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    VALERIA MOUCHET

    Il cibo nelle novelle medievali

    tra realt, simbolo e narrazione1

    Il Minestra de Cerchi, avendo debito e guardandosi, stando a Candegghi preso damessi, li quali laescarono con una anguilla messa in una fonte. (Trecentonovelle, CCIX)

    Questa novella di Franco Sacchetti si dimostra particolarmente significativaai fini della nostra analisi: interrogato in prospettiva gastronomica, infatti, iltesto offre una cospicua rassegna di riferimenti e allusioni culinarie che consen-tono di sviluppare una serie di percorsi eterogenei.

    Per esigenze di sintesi, pur nella consapevolezza dellarbitrariet e soggetti-vit di qualsiasi tipo di catalogazione, possiamo ricondurre tali dettagli a tregrandi sfere tematiche:

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    1 Lampiezza dorizzonte evocata dal titolo impone in primo luogo di delimitare in modorigoroso il campo di indagine: in questo lavoro si prenderanno pertanto in considerazionesolo le seguenti raccolte novellistiche, di cui si d, di seguito, ledizione di riferimento:Novellino, inNovelle italiane. Il Duecento, il Trecento, a cura di L. Battaglia Ricci, Milano,Garzanti, 19953, pp. 79-189; G. BOCCACCIO, Decameron, a cura di V. Branca, Torino,Einaudi, 19997; SER GIOVANNI,Il Pecorone, a cura di E. Esposito, Ravenna, Longo, 1974; F.

    SACCHETTI, Trecentonovelle, a cura di V. Marucci, Roma, Salerno, 1996; G. SERCAMBI,Novelle, a cura di G. Sinicropi, Firenze, Le Lettere, 1995. Poich queste opere si presentanomolto ricche di dettagli gastronomici, non sar possibile offrirne in questa sede una rassegnaesaustiva: pertanto si esamineranno solo i casi pi significativi ai fini di questa analisi, alloscopo di esemplificare un metodo di lettura e di lavoro. Dato il taglio specifico della ricerca,inoltre, ci si occuper qui delle sole vivande a base di animali, tralasciando le altre, sebbenela loro presenza sia molto rilevante in questi testi; si esamineranno altres solo le vivande pre-parate con le carni degli animali e non i loro prodotti (uova, formaggio ecc.), che meritereb-bero un discorso a parte.

    In questo lavoro riprendo e rielaboro alcuni concetti espressi inAnguille, capponi, gru e

    galline: gli animali come vivanda nelle novelle medievali, in corso di stampa pressoItalianistica.

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    1) riferimenti che riguardano la diffusione della vivanda, le sue caratteristi-che, le modalit di preparazione e i luoghi di vendita;

    2) allusioni ai significati simbolici sottesi al consumo della vivanda;3) rilevanza narrativa della vivanda, che diviene il perno centrale attorno a

    cui ruota la novella.Fin dallinizio, il lettore viene coinvolto dallatmosfera gastronomica della

    storia: dopo aver immediatamente istituito il parallelismo tra la cattura dellan-guilla e la cattura del gentiluomo, motivo portante della vicenda, lautoreintroduce il personaggio, il cui nome, Minestra, gi evocativo, presentando-lo come uomo grosso e con corto vedere, [] molto goloso (3). Segue unac-curata descrizione dellanguilla che i messi prendono da un pescatore: unaanguilla viva di circa due libbre, che ripongono in uno orciuolo dacqua (5).Si noti lattenzione prestata a due dettagli molto precisi, ovvero il peso del

    pesce che doveva certo far ricordare ad un lettore medievale esperienze diret-tamente vissute di vita quotidiana e le modalit di trasporto.Sebbene il pesce fosse uno degli alimenti pi richiesti e consumati nel

    medioevo, soprattutto nei periodi di magro, quando era bandito luso della carnee delle uova, le difficolt di trasporto di questo animale facevano s che levariet impiegate non fossero numerose: languilla, tuttavia, per la sua capacitdi sopravvivenza allinterno di ceste piene derbe 2 per parecchi giorni, riuscivaad essere trasportata pure nelle zone pi lontane dalle coste e dai laghi 3; ancheper questo motivo, dunque, doveva essere tra i pesci pi consumati sulle tavole

    medievali, con la lampreda e la tinca4

    .Lannotazione successiva presenta un altro riferimento puntuale: la catturadellanguilla risulta infatti molto difficoltosa per la fante di Minestra, a causadella scivolosit dellanimale, dettaglio confermato dallesperienza quotidiana.

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    Valeria Mouchet

    2 Questi pesci erano abituati ad essere conservati in peschiere per molto tempo e poteva-no essere trasportati, vivi, anche per lunghi tratti. Cfr., ad esempio, quanto dice a questo pro-posito Salimbene de Adam, che parla appunto delle peschiere (SALIMBENE DE ADAM, Cronicafratis Salimbene de Adam ordinisi minorum, Hannover et Lipsia, ed. O. Holder-Egger, 1905-

    1913, p. 586). La cronaca di Salimbene daltra parte un altro testo molto ricco di dettagligastronomici, come documenta L. MESSEDAGLIA, Leggendo la Cronica di frate Salimbeneda Parma, in Atti dellIstituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, CIII, 2, 1943-44, pp. 351-426. Il particolare delle ceste piene derba confermato, oltre che dalle fonti storiche, anchedai motivi iconografici: si pensi, ad esempio, alle immagini che corredano il Tacuinum sani-tatis. Per ammirare le miniature del Tacuinum sanitatis a cui si fa talvolta riferimento nelcorso del lavoro si pu consultare: L. COGLIATI ARANO, Tacuinum sanitatis, Milano, Electa,1979.

    3 Cfr. R. VANNINI, S. STEFANINI e R. CIANCOLINI,Notae De Coquina, Prato, Horus, 2001,p. 99.

    4 Cfr. G. REBORA,La cucina medievale, Genova, Universit Dipartimento di storia mo-derna e contemporanea, 1996, pp. 85 ss.

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    Alla notizia, Minestra dapprima non crede alle parole della donna, affermandoche deve essersi trattato di una serpe e non di unanguilla5, ma poi attiratodalla possibilit che sia davvero quel pesce e decide di catturarlo con un buci-netto che avea in casa da pigliare passere alle buche (9).

    Anche lo scambio di battute tra Minestra e il messo a sfondo culinario:Padella!, afferma Minestra, subito smentito dalla comparsa di Mazzone, ilquale, afferrandolo, ordina: Tu non la mangerai sanza me: alla cattura dellan-guilla pare dunque corrispondere, metaforicamente, la cattura di Minestra.

    Disseminate nel testo si trovano ancora allusioni al pesce (e cos gli costcara languilla), che diviene lo spunto per concludere la novella, proponendouna lunga riflessione sui metodi utilizzati dal demonio per catturare le animeservendosi della gola, ed usando in particolare anguille e lamprede 6: non uncaso che questi due pesci, come detto, i pi desiderati7, siano qui citati in cop-

    pia.Non sembra casuale neppure il fatto che sia languilla ad offrire loccasioneper riflettere sul demonio, se vero che questo pesce era molto legato alla satiraanticlericale, che associava le grasse anguille alle facce rubiconde dei monaci edei canonici8, tanto che la ricetta degli Spiedini danguilla alla san Vincenzopare trarre origine da una storia narrata dal Sermini, autore qui escluso dallana-lisi, il quale descrive appunto la voracit di un curato, ser Meoccio, nei confron-ti di una grossa anguilla9; non sappiamo se questa storia gi circolasse nelsecolo precedente, che qui si sta esaminando, ma il fatto suona comunque a con-

    ferma del collegamento tra questo pesce10

    e il clero.Il rapporto tra il pesce e la cultura religiosa risulta tuttavia ambiguo: fin dalleorigini la civilt monastica aveva opposto alla cultura della carne tipica dellasociet pagana e guerriera quella del pesce, simbolo di astinenza e morigera-tezza11, ma era talvolta difficile considerare lutilizzo di questo alimento come

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    5 Poich i due animali hanno un aspetto simile: dettaglio non insignificante dal punto divista simbolico, ma di questo pi avanti.

    6 Lautore cita lesempio di un certo Nozzino Raugi, il quale invent una nuova vivanda,

    una lampreda avvolta intorno al cappone, chiamandola baccalare cinghiato, ma poi mornella miseria; anche in altri contesti Sacchetti propone un nome inventato per una vivanda:della gattaconiglio e dei topistornelli si parler pi avanti.

    7 Cfr. REBORA,La cucina medievale, cit., p. 85.8 Cfr. O. REDON, F. SABBAN e S. SERVENTI,A tavola nel Medioevo, Roma-Bari, Laterza,

    2001, p. 15.9 Ibidem, pp. 156-158.10 La forma simile a quella di un serpente, inoltre, pare suggerire la blasfema ipotesi di

    un peccato ideale per la Quaresima, periodo di magro (ibidem, p. 194).11 Anche la tradizione iconografica lo conferma: si pensi allInferno di Taddeo di Bartolo

    (cattedrale di san Gimignano), che rappresenta i golosi di fronte ad una tavola su cui si vededel pane, del vino, e, al centro, un animale simile ad un cappone.

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    una scelta penitenziale, stante la prelibatezza di certi suoi esemplari, quale,appunto, languilla.

    Non a caso, labate Guido di Pomposa (sec. XI) viene esaltato per aver vieta-to ai monaci di consumare pesce per tre volte la settimana12, a conferma di

    quanto questo alimento fosse desiderabile e causa di peccati di gola, colpa forte-mente condannata nel medioevo13.

    Che le anguille fossero moralmente pericolose confermato da quanto silegge in testi di altra natura, quale, ad esempio, il Regimen sanitatis, dove siafferma che a Venere spingono i pesci e tutti i cibi salati; segue un elenco dipesci, tra cui compresa languilla, di cui si aggiungono altre caratteristiche,quali quella di nuocere alla voce, di essere pi dannosa se ingerita in coppia conil cacio, e meno se accompagnata dal vino, e da evitare in modo categorico daparte degli ammalati14.

    Come ben ha dimostrato H. Zug Tucci, il mondo medievale dei pesci riccoe affascinante, e per certi versi ambivalente: ad esso si legano interpretazioniderivate da mondi culturali diversi, quali quello biblico, quello classico e quellodella tradizione enciclopedica, il che non consente una decodificazione univocadel significato simbolico attribuito a questo animale, che pu essere al contem-po simbolo di Cristo e di astinenza ed emblema della gola e della lussuria15.

    Lo stesso Franco Sacchetti non esita a inserire nella sua raccolta novellisticaun motivo gi presente nelle Sposizioni (I) 16, ovvero la storia dellabate e deipesci. Questultimo, finch ricopre la carica di abate del suo monastero, ordina

    al suo fante di acquistare pesci piccoli e di poco valore, mentre, una volta elettovescovo di Parigi, li rifiuta ed esige vivande pi raffinate, spiegando chepescava allora con quelli piccoli per pigliar de grossi (CXLIX 8): un detta-glio gastronomico, dunque, da un lato testimonia unusanza del tempo, dallal-tro evidenzia la differenza tra i livelli sociali, divenendo inoltre il referentemetaforico su cui labate costruisce il suo motto.

    Nelle nostre novelle pare prevalere, almeno ad una prima lettura, laspettopratico, concreto, derivato dalla vita quotidiana: pur rispettando i dettami della

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    Valeria Mouchet

    12 Cfr. M. MONTANARI, Lalimentazione contadina nellalto medioevo, Napoli, Liguori,1979, p. 285.

    13 Cfr. J. VERDON,Il piacere nel Medioevo, Milano, Baldini & Castoldi, 1999, pp. 111-141.14 Cfr. Regimen sanitatis. Flos medicinae Scholae Salerni, traduzione e note di A.

    Sannio, Milano, Mursia, 1987, pp. 116 ss.15 Cfr. H. ZUG TUCCI, Il mondo medievale dei pesci tra realt e immaginazione, in

    Luomo di fronte al mondo animale nellalto medioevo (7-13 aprile 1983), XXXI settimana distudio, Spoleto, Centro Italiano di Studi sullAlto Medioevo, 1985, pp. 291-360.

    16 Cfr.I sermoni evangelici, le lettere ed altri scritti inediti o rari di Franco Sacchetti,raccolti e pubblicati con un discorso intorno la vita e le sue opere per O. Gigli, Firenze, LeMonnier, 1857.

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    Chiesa ed osservando lalternanza dei periodi di magro e grasso, lungi dal vede-re nel pesce un simbolo religioso, i personaggi delle novelle ne considerano,molto pi semplicemente, la prelibatezza e il sapore; spetta allautore il compitodi intervenire e trarre spunto da questi dettagli per riflettere sugli ulteriori signi-

    ficati morali del testo.Una semplice novella, allora, offre contemporaneamente informazioni con-

    crete circa limpiego di alcune vivande nella gastronomia medievale e allusionisimboliche che rimandano ad unaltra e pi alta sfera di conoscenza, oltre adutilizzare il tema del cibo come fulcro narrativo del testo.

    Procederemo pertanto lungo questi tre binari: da un lato esamineremo lenovelle interrogandole sui dati storici, sociali, geografici ed economici; dallal-tro proveremo a verificare in quale misura lutilizzo di certe vivande sia connes-so con precisi significati morali e simbolici, per interrogarci, infine, sulla rile-

    vanza narrativa assunta dal cibo nelleconomia della novella.Come sar evidente proseguendo nella disamina delle novelle, la suddivisio-ne tematica in tre percorsi ha soltanto lo scopo di agevolare lanalisi, nella con-sapevolezza che riferimenti quotidiani, istanze simboliche ed esigenze narrativecostantemente si amalgamano nel testo, rendendo impossibile, oltre che meto-dologicamente scorretta, una catalogazione rigida delle novelle nelle tre catego-rie individuate: lappartenenza della novella ad una di esse, dunque, sta solo adindicare che in quella novella parso pi significativo evidenziare uno dei treaspetti sopra citati.

    Gli animali come vivanda: ricette, luoghi di vendita e altri dettagli

    Le novelle offrono in primo luogo una precisa testimonianza sui piatti diffusinelle cucine medievali.

    Oche ripiene di allodole e altri uccelletti grassi (Trecentonovelle, CLXXXVI2)17, carne dagnello (Novelle, LXXXXVII 17), crostata di anguilla (Novellino,XCII), capponi e quaglie arrosto (Pecorone, II 2 288), spiedo di capponi e star-ne (Trecentonovelle, XXXIV 6) e tante altre vivande18: una veloce ricognizione

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    17 Una riflessione sui temi gastronomici del Trecentonovelle, con una scelta antologica, sitrova in F. SACCHETTI, Tables florentines: ecrire et manger avec Franco Sacchetti, traductionet presentation sous la direction de J. Brunet et O. Redon, Paris, Stock, 1984.

    18 molto difficile proporre una panoramica completa degli studi sulla cucina medievale,tema che continua a suscitare linteresse di critici e di letterati, nonch di cuochi e di gastro-nomi. Si fornir pertanto solo lelenco dei testi consultati per questa ricerca: M AESTROMARTINO, Libro de arte coquinaria, a cura di L. Ballerini e J. Parzen, Milano, GuidoTommasi Editore, 2001; REBORA, La cucina medievale, cit.; REDON, SABBAN e SERVENTI, Atavola nel Medioevo, cit.; VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit. Di recen-

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    nelle ricette medievali di cucina conferma la diffusione di questi piatti19, citatianche dalla letteratura medica del tempo 20.

    Torniamo alla gi menzionata anguilla.Nei trattati e nelle ricette di cucina languilla lingrediente di numerosi

    piatti ed occupa pertanto parecchie pagine; questo pesce doveva essere infattitra i pi desiderati, per la sua carne saporita e per la possibilit di essere prepa-rato in vari modi: spiedini, pasticcio, fritto di anguilla piccola, ogni libro digastronomia dedica qualche ricetta a questo animale 21, richiesto, come si gidetto, anche per la sua capacit di conservazione.

    Altre novelle sembrano confermare questi dati.In una novella del Novellino (XCII) una donna prepara una crostata di

    anguille e la mette nella madia: attirato dallodore, un topo vi entra. La donnadecide allora di introdurre una gatta nella madia per catturare il topo, ma la gatta

    stessa, inebriata dal profumo, mangia la crostata e lascia fuggire il topo.Questa novelletta pone lattenzione su due dati: in primo luogo, la crostatadanguilla, dato confermato dalla presenza di questa ricetta nei libri di cucina,che ne propongono alcune varianti, quali la torta di anguilla, da sola o con spi-naci, e il pasticcio danguilla 22; in secondo luogo, lodore della crostata: il gustodellolfatto doveva essere molto stimolato dai piatti medievali, progettati minu-ziosamente per soddisfare palato, olfatto e vista, attraverso un sapiente miscu-glio di sapori, odori e colori 23. In questa storia, inoltre, lo svolgimento dellazio-

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    te uscita, Ci desin labate. Ospiti e cucina nel monastero di Santa Trinita. Firenze 1360-1363, a cura di R. Zazzeri, Firenze, Societ Editrice Fiorentina, 2003, un interessante librodi conti del monastero vallombrosano di Santa Trinita che riporta utili informazioni sullevivande acquistate e sulle modalit di preparazione dei cibi.

    19 Molte di queste ricette erano gi conosciute in epoca classica, da cui il medioevo traeanche tecniche e modalit di conservazione dei cibi: cfr. APICIO,Larte della cucina. Manualedellesperto cuoco della Roma imperiale, introduzione, traduzione e commento a cura di C.Vesco, Roma, Scipioni, 1990.

    Influenze notevoli dovevano giungere anche dalla tradizione araba, i cui piatti furonorimaneggiati e adattati alle diverse esigenze e ai differenti gusti: cfr. A. MARTELLOTTI, Illiber de ferculis di Giambonino da Cremona, Fasano, Schena, 2001.

    20 Ampiamente documentata, daltra parte, la connessione tra la gastronomia tardomedie-vale e i dettami della medicina umorale, e il legame, non sempre pacifico, esistente tra i piaceridella gola e la cura della salute del corpo: cfr., ad esempio, Storia dellalimentazione, a cura diJ.L. Flandrin e M. Montanari, Roma-Bari, Laterza, 1997. Su questo tema vedi pi avanti.

    21 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., pp. 156-157; VANNINI,STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., pp. 106, 120; MAESTRO MARTINO,Libro dearte coquinaria, cit., pp. 84, 94, 99.

    22 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit., pp. 193-198; VANNINI,STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., p. 120; REBORA,La cucina medievale, cit.,pp. 88 e 130-131; MAESTRO MARTINO,Libro de arte coquinaria, cit., pp. 57, 62.

    23 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., pp. 35 ss.

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    ne determinato proprio dallolfatto: sia il topo che la gatta sono talmenteattratti dallodore della crostata da dimenticare il resto 24.

    Oltre alla gi citata novella di Sacchetti, languilla compare in riferimentipi strettamente geografici: il caso di Sercambi, il quale sottolinea che le

    anguille e le tinche che messer Bernardo offre a Pierozzo provengono dal lagodi Perugia (XXXII 20,22) 25. Anche questo particolare geografico ed economico preciso, dal momento che le fonti storiche ci confermano che Perugia nel XIIIsecolo aveva il monopolio dei diritti di pesca sul lago Trasimeno, chiamato nellefonti il lago di Perugia, e che Siena si garantiva lapprovvigionamento dipesce proveniente dal Trasimeno grazie ad un contratto con Perugia26.

    Dettagli topografici si leggono pure in altri contesti letterari: si pensi ai famo-si versi della Commedia dantesca Dal Torso fu, e purga per digiuno / languilledi Bolsena e la vernaccia (Purgatorio, XXIV 23-24)27, dove torna, inoltre, la gi

    citata passione degli ecclesiastici per le anguille, a ulteriore conferma della diffu-sione di questa credenza. Simone de Prodenzani, invece, nel suo Saporetto, allu-de alla lasca peruscina (12 10) e alle lamprede ingrassate (66 12) 28.

    La vivanda cucinata, profumata e servita sul piatto, in attesa di essere man-giata, rappresenta daltra parte lultima fase di un lungo processo, che va dallacattura o acquisto dellanimale alla sua conservazione e alla sua preparazione.

    Le novelle ci offrono informazioni anche su questi aspetti.Catturare un animale per ucciderlo e mangiarlo non doveva essere unopera-

    zione tanto semplice, come testimoniano le numerose novelle che descrivono i

    faticosi tentativi, non sempre giunti a buon fine, di catturare i porci(Trecentonovelle, LXX, CII, CX).Nella prima, Torello cerca di uccidere uno dei due porci ricevuti in dono ma

    non riesce a far entrare il ferro nel corpo del porco pi di unoncia (5) 29 senza

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    24 Lattenzione allolfatto compare anche altrove nella raccolta: in LXXX messere Mi-gliore Abati sostiene che i profumi dellambra e dellaloe fanno perdere il buon odore natura-le, perch la femina non vale neente se di lei no viene come di luccio passetto, cio di luc-cio un po stantio.

    25 Si noti che qui languilla compare con un altro dei pesci pi diffusi, la tinca.26 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., p. 27; M. T. CACIORGNA,

    Il lago di Perugia, in Medioevo, 9 (32), settembre 1999, p. 85 e J.C. MAIRE-VIGUEUR,Pesca regolamentata, in Medioevo, 9 (44), settembre 2000, p. 59.

    27 Per la Commedia si fa riferimento al testo critico stabilito da G. Petrocchi nelledizionea sua cura, Milano, Mondadori, 1966-1967.

    28 Cfr. SIMONE DE PRODENZANI, Sollazzo e Saporetto, a cura di L. Reale, Perugia, Fabbri,1998.

    29 In questo contesto Torello sembra utilizzare la tecnica delluccisione con colpo alcuore, documentata anche dai motivi scolpiti, ad esempio, sullarchivolto del portale mag-giore di s. Marco a Venezia: cfr. Porci e porcari nel Medioevo. Paesaggio economia alimen-tazione, a cura di M. Baruzzi e M. Montanari, Bologna, 1981, p. 45.

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    che lanimale cominci a gridare e laltro porco accorra in suo aiuto, creando untafferuglio. Ironica la conclusione dellautore, che non risparmia dettagli eco-nomici: Or questo risparmio fece questo valente uomo che porci valeanoforse dieci fiorini 30 ed egli ne spese poi forse altre tanti [] (14-15). In ap-

    pendice alla novella Sacchetti narra quanto accaduto ad un altro giovane, il qua-le fu ferito da un porco che tentava di uccidere e che gli mise a soqquadro la cu-cina.

    La cattura degli animali destinati alla cucina non doveva dunque essere age-vole, soprattutto nel caso di bestie cos irrequiete.

    Tenere i porci in citt poteva causare qualche problema: in alcuni casi nonera proibito lasciarli per le vie, purch avessero un anello al naso che consentis-se di tenerli a bada, in altri era permesso percorrere con essi solo le strade cheportavano al mercato. Con lo statuto del podest del 1325 si impose a Firenze il

    divieto di lasciare oche, maialini e porci per le strade, per motivi di decoro e disicurezza31; lo stesso provvedimento era stato adottato dal comune di Bologna,con alcune variazioni, nel 1288 32. In altri contesti, invece, i porci avevano lafunzione, per cos dire, di spazzini, ed erano adibiti alla pulizia delle strade,di cui raccoglievano, mangiandoli, i rifiuti33.

    Nella novella CX un gottoso vorrebbe uccidere uno dei porci di s. Antonio34,ma gli animali si ribellano e lo riducono in fin di vita; nella novella CII un bec-caio compra un porco di quattrocento libbre 35: una mattina, dopo averlo ucciso,abruciato e concio, lo vorrebbe appiccare alla caviglia e levarlo da terra

    (4)36

    , ma ci riesce solo con laiuto di alcuni giovani ai quali promette i migliaccidel porco.Questa novella, oltre a soffermarsi su un aspetto che riguarda la conservazio-

    ne del porco, ci offre un altro dettaglio gastronomico, ovvero la possibilit diricavare da questo animale i migliacci, dolci a base di sangue di maiale 37. Con il

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    Valeria Mouchet

    30 utile sottolineare lattenzione prestata al valore economico dellanimale, dettaglioche torna, come si vedr pi avanti, anche in altri contesti.

    31 Cfr. F. BOCCHI, Porci con gli anelli, in Medioevo, 5 (16), maggio 1998, p. 74.32 Cfr. Porci e porcari, cit., p. 70.33 Cfr. A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno in una citt medievale, Roma-Bari, Laterza,

    1997, pp. 68-73.34 Come la tradizione iconografica conferma, infatti, questo animale legato al santo

    sulla base di varie leggende: cfr. F. ROSSETTI, Animali che vissero con i santi, Assisi, LaPorziuncola, 1995, pp. 15-18 e Porci e porcari, cit., pp. 64-65. Famosa poi la testimonianzadantesca: cfr. Paradiso XXIX 122: Di questo ingrassa il porco santAntonio.

    35 Si noti, come gi accaduto per la vicenda dellanguilla, lattenzione al peso dellanimale.36 Questo modo di appendere i porci documentato anche dalle miniature presenti nel

    Tacuinum e nei calendari.37 Sulla tecnica di raccolta del sangue cfr. Porci e porcari, cit., pp. 47-48.

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    sangue del porco, amalgamato alla farina, si cucinavano anche alcune torte,oppure lo si mescolava a miele o grasselli e frattaglie per preparare particolariinsaccati38: di questo animale, infatti, si usavano tutte le parti, come si impara,ad esempio, dalla lettura del Testamentum porcelli, opera della tarda antichit

    tramandata per tutto il medioevo, nella quale un porco spartisce le parti del suocorpo lasciandole a diverse categorie sociali; anche in una novella di Sacchettiapprendiamo che Giotto giustifica un porco di s. Antonio che lo ha fatto caderesostenendo che lanimale ha ragione, in quanto egli non gli ha mai dato una sco-della di brodo, pur avendo guadagnato molti denari grazie alle sue setole(LXXV)39.

    Dal maiale si ottenevano pure il lardo e lo strutto, ampiamente utilizzati invarie ricette: lallevamento suino era daltra parte diffusissimo in molte zone, efamosa era la figura del porcaro, che godeva di una particolare stima professio-

    nale40; nei grandi monasteri benedettini altomedievali esisteva il lardarium,locale destinato alla preparazione e alla conservazione dei grassi animali e dellardo, frequentemente impiegato come fondo di cottura delle carni41.

    Una volta catturato, lanimale doveva essere conservato in condizioni ade-guate; se si osservano le miniature riportate nei calendari dellepoca si nota chela scena pi di frequente utilizzata per la pagina del mese di dicembre quellache vede un uomo impegnato nella preparazione del porco.

    La conservazione veniva in genere effettuata con lausilio del sale42; si dove-va ovviamente prestare attenzione a questa fase, per evitare inconvenienti simili

    a quello che accade al protagonista della novella CCXIV del Trecentonovelle, ilquale guasta i porci e la ronzina che li trasporta.Chi riusciva ad eseguire una corretta conservazione dellanimale poteva pro-

    cedere alla vendita. Questo dettaglio riportato da numerose novelle, che testi-moniano come gli animali fossero oggetti di commercio: in Novelle, XXXVIIIDaniello compra una coda di castrone; Cilastro decide invece di uccidere il frateche gli ha sottratto gli unici quattro porci che ha salato quellanno e che eglideve vendere (LXXXXV). Alcuni malintenzionati derubano Giannozzo dei

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    38 Cfr. MONTANARI, Gli animali e lalimentazione umana, cit., pp. 627 ss.; A. BARLUCCHI,Divin porcello, in Medioevo, 3 (26), marzo 1999, p. 78.

    39 Una vescica di maiale pu inoltre diventare un giocattolo con cui un bambino si diver-te, come ci mostra una miniatura dal Breviarium di Ercole dEste: Modena, BibliotecaEstense, ms. V. G. 11 = lat. 424, f. 6v. Cfr. A. e C. F RUGONI, Storia di un giorno in una cittmedievale, cit., p. 133.

    40 Cfr. Porci e porcari, cit., pp. 31-32; MONTANARI, Gli animali e lalimentazione umana,cit., p. 623.

    41 Cfr. A. BARLUCCHI, Grasso che cola, in Medioevo, 3, aprile 1997, pp. 66-69.42 Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., pp. 211 ss.; Cfr. Porci e

    porcari, cit., pp. 57-58.

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    mille ducati che egli ha guadagnato vendendo castroni a Bologna (LXXXVII),mentre, durante la sua folle corsa, il cavallo di Rinuccio di Nello travolge ildesco di Giano, che sta vendendo le vitelle (Trecentonovelle, CLIX).

    Questi riferimenti concordano con quanto mostrano le miniature delTacuinum sanitatis, che illustrano non solo le fasi della macellazione dellacarne, ma anche la sua vendita al pubblico nelle botteghe, dove la merce eraesposta su banchi o appesa a dei ganci43.

    I luoghi in cui si poteva comprare il cibo erano numerosi: messer Dolcibene sireca in un punto in cui si uccidono castroni e porci (Trecentonovelle, CXVII 9),mentre messer Buondelmonte aggredito nel posto dove oggi si vende ilpesce (Pecorone, VIII 1 72).

    Poich alto era il consumo di pesce, in una citt cerano vari luoghi allestitiper la vendita, spesso nei pressi dei ponti, sito favorevole per lo scarico della

    merce proveniente dal fiume 44, come anche le novelle documentano. La venditaera regolamentata da apposite norme riportate dagli statuti medievali, che stabi-livano luoghi e tempi di esposizione della merce; le miniature, infatti, spessomostrano mercanti di pesci con i loro prodotti esposti su tavole di pietra o den-tro ceste con lerba 45.

    Sacchetti precisa ad esempio che per Gallina46 possibile acquistare storionie lamprede al mercato del pesce presso il Ponte (Trecentonovelle, CLXXXIII 5). interessante notare un dettaglio presente nella narrazione, era di quaresima;lannotazione non casuale, ma ci offre unulteriore indicazione: come gi

    detto, nel medioevo cera unattenzione particolare al rispetto dellalternanza traperiodi di grasso, in cui era possibile mangiare carne, uova e latticini, e periodidi magro, durante i quali questi alimenti erano banditi e sostituiti dal pesce.

    Si cucinava un animale per ogni occasione, dunque: dalle novelle infattiapprendiamo delluso di cucinare le oche per la festa di Ognissanti (Trecentono-velle, CLXXXVI;Novelle, X). La stessa usanza conferma Simone de Proden-zani, nel Saporetto, opera in versi molto ricca di dettagli gastronomici47.

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    43 Cfr. Porci e porcari, cit., pp. 67-69.44 Daltra parte il fiume era la principale fonte di approvvigionamento di pesce, data la

    difficolt di conservarlo a lungo e di trasportarlo dal mare allentroterra: cfr. P. GRILLO, Laricchezza scorre a fiumi, in Medioevo, 2 (13), febbraio 1998, pp. 60-66. Pi complicata,invece, era la pesca daltura: cfr. A. BARLUCCHI, Il suo lavoro era sempre in alto mare, inMedioevo, 10 (45), ottobre 2000, pp. 70-72.

    45 Cfr. I. AIT, Presi allamo ma a norma di legge, in Medioevo, 9, ottobre 1997,pp. 83-85.

    46 In alcuni casi, come in questo o in quello del gi citato Minestra, i nomi dei personaggidelle novelle sembrano contenere, seppure di sfuggita, una vaga allusione culinaria.

    47 Cfr. S. DE PRODENZANI, Sollazzo e Saporetto, cit., 72, 5. Ai prodotti gastronomici lau-tore dedica inoltre un intero sonetto, il n. 51.

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    Per Ognissanti, ma anche per uno carnesciale48, si possono acquistare icapponi, come fa Gonnella (Trecentonovelle, CCXX). A questo proposito siricordino i seguenti versi, scritti nel secolo successivo: Al levar del sole ReCarnevale si raccoglie in preghiera: / Santissima gallina incoronata / che per

    figliuolo avesti un capponcello / alla lasagna fusti maritata []49.Le vivande erano adatte ad ogni occasione, ma anche ad ogni posizione e

    ruolo sociale: nei banchetti allestiti nelle corti signorili, ad esempio, non erainfrequente trovare selvaggina varia, catturata durante le battute di caccia50,come testimonia la novella CXLII di Sercambi.

    La caccia era unattivit rilevante per le popolazioni altomedievali, data lagrande disponibilit di boschi e foreste, che costituivano una notevole fonte diapprovvigionamento di selvaggina; nel basso medioevo limportanza della pra-tica venatoria diminuisce, ma essa comunque presente, se gli Statuti della

    Colletta della citt pontificia di Orvieto (1304,1334,1339) propongono, nellostabilire lentit della gabella per la cacciagione introdotta in citt, un nutritoelenco di prodotti possibili, gli stessi che ritroviamo catturati da Malgigi nellanovella sopra citata: cervo, capriolo, lepre, ma anche fagiano, starna, quaglia,tordo, merlo, gru etc. La selvaggina, comunque, costituiva il pasto dei ricchiconviti pi che il cibo dei ceti medi51: nelle abitazioni modeste lallevamentodomestico si riduceva, come gi detto, ai maiali e al pollame.

    La differenza tra un animale e laltro poteva anche segnalare la differenzasociale tra coloro che ne fruivano: la beffa ordita da Biondello in Decameron,

    IX 8, ad esempio, sfrutta la diversit di valore tra un pesce e laltro. Ciacco,uomo ghiottissimo, una mattina di quaresima si reca l dove il pesce sivende52 e vede che Biondello acquista due grossissime lamprede per messerVieri de Cerchi (6); fattosi invitare, riceve da mangiare del cece e della sorra,e appresso del pesce dArno fritto, senza pi (11).

    Interessanti sono i particolari: innanzitutto, si noti la contrapposizione tra icibi che Biondello afferma che saranno serviti lamprede e storione e quelli

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    48 Carnevale, o, pi genericamente, festa. interessante notare che una delle interpre-

    tazioni etimologiche del termine deriva da carne, vale, quale addio alla carne, impostoappunto dalla Chiesa per il periodo successivo, quello della Quaresima: cfr. G. CIAPPELLI, Sisazi chi pu, in Medioevo, 3 (14), marzo 1998, pp. 14-20.

    49 Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., p. 92.50 Ibidem, pp. 68 ss.51 Cfr. P. GALLONI, Storia e cultura della caccia, Roma-Bari, Laterza, 2000, cap. III; A.

    CORTONESI,Riserva di caccia, in Medioevo, 2 (13), febbraio 1998, pp. 72-80; MONTANARI,Lalimentazione contadina, cit., pp. 261 ss., dove si leggono interessanti riflessioni sulledistinzioni sociali, qualitative e quantitative, che caratterizzano i cibi nel medioevo.

    52 Si noti il ritornare di particolari su cui ci siamo gi soffermati: lindicazione topografi-ca che indica il luogo in cui si vende il pesce e la precisazione sul fatto che ci si trovi inperiodo di quaresima.

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    che effettivamente si offrono, ovvero cece, sorra e pesce dArno. Tutta la beffasi gioca pertanto sui particolari culinari, elencati con precisione: non a caso, lelamprede e lo storione dovrebbero essere destinati a certi gentili uomini (7).

    Le fonti storiche confermano che un posto particolare tra le specie ittiche pi

    apprezzate era quello occupato dallo storione, spesso oggetto di doni preziosi:ad esempio, labate di s. Giustina, a Padova, nel 1239 aveva fatto portare daFerrara degli storioni di grandi dimensioni per offrirli allimperatore FedericoII; i Commentarii di Pio II, della seconda met del XV secolo, ricordano invecelofferta di sette storioni al pontefice mentre si trovava a Ostia53.

    I personaggi delle novelle paiono dunque consapevoli del valore dei cibi,come dimostra Noddo dAndrea (Trecentonovelle, CXXIV), goloso che benconosce la differenza tra un busecchio pieno di non so che (2) e larista e illombo54.

    La novella si presenta ricca di altri riferimenti, quale, ad esempio, lentratasulla scena della figura del fornaio. Nel medioevo, poich il pane si preparava incasa, il fornaio era colui che materialmente cuoceva la pasta fatta dalle donne,che gli lasciavano una parte del prodotto per venderlo: il forno era allora unodei poli della citt medievale, come documentano le miniature del Tacuinumsanitatis che descrivono le fasi di cottura e vendita del pane. il fornaio fioren-tino Cisti, protagonista di una novella del Decameron (VI 2), a far risaltare unasagacia che doveva appartenere anche ad altri esponenti della categoria: nume-rose sono le notizie sui tentativi di truffa operate dai fornai, i quali talvolta

    aggiungevano acqua al pane per farlo sembrare pi pesante, o mischiavano lafarina con altre sostanze, non del tutto innocue55.Anche se la successione delle portate negli usi medievali era diversa da quel-

    la di oggi 56, pare opportuno concludere questa breve rassegna culinaria con undolce preparato, seppure solo in apparenza, con gli animali.

    InDecameron, VIII 10 24 si afferma che Salabaetto, entrando nella camera,sente odore di legno alo e di uccelletti cipriani. Questa espressione statavariamente decodificata57, ma si riporta qui, com ovvio, linterpretazione pi

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    53 Cfr. M. T. CACIORGNA, Sulla mensa del Papa, in Medioevo, 9 (32), settembre 1999,p. 83.

    54 Queste due pietanze erano tra le ricette preferite, come sottolineano i trattati di cucinae le ricette: cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., p. 77.

    55 Cfr. A. BARLUCCHI, Dacci il nostro pane quotidiano, in Medioevo, 8, settembre1997, pp. 81-83.

    56 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., pp. 17-19.57 Cfr. M. WIS, Uccelletti cipriani, in Neuphilologische Mitteilungen, LVIII, 1957, pp.

    6-13; G. VIDOSSI G. BARBERI SQUAROTTI, Uccelletti cipriani (Decameron, gior.VIII, nov.X), in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXV, 1958, pp. 363-369; R. CESERANI,Ancora sugli uccelletti cipriani, in Giornale storico della letteratura italiana, CXXXIX,

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    coerente con il tema culinario del lavoro: secondo unaffascinante ipotesi diPastore Stocchi, infatti, gli uccelletti cipriani sarebbero dei biscottini, che trar-rebbero il nome appunto dalla loro forma di uccelli58. Per convalidare questatesi, il critico riporta due ricette sugli uselletti papali e uselletti fini tratte

    dal codice Palatino 1026 della Nazionale di Firenze, che illustrano, anche conlausilio di immagini, le forme che questi biscotti dovevano assumere.

    Daltra parte anche Maestro Martino, nel secolo successivo, propone delleFrittelle in forma di pesce 59: labitudine di utilizzare le forme degli animali,dunque, non doveva essere sconosciuta, se vero che pure i ravioli potevanoessere tagliati a forma di ferro di cavallo, di anelli, di animali o di lettere dellal-fabeto60.

    Probabilmente Boccaccio alludeva in quel contesto ad altri oggetti, ma comunque suggestivo pensare che lautore volesse far percepire al lettore il pro-

    fumo e la fragranza dei biscotti appena sfornati: unulteriore testimonianza,forse, di quanto laspetto gastronomico e culinario entri a far parte dei testi let-terari anche tramite linserimento di semplici e graziosi dettagli.

    Le vivande come medicina: alimenti per confortare il corpo e il celebro

    Come si gi visto a proposito dellanguilla, linserimento di alcuni dettagligastronomici nelle novelle pu sottendere la volont dellautore di veicolare

    significati simbolici pi profondi e complessi che sfuggono ad un lettore chenon possiede appieno il codice culturale dello scrivente.Unaltra vivanda che permette di sottolineare questo fenomeno il cappone,

    a cui spetta un posto privilegiato tra le carni 61, essendo il cibo forse pi diffusonelle novelle trecentesche, nelle quali sempre accompagnato da aggettivi chene sottolineano la bont, in ossequio ai dettami prescritti dal Tacuinum 62:buono, grosso, grasso etc.63

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    1962, pp. 478-479; G. BARBERI SQUAROTTI,Ancora sugli uccelletti cipriani, in Giornale sto-rico della letteratura italiana, CXL, 1963, pp. 308-309.

    58 Cfr. M. PASTORE STOCCHI, Note e chiose interpretative, in Studi sul Boccaccio, II,1964: 2. Uccelletti cipriani, pp. 239-244.

    59 Cfr. MAESTRO MARTINO,Libro de arte coquinaria, cit., p. 72.60 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., p. 37.61 Ibidem, p. 13.62 [] che sia ben pasciuto e allevato in campagna. Cfr. VANNINI, STEFANINI e

    CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., p. 43.63 Al grasso si attribuisce un valore positivo nella cultura medievale: non un caso al-

    lora che questo sia uno degli aggettivi pi frequenti che accompagnano questi piatti, a indi-carne la squisitezza e la gustosit.

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    Carne prelibata e succulenta, i capponi erano tra le vivande preferite da tuttii personaggi, malandrini compresi, che con essi festeggiano le loro malefatte(Trecentonovelle, CXIII;Novelle, LXXXVII).

    Se le persone esaltavano il sapore e la consistenza di questa carne, i trattati

    di medicina ne lodavano il potere benefico: se si legge il Regimen sanitatis, adesempio, si apprende che questo animale da annoverare tra i volatili sani etra i cibi pi nutrienti 64. Nel Tacuinum sanitatis si raccomanda che [] sia benpasciuto e allevato in campagna aperta e si prosegue: D al corpo nutrimentomigliore di tutti i cibi, fa buon cervello e genera perfetto sangue. Piglia un cap-pone netto dalle interiora e empilo con polvere di sandalo, borragine, seme dicedro, rose, viole e bugolosa che avrai poste in vaso al bagno di Maria. Et cisar raccomandato per quelli infermi che per debolezza non possono sostenersi[]65.

    Le novelle non esitano a confermare il carattere ricostituente dei capponi.Certamente quella della Pippa della novella LX di Sercambi una guarigio-ne un po particolare, visto che la ragazza, ad insaputa della sorella, stataingravidata dal cognato, ma comunque, nella finzione, il medico le ordina cap-poni, galline e un po di castrone (19), e successivamente capponi, pipioni econfezioni66 durante la convalescenza (33-34), ottenendo leffetto desiderato,tanto che la Pippa torna colorita come rosa (35).

    I pulli columbini utili alla paralexi ex frigiditate, cio alla frigidit distomaco, come si legge nel Tacuinum sanitatis 67, sono dunque facilmente assi-

    milabili ai capponi presenti nella novella di Sercambi, che pare riferirsi, seppuredi sfuggita, a queste prescrizioni.InDecameron, VII, I monna Tessa, sapendo che Federigo, suo amante, verr

    a cenare con lei, prepara due grossi capponi e molte vuova fresche e un fia-sco di buon vino (12-13). In questo caso tornano i capponi, accompagnati dalleuova e dal vino: si tratta di particolari non casuali, come ben ha sottolineato M.Cottino Jones 68, che ha dimostrato come Boccaccio rielabori i dettami delTacuinum sanitatis assegnando ai cibi valori simbolici connessi allattivit ses-suale: i capponi, come gi detto, sarebbero un antidoto contro la frigidit di sto-maco e, simbolicamente, contro la frigidit sessuale, mentre le uova, riconosciu-

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    64 Cfr.Regimen sanitatis, cit., pp. 90-91, 114-115.65 Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., p. 43.66 Alle confezioni, ovvero alle confetture zuccherate, allude anche Simone de

    Prodenzani: cfr. S. DE PRODENZANI, Sollazzo e Saporetto, cit., 50 14.67 Cfr. Tacuinum sanitatis della Biblioteca Nazionale di Parigi, riproduzione del mss. a

    cura di B. Berti Tosca, Bergamo, Istituto italiano darte grafica, 1937, c. 69v.68 M. COTTINO JONES,Boccaccio e la scienza, inLetteratura e scienza nella storia cultu-

    rale italiana, a cura di V. Branca, Palermo, Manfredi, 1978, pp. 356-370.

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    te dal Tacuinum come alimento in grado di stimolare il coito, costituirebbero unpotente afrodisiaco per lamante 69.

    In questo contesto, allora, linserimento di alcuni dettagli al posto di altrisembra corrispondere ad una scelta consapevole dellautore, che scrive per un

    pubblico a cui tali nozioni devono essere ben note.Nella novella XI di Sercambi frate Ghirardo manda a monna Nese un paio di

    capponi; nella novella successiva la donna, per ricevere i tre preti con i quali haorganizzato un presunto incontro amoroso, prepara buoni capponi, accompa-gnati dal vino (9). Nella novella XV la donna nasconde un cappone, una crostadi pollastri e una focaccia in un arcile, ma il corvo di Pincaruolo la fa scopriredal marito, il quale convinto che la moglie, mentre d a lui pan migliato e fave[] per s con qualche prete si gode la grosta di pollastri (15)70. Nella novel-la XXXIIII monna Merdina porta nel chiostro un cappone, del pane e del vino

    per cenare con frate Belasta; nella novella LXXXII Divizia fa apparecchiare latavola con buoni capponi e altre vivande per cenare con il vescovo (13); nellanovella CXVI, infine, il prete si reca da Fallera, il marito della sua amante, conun cappone cotto: lallusiva battuta di spirito che egli proferisce, inoltre, si basaproprio sulla necessit di accompagnare i capponi con il vino: Io son venuto amangiare teco questo cappone, ma voglio che tu spogori la botte del buon vino,che pi volte Tomasa, avendomi dato piacere, me nha dato a bere (29).

    Le situazioni sopra descritte, oltre alla costante presenza dei capponi, paionoavere vari punti in comune: si tratta di incontri amorosi illegittimi, quasi sempre

    organizzati da una donna e da un religioso che cenano insieme con vino e cap-poni e poi consumano latto sessuale.Oltre a testimoniare unusanza gastronomica e a rafforzare lipotesi che esi-

    sta un collegamento tra questi cibi e lattivit erotica, questi dati confermano lagolosit attribuita ai religiosi: nel secolo successivo, Poggio Bracciolinicostruir una delle sue Facezie proprio su questo tema, raccontando la vicendadi un prete lodato dal vescovo perch ha interpretato correttamente lordine dipresentarsi in cappa e cotta, ovvero con i paramenti sacerdotali, e gli ha portatodei capponi cotti71.

    Le novelle documentano pertanto unabitudine culinaria, ma danno anche aintendere i significati morali e sociali connessi con un certo tipo di cibo.

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    69 significativo notare il contrasto tra questi cibi succulenti e il poco di carne salata(12) preparata dalla donna per il marito.

    70 Si noti come anche in questo caso il marito si serva del diverso grado di prelibatezzadelle vivande per evidenziare la disparit nel trattamento che la moglie riserva a lui e alla-mante: vd. nota precedente.

    71 P. BRACCIOLINI, Facezie, introduzione, traduzione e note a cura di M. Ciccuto, Milano,Rizzoli, 1994, pp. 142-145.

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    Non sempre nel testo si precisa la modalit di cottura dellanimale: appren-diamo comunque che esso poteva essere preparato lesso (Trecentonovelle, XLI,CXII; Novelle, LXXXVII), arrosto (Pecorone, II 2; Novelle, LXXXVII), inspiedini con le starne (Trecentonovelle, XXXIV), o accompagnato da lasagne

    (Trecentonovelle, XLI; Novelle, LX). Il tipo di cottura non era tuttavia inin-fluente: la carne arrosto era preferita alle altre, non solo per ragioni di gusto, maanche per motivi simbolici, essendo emblema di forza e di legame con il mondodella foresta e con lattivit della caccia, oltre che per ragioni mediche, tanto daessere consigliata dal Tacuinum sanitatis per compensare leccesso di umorifreddi e umidi; ad essa si contrapponeva la carne lessa, cotta in maniera pidolce e domestica, nelle grandi pentole che lo stesso Tacuinum illustra72.

    Che il cappone fosse un cibo succulento e prelibato73 confermato dalleaffermazioni di molti personaggi, i quali, per suscitare linvidia dei loro interlo-

    cutori, asseriscono di averne fatto grandi mangiate: Bucciolo, ad esempio, riferi-sce al maestro che la sera precedente ha cenato con la moglie del maestro man-giando un grosso e grasso cappone, accompagnato da vini (Pecorone, I 2253); anche Acciaiuolo confida a Buondelmonte di aver mangiato capponi equaglie arrosto per cena, bevendo del buon vino (Pecorone, II 2). Daltra parte,per rendere pi accattivante il suo racconto, Maso inserisce questo dettaglio,affermando che nella contrada Bengodi, sopra una montagna, tutti cuociono imaccheroni e ravioli [] in brodo di capponi (Decameron, VIII 3 9)74.

    Una vivanda cos prelibata, ricercata da tutti, poteva essere oggetto di furto,

    come avviene allo sfortunato Calandrino (Decameron, VIII 7), che la sceglie an-

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    72 Cfr. M. MONTANARI, Gli animali nellalimentazione umana, in Luomo di fronte almondo animale, cit., pp. 619-663, alle pp. 641 ss.; unanalisi generale del tema si trova in C.LEVI-STRAUSS,Mythologiques. Le cru et le cuit, Paris, Plon, 1964.

    73 Le ricette per cucinare il cappone si confermano numerose: si va dal brodetto di cappo-ne, al cappone in salsa jance, allambrogino e ai polpettoni di capponi, per giungere alle tortee alle crostate di cappone: cfr. M. MARTINO, Libro de arte coquinaria, cit., pp. 23, 36, 124;REBORA, La cucina medievale, cit., p. 126; REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nelMedioevo, cit., pp. 112-113, 148-149; VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina,cit., pp. 73, 124, 127.

    74 Il brodetto di capponi era infatti uno dei brodi pi richiesti: cfr. R EDON, SABBAN eSERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., pp. 112-113; MAESTRO MARTINO,Libro de arte coqui-naria, cit., p. 24. Nella stessa contrada si legano le vigne con le salsicce e si pu comprareunoca a denaio e un papero giunta (9). Sullabbondanza alimentare del paese di Cuccagnacfr. H. FRANCO JR.,Nel paese di Cuccagna, Roma, Citt Nuova, 2001, pp. 62 ss., che nota, tralaltro, come a seconda dei luoghi e delle versioni della storia, i cibi elencati cambino, a testi-monianza del fatto che il cibo permette di ricostruire la storia di una societ (ibidem, p. 64).La contrapposizione tra i cibi della sobriet e quelli dellabbondanza si ritrova anche ne Labataille de Caresme et de Charnage (cfr.Battaglia di Quaresima e Carnevale, a cura di M.Lecco, Parma, Pratiche, 1990).

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    che come pegno di una scommessa (Novelle, LII); altre volte questo animale eraregalato come segno di riconoscenza o come mezzo per poter ottenere favori eamicizia: cos lo stesso Calandrino, per non partorire, costretto a procurare de-nari e capponi al medico (Decameron, IX 3), mentre il medico offre vini e cap-

    poni a Bruno e Buffalmacco in cambio della loro amicizia (Decameron, VIII 9).Salito a cavallo, Dolcibene vi trova due capponi appesi, in segno di ringrazia-mento (Trecentonovelle, CLVI), mentre il maestro Gabbadeo, pur avendonechiesti due al contadino come ricompensa, riceve un paio di paperi (Trecentono-velle, CLXVIII).

    La preparazione del cappone poteva richiedere una trafila lunga, come rac-conta Sacchetti nella novella del cappone tagliato per gramatica (CXXIII),episodio presente, seppure con alcune differenze stilistico-narrative, nelleSposizioni (XXVI): al figlio di Vitale, che studia legge, viene chiesto di tagliare

    un cappone per gramatica; il giovane suddivide allora lanimale in modo daaverne la parte centrale, quella pi consistente, e assegna le parti pi misere del-lanimale agli altri componenti della famiglia sulla base di motivazioni seriesolo in apparenza.

    In questo contesto sembra quasi di essere di fronte ad una riproposizione inchiave ovviamente parodica del motivo rituale del sezionamento e spartizionedella carne, molto diffuso nellattivit venatoria75: anche nel nostro caso lasse-gnazione delle parti dellanimale avviene secondo motivazioni simboliche, malatmosfera di certo concreta e comica, cos come le spiegazioni addotte dal

    giovane sono funzionali ad uno scopo pratico, quello di ottenere la parte miglio-re del cappone. La storia dimostra dunque che anche il metodo di tagliare lavivanda poteva essere determinante, soprattutto se si voleva godere delle partipi gustose dellanimale, a prescindere dalla eventuali annotazioni simboliche,serie o facete, sottese alla spartizione.

    La novella I 5 del Decameron racconta della marchesana di Monferrato cheprepara un convito tutto a base di galline per il re di Francia, suo pretendente. Ilre, stupito, chiede alla marchesana se in quel paese nascano solo galline, senzaalcun gallo; la donna prontamente risponde di no, ma che le femine, quantun-que in vestimenti e in onori alquanto dallaltre variino, tutte per ci son fatte quicome altrove (15), riuscendo cos, con una battuta, a respingere le profferteamorose del re76.

    Anche in questo contesto il cibo assume un ruolo cardine: da un lato, lauto-re sottolinea un aspetto verosimile, tratto dalla vita quotidiana, stante la diffu-

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    75 Cfr. GALLONI, Storia e cultura della caccia, cit., pp. 127 ss.76 Ben illustrano questa scena culinaria le miniature che corredano i manoscritti: cfr., ad

    esempio, E. KNIG, Boccaccio Decameron: Alle 100 Miniaturen der ersten Bilderhand-scrift, Stuttgart Zrich, Belser, 1989, p. 50.

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    sione di queste carni nella cucina medievale; dallaltro, con linserimento diquesto dettaglio egli potrebbe alludere a riflessioni pi raffinate.

    La gallina apprezzata come vivanda fin dai tempi di Apicio, che proponenumerose ricette sul modo di cucinare questi animali, molto presenti anche sulle

    tavole medievali77; nella stessa accezione la gallina compare in altri contesti,quale la lirica provenzale, dove si trovano pure alcuni esempi di sostituzionemetaforica di femmina con gallina78. Secondo il Tacuinum sanitatis, inoltre,un pasto a base di galline stimolerebbe lattivit cerebrale; presumendo allora laconoscenza delleffetto attribuito ad un pasto di galline da parte dei lettori, sipu dedurre che le galline siano doppiamente funzionali al progetto della mar-chesana, poich esse assicurano che il re ascolti la lezioni e sia anche in gradodi comprenderla79. Daltra parte, in un contesto differente, il fraticello Ginepro,incaricato di provvedere alla mensa, dopo aver preparato un intruglio di polli

    non spennati e altri ingredienti, ne loda le propriet terapeutiche: [] questecotali galline hanno a confortare il celebro; e questa cucina vi terr umido ilcorpo []80.

    Pure la famosa novella di Chichibo (VI 4) offre alcune informazioni culina-rie, sebbene il motto su cui si costruisce la storia si basi su una caratteristicafisica della gru che nulla a che vedere ha con la cucina, ovvero labitudine disostare su una sola zampa.

    Innanzitutto apprendiamo che la gru 81 che Chichibo deve cucinare arrosto stata catturata da un falcone, dettaglio ornitologico che trova riscontro, ad esem-

    pio, nelLibro della natura degli animali82

    , oltre che nei trattati di arte venatoriae nelle raffigurazioni iconografiche 83. La coppia gru-falcone ricorre inoltre conalta frequenza nei testi letterari, ma ci interessa qui laspetto gastronomico delparticolare: le gru catturate dal falcone erano reputate le pi gustose, le migliorida cucinare, come testimonia ampiamente il Tacuinum sanitatis, ma anche lalirica provenzale, nella quale questo volatile considerato una vivanda preliba-

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    77 Cfr. APICIO,Larte della cucina, cit., pp. 84-87; F. MASPERO,Bestiario antico, Casale

    Monferrato, Piemme, 1997, p. 161; MAESTRO MARTINO, Libro de arte coquinaria, cit., pp.120, 124, 131.

    78 Cfr. W. HENSEL, Die Vgel in der provenzalischen und nordfranzsischen Lyrik desMittelalters, in Romanische Forschungen, XXVI, 1909, pp. 584-670, a p. 654.

    79 Cfr. COTTINO-JONES,Boccaccio e la scienza, cit., pp. 363-365.80 Cfr.La vita di frate Ginepro, inI fioretti di san Francesco, a cura di G. Davico Bonino,

    Torino, Einaudi, 1974, p. 296.81 NelNovellino presente lo stesso racconto (LXXV), ma al posto della gru si trova un

    capretto arrosto.82 Cfr.Bestiari medievali, a cura di L. Morini, Torino, Einaudi, 1996, p. 457. Il falcone

    che cattura la gru un falcone gi cresciuto ed esperto.83 Cfr. GALLONI, Storia e cultura della caccia, cit., pp. 119 ss.

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    ta84; la modalit di cottura trova infatti il suo riscontro in numerosi libri di cuci-na, fin dallantichit85. Il particolare riportato dunque molto preciso86.

    Si noti poi lattenzione allaspetto sensoriale, olfattivo della cottura: dallagru proviene infatti un grandissimo odor (7), ed proprio questo profumo che

    attira Brunetta.Il Tacuinum sanitatis riporta inoltre che le carni delle gru si possono man-

    giare ogni tanto, per soddisfare un desiderio, poich hanno carne nere e genera-no un umore melanconico87, ed quanto accade a Brunetta, donna capricciosache costringe Chichibo, con le minacce, ad esaudire la sua richiesta88.

    Ingerire un cibo al posto di un altro, tuttavia, non aveva solo conseguenze eripercussioni sociali, ma poteva anche nuocere alla salute, o determinare unacerta caratteristica fisica: ilRegimen sanitatis, ad esempio, ben attento a indi-care quali cibi siano vietati in presenza di alcune malattie.

    Nella novella II delNovelliere di Sercambi Arduigi afferma che la carne dataloro dal Cal fu allevata a latte di cagna, della quale nessuno mai sazio: nelRegimen sanitatis, dove pure si trova una ricca rassegna di tipi di latte, il latte dicagna pare assente 89; a prescindere dalla scientificit delle notizie, interessantequi sottolineare come si attribuiscano ad un certo cibo determinate qualit.

    NelNovellino (III), un savio greco afferma che il cavallo che il re gli ha fattoesaminare stato nutrito con latte dasina, poich lanimale tiene le orecchiebasse, contrariamente alla sua natura90. Sul latte dasina i trattati medici si dilun-gano, sottolineando come questo tipo di latte sia il pi digeribile ma anche il pi

    nutriente91

    . curioso notare che in questo caso lautore della novella si discostadalle propriet scientifiche attribuite allalimento, per proporre uninterpreta-zione che sia funzionale alla dimostrazione della saggezza e dellintuito del savio.

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    84 Cfr. HENSEL,Die Vgel, cit., pp. 658-659.85 Cfr. APICIO,Larte della cucina, cit., pp. 78-81; MASPERO,Bestiario antico, cit., p. 99.

    REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., p. 39.86 Come avviene anche in altri contesti, come quando, ad esempio, si spiega che lo

    sparviero a catturare le quaglie (Trecentonovelle, CCX;Novelle, LXV).87 Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., p. 27.88 Si soffermato sul valore del cibo nelDecameron F. CAPOZZI, Food and food images

    in the Decameron, in Canadian Journal of Italian Studies, X, 1987, 34, pp. 1-13, secondoil quale, in questo episodio, il cibo il perno attorno a cui ruota lintera vicenda (p. 6). Anchele miniature che illustrano le novelle sembrano talvolta attente a cogliere i dettagli gastrono-mici: cfr. KNIG,Boccaccio Decameron, cit.: vd. le immagini alle pp. 54, 94, 98, 118, 135,138, 147, 162, 195, 206, 215, 219, 227, 231 e 238-239.

    89 Cfr.Regimen sanitatis, cit., p. 121.90 Questo racconto si ritrova poi nelle Novelle anonime 32: cfr. Novelle anonime tratte

    dal codice Panciatichiano Palatino 32, in Novellino e conti del Duecento, a cura di S. LoNigro, Torino, UTET, 1963, pp. 339-410, novella VII = CXLVIII.

    91 Cfr.Regimen sanitatis, cit., p. 120, n. 1 e p. 121.

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    Le scelte degli autori delle novelle, pertanto, sembrano rispondere di volta involta ad esigenze narrative e stilistiche diverse: se a volte prevale lallusione aprecise conoscenze medico-scientifiche del tempo, in altri casi si nota una mag-giore apertura alluso quotidiano o, al contrario, allinterpretazione fantastica,

    fiabesca dei dettagli gastronomici.

    Le vivande come perno narrativo della novella

    In alcuni casi il cibo assume una rilevanza essenziale nelleconomia dellanovella, al punto da diventare, talvolta, il perno centrale attorno a cui ruota lin-tera vicenda.

    Una novella simile ma con finale diverso rispetto a quella dellanguilla di

    Minestra, la novella IX 1 del Pecorone: per attirare Ricciardo in una trappola,il doge fa tagliare e mettere in vendita una bellissima vitella da latte, ad unofiorino la libbra (225-226) 92. Poich il prezzo troppo alto, Ricciardo si trave-ste, si reca dove vendono la vitella, fa addormentare le guardie dando loro unacrostata e del vino drogato, e sottrae lanimale.

    Al centro della vicenda dunque ancora una volta una pietanza: la vitelladoveva essere un piatto molto conosciuto e richiesto nel medioevo, tanto che iricettari ne propongono varie modalit di preparazione, soprattutto per i ban-chetti di grasso, mentre i trattati medici ne esaltano le propriet nutritive, adatte

    particolarmente a chi compie lavori pesanti93

    . Lespediente impiegato sia daldoge che da Ricciardo, inoltre, fa leva sulla golosit dellavversario.Ancora pi culinaria la novella CLXXXVII del Trecentonovelle, che

    presenta un campionario di vivande inventate, con tanto di definizioni: gatta-coniglio e topistornelli, infatti, sono i due nomi con cui queste nuove vivan-de sono designate. Una volta di pi, il lettore introdotto nellatmosfera culina-ria dal nome del protagonista, Dolcibene, che gi suggerisce, seppure allusi-vamente, una prospettiva gastronomica; costui invitato a mangiare dal piovano

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    92 Se si osservano i calmieri dei prezzi in vigore in molti centri cittadini dal XV secolo sinota come queste carni fossero le pi costose: da questa novella del Pecorone apprendiamoallora un altro dettaglio, forse pi utile agli storici delleconomia che ai letterati, ma sicura-mente indicativo del metodo di lavoro dei novellieri, che fondono nel loro testo notizie e datiprovenienti da mondi diversi: il costo della vitella, un fiorino a libbra, prezzo giudicato ecces-sivo da tutti i mercanti; oltre alle difficolt di reperimento di certi tipi di carne, infatti, unodegli ostacoli che gli acquirenti dovevano affrontare era il prezzo: cfr. S. COCCIA, Laffaredella carne, in Medioevo, 1, febbraio 1997, pp. 72-75.

    93 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., p. 14;Regimen sanitatis,cit., pp. 110-111; COGLIATI ARANO, Tacuinum sanitatis, cit., p. 101.

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    della Tosa, il quale tenea Santo Stefano in Pane 94 (2), con la promessa dicibarsi di un coniglio in crosta, probabilmente corrispondente alla ricetta che vasotto il nome di pasticcio di coniglio, che prevede che lanimale sia involto inuna crosta di pasta soda e cos cotto 95. In realt, sotto la crosta, c una gatta:

    quando Dolcibene se ne accorge decide di vendicarsi, preparando a chi lo habeffato una cena a base di topi96.

    interessante soffermarsi sui dettagli culinari della novella. I cibi qui pre-sentati sono tutti in crosta, secondo unabitudine molto diffusa; a volte la degu-stazione di questi piatti poteva riservare delle sorprese, esattamente come avvie-ne nella nostra novella, in quanto la crosta poteva nascondere anche animaliinteri o pezzi sani: pasticci di coniglio, di capretto, di vitello o pesci in crostadovevano comunque comparire spesso sulle tavole 97. Apprezzato doveva essereanche il pasticcio di piccioni 98, cos come lusanza di cucinare i pollastri in cro-

    sta99, dato su cui il piovano si informa e presente nella gi citata novella diSercambi, la XV.Una precisa consapevolezza delle caratteristiche dei volatili commestibili

    consente invece a Turello di beffare la fante (Novelle, LXXV)100.Come gi detto a proposito del Novellino (XCII), nelle novelle si presta

    attenzione anche alle stimolazioni sensoriali olfattive provocate dalle vivande:nella novella CXXX del Trecentonovelle Berto Folchi decide di cuocere quattrobellissimi tordi sugli spiedini 101; improvvisamente aggredito da una gatta102 ese ne libera solo inebriandola con il profumo dei tordi.

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    Il cibo nelle novelle medievali tra realt, simbolo e narrazione

    94 Sar certamente un caso, ma anche nel nome della chiesa ritorna un elemento di cuci-na, il pane.

    95 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., pp. 186-187.96 Si noti laccurata descrizione della preparazione delle vivande: [] tolse due pippio-

    ni e otto sorgi, i quali aconci per fare una crosta, levando i capi e le gambe e piedi e le code,arandogli per mezzo, s che nella crosta pareano propri stornelli; e mescol due pip-pioni a quarti tra essi e della carne insalata e fece fare la crosta (9). A proposito dei piccioni,Maestro Martino propone una simpatica ricetta: Piccione, come farne uno che paia due:MAESTRO MARTINO,Libro de arte coquinaria, cit., p. 21.

    97 Cfr. REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., pp. 175 ss.98 Cfr. VANNINI, STEFANINI e CIANCOLINI,Notae De Coquina, cit., p. 62.99 Ibidem, p. 72; REDON, SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., pp. 147-148;

    MAESTRO MARTINO,Libro de arte coquinaria, cit., p. 8.100 Questa novella testimonia, come gi quella di Noddo (CXXIV), un uso dellepoca, quello

    di inviare ad un forno, da cuocere, alcune vivande abbondanti o particolari: in questo caso Turello,pur di non lasciare nulla alla fante, se ne servir anche per preparare un semplice pollastro.

    101 Limpiego degli spiedini doveva essere diffuso: si pensi ai famosi spiedini di anguillealla san Vincenzo, di cui si gi parlato, o agli spiedini di capponi e starne che cuoce la fantein Trecentonovelle, XXXIV.

    102 Daltra parte la gatta era un animale che liberamente circolava per le case medievali,nelle quali poteva assistere alla preparazione dei cibi e alla loro cottura, magari accontentan-

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    Anche la novella LXXXVII ruota intorno a numerosi dettagli culinari.Maestro Dino disgusta a tal punto Dino di Geri che questi non mangia nulla,poich ad ogni piatto presentato (ventre di vitella, starne e sardelle)103 MaestroDino associa esperienze e ricordi negativi, usando le vivande per costruire i suoi

    motti, che ne colgono gli aspetti pi paradossali; la riappacificazione avvieneinfine davanti ad un piatto di ventre e starne.

    Un ventre di vitella lelemento attivo anche nella beffa raccontata inTrecentonovelle, XCVIII: Giovanni Ducci, il Tosco e Piero di Lippo acquistanoun ventre di una vitella; Benci e Noddo capitano al desco dove si vende la vitel-la104, apprendono la notizia, e Benci, con uno stratagemma, riesce a prenderemesser Gherardo e monna Muletta, ovvero gli stomaci e lintestino dellavitella, dalla pentola di Giovanni Ducci, sostituendoli con una cappellina.

    Tra i numerosi dettagli culinari spiccano qui i soprannomi assegnati ai cibi,

    che testimoniano un aspetto concreto di vita quotidiana, tratto dalluso correntee popolare, la suppa fatta con le spezie e il pane bagnato con il brodo dellatrippa (16)105, e luso dellaceto.

    Anche nelDecameron il cibo assume spesso il ruolo di perno centrale dellanovella: quanto avviene nelle gi citate vicende della marchesana diMonferrato e di Chichibo, oltre che nella novella di Federigo degli Alberghi (V9), nella quale compare una vivanda animale, un falcone, cucinato dalluomoper la donna. Ricchissima la bibliografia su questa novella, in particolare sulruolo svolto dal falcone, vero protagonista della storia106. In questo contesto,

    evidente che il dettaglio gastronomico si allontana dalla verosimiglianza per

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    dosi delle briciole: il pittore Stefano di Antonio (1407-1438), ad esempio, inserisce nella suaUltima cena alcuni gatti che assistono e si nutrono dei bocconi sparsi sul pavimento (Cercina,Firenze, SantAndrea): cfr. A. e C. FRUGONI, Storia di un giorno in una citt medievale, cit.,pp. 32 ss.

    103 Tra i piatti pi noti: cfr. REBORA,La cucina medievale, cit., pp. 80, 113, 121; REDON,SABBAN e SERVENTI,A tavola nel Medioevo, cit., pp. 163-164; MAESTRO MARTINO, Libro dearte coquinaria, cit., pp. 19, 91, 93, 126.

    104 Dettaglio su cui ci siamo gi soffermati: cfr. Trecentonovelle, CLIX 7.105 Cos chiosa Marucci, nelledizione a sua cura, p. 295, n. 3, ma difficile dire di cosa

    si tratti effettivamente, in mancanza di ulteriori dettagli e considerata la grande variet dizuppe medievali: cfr., ad esempio, REDON, SABBAN e SERVENTI, A tavola nel Medioevo, cit.,pp. 81-82; MAESTRO MARTINO,Libro de arte coquinaria, cit., pp. 65, 67, 119, 130.

    106 Cfr., ad esempio, C. IMBERTY, Le symbolisme du faucon dans la Nouvelle 9 de la VJourne du Dcameron, in Revue des Etudes italiennes, n. s., XX, 1974, 1-2, pp. 147-156; S. ZATTI, Federigo o la metamorfosi del desiderio, in Strumenti critici, XIII, 1978, 36-37, pp. 236-252; K. TRIMBORN,Der Falke des Federigo degli Alberighi und seine mittelalter-lichen Vorfahren, in Zeitschrift fr deutsche philologie, XCVIII, 1979, pp. 92-109; F.CARDINI, Il banchetto del falcone, ovvero lamante mangiato, in Quaderni medievali,XVII, 1984, pp. 45-72.

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    inserirsi in una prospettiva allegorico-simbolica, in cui il falcone diviene il sim-bolo delluomo che si d in pasto alla donna: nella realt, infatti, era difficileche ci si nutrisse di questa carne, data la sua durezza107, per quanto il falcone,per tiglioso e coriaceo che sia, cibo di tempo alto, cibo cortese, cibo-eros108.

    Il tema dellamante mangiato, diffuso nella letteratura109, si ritrova anchenella novella IV 9, nella quale il Rossiglione finge che il cuore del Guardasta-gno, amante della moglie, sia quello di un cinghiale e glielo fa preparare per lacena.

    Siamo molto lontani, ovviamente, dai gustosi capponi pi volte citati, poichquesti cibi, poco reali, si collocano in una prospettiva diversa e distante dallepratiche quotidiane.

    In altri casi compaiono dei cibi immaginari che, tuttavia, si inseriscono incontesti meno solenni e pi scherzosi: si allude qui alle note galle del cane,

    fatte confettare in uno alo patico fresco (39), che gli amici propinano aCalandrino (VIII 6).Non si ancora stabilito di cosa queste galle fossero effettivamente fatte:

    secondo i pi si tratterebbe di galle di sterco di cane; secondo Pastore Stocchi,la scelta pi logica quella di pensare alle galle fatte di zenzero canino, unaspecie di falso zenzero, probabilmente da riconoscersi nel pepe dacqua. Asupporto di questa tesi si citano le descrizioni dello zenzero canino tratte dadiversi autori (Avicenna, Simone da Genova, Matteo Selvatico etc.), allo scopodi dimostrare quanto questa sostanza fosse diffusa nel Medioevo110. Questo

    motivo compare poi in Trecentonovelle, CCXI, dove per si precisa la composi-zione delle galle vendute dal Gonnella, fatte appunto di stronzi di cane (14) ein Sercambi, IX, dove Zazzara riesce a vendere ad Ugolino dello sterco di cane,spacciandolo per moscato.

    Lanalisi finora condotta ha dunque dimostrato che nelle novelle i precisiriferimenti agli usi e alle abitudini gastronomiche quotidiane, confermati pun-tualmente da testi di altro genere e dai motivi iconografici, si intrecciano conalcune raffinate allusioni simboliche connesse allutilizzo di alcuni cibi, oltre acostituire, spesso, il motivo portante della novella.

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    107 Non a caso, infatti, nei ricettari qui consultati la carne di falcone non compare, mentresono presenti altri prodotti dellattivit venatoria: cinghiale, cervo, capriolo, lepre, fagiano ealtra selvaggina.

    108 Cfr. CARDINI,Il banchetto del falcone, cit., p. 46, n. 4.109 Cfr., ad esempio, le fonti riportate da Branca nelledizione del Decameron a sua cura,

    cit., p. 563, n. 1.110 Cfr. M. PASTORE STOCCHI,Altre annotazioni, in Studi sul Boccaccio, VII, 1973: 7.

    Le galle del cane, pp. 200-208.

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    Una lettura delle novelle trecentesche orientata in senso culinario, pertanto,ci offre preziose informazioni sulla cucina medievale, fondendo nozioni prove-nienti dalla vita e dallesperienza quotidiana, dalla cultura medica o dallambitoreligioso, ed evidenzia le caratteristiche del genere stesso e il metodo di lavoro

    dei novellieri, che abilmente amalgamano contributi provenienti da sfere cultu-rali diverse e ricostruiscono con precisione e dovizia di dettagli laffascinante ericco mondo gastronomico del medioevo.

    Valeria Mouchet