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40
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È gestita dalle SuoreOspedaliere della Misericordia

Casa di Cura “Mater Misericordiae”Via Latina, 28 - 00179 Roma

Tel. 0677207786-0677209422 Fax. 067005104e-mail: [email protected]

www.matermisericordiae.itÈ raggiungibile con mezzi di trasporto urbano: linee 360 e 628

Accoglie pazienti che necessitano di riabilitazione motoria

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Ottobre/Dicembre 2013 Sommario

5

11

22

31

14

25

3 EDITORIALEFede e Speranzadi Paola Iacovone

4 REDAZIONALELa solitudinedi Vito Cutro

5

6 SPECIALE TERESA ORSINILa Principessa TeresaOrsini Doria Pamphili (VI) di Anna Rita Capodiferro

8 GUARDIAMO GESÙL’uomo dei doloridi Andrea Gemma

10

11 RESIDENZA MARIA MARCELLAL’Accoglienzadi Gabriella Ferroni

12 SALUTE E SANITÀLa medicina monasticadi Gerardo Corea

14 ECCOMI ...La storia della mia vocazionedi Alberthine Voahirana

15 ... MANDA MESpigolature...di Paola Iacovone

16 SEGNI DEL TEMPOLa pastorale porta a portadi Giovanni Fangani Nicastro

17 LA COMETA NEWSa cura di Federica Martufi

26 L’ANGOLO DELLEFAMIGLIEL’immagine della famiglianella fictiondi Alessandra Caneva

29 L’ANGOLO DEI GIOVANIUn nuovo iniziodi Matteo Fusaro

22 MAGISTERORipartire da Cristoa cura di Vito Cutro

28 SAPORI DIVINIdi Concita De Simone

13 SALUTE E SANITÀL’Osteoporosi (IV)di Fabiola Bevilacqua

31 STORIERamin Bahrmi: una conversionegrazie a Bachdi Concita De Simone

32

NOTIZIE

36 RELAXa cura di Concita De Simone

UNO SGUARDO AI PADRIPregare “nel cuore” (V)a cura di Vito Cutro

CLINICA MATER MISERICORDIAEUna mano e un cuore

34

BIBLIOTECA“I Trofei del Satana”“Il mio Giovanni Paolo II”a cura della Redazione

ACCOGLIENZACHE CRESCE

Rivista trimestrale delle Suore Ospedaliere della Misericordiacon approvazione ecclesiasticaReg. Trib. di Roma n° 425, 3 ottobre 2003

DirettriceMadre Paola Iacovone

ResponsabileVito Cutro

RedazioneBertilla CipolloniConcita De SimoneEmily FavorLissy Kanjirakattu

Segretaria di RedazioneFederica Martufi

Anno X - n. 4Ottobre - Dicembre 2013

Abbonamento annuo € 10,00Sostenitore € 50,00

Versamento su c.c.p. n. 47490008intestato a: Suore Ospedaliere della Misericordia

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2013dalla Tip. L. LucianiVia Galazia, 3 - 00183 RomaTel. 06 77209065

Spedizione abbonamentopostale - D.L. 353/2003 (conv. in L 27/2/04 n. 46) art.1 comma 2 - DCB - Roma.

Abbonamenti, indirizzie diffusioneRedazione Accoglienza che cresceVia Latina, 30 - 00179 RomaTel. 0670496688Fax 06 70452142

[email protected]

Le foto, qualora non specificato,sono atribuibