggetti emarginati. Al punto che, nelcircuito culturale ufficiale, opzioni discriminatorie ed escludenti sono metabolizzate comecomportamenti normali. La risultanza pi inquietante sta proprio nellassunzione dellagireemarginativo come agire normale. I paradigmi della democrazia multiculturale, al pari del

    sogno americano del melting pot e di tutti i modelli di democrazia politica che abbiamofinora conosciuto, si rivelano un puro orpello formale, assolutamente incapaci di fare i conti coni montanti fenomeni di razzismo e xenofobia che dagli ani 90 hanno invaso il mondo16. Levarie operazioni di pulizia etnica in opera nel pianeta non sono che la punta di iceberg di unpi generale processo di accumulazione di forme ipermodernizzate di fascismo etnico che

    16 Sul punto, cfr. il contributo del sociologo francese M. Wiewiorka, Racisme et xnofobie in Euro-pe, Paris, La Decouverte, 1994. Che il razzismo costituisca uno dei problemi latenti delle democrazie

    avanzate, pronto ad esplodere ciclicamente, dimostrato da un libro di molti anni fa di C. Murray-R.Herrnstein (The Bell Curve) divenuto immediatamente un best-seller negli Usa, il cui obiettivo eradimostrare la base genetica dellinferiorit intellettuale e culturale dei neri rispetto ai bianchi(cfr. F. Tonello, Razze contro, il manifesto, 18/10/1994).

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    emarginatoria e discriminatoria viene mistificata come ineluttabile. a questo punto che lagireemarginativo corona il suo disegno strategico manipolatorio: porsi quale modalit esclusivadella relazione con lAltro e della relazione comunicativa tout court.

    2. Alfabetizzazione dellignoranza e agire identificativo

    Le condotte dellagire emarginativo hanno, dunque, processi retrostanti di formazione ealimentazione culturale. Ecco perch il pensiero critico e tutte le forme di espressione dellarteradicale hanno sferrato una critica acuminata alla cultura, ai suoi archetipi e ai suoi codici. Colche incrociamo un poco indagato paradosso: luso della cultura, per la contestazione dellacultura.

    La contestazione della cultura stato un tema forte di alcuni filoni dellIlluminismo, delleavanguardie artistiche nei primi decenni del Novecento, della teoria critica di matricefrancofortese, del situazionismo e del post-situazionismo, della macchina di sapere messa apunto da Foucault e, per avvicinarci ad alcune delle tonalit politiche pi caratteristiche delnostro passato prossimo, dei movimenti degli anni 60 e 70, con in testa il Maggio francese 19;tanto per fare solo qualche illuminante esempio.

    Negli anni 60 e 70, la contestazione della cultura a mezzo di cultura diviene, ben presto,

    precondizione (culturale) della stessa rivoluzione politica. Ma qui la rivoluzione culturale nonsoltanto un a priori ontologico ed epistemologico della rivoluzione politica; pi esattamente,la eccede. Il campo di incidenza di questi modelli culturali si allarga a tutto il pianeta: potevaessere diversamente nel villaggio globale? I temi della rivoluzione culturale dallambitoeuropeo e nordamericano si trasferiscono ai modelli della rivoluzione politica cinese,partorendo il modello della rivoluzione culturale proletaria.

    Non nostra intenzione entrare nel merito della massa dei fenomeni che abbiamostringatamente evocato che, tra laltro, mantengono tra di loro non trascurabili differenze.Vogliamo esclusivamente sottolineare quanto nella societ globale la circolazione dei discorsi ela messa in opera delle prassi avvenga in tempi iperveloci e su scale spaziali planetarie. Ci,ovviamente, non cancella e omologa le differenze; bens si nutre delle differenze, dirottandoleverso aree di senso sussunte sotto poteri sapienzali assai complessi e smisuratamente freddi.

    Dobbiamo prendere in considerazione una delle intenzionalit politiche pi significative dellacontestazione della cultura (a mezzo della cultura) dei movimenti degli anni 60 e 70:trasmettere cultura, per reintegrare nelluso della lingua e della parola chi ne escluso edemarginato20. Entra in gioco un tema tanto cruciale quanto delicato: quello del linguaggio e

    19 E. Morin (op. cit., pp. 227-233) inserisce questa magmatica successione fenomenologica in unatendenza profonda: la crisi della cultura colta, i cui elementi latenti rinviene nellepoca di LuigiXIV, da cui si avviano fino allesplosione del XVIII secolo, con il processo di liberazione della parolae/o della sovranit della parola. In questa prima fase, sostiene Morin, prende luogo un processodialettico, in virt del quale ci che originariamente marginale ruota sino a diventare centrale(culturalmente e politicamente). Senonch, continua Morin, il processo della dialettica culturalee/o della rotazione culturale subisce una dirompente cesura, a cavallo del XIX e XX secolo. La crisi

    della cultura colta diviene, da qui in avanti, crisi dellarte che, a sua volta, produce dei neo-modelli. Secondo Morin: La crisi comincia davvero quando viene a mancare il modello da sostituire,cio quando irrompe la prima ondata che non reca un contromodello, londata dada. La crisi dellartecomincia con Rimbaud e il surrealismo. Larte al di sopra della vita, regno magico e incantato, para-diso della cultura colta, appare come un universo artificiale e vano. Lestetica e la vita stessa pren-dono il sopravvento sullarte, nei punti in cui fermentano lavanguar-dia negatrice e la corrente con-troculturale. Si cerca lo stupore nel caso (surrealismo), nel quotidiano finora sordido, nel sottopro-dotto della cultura di massa (pop art). Anche qui, certamente, entrano in gioco i processi di recuperoche utilizzano la crisi per la rifertilizzazione del sistema: il cinema diventa la settima arte, il fumet-to, la nona. La nozione di arte si allarga. Lantioggetto diventa oggetto, come lantiletteratura di-venta letteratura (op. cit., pp. 228-229).

    20 Ecco come si esprime, in un famoso documento del giugno 1968, la Commissione Cultura e con-

    testazione dellUniversit di Nanterre: Nostro compito immediato ... aiutare i lavoratori ad usci-re dalle loro condizioni di esclusione dalla lingua, spezzare la repressione disumana che la mancatadisponibilit del discorso impone ai lavoratori (poich il linguaggio ci che tiene insiemelumanit), dimostrare che lesclusione dei lavoratori dal discorso ha le sue radici nella divisione tra

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    dellidentit. I fenomeni dellesclusione e dellemarginazione, prima ancora che essere causaliz-zati a dinamiche sociali e politiche, vengono ricondotti a motivazioni di ordine culturale.Lesclusione e lemarginazione sono ritenute dislocate al livello primario dellinibizione alla lin-gua e lidentit emarginata che consegue a tale interdizione si palesa come identit a cui, conla lingua, sottratta la parola. La contestazione della cultura si pone lobiettivo dichiarato diincludere nella lingua, per restituire alla parola i soggetti emarginati. Da qui lintenso, vario e

    non-conformista uso che i movimenti fanno, soprattutto per opera delle ali cosiddette creati-ve, di tutti gli strumenti culturali, artistici e comunicativi che la societ globale mette a lorodisposizione. Le universit critiche e/o alternative, i controcorsi nelle loro varie forme diespressione (da Berkeley a Berlino, da Nanterre a Trento), procedono alla messa in forma diun vero e proprio processo di culturizzazione, avente espliciti obiettivi di contestazione sociale.Meglio: mettono al centro dei processi di culturizzazione i soggetti sociali culturalmente emar-ginati, non solo e non tanto per stimolarli o recuperarli allazione, quanto per porli nelle condi-zioni di costruire in autonomia e in libert la loro identit e la loro azione.

    Cos stando le cose, non si assiste ad un mero progetto di recupero e integrazione delle-marginazione culturale e dellesclusione sociale; bens ad una rottura del totalizzante e soffo-cante ordine del discorso culturale dominante, scardinato per linee interne dallirruzione disoggetti, tattiche, strategie e progetti in posizione di alterit rispetto alle codificazioni esistenti.

    Ecco perch i processi e i progetti della critica della multiversit e dellapresa di parola sono trai fuochi interni pi vitali dei movimenti del 68 in America e in Europa.Da essi dobbiamo ripartire, rianalizzandone in breve le attribuzioni di senso pi prossime al

    campo dei significati oggetto della nostra ricerca. In prima istanza, isoleremo i loro punti forti;successivamente, cercheremo di individuare i loro limiti.

    Tattica e strategia della critica della multiversit partono da un convincimento base: lalie-nazione (degli studenti) non trova il suo punto di ancoraggio in processi socio-economici, bensha come sua molla motivazionale centrale ilprocesso educativo21. Il fatto che lalienazione una componente essenziale ed insostituibile di qualunque processo educativo che, attraverso ladevitalizzazione delle coscienze, esiste in funzione della manipolazione dei fatti, per puri fini didominio e controllo. Ci individuato con estrema chiarezza da S. Golin, giovane studente del-la Brandeis:

    Fino al momento della laurea noi siamo edotti di una serie di fatti separati dal lo-ro significato... Nessuna meraviglia quindi che i nostri corsi, salvo poche eccezioni,ci appaiano insignificanti per la nostra vita. Nessuna meraviglia che siano cos noio-si. La noia condizione necessaria per ogni tipo di educazione che miri alla manipo-

    le classi... Trasmettere cultura non significa riprodurre la rigidezza dei rapporti pedagogici tradizio-nali, ma piuttosto avviare un lavoro comune reale e concreto che rende tale trasmissione possibile edefficace. (cit. da P. Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Roma, EditoriRiuniti, 1988, p. 299).

    21 Il tema svolto con impegno e acume da C. Davidson, Tattica e strategia nella multiversit,Bari, De Donato, 1969, pp. 11-29. In particolare, merita di essere riportato un lungo brano della let-

    tera di una studentessa al New York Times del 29/11/1964: Sono arrivata a questa scuola pensan-do che non ce lavrei fatta. Sbagliavo. Ce la faccio. Posso perfino piazzarmi tra i primi. La mia tabel-la di marcia giornaliera dura. Mi alzo alle 6,30... Dopo cena lavoro fino a mezzanotte e mezzo. Inprincipio, pi o meno alle prime settimane, sto bene. Poi comincio a chiedermi che significato abbiatutto questo: mi sto educando? La risposta ce lho... Mi sto educando come loro vogliono. Cos miconvinco che lunico motivo per cui sto facendo tutto questo di prepararmi; e contemporaneamen-te mi accorgo di buttare via questi anni di preparazione. Non sto imparando quello che voglio impa-rare... Non mi importa niente del sistema feudale. Io voglio sapere della vita. Voglio pensare e legge-re. Ma quando?... La mia vita un turbine, da cui vengo travolta, senza esserne cosciente. Io sonoquello che voi chiamate vitale, ma, non so come, io non vi trovo nulla di vitale... Cos posso prendereun 30... ma quando ci ritorno sopra scopro che questo 30 non significa niente. un numero che voiusate per farmi andare avanti... Mi chiedo che cosa io stia facendo qui. Mi sento contraffatta; io non

    mi appartengo... Vi chiedete le ragioni della delinquenza minorile. Se ne far parte, vi dir perch successo. Mi sento chiusa in una bara e non posso muovermi e neppure respirare. La mia vita non valenulla. Si svolge racchiusa in alcune costruzioni di un campus; ma non va pi in l. Ho deciso di ribel-larmi (cit. da C. Davidson, op. cit., pp. 14-15).

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    lazione dei fatti, astraendoli dal loro significato22.

    Il processo educativo devia e, quindi, concentra una quantit crescente di attenzione, in-formazione e saperi su temi e problemi che nella realt vanno costantemente perdendo di rile-vanza23, per cui finisce con lincuneare delle profonde cesure tra i processi acquisitivi di cono-scenza e la vita reale, tra il soggetto/oggetto del processo educativo e la realt. Ora, quanto

    pi tale modello di educazione/formazione si massifica, tanto pi le coscienze sono investite daun processo di depauperizzazione cognitiva e la manipolazione dei dati reali si va progressiva-mente approfondendo ed estendendo. Con lavvento della cultura di massa e le ibridazionitriangolari da essa inverate con la cultura umanistica e la cultura scientifica, il fenomenodellalienazione culturale si stratifica in maniera diffusiva nellordito di tutte le relazioni sociali.Inoltre, quanto pi si intensifica lalienazione culturale, tanto pi si dilata lalienazione linguisti-ca: il soggetto del processo educativo viene gettato in un campo relazionale e comunicativo, incui stenta a procurarsi le parole attraverso le quali dire e rappresentare la propria mutilazioneidentificativa, smarrendo progressivamente se stesso.

    Il senso delle biografie personali si va rivelando in tutta la sua indigenza, sotto limperio dicodici di dispotismo culturale e sociale che trasformano i processi di educazione in industria delsapere, finalizzata, come ogni industria che si rispetti, allaccumulazione di potere e profitto

    per ristrette lites. In virt di tali meccanismi, istanze di pianificazione economica, programmidi sviluppo tecno-scientifico, strategie di controllo politico si saldano in un congegno unitario,solcato da una rete di articolazioni funzionali: la multiversit. Alla multiversit sonoriconducibili tutte le prestazioni imputate al sistema universitario che, dagli anni 50 e 60,vanno creando nuove professioni intellettuali: assistenti e tecnici di ricerca, consulentiindustriali, impiegati per lamministrazione, dirigenti per i progetti di ricerca, ecc. Per rendersiconto della rilevanza del fenomeno, basti pensare che, negli Usa, gi nel 1959 ben il 20% dellavoro di Ricerca & Sviluppo avviene direttamente nelle universit24. Nessuna meraviglia,dunque, se, su questa base: ... la multiversit diventa lavanguardia dello status quo, chiaveper introdurre senza scosse un Nuovo Ordine alla 198425.

    La multiversit del dispositivo di comando saldamente intrecciata allunidimensionalit delflusso comunicazionale e dei suoi imperativi culturali. Giustappunto, la compenetrazione tra la

    multiversit del contesto e lunidimensionalit del messaggio costituisce, come per primo haintuito Herbert Marcuse26, la sostanza letale delle tecnologie del controllo repressivo nellesociet avanzate. Il contenuto unidimensionale dei processi educativi della multiversit presto detto: alfabetizzare lignoranza. Prende lena da qui un immane processo diacculturazione delladattamento acritico allo status quo che, per questa via, intenderebberisolvere alla radice il problema e la sussistenza stessa dellemarginazione e dellesclusionesociale27.

    La critica della dimensione culturale dei processi di alienazione, attraverso i controcorsi ele universit alternative, riverbera tre importanti conseguenze:

    a) la fondazione culturale della mobilitazione politica;b) la connessione indissociabile tra attivit di ricerca teorica e azione politica;c) lautorganizzazione delle risorse culturali e politiche, allinterno di un progetto e di

    una prassi di cambiamento radicale della societ e della vita degli esseri umani.Tutti e tre questi processi fanno intersezione tra di loro e danno luogo ad una vera e propria

    efflorescenza di iniziative culturali dal basso che, di volta in volta, anticipano, direzionano,seguono o sono influenzate dalla mobilitazione collettiva.

    La ricomposizione del momento politico col momento culturale, della dimensione della teo-ria con quella della prassi costituisce:

    a) a confutazione conseguente della multiversit strumentale del sistema universitario,

    22 S. Golin, in New Left Notes, 7/10/1966; cit da C. Davidson, op. cit., p. 17; corsivo nostro.23 Cfr. C. Davidson, op. cit., p. 17 ss.24 Inchiesta della Monthly Rewiew, luglio-agosto 1959; cit. da C. Davidson, op. cit., p. 34.25 C. Davidson, op. cit., p. 35.26

    H. Marcuse, Luomo a una dimensione. Lideologia della societ industriale avanzata, Torino,Einaudi, 1967.27 Ma proprio qui, si sostiene, sta il punto debole della multiversit: ... tutti i tentativi per inse-

    gnare lignoranza al posto della conoscenza sono finiti male (C. Davidson, op. cit., p. 47).

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    quale perno dellalfabetizzazione dellignoranza e della docilizzazione conformisticadelle intelligenze;

    b) la base di sviluppo di un fenomeno ancora pi esplosivo: la presa di parola28 dei sog-getti per linnanzi esclusi ed emarginati dal circuito della comunicazione politica edellespressione culturale29.

    Intendiamo i processi di presa di parola, affermati dai movimenti degli anni 60, come una

    componente di senso strategica che attraversa tutte le modalit dessere e di espressionedella mobilitazione collettiva di quegli anni; non unicamente il campo circoscritto e limitato del-le strategie, dei mezzi e delle attivit di comunicazione in senso stretto. Con la presa di parola,non si passa semplicemente da una posizione storica di invisibilit ad una, invece, di visibilit;da una situazione di non-comunicazione e incomunicabilit ad unaltra di comunicazione e co-municativit, acquisendo padronanza e rielaborando le tecnologie della comunicazione sociale.Pi esattamente, la presa di parola indicativa della tensione ad afferrare i rivoli sparsi delleidentit collettive e di quelle singole, riconoscendo lAltro come identit differente e il S comeidentit propria; identit entrambe da verificare, ricostruire e rimettere in dialogo in perma-nenza. Riaccedere alla lingua e alla parola significa poter finalmente riscoprirsi liberi, costruiree riconoscere in autonomia la propria e laltrui libert. Pensarsi, sapersi e costruirsi in libertsono i tre fuochi di una nuova modalit dellagire: lagire identificativo.

    La presa di parola affranca dalla condizione di emarginazione culturale ed esclusione socialee, nel contempo, situaziona nel vivo del flusso delle relazioni sociali, l dove esse erompono eribollono. Non soltanto si d il distanziamento critico dai selettori dellagire emarginativo; matrova anche puntuale demistificazione la razionalit dellagire comunicativo30 che postula unariappropriazione/reinvenzione del linguaggio e della dialogica interumana, senza andare ad in-

    28 Come correttamente informa P. Ortoleva (op. cit., p. 216, nota n. 3), la formulazione della ca-

    tegoria si deve a M. de Certeau, La prise de la parole, Paris, Descle de Brouwer, 1968. Ortoleva, delpari, rinvia ad un altro importante testo di quegli anni: G. Lantieri Laura-M. Tardy, La rvolution -tudiant comme discours, Communications, n. 12, 1968; va ricordato che lappena menzionato n.12/1968 di Communications monografico sul tema: Mai 68. La prise de la parole. Si riferisceallopera di de Certeau menzionata anche E. Morin, op. cit., pp. 212-213; ma qui, dellAutore in que-stione, viene considerato lapproccio esistenzialista alla cultura. Un riferimento allopera di deCerteau , infine, reperibile anche in B. Bongiovanni, Attraverso le interpretazioni del maggio fran-cese, in A. Agosti-Luisa Passerini-N. Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del 68, Milano, Ange-li, 1991, pp. 103-123; si tratta degli Atti del Convegno di studi (Universit e societ italiana. Leculture e i luoghi del 68), organizzato nel novembre del 1988 dal Dipartimento di StoriadellUniversit di Torino.Nel nostro lavoro, anzich di presa della parola, abbiamo preferito parla-re di presa di parola che ci sembra proponga unaccezione della categoria pi dinamica e menocondizionata da concettualizzazioni di tipo dogmatico-universalistico. Diciamo ci per un ulteriore, enon secondario, ordine di motivazioni: riteniamo che non sia possibile prendere la parola, afferrar-la sino a divenirne il demiurgo; piuttosto, se ne pu fare impiego, ritrovandola, reinventandola erigettandosi nel vortice degli eventi reali, delle passioni e dei sentimenti. Se questo risponde al vero,non si d presa della parola, anche per la decisiva circostanza che la parola stessa prende; o, me-

    glio: la parola (anche) presa di vita reale.29 Non sono, questi, fenomeni esclusivi dei movimenti degli anni 60 e 70; anzi, si rivelano comeuna delle costanti storiche delle pi grandi mobilitazioni politiche dalla fine del Settecento in avanti.Nota con acume il fenomeno P. Ortoleva: Nel corso della rivoluzione francese, nel 48, nella Comu-ne, nel Biennio rosso, i momenti alti della partecipazione di massa al processo insurrezionale eranosempre stati accompagnati da uno straordinario intensificarsi della circolazione di giornali, opuscoli,appelli, e dalla creazione di sedi di dibattito in cui venivano affrontati, insieme, i problemi immedia-ti dellazione politica e le grandi questioni della societ presente e futura. Lingresso nella sfera pub-blica di strati che ne erano stati in precedenza esclusi, in tutte queste occasioni, si accompagnallimpetuoso incremento della comunicazione politica: frutto di una presa della parola da parte diquegli stessi strati, e ancor pi da parte degli intellettuali (generalmente marginali anchessi) chese ne facevano portavoce (op. cit., p. 83).

    30

    La costruzione teorica dei paradigmi dellagire comunicativo, come noto, si deve a J. Ha-bermas, Teoria dellagire comunicativo, 2 voll., Bologna, Il Mulino, 1986. Senza nulla togliereallimportanza e al rigore del discorso teorico di Habermas, proponiamo implicitamente un diversoimpiego concettuale della categoria, articolando, inoltre, alcune esplicite linee di critica.

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    cidere criticamente nel cuore infetto di quei processi culturali di alienazione che incubano e-marginazione ed esclusione, limitandosi alla critica della razionalit strumentale e della ra-gione sistemico-funzionale.

    Lagire identificativo insedia tre vettori direzionali, i quali integrano unarea di senso cos ar-ticolata:

    a) il campo dellautoidentificazione;

    b) il campo dellidentificazione dellAltro;c) il campo dellidentificazione da parte dellAltro.

    Larea di senso cos delimitata non disloca soltanto problemi comunicativi.Anzi:

    a) nel loro atto sorgivo: i problemi della comunicazione si costituiscono come problemidi identificazione;

    b) nel loro farsi e operare: i flussi comunicazionali si danno sempre tra identit in auto-costruzione e in metamorfosi; nel duplice senso che si rimodella e va costantementeripensato non solo il rapporto con lAltro e laltrui identit, ma anche e soprattuttocon il S e lidentit propria.

    Il problema dellidentit, dunque, si pone come questione prioritaria. In questo senso,lagire identificativo precede ed eccede lagire comunicativo. O, per meglio dire: la comunica-

    zione relazione dell/allidentit, nel triplice percorso del S verso stesso, del S verso lAltro edellAltro verso il S. Forme e modi del comunicare rinviano sempre ad un che di precostituito,in via di costituzione e/o di ridefinizione costante: i processi di formazione e variazionedellidentit. Locclusione e/o la repressione delle condotte di formazione ed espressionedellidentit ostruiscono i canali di espressione della comunicazione, sino a porli in uno stato dieterodirezione culturale, politica e sociale. Libert del comunicare prima di tutto libert delleidentit in comunicazione o che, pi esattamente, si vanno cercando nel campo identificativoprima ancora che in quello comunicativo. Il controllo della comunicazione ci che registriamoa valle di un processo iniziato a monte, come controllo dellidentit. Ecco perch le ricerche de-cennali di Foucault sulle tecnologie di controllo e repressione della soggettivit acquisisconouna particolare rilevanza31. Non a caso, Foucault tra i primi (e tra i pochi) a individuare che ilproblema dellidentit la questione politica centrale sollevata dalle lotte studentesche degli

    anni 6032

    .3. Dialogica della memoria e dellidentit

    Dopo aver circoscritto sinteticamente il territorio di senso positivo delimitato dai movimentidel 68, dobbiamo individuarne i limiti; beninteso, continuando a rimanere ancorati al campo

    31 Sul punto, cfr. A. Petrillo, Critica della verite ricerca della vita in Michel Foucault. Que-stioni di metodo, Societ e conflitto, n. 7/8, 1993; ora raccolto in Saperi a confronto. TalcottParsons e Michel Foucault, Avellino, Associazione Culturale Relazioni, 1995.

    32 Laffermazione di una identit stata la grande questione politica messa in evidenza daglistudenti a partire dagli 60. Penso che, dopo gli anni 60, la soggettivit, lidentit, lindividualit

    costituiscano un problema politico di primo piano. pericoloso, secondo me, considerare lidentit ela soggettivit come componenti profonde e naturali, non determinate da fattori politici e sociali.Dobbiamo liberarci del tipo di soggettivit di cui trattano gli psicanalisti. Siamo prigionieri di una cer-ta idea di noi stessi e del nostro comportamento. Dobbiamo cambiare la nostra soggettivit, il rap-porto che abbiamo con noi stessi (M. Foucault, Il potere della finzione, il manifesto, 5/10/1994).Si tratta di una intervista rilasciata da Foucault alla rivista americana The Three Penny Rewiew nel1980, ora ripubblicata in Dits et crits 1954-1988 (a cura di D. Defert-F. Edwald), Paris, Gallimard,1994, su cui stata condotta la trad. italiana proposta da il manifesto (presumibilmente di AnnaMaria Merlo). Lopera raccoglie tutti gli articoli e le interviste di Foucault comparsi su giornali fran-cesi e stranieri, nonch interventi di varia natura, per un complessivo di 365 testi organizzati in se-quenza cronologica. Linsieme di questi scritti foucaultiani articolato in quattro volumi: a) I volu-me: 1954-1969, pp. 860; b) II volume: 1970-1975, pp. 846; c) III volume: 1976-1979, 846 pp.; d) IV vo-

    lume: 1980-1988, pp. 904. Resta da dire che, in appendice ai testi di Foucault, J. Lagrange cura labibliografia completa di tutta lopera di Foucault. Per tutte queste informazioni e altro ancora, sirinvia ad Anna Maria Merlo, Lordine del discorso in presa diretta, il manifesto, 5/10/1994. Feltri-nelli, dal 1996 ha tradotto in tre volumi questa opera foucaultiana con il titolo "Archivio Foucault".

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    investigativo che ci siamo riproposti di scandagliare33.La contestazione della cultura a mezzo della cultura, proprio nel suo insopprimibile tendere

    verso una permanente rivoluzione culturale, d luogo a neomodelli culturali, nella forma di contromodelli: le universit alternative e i controcorsi non sono che alcune delle formeperspicue, cos, elaborate. Pi in generale ancora, il neomodello culturale, instaurando unarelazione di antagonismo nei confronti della cultura accademica, va cristallizzandosi in un

    movimento di controcultura che , insieme, confutazione radicale della cultura ufficiale e suoricambio potenziale in atto. Da questo lato, la controcultura molto di pi che un semplicetroncone interno ai movimenti studenteschi34.

    Ma i neomodelli culturali rivoluzionari:a) talora in maniera coerente e altre in modo controintenzionale, sono attraversati da

    tensioni universalizzanti e centralistiche, al pari dei modelli culturali vigenti;b) sono fisiologicamente governati da una relazione schizofrenica di amore/odio verso la

    cultura35;c) oscillano nel situare la cultura ora in funzione di servizio della politica rivoluziona-

    ria, ora nella posizione di determinante centrale della prassi rivoluzionaria;d) pendono ora verso i modelli della cultura alta (il momento della ricerca teorica),

    ora verso quelli della cultura popolare (il momento della mobilitazione e della pro-

    paganda).Le aporie interne appena segnalate discendono da alcuni vizi strutturali:a) un modello statico di rivoluzione culturale;b) unepistemologia ristretta di critica culturale;c) una nozione monca dellagire.

    Vediamo meglio, con ordine.Il modello di rivoluzione culturale configurato e messo in prassi si risolve in una rotazione

    semplice: nel senso che tende a rimpiazzare integralmente quello ufficiale, attraverso slitta-menti critico-surrogatori. La rotazione culturale descrive un movimento da polo a polo, e-saurendo in ci le sue funzioni. Le culture per linnanzi emarginate ambiscono, in tal modo, astabilizzarsi, occupando il centro della scena comunicativa e del teatro culturale. La rivolu-zione culturale qui si specifica, per lappunto, come rotazione dal polo dellemarginazione al

    polo dellinclusione. Emerge, a questaltezza, un doppio limite:a) la rivoluzione culturale si traduce in una mera inversione di posizione e di segno trapolarit dellemarginazione e polarit dellintegrazione;

    b) il movimento di rivoluzione culturale, cos, codificato si ipostatizza come termine fi-nale della rivoluzione: o, meglio, come ultima rivoluzione necessaria e possibile.

    In tutti e due i casi, in maniera tanto coerente quanto controintenzionale, la rivoluzioneculturale si svela come un movimento finalistico-salvifico teso insopprimibilmente alla cancel-lazione della rivoluzione dallordine del giorno del calendario politico e dellimmaginario simbo-lico-culturale. Il corollario pi in vista (e pi esiziale) di un esito siffatto , cos, riassumibile: ilpotere rivoluzionario (della politica e della cultura rivoluzionarie) non abbisogna (pi) di rivolu-zione alcuna. Statica della rivoluzione e dinamica della storia e della vita degli esseri viventi fi-

    33 Per una discussione pi generale del campo positivo e di quello negativo dei movimenti degli

    anni 60 e 70, con specifico riferimento al caso italiano, si rinvia ad A. Chiocchi, Movimenti. Profi-li culturali e politici della conflittualit sociale in Italia negli anni '60 e '70, Mercogliano (Av), Qua-derni di "Societ e conflitto", n. 9, 1996.

    34 In tema di controcultura, il testo pi significativo rimane T. Roszak, Nascita di una controcul-tura, Milano, Feltrinelli, 1969. Sullargomento, spunti interessanti si trovano anche in P. Ortoleva,Sui movimenti del 1968..., cit.;

    35 Questa contraddizione, non adeguatamente avvertita e padroneggiata dai movimenti, magi-stralmente descritta da E. Morin: uno sbalorditivo connubio (vissuto del resto permanentementedallautore di queste righe) tra lodio della cultura, nel senso in cui questa inversione della vita,e lamore della cultura, nel senso in cui questa non solo quintessenzialit e concentrazione dellavita, ma sembra possedere la forza di cambiare la vita, almeno nellimma-ginario... proprio nel

    Maggio del 1968 che si coniugano tutti gli assalti culturali-anticulturali, laggressivit estetica controlarte e laggressivit etica contro la cultura. Da una parte questa rivolta assume un aspetto ideologi-co ben noto; dallaltra un aspetto esistenziale di rivoluzione culturale (op. cit., pp. 230-231; corsivinostri).

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    dassalto dallAltro. I conflitti di identit, in tal modo, operano una secessione dalle sfere delladialogica, allocandosi in quelle della competizione concorrenziale per il potere (interno o ester-no che sia). Tutti i conflitti di identit non risolti, originatisi ed esplosi rovinosamente entro ilseno delle varie componenti dei movimenti studenteschi e tra questi e gli altri movimenti e leistituzioni partono da qui.

    Il depotenziamento della dimensione poietica causa di un rapporto indigente tra reale edimmaginario, anche per la decisiva circostanza che limmaginario della rivoluzione fattasi re-alt che infeuda sotto di s limmaginario individuale e collettivo tout court. Ora, la prevalenzatitanica dellimmaginario rivoluzionario non che la faccia speculare dei fenomeni di derealiz-zazione e culturalizzazione della societ affermatisi su scala allargata, a partire dagli anni 50 e

    60, con lirrompere della crisi di tutti e tre i tipi fondamentali di cultura (cultura umanistica,cultura scientifica e cultura di massa) e delle ibridazioni a cui essi avevano dato luogo 37. GiDebord e i situazionisti, sulla base della geniale analisi marxiana del carattere di feticcio dellamerce38, avevano colto le tendenze alla spettacolarizzazione immanenti nei processi di cosifi-cazione propri alle societ superaccumulate: la societ dello spettacolo, da questo lato, non che lincubazione esemplare dellintegrale mercificazione e derealizzazione dellhabitat della vi-ta sociale e relazionale.

    Siffatti processi, negli ultimi decenni del Novecento, a fronte della planetarizzazione degli

    stili di vita, dei costumi e dei consumi e della mondializzazione della produzione, dellinfor-mazione e comunicazione, sono letteralmente esplosi, accentuando vertiginosamente i feno-meni di implosione delle coscienze e delle intelligenze. In tutto ci un ruolo rilevante giocatodalla pubblicit39, soprattutto quella visiva, che si rivela un formidabile veicolo di raccolta di

    37 Per unanalisi circonstanziata ed acuta del processo, cfr. M. Perniola, Simulacri del potere e po-tere dei simulacri, in La societ dei simulacri, Bologna, Cappelli, 1983, pp. 7-16; si tratta della Re-lazione letta al Convegno Pratiche dellimmaginario, pratiche del reale, Mantova, 21/10/1978.

    38 Cfr. G. Debord, La societ dello spettacolo, Firenze, Vallecchi, 1979. Le migliori analisi di Marxsullargomento sono reperibili nei seguenti testi: Il Capitale,Libro I, Torino, Einaudi, 1975; Mano-scritti economico-filosofici del 44, in Opere filosofiche giovanili (a cura di G. Della Volpe), Roma,Editori Riuniti, 1968.

    39 Illuminanti, al riguardo, le affermazioni di G. Malgara, gran signore della pubblicit italiana amet degli anni '90 (presidente di Upa, Auditel e Audipress), il quale, in un intervista a Prima co-municazione del mese di ottobre del 1994, individua con candore i mercati tendenzialmente stra-tegici della pubblicit: Primo, tempo libero e turismo. Il 70% del mercato mondiale del turismo costituito da giovani al di sotto dei 25 anni, che si muovono in modo pazzesco. E qui, in questo motovorticoso dei giovani, sta una delle cause della mondializzazione dei marchi. Vanno in Russia? Voglio-no la Coca Cola anche in Cina, i McDonald anche a Mosca, lHaagen Dazs anche in Italia. Secondomercato: istruzione. Listruzione diventata un bene prezioso, la via del futuro. E si comincia aspendere in istruzione. Al Mit o alla Harvard Business School non vanno pi soltanto i figli delle grandifamiglie e degli industriali. Pu essere un obiettivo, unambizione per tutti. Esagero, ma mi serve perspiegare il fenomeno. Istruzione: un mercato immenso fatto di lingue, specializzazioni, formazioniinterdisciplinari, ritorno alluniversit per crescere intellettualmente e per rigenerare la propria cul-

    tura, tecniche di apprendimento e nuove tecnologie connesse, letture, documentazioni. Nuovo mer-cato, mercato gigantesco, senza limiti o confini. E ancora nuovo denaro. E poi il terzo mercato didomani: la salute. Un mercato di dimensioni enormi che noi abbiamo affrontato in modo sempre pas-sivo. La salute era un bene che nei mercati del passato era presa in considerazione fino a una certaspesa. Al di l di quella non ci si poteva curare, si moriva. Mancavano le strutture, mancava il valoreattribuito alla parte finale della vita. Roba inutile, inutile spenderci. Fine. Mancavano i soldi per co-struire il mercato della salute. Cera Lourdes ma non cera il mercato, se mi passa questa immagineun po tosta ma efficace. Ora i soldi per la salute si trovano, si mettono da parte. Si fanno le assicu-razioni... Diciamo che nel mondo della salute abbiamo vissuto per anni di illusioni, ora possiamo evogliamo avere certezze. Le illusioni costavano niente, le certezze costano, e molto. Ecco un altromercato gigantesco. E poi il quarto mercato del futuro, ma che gi dietro langolo: la vecchiaia.Cos stato fino ad oggi il vecchio in Italia? Una panchina al parco con prati mortaccini e spelati,

    cappello di paglia, pantofole, giornale. Una cosa molto triste. Invece oggi al vecchio dobbiamo dareassistenza medica, psicologica, vacanze e, se possibile, un reinserimento in qualche nicchia lavorati-va. E questo costa denaro. E chi lo paga? Certamente non il sistema, che mette a disposizione lestrutture che, per, vanno pagate. Un altro mercato gigantesco, con connotati anchesso mondiali

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    profitti e di consenso ideologico-culturale.La mercificazione globale con cui conviviamo e che subiamo qualche cosa di pi e di diver-

    so dalla societ dello spettacolo che pure lha partorita, a partire dalletica cinico-amorale chesecerne in ogni istante/luogo, coscienza/intelligenza aggrediti dalla sua invasivit e pervasivi-t40.

    Limmaginario della rivoluzione non fa che offrire un contesto di significati altrettanto derea-

    lizzati e derealizzanti. Se vero che la cifra del 68, da questa angolazione di osservazione, sigioca prevalentemente sullimmaginario41, altrettanto rispondente al vero che limmaginariodel 68 ha un contrassegno altamente reificante: non tanto perch impoverisce e appiattisce leproprie virtualit pi ricche di senso, ma soprattutto poich rimane prigioniero, suo malgrado,dei contesti di derealizzazione e culturalizzazione sociale che, pure, intende fieramente com-battere.

    Lapparato delle strutture di senso del 68, giusto perch mutilato del dispiegamento delproprio potenziale poietico, nella generale derealizzazione della societ tenta di conficcarelimmaginario della rivoluzione ridotta ad immagine. I moduli culturali della rivoluzione imma-ginata, in tal modo, ritengono di poter venire a capo della realt alienata, prendendo su di essail sopravvento. Qui, allo stesso modo con cui la poesia (da dada in avanti) si va pensando co-meprassi, la rivoluzione immaginata si pensa come realt42.

    Entro lambito della rivoluzione culturale, il rapporto di congruit tra politica e realt saltadallinterno, poich la relazione cultura/immaginario che si frange; fino a dimidiarsi, nella so-ciet del segno e del simbolo, dando luogo alla prevalenza dellimmaginario sulla cultura. Nondiversamente, ma secondo genealogie e metamorfosi di senso speculari, accade allinterno delcampo della cultura ufficiale e delle istituzioni cui essa imputata. Con la prevalenzadellimmagine sulla cultura, viene positivamente messa in crisi la funzione rivoluzionariadellavanguardia (politica e culturale). Non essendo pi imputata di alcuna funzione culturale,ma avendo da svolgere un mero ruolo di immagine, lavanguardia, in quanto tale, vede franare

    (cit. da S. Menichini, Vecchi e malati, mercato del futuro, il manifesto, 25/10/1994). Come dire:prima si produce alienazione, malattia ed emarginazione; dopo si lucra su alienazione, malattia edemarginazione. Il cerchio si chiude con assoluta precisione.

    40 Puntuali e attuali osservazioni sullargomento si trovano in M. Beaud, Il mondo si ribalta. Capi-talismo senza alternative, mercificazione senza limiti, Le Monde diplomatique/il manifesto, n. 6,ottobre 1994, pp. 14-15. Riportiamo alcuni passaggi dellarticolo: Saranno mercificati - e gi hannocominciato ad esserlo - tutti i momenti della vita umana, tutte le funzioni della societ e, in misurasempre maggiore, tutte le dimensioni di una Terra ridotta ad essere ormai soltanto lambiente di vitadella specie umana. In sintesi, la mercificazione delluomo, delle societ e della Terra stessa... Ladinamica principale del nostro tempo lestendersi dei rapporti mercantili e capitalistici a quasi tut-ti i campi: dal sostentamento al benessere delle persone allandamento delle imprese e delle orga-nizzazioni, dal funzionamento dei sistemi di informazione e di decisione alla gestione delle attivitpolitiche, dei sistemi sociali, dellambiente e della Terra stessa... Il suo terreno di coltura la gene-ralizzazione della merce: la mercificazione delluomo (sanit, commercio del sangue, degli organi,della procreazione, con la prospettiva della gestione genetica della sua intera esistenza), delle fun-

    zioni sociali (istruzione e formazione, conoscenza e gestione dellopinione pubblica e in prospettivadelle decisioni politiche, delle tensioni e dei conflitti), delle attivit umane superiori (ricerca scienti-fica, elaborazione delle conoscenze, delle opere intellettuali e artistiche e in futuro la gestione deiprincpi e dei valori), rapporto con la natura (misure anti-inquinamento, produzione e urbanistica noninquinanti e domani la gestione del pianeta) ecc. ... Tenuto conto delle caratteristiche della mercegeneralizzata, trovarsi in una posizione di punta di questo capitalismo significa essere padroni dellenuove conquiste tecnologiche: linformazione (con la gestione dei sistemi complessi), la teletrasmis-sione (con le nuove prospettive della digitalizzazione), le biotecnologie (con le cartografie e le tera-pie genetiche): tutte tecnologie che, per numerose applicazioni, si collegano o si associano tra di lo-ro (p. 14). Le dichiarazioni prima riportate di Malgara, nel quadro appena tracciato, si rivelano esse-re semplicemente realistiche e confermano la spietata analisi di Beaud: il trionfo della merce glo-bale conduce allepoca dellirresponsabilit illimitata, in cui tutto deciso dalle regole del merca-

    to e dalle logiche interne ai flussi monetari-finanziari (p. 15).41 M. Perniola, op. cit., pp. 8-9.42 In questa direzione, gi M. Perniola, op. cit.; ma non sempre, qui e in seguito, il filo delle no-

    stre analisi e delle nostre conclusioni converge con quello di Perniola.

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    sotto i suoi piedi la base di esistenza. Pertanto:a) o si costringe alla dissolvenza nella prassi e/o nellimmediato;b) oppure riproduce tutti gli arcaicismi politici e culturali delle proprie funzioni esterne di

    comando.Cos, la fine dellepoca del dominio del reale sullimmaginario non diventa, come pure era

    largamente possibile, loccasione per una messa a punto di una relazione poietica pi stringen-

    te tra reale ed immaginario, tra teoria e prassi, tra cultura e politica, tra critica e rivoluzione.Resta senza soluzioni allaltezza un altro e ben pi dirompente problema storico: il tramontoirreversibile del monopolio del politico sul reale e sulla societ. A fronte della sovversione sto-rica del flusso relazionale tra reale e immaginario, tra politica e cultura e politica e societ, lapolitica e la rivoluzione, le culture e le prassi della rivoluzione andavano non semplicementepensate e immaginate su se stesse, ma ricostruite, partendo e ripartendo da altro e da altrove:il potenziale di senso di libert e di liberazione di cui storia e soggetti sociali erano i contraddit-tori depositari e portatori.

    Le domande di libert e di liberazione inoltrate dal tempo storico, dalla situazione epocale,dalle identit singole e collettive, dai soggetti sociali non trovano una puntuale recezione. Unasorta di strabismo culturale ed epistemologico le accoglie, curvandole verso il passato e inchio-dandole al presente, nel momento stesso in cui le si proietta verso un futuro derealizzato che,

    pi che essere il frutto di unimmagine viva e di un immaginario ardente, la proiezione deidesideri e dei sogni del passato. Non che il presente e il futuro debbano rimanere orfani deisogni e dei desideri del passato; al contrario. Ma desideri, sogni, pulsioni e tensioni utopichedel passato possono essere recuperati solo a partire dalla capacit di desiderare, sognare e co-struire il presente verso il futuro. sempre e solo un presente diverso e radicalmente trasfor-mato che pu recuperare il passato, rilanciarlo e vivificarlo sullasse del futuro; solo e sempreun presente aperto al suo futuro (cio: radicalmente altro dal passato) che pu catturare erielaborare il suo passato.

    La mutilazione dellagire poietico, a quest approdo, si rivela essere una cesura irrimediabilee fatale delle complesse relazioni di continuit/discontinuit dello spazio e del tempo, delle ca-tegorie della metamorfosi storica, della genealogia delle culture, della disseminazione dellasoggettivit sociale. Il campo di ogni condotta umana, di ogni determinazione storica, di ogni

    istanza politica e di ogni attribuzione culturale sempre insieme:a) un continuo di discontinuit;b) un discontinuo di continuit.

    Le rotture pi radicali sono quelle che sanno reinterrogare la storia e il passato; soprattutto,la loro storia e il loro passato. E fanno ci per separarsene radicalmente, senza, tuttavia, azze-rare o seppellire nelloblio il loro senso e il loro significato. La memoria e lidentit del presentee del futuro nascono da una dialogica ininterrotta con la memoria e lidentit del passato. Lamemoria del tempo e delle identit che lo solcano sempre (anche) la riscoperta attualizzatadellonda calda delle origini e, insieme, dei loro atroci limiti. Portiamo sempre con noi le stig-mate delle nostre origini e sempre ad esse dobbiamo volgerci, patendone la miseria e traendoda esse lo slancio e il desiderio indomabile della svolta.

    Laddove si interrompe o destabilizza la dialogica della memoria e dellidentit:a) il marginale, al termine di un processo di rotazione culturale, tende ad assolutizzar-

    si come centrale;b) lemarginazione culturale si fa movimento unidimensionale, tendente ad assurgere

    quale orizzonte normativo altro dellintegrazione culturale;c) lesclusione sociale pone in essere conflitti di identit irresolubili che hanno come loro

    risultante la soccombenza dei soggetti deboli;d) la soggettivit critica viene riassorbita e destrutturata attraverso i selettori via via

    pi larghi dellinclusione culturale e le procedure di istituzionalizzazione del conflittopolitico, in funzione di conservazione dello status quo.

    Lagire identificativo, deprivato della dialogica della memoria e dellidentit, rimane orfanodellagire dialogico.Ci lo getta in pasto alle sue aporie interne; sino al punto di non riuscirenemmeno pi a valere come critica coerente e dispiegata della razionalit illuministicadellagire comunicativo. Le istanze di superamento degli specialismi e dellunidimensionalit

    della multiversit; lesigenza di assestare la proposta politica su un discorso culturale critico; latensione a ricondurre ricerca teorica e azione politica entro un contesto unitario;lautorganizzazione delle risorse culturali e politiche in funzione di un progetto/processo di

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    cambiamento del reale restano sospese a mezz aria. Pur palesandosi come giuste intuizioni dirottura, non riescono a perforare, del tutto, il manto delle codificazioni culturali vigenti. La va-nificazione dellagire dialogico le mette in cortocircuito. Uniche loro vie duscita restanolimplosione o lesplosione, a seconda del loro moto pendolare tra:

    a) cultura come matrice di rivoluzione;b) politica rivoluzionaria come matrice di cultura rivoluzionaria.

    E tuttavia, i movimenti e le culture del 68, fermi rimanendo questi loro profondissimi limiti,hanno il merito considerevole di porsi le domande giuste, a cui assai sovente forniscono rispo-ste impercorribili. Tra tutti, uno dei pregi che si lascia pi apprezzare quello di aver prefigu-rato concettualizzazioni e partizioni pi pregnanti delle categorie dellagire, attraverso le dislo-cazioni dellagire comunicativo, dellagire identificativo e dellagire dialogico. Tali dislocazioni,pur rimaste grandemente deficitarie sul piano teorico e largamente incompiute su quello prati-co, vanno assunte come ineludibili strutture di riferimento critico, per una nuova semantica euna nuova esperienza della libert e della liberazione43.

    4. Crisi e modalit dellagire

    Nei paragrafi precedenti, abbiamo passato in veloce rassegna qualcuno dei percorsi caratte-

    rizzanti della crisidellagire comunicativo e dellagire identificativo. Ci ci ha consentito di so-spingere le sonde dellanalisi in quel magma in cui la cultura base fondante e tramite di in-tercomunicazione contraddittorio e complesso tra identit e crisi. Il che, in ulteriore determina-zione, ci ha mostrato, per cos dire, sul campo come la cultura sia, al tempo stesso, risorsa efonte di crisi.

    Proprio questo profilo bifronte della cultura ci induce:a) a non liquidare frettolosamente come catastrofici gli emergenti o stagnanti processi

    di crisi della cultura contro i quali impattiamo o che subiamo;b) a non celebrare lapologia acritica della cultura.

    In tutti e due i casi, limperativo permanente quello di alimentare il campo della creazionee definizione di nuove e pi avanzate culture: autoriflessive e capaci di correggersi; suscettibilidi rigenerarsi nellabbraccio con le alterit e diversit; non totalitarie ed universalistiche; di-

    sposte a lasciare la scena, allorch il loro tempo scade.Per tenere aperta tale possibilit, una delle condizioni base approcciarsi in maniera piflessibile e, allo stesso tempo, complessa alla nozione di crisi. Qui forniamo semplicementelistantanea del problema

    Come ci ricorda Morin, due sono i portati euristici immediati e falsamente ingenui della cri-si: il suo essere (i) rivelatore ed (ii) effettore di una realt processuale altra e altrimenti nonattingibile e non consapevolizzabile44. In questo senso, la crisi un evento straordinario che:

    a) rivela il latente, il virtuale, linvisibile, il possibile e lincosciente, giocandoli contro ilmanifesto, il reale, il visibile, lattuale e il cosciente;

    b) haper effetto la trasformazione generale della societ, di cui diviene un fulcro decisi-vo45.

    Detto ci, si detto lessenziale della genetica, della morfogenesie dellepistemologia della

    43 Per lanalisi critica dei profili culturali e politici dei movimenti degli anni 60 e 70, si rinvia aitesti richiamati alla nota n. 33.

    44 E. Morin, op. cit., p. 191; ma, pi in generale, pp. 191-203. Le pagine in questione costituisconoil punto conclusivo (Per una teoria della crisi) della parte seconda del libro.

    45Ibidem, pp. 191-192. In questo doppio carattere del concetto di crisi, Morin legge unoriginemarx-freudiana, divenuta poi vera e propria genealogia, col suo trasferirsi e proliferarsi nelle scienzesociali e nelle scienze umane. Nel caso di Marx, per rimanere fermi al campo sociologico, questo solo parzialmente vero. In Marx, la crisi non un dato ontologico che, di per s e spontaneamente,funge quale fattore modellante della rivoluzione. Essa integra solo una delle condizionidellattivazione del processo rivoluzionario, su cui agisce lopera modellatrice e interventistica dellasoggettivit critica rivoluzionaria. In altri termini, in Marx, la crisi non loggetto della rivoluzione;

    tantomeno, ne il soggetto e/o il motore. la rivoluzione ad essere, per lui, soggetto/oggetto. Peruna ricostruzione critica della teoria della rivoluzione in Marx, sia consentito rinviare ad A. Chiocchi,Rivoluzione e conflitto. Categorie politiche, Avellino, Associazione culturale Relazioni, 1995; in par-ticolare, i 3 e 4 del cap. III.

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    (nozione di) crisi. Ma, prima di addentrarci in questi campi, resta altro da dire: esiste, del pari,unassiologia della crisi. Nel senso, assai evidente e palpabile, che la crisi, a livello cognitivo edesistenziale primordiale, prende forma da/e d forma ad una incertezza dei/sui valori46.Lincertezza si accompagna ineliminabilmente ad una critica dei valori, dando luogo ad un veroe proprio conflitto di valori, il quale altro non che una delle forme primigenie del conflitto traidentit. In questo caso, la situazione di crisi non nasce tanto dal deperimento dei valori vigen-

    ti, quanto dalla critica che viene contro di essi indirizzata. Il che importa, conseguentemente,un movimento critico attivo che, pi che subire, agisce la crisi in funzione e in vista del cam-biamento, al quale sono collegati ben determinati interessi, aspirazioni, aspettative, tensioni,desideri e pulsioni che investono tutte le sfere dellessere sociale, individuale e intraindividuale.

    Laver spostato langolo di osservazione sullassiologia della crisi ci mette nelle condizioni diacquisire, sul piano euristico e quello epistemologico, che:

    a) la crisi uno dei campi specifici del conflitto culturale, politico e sociale;b) il conflitto di valori un conflitto fra identit e culture differenti, investite o interessa-

    te in misura diversa dalla crisi;c) il conflitto critico ha una topologia di senso multidimensionale.

    Tutti insieme questi fenomeni rivestono una rilevanza cruciale e chiariscono un dato, per so-lito, sottovalutato: la crisi non soltanto la causa, ma anche la risultante di un conflitto. Que-

    sto significa che come nessuna crisi pu venire a capo del conflitto, cos nessun conflitto riso-lutivo della crisi. Il movimento polare conflitto-crisi-conflitto/crisi-conflitto-crisi caratterizza inpermanenza le condizioni della storicit, della socialit, dellindividualit e dellintersoggettivit.

    Ma ritorniamo al campo pi strettamente epistemologico.Come ci rammenta Morin, i Greci attribuiscono a krisis il significato di decisione 47. Il suo si-

    gnificato originario , dunque, indicativo di certezza che chiarisce lincertezza; meglio: la crisi qui quella certezza del decidere, attraverso cui si fuoriesce dalla paralisi dellindecisione. Essanon , pertanto, solo diagnosi; ma ancheprognosi. Non solo prognosi, ma anche strategiaattiva che sorregge unaprassie intorno cui la teoria stessa deve misurarsi.

    Il senso del concetto di crisi , cos, di natura poliassorbente e polivalente, fin dalliniziogreco. Diversamente da quanto a tutta prima potrebbe sembrare, la polisemia del concetto dicrisi sta rintanata fin dentro il suo significato originario di decisione. Niente come la decisione

    richiama la unitariet e la contestualit di teoria e prassi, diagnosi e prognosi, previsione e a-zione. La sostanza dispiegata della decisione : decidere qualcosa su qualcosa. Ci indica chela decisione pensata ed agita; vale a dire: essa si fa e si volge nellunit di pensiero ed azio-ne, riflettendo e intervenendo su universi reali micro o macro, di cui propone assetti, significatie relazioni in contrasto con quelli esistenti.

    La certezza del processo del decidere non pu mai essere assimilata come invarianza dellecostanti del decidere, nel senso di assegnare alla decisione regolarit e tonalit performative invia ultimativa. La decisione stessa un che di plastico, di fluido che, cos come manca spesso isuoi bersagli, non ha fondazioni euristiche, cognitive ed epistemologiche certe. Dunque, krisiscome decisione , ben lungi, dal significare decisione come risoluzione. Al contrario, la decisio-ne latto/pensiero che pi di ogni altro sballottato nei flutti degli eventi e accadimenti im-predicibili dellesistente e del vivente. E questo vero proprio a partire dai Greci: la decisionecritica si oppone alle incertezze, ma non le elimina; pi propriamente, le rielabora, conferendoloro senso. Presso i Greci, soprattutto nellet arcaica, la decisione non mai sospensiva e ri-solutiva del mistero e dellincerto; anzi, ad essi si avviluppa profondamente, attraverso il mitoe le sue figure. A ben vedere, la medesima ratio della krisis/decisione fortemente impregnata

    46 Coglie questo elemento, pur se su un percorso di ricerca sociologica su base fondamentalmente(se non esclusivamente) filosofica, N. Abbagnano, Problemi di sociologia, Torino, Taylor, 1967, p. 79ss. Per Abbagnano, la cultura contemporanea , per definizione, cultura della crisi (Su questo to-pos, cfr. M. Cacciari, Krisis, Milano, Feltrinelli, 1976). Da qui quellaporia dei valori che sospinge-rebbe luomo in un spazio storico in cui la sua vita individuale e sociale perderebbe ogni protezione,in quanto nessuno dei valori che... pu assumere a sua guida e mettere a base della sua formazionesfugge alla negazione o alla possibilit della negazione (p. 79). Laporia dei valori qui solo una

    componente interna al fluire del pi generale processo delle aporie delleducazione; le altre due de-terminazioni di questo processo sarebbero laporia della comunicazione e laporia della tecnica (cfr.pp. 75-83).

    47 E. Morin, op. cit., p. 192.

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    di razionalit mitologica, a partire dal richiamo alle figure mitopoietiche degli eroi tragici che,invariabilmente, si trovano presentificati in ogni poro dellatto decisionale e decisionista.

    La dinamica decisionale, dunque, non si lascia perforare da analisi ermeneutiche di dettaglioe non coincide con i comportamenti sociali e/o individuali esterni che la modulano. Che, a se-guito di un processo decisionale, si dia sempre una modalit determinata (o, meglio, differentimodalit determinate storicamente) di comportamento non significa che tra comportamento

    sociale e decisione si dia una relazione di corrispondenza lineare. E questo lo sanno soprattuttoi Greci. , piuttosto, allalba della modernit che si tenta di stringere in un flusso unilineare illegame decisione/comportamento, assumendo la razionalit come anima potente del linguag-gio scientifico, della comunicazione sociale e della relazione politica. Al punto che la sovranitdiviene la chiave di volta della decisione, in quelluniverso politico che da Bodin e Hobbes sispinge fino a tutto Schmitt e il decisionismo post-schmittiano. Non diverso (anzi) il caso dellescienze giuridiche, per le quali decidere assume il significato precipuo di discriminare tra dueipotesi/realt, selezionando la soluzione corretta, la quale una e una soltanto.

    I Greci sapevano, invece, che decisione opzione tra possibilit indecidibili con i meri stru-menti razionali: ecco perch la nozione di krisis che va a connotarla. Ancora: nelluniversoconcettuale dei Greci lopzione tra possibilit differenti non sciolta mai una volta per tutte,poich sempre data la possibilit (appunto) non solo del ritorno alla/e della situazione ante,

    ma anche dellapprodo a possibilit impreviste. Questo movimento dialettico dato coglierloperfino nella parmenidea ontologia dellessere e nel principio di non-contraddizione aristotelico.Nel caso di Parmenide, proprio il dualismo irricomponibile essere/non essere che sospingeogni dato sensibile, ogni enunciato concettuale e ogni realt effettuale, appunto per essere,nel vortice della mutazione, in un ininterrotto fluire per tutti gli stadi della loro evoluzione. Seconsideriamo il principio di non-contraddizione formulato da Aristotele, poi, ci accorgiamo age-volmente che il fatto che A=A e solo ad A, apre la possibilit dellesistenza di B e solo di B e, diconseguenza, di infinite altre entit e identit, aprendo, tra laltro, il campo della plurisignifica-zione linguistica.

    Il senso pi profondo che va attribuito al concetto di crisi e che , in larga parte, unin-ferenza dalla nozione di krisis (= decisione) dei Greci ci pare sia questo: nessuna decisione puessere risolutiva del conflitto. Meglio ancora: ogni decisione sempre, in positivo o in negati-

    vo: a) riformulazione di un conflitto;b) rielaborazione delle motivazioni dei soggetti in conflitto e, per questa via, rimodula-

    zione delle loro posizioni.Se cos stanno le cose, non dato opporre un concetto di krisis quale decisione (presso i

    Greci) ad un altro di krisis quale indecisione (dal XX secolo in avanti)48. Nel concetto di krisis,le determinazioni della decisione e dellindecisione si coappartengono, proprio perch nellastraordinariet della crisi che si disvelano in maniera concentrata le motivazioni e i soggetti delconflitto. La crisi non deterministicamente il catalizzatore della trasformazione sociale e ilmetabolizzatore del conflitto culturale. Pi propriamente, essa stessa una determinazione in-terna della trasformazione e del conflitto. E lo in un duplice senso, data la contestualitbidi-rezionale del suo senso e del suo segno:

    a) agendo/reagendo verso la conservazione dello status quo e/o il cambiamento eman-cipatorio;

    b) manipolando e veicolando il conflitto culturale in termini di pluralismo e aperturaallAltro e/o di emarginazione ed esclusione dellAltro.

    Niente come la crisi disvela le polarit escludenti dellagire emarginativo e le incongruenzedellagire comunicativo. Niente come la crisi pone allordine del giorno la necessit del passag-gio allagire identificativo. Niente pi della crisi sottolinea i limiti interni allo stesso agire identi-ficativo e pone lindifferibilit del salto allagire dialogico. Sicch possiamo lecitamente conclu-dere: la crisi si qualifica propriamente per aprire e mantenere aperte tutte le modalitdellagire.

    48 Questa posizione esemplarmente e acutamente sviluppata da E. Morin, op. cit., p. 193 ss.

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    Cap. IIEMARGINAZIONE DA CIVILIZZAZIONE

    0. Premessa

    Il concetto di emarginazione ha un profilo a pi facce, nel senso che incrocia e connette varicampi di esperienza e ambiti disciplinari tra i quali non sussistono relazioni lineari. Pi che uncampo definitorio, il concetto di emarginazione approssima e disegna una mappa concettualesmossa, sottoposta a continue modificazioni, strappi e innesti. Ancora pi complessa e didifficile decifrazione la situazione sul piano storico-empirico.

    In linea generale, lemarginazione considerata fattore e/o funzione, se non addiritturaeffetto, di un contesto storico-culturale pi ampio che la determina e, nello stesso tempo, la

    periferizza nella scala delle gerarchie di valore e dei processi decisionali.Secondo alcuni approcci classici, la matrice modellante fondamentale dellemarginazione

    starebbe nella struttura economica; per altri, nel sistema politico; per altri ancora, nei sistemidi simbo-lizzazione e codificazione culturale; e cos via.

    Approcci successivi e pi sofisticati, invece, assumono che la matrice modellante abbia un

    carattere multidimensionale, nel senso che i reticoli motivazionali dellemarginazione sta-rebbero nellintreccio indissolubile delle matrici causali prima esposte.Ora, indipendentemente dalla variet delle analisi e dei loro risultati, tutti questi approcci

    appaiono accomunati da un limite strutturale di natura epistemologica: essi concepisconolemarginazione sempre e solo come precipitato residuato da processi di primo ordine egiammai come rete causale che interagisce con i processi di primo ordine, concorrendo adeterminarne la morfogenesi. In altri termini, si tende a considerare lemarginazione pi unmero risultatoultimo che (anche) una causa agente. Ad essa, pertanto, viene attribuita unidentit di seconda natura, ricavata esclusivamente per differenza negativa, senza alcunaautonomia poietica. Da queste angolazioni, lemarginazione appare essere semplicemente ciche resta fuori: o, meglio, quello che la razionalit funzionale dei processi centrali(economici, sociali, politici, culturali, simbolici, ecc.) centrifuga ed espelle dalle condotte di

    senso dominanti, per il mantenimento e il consolidamento dellequilibrio sistemico.Tra i vari paradigmi dellemarginazione in competizione \sussiste, dunque, un accordoinvolontario e non consapevolizzato che si annida nella struttura profonda dellepistemologiadei concetti e dei significati. solo dopo, sulla sovrastante rete delle descrizioni e deglienunciati linguistici, che si irradiano le differenziazioni, anche antagonistiche, tra i diversiapprocci.

    Tutto, in gran parte, ruota sui giudizi di valore che si formulano sui fenomeni centrali e/osui fenomeni emarginati. Se al centro che allocato il positivo (della societ, delsistema politico e dei sistemi culturali), ne discende che lemarginazione ha un valoreinteramente ed esclusivamente negativo; al contrario, se fuori dal centro che allocato il

    positivo (della societ, del sistema politico e dei sistemi culturali), con tutta evidenza,lemarginazione diventa posizione da difendere e valorizzare.

    Sussiste, infine, un approccio intermedio: quello che, confermando il posizionamento delleallocazioni di valore al centro, sostiene la necessit di un trasloco dellemarginazione dallaperiferia verso il centro, attraverso un processo di ribaltamento posizionale dei valori, deiruoli e delle funzioni.

    Nello schema descrittivo che abbiamo appena tratteggiato, si riconosceranno agevolmente,pur non avendoli nominati direttamente, i vari approcci teorici e indirizzi politici con cui statainterpretata e classificata lemarginazione. Ci confronteremo con essi, formulando in positivo ilnostro discorso, anzich passarne dettagliatamente in rassegna larchitettura concettuale.

    Tra tutte le situazioni che costantemente lemarginazione incrocia, la marginalit ,certamente, quella che appare avere la maggiore rilevanza. Ci anche perch, spesso, i duefenomeni si trovano combinati in una soluzione simbiotica ad alto tasso di differenziazioneinterna. A sua volta, la marginalit fa da pendant