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20 » | IL FATTO QUOTIDIANO | Domenica 27 Marzo 2016

Cultura | Spettacoli | Società | Sport

Secondo Te m p o

SEGUE DALLA PRIMA

D» MALCOM PAGANI

a giovane non pensavo cheFeltrinelli fosse salito vera-mente su quel pilone a Segra-te, così come non credevo aciò che su Pasolini e sull’I d r o-scalo ci era stato detto, ma allafine qualcosa del genere deveessere accaduto e forse in en-trambi i casi è andata propriocome ci hanno raccontato”. Auna settimana dagli 87 anni:“Essere arrivato fin qui è in-c re d i bi l e”, ricordare chi si èstati è un esercizio di sempli-cità: “Mi sono trovato al postogiusto nel momento giusto”.Scrittore, critico letterario,direttore di una celebrata sta-gione di Rai3. Sul tavolo, tralabrador ai piedi e timide pri-mavere alla finestra, decine dilibri, appunti, pezzi di carta:“Stavo votando per i David diDonatello e nonostante abbiaapprezzato Non essere cattivoe venga da Arona, la stessabrutta cittadina in cui nacqueCaligari, ho scelto il film diMatteo Garrone”.

Perché Garrone?Ne ll ’assoluto grigiore nazio-nale contemporaneo, estesosenza distinzioni a pittura,musica, letteratura, teatro, ci-nema e tv, Garrone provasempre a superare il confor-mismo.

Si muove in solitudine?Da quanto tempo non abbia-mo un Berio, un Bene o unGadda? C’è una perdita di e-nergia. Una cultura che inca-pace di qualsiasi ribellioneriesce soltanto a riesumare unlontano ieri.

Viviamo in un eterno rim-p i a n to?

Il postmoderno è questo: rifa-re il passato. La scorciatoiasemplice: ‘Il presente è fuggi-to? Riproponiamo l’antico’. I-dee nuove, zero.

Nella sua Rai3 qualche ideac’e ra .

Craxi e De Mita, i padroni delPaese, avevano deciso di con-cedere ai comunisti una reteminore ancorata al 2 per cen-to di share. Biagio Agnes, unavolpe, una vera lenza, traditodal duo Carrà-Baudo in fugaverso Mediaset, mi lasciò fa-re. ‘Sei libero’. Il problema aquel punto divenne intera-mente mio. ‘Posso fare tutto –mi dissi – ma cosa esattamen-te?’. Cominciai domandando-mi cosa mancasse alla tv ita-liana.

sera ho fatto la spola tra D i-Martedì e Ballarò. Si discute-va di Bruxelles. Già sapevi co-sa avrebbero detto. C’eraq ue ll ’aria luttuosa, quell’a t-mosfera di pena, una cosa in-tollerabile. Peccato per Gian-nini. Floris è un giornalista te-levisivo. Giannini invece è unbravo giornalista.

Augias, Leosini, Lerner, San-toro. Nella sua rete c’e ra n omolti giornalisti.

A parte la conferma di Barba-to, fondamentale, mi misi allaricerca di nuovi conduttori.Inventare fu anche una ne-cessità. In magazzino, politi-ca estera a parte, c’era poco.

Politica estera?Straordinari documentari sulVietnam di Colombo, Levi eBarbato soprattutto. Repertidell’epoca fanfaniana, moltoantiamericani come era ov-vio.

Perché era ovvio?Perché Fanfani detestava gliamericani, troppo morbidicon i sovietici e da filopalesti-nese odiava anche gli ebrei.Nemici da sempre, nei secolidei secoli.

Da critico letterario i nemicinon le sono mancati.

C’era chi, penso a Moravia,accettava le critiche con spi-rito allegro ed era così intel-ligente da fottersene delle ag-gressioni che gli riservavo echi come Pasolini che era dol-ce, ma non simpatico, reagivacon insofferenza. Mi servivaun suo brano per un’antologiae gli telefonai. Mi subissò diimproperi: ‘Lei mi odia, per-ché mi cerca?’.

La riempì di insulti?

E cosa si rispose?Che mancava un’i n f o r m a z i o-ne seria sulle condizioni delPaese. Fino a metà anni 80 latv era stata un nastro traspor-tatore. Portava nelle case ro-manzi, teatro, musica e filmsenza mai raccontare il con-testo sociale né sfiorare il con-tatto con le persone. ‘Farò ilcontrario’, giurai. E fui criti-catissimo, anche da quelli chestimavo. Peccato aver smarri-to il carteggio con Strehler.

Vi scrivevate?Lettere aspre. Strehler noncapiva che la tv è una discipli-na linguistica con regole pro-prie e che riempire il palinse-sto con il teatro significavaparlare straniero. Adoro Bee-thoven, ma non mi è mai ve-nuto in mente di metterlo inprima serata. Ci sono i luoghigiusti. I tempi giusti.

La sua Rai3 era il luogo giu-sto per sperimentare?

Aveva una sua energia inte-riore. Viveva di sé, senza chie-dere niente a nessuno. Diconoche sia stato Pasolini a scopri-re il palazzo, ma non è vero. Èstato Chiambretti. Il suo po-stino a colloquio con Cossiga,infiltrato al ricco compleannodi un cardinale o mandato afare in culo dal ministro Ga-spari era di una potenza asso-luta. C’è poco da fare: le parolenon hanno mai la stessa forzadelle immagini.

Chiambretti è una sua inven-zione.

Circuì la segretaria con l’i n-ganno e si infilò anche nellostudio di Andreotti. Indugia-va davanti agli schedari, dice-va e non diceva. Cinque minu-ti e arrivarono i carabinieri:‘La violazione di domicilio èun reato’. Piero si scusò e battéin ritirata.

Qualcuno si arrabbiava.Con Staino e la banda di T e-l e t an g o qualche problema cifu. Gli avevo dato 15 minutisettimanali a tema libero.

Cosa accadde?In uno sketch, Craxi andava atrovare un gruppo di zingari.Faceva il comizio, abbraccia-va tutti e poi dopo averli de-rubati risaliva in macchinaper dividere la refurtiva congli altri socialisti. Mi chiamòManca, incazzatissimo. Io ilfilmato non l’avevo visto. E loammisi.

Con Samarcanda nacque iltalk-show politico.

Il genere è logoro, sono diven-tati tutti uguali, ne farei so-pravvivere uno solo. L’al tr a

No. Non adoperava molte pa-rolacce, neanche nei suoi ro-manzi. Era della scuola di Ar-basino. Sulla pagina, il vaffan-culo è bruttissimo. Oggi nonc’è libro, anche casto, che nonsia ricco di un ‘cazzo, cazzo,cazzo’ ogni due righe. Se i no-stri mesti narratori ricorronoal turpiloquio per stupire sia-mo messi veramente male.

Moravia e Pasolini non lep i a ceva n o.

Moravia aveva scritto un solobel romanzo, Gli indifferenti,elo aveva fatto inconsapevol-mente. Pasolini anche peggio.Ragazzi di vita era antropolo-gia linguistica e Una vita vio-lenta era tremendo. Non a ca-so il terzo capitolo della trilo-gia romana, previsto, non videmai la luce. Moravia si accor-se del fallimento letterario elo trascino con sé in India.

Lei salvò P e t r o l i o.L’unico vero romanzo. Un in-sieme di riflessioni, pezzi digiornale, note di cronaca. InPet roli o, non facendosi con-dizionare dai limiti narrativi,Pasolini fece finalmente en-trare il mondo nelle pagine.

Un romanzo incompleto.Com’era incompleto il P a s t i c-ciaccio. Un merito più che unacolpa. Il luogo in cui Pasoliniha risolto la sua ambizione –diventare una stessa cosa conla realtà –è stato il cinema. S a-lò è un film incredibile. Pezzidi corpi, lembi strappati, sof-ferenza. Vedevi lo scempio.Ti squassava. Come nel neo-realismo di De Sica e Rossel-lini che amavamo perché ti fa-ceva toccare le cose, il Paso-lini da set era materialista.

Senza i crepuscolarismi, sen-za il naturalismo di stampo ot-tocentesco, i vibranti slanci diretorica fasulla, l’in tim is mosgradevole che albergava intutto quello che consideravocome la peste: Metello di Pra-tolini o La ragazza di Bube diCassola.

Qualcuno sostiene che in S a-lòPasolini abbia prefiguratol’a d d i o.

Non credo alle prefigurazio-ni. Gli è capitato di andarsenein quel modo, ma viveva inmaniera pericolosa e non mimeravigliai. Poteva accader-gli qualsiasi cosa, persino dinon morire.

Lei ama il paradosso.Forse perché ho visto di tutto.Guerra mondiale, ’48, boom,’68, terrorismo, caduta dellaPrima Repubblica e bugie del-la Seconda. Da ragazzi pensa-vamo di dover rinnovare intoto la cultura. Il Paese si stavatrasformando, ma latitavanole produzioni della mente:‘Cambia tutto – ci dicevamo –perché non dovrebbe capo-volgersi anche la letteratu-ra?’. Ci pareva essenziale. E-ravamo stupiti che non acca-desse.

Il Gruppo 63 nacque ancheper questo?

Fummo accusati di arrivismo:‘Ecco i nuovi che smanianoper prendere il potere’. Erafalso. Il Gruppo 63 nacquequasi senza che ce ne accor-gessimo. Incontrai un amico aRoma, in piazza Cavour: ‘A ot-tobre saremo a Palermo perparlare di letteratura’. Andai.Esserci mi sembrò semplice-mente giusto. Volevamo un

Il genere èlogoro, sonod i ve n t a t itutti ugualiPeccato perGiannini .Floris è ung i o r n al i s t atele visivo,Gianniniun bravog i o r n al i s t a

I TALK SHOW

Si era messoin testa diportarmia MediasetFinsi er il a n c i a i :‘Solo setutta la reteviene conme’. Ci fupiù di unariunione

B E R LU SCO N I

L’I N T E RV I STA ANGELO GUGLIELMI L’ex direttore di RaiTre:“Siamo solo capaci di riesumare un lontano ieri”

“La Rai è morta, serve solopasti indigesti. E Dall’Ortoè borioso e inconsistente”

B iog ra f i aA N G E LOGUGLIELMINato adArona nel ‘2 9,si è laureato inLe t te reall’U n i ve rs i t àdi Bologna.Entrato in Rainel ‘54, ès t a toc a p o s t r u t t u ratra il ‘76 e l’8 7,dando vita ap ro g ra m m icome “Bontàl o ro”. Dall’87al ‘94 è statodirettore diRai3 e ha fattonascere, tragli altri,“Quelli che ilc a l c i o”, “La tvdellera ga zze ”,“Ava n z i ”,“S a m a rc a n d a ”,“B l o b”, “Chil'ha visto?”,“Un giorno inp re t u ra ”. Hal a n c i a toS a n to ro,Da n d i n i ,Fa z i o,C h i a m b re t t i ,Ferrara. Sottola suadirezione loshare èpassato dal 2al 10 perce n to

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L’i n novatoreGuglielmi hacambiato pro-fond a me nteRai 3. Nella pa-gina accanto,con Santoro.Qui a destra,con Cossiga.Nella fotogrande a sini-stra, il dg at-tuale CampoDa l l’Orto. A de-stra, Moravia,Pasolini e laCallasA n s a / La Pre ss e

di potere molto affezionato ase stesso. Non so se avrebbefatto meglio, anzi. Posso direperò che col senno di poi si ècapito perché ha vinto Berlu-sconi.

E perché ha vinto?Perché sapeva ottenere coseincredibili mischiando illega-lità assoluta, teatralità e sensodegli affari. Berlusconi era fi-glio di un disgraziato. Di undirettorino di banca. Anche senon bisogna chiedersi da dovevengano i soldi perché da do-ve vengono è chiarissimo, eraimpossibile non provare perBerlusconi una certa ammi-razione. Era difficile non o-

diarlo senza provare una per-versa simpatia.

L’ha incontrato spesso?Lui è un furbone. Cerca di ru-bare ogni cosa. Si era messo intesta di portarmi a Mediaset.Finsi di starci e rilanciai: ‘Vabene, ma solo se con me vienetutta la rete’. Incredibilmentesul tema si tenne più di unariunione. Nell’ultima, a casadi Costanzo, c’erano ancheConfalonieri, Galliani e quel-lo sciagurato di Dell’Utri. Poinon se ne fece nulla. Sapeva-mo che era impossibile.

Rai3 era chiamata Teleka-bul.

E non mi dispiaceva, comenon dispiaceva a Curzi. Tran-

ne Montanelli e forse Scalfari,o si è grandi direttori o grandigiornalisti. Sandro probabil-mente non era un grandissi-mo giornalista, ma era un di-rettore enorme. Le sue scalet-te condizionavano la politica.Erano seguitissime e temute.In un primo tempo, di certisuoi toni rozzi mi vergogna-vo. Sbagliavo. Erano perfetti.

Come arrivò alla direzione diRai3?

Il mio nome lo suggerì Veltro-ni. Anche se scrive i romanziche scrive, Walter è un uomocurioso e intelligente. I ro-manzi non sono la sua parti-ta.

E i film?I bambini insomma. Meglioquello su Berlinguer. Che gliadolescenti non sappiano chivive al Quirinale un po’ i m-pressiona.

La Rai di oggi?È un’azienda morta. Non pro-duce nulla. Non crea lavoro.Esiste solo per la sua stessa so-pravvivenza. In Italia gli ope-ratori di cinema e tv, Rai com-presa, sono 47.000. In Fran-cia il doppio. In Inghilterrapiù del triplo. Nonostantequesto, la Rai ha un indice d’a-scolto più alto di Mediaset, glisponsor pagano bene e quindinessuno si azzarda a inventa-re niente. Ci si appoggia a quelche c’è già e che funziona per-fettamente come Sanremo e sicomprano format esteri. LaRai non ha altra preoccupa-zione che fornire un pasto in-digesto che forse piace pro-prio perché è indigesto.

La qualità?Esclusi M on tal ba no e il vec-chio La piovra, sceneggiaticon cui la Rai è uscita dalla mi-seria dei propri confini, le fic-tion degli ultimi decenni unpo’ fanno pena e un po’ fannoridere. Almeno costano po-co.

E le nomine?Potevano essere migliori, manon sono il punto. Chi c’è ora,Bignardi inclusa, non potràfare nulla di meglio di quelloda cui siamo già offesi. Finchéla Rai non si trasforma in unagrande azienda di produzio-ne culturale, puoi chiamare aViale Mazzini anche Gesù manon risolvi niente.

In Cda c’è il suo amico Frec-ce ro.

Il Cda non conta nulla. A Car-lo dico sempre che sa parlarbene, ma non sa fare. Lui si in-cazza, però è vero.

Antonio Campo Dall’Or to?L’ho incontrato a un dibattito,mi è parso un uomo di nessuninteresse e di totale inconsi-stenza. Non solo povero di i-dee, ma anche un po’ g r a d a s-so.

Renzi gli ha dato pieni pote-ri.

Quando mi hanno detto che ilpremier, un tipo che io consi-dero furbo, voleva farne l’e l e-mento di punta ho pensato auna balla. Era vero. Con la ri-forma, Campo Dall’Orto puòfar molto. Sempre ammessoche lo sappia fare.

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mondo diverso da prima equindi anche i nostri gesti do-vevano marcare uno scarto. Iparametri di giudizio d’a lt raparte erano allucinanti.

Esempi?Gadda era considerato un bel-letrista. Un raffinato che scri-veva bene, un calligrafico. Erail contrario. La sua prosa sca-vava, rovesciava la realtà perrivelarne le ombre, adopera-va un linguaggio contaminatodai dialetti e da momenti tra-gici, lirici e teorici. Era un o-peraio di una lingua che tra-sformava in uno strumentostraordinario, non certo l’i n-cantato ammiratore di se stes-so. Tra l’altro era lontanissi-mo dal professare la religionedegli scrittori delle epochesuccessive.

O v ve ro?L’autopromozione di se stes-si. Gadda era di un’ingenuitàassoluta. Viveva nell’eternapreoccupazione che le donnevolessero sposarlo o che qual-cuno parlasse male di lui.Quando uscì Hilarotragoediadi Manganelli, bussò alla por-ta di Giorgio: ‘Mi stai pren-dendo in giro?’. L’aveva lettocome parodia della sua narra-tiva, della sua via Merulana,della sua persona.

Arbasino è stato importan-t e?

Fa una rivoluzione: porta ilparlato nelle pagine. Un lam-po di modernità poi ampia-mente imitato. I nostri poverinarratori si ravvivano inse-rendo pezzi di parlato. Altrigrandi contemporanei sonostati Celati e Tondelli.

Su Rimini in verità lei fumolto duro.

Lì Tondelli aveva persoper strada il linguaggiodi Altri libertini. Non e-ra colpa mia. Al limitesua.

Di linguaggio e spe-rimentalismo si oc-cupò fin da giova-ne, sul Verri.

Con i suoi contisempre precari, ilVerri fu salvato daFeltrinelli. Gian-giacomo si rivelòleggero in alcunescelte. Ma fu unuomo straordina-rio. Costruì unacasa editrice dalnulla e si giocò ric-chezze in imprese

che gli restituironopiù grane che gloria e

profitti.

Da direttore qualche granatoccò anche a lei.

I sette anni di Rai3 arrivaronoin un contesto incredibile e ir-ripetibile: tra il crollo del Mu-ro di Berlino e quello dei par-titi. Il mondo si stava rove-sciando. Noi accompagnam-mo lo sgretolamento e in qual-che modo lo vaticinammo.Qualcuno, nel partito e nonsolo, ci rimproverò la sconfit-ta del ’94. Repubblicafu duris-sima: ‘Rai3 è tra i principalimotivi della disfatta’.

Lei ci ha mai creduto?Mai. Le accuse erano ridicole.La verità è che sono stati deicoglioni. Avevano già vinto.

Davanti a loro c’era un’a u t o-strada. Le scelte di Occhettoebbero un ruolo. Dopo la ca-duta del comunismo bisogna-va cambiare, ma il rinnova-mento occhettiano disartico-lò il partito e lo indebolì. Creòsmarrimento e disaffezione.Berlusconi ebbe gioco facile.Pensò: ‘Prendiamoci tutti ipartiti decotti e combattiamocontro l’unico che ha ancoraqualcosa di vivo’. E vinse. Co-me in Gogol, c’erano in girosolo anime morte. Berlusconile ingaggiò. Le comprò. Le pa-gò tutte.

Se al posto di Occhetto cifosse stato D’A l e m a?

È intelligente, ma è un uomo

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Al b e r t oaccettava lecritiche conallegria e sene fotteva.Pier Paoloera dolce,ma nons i m p a t i co .Reagiva coni n s o ffe re n za

M O R AV I AE PASOLINI


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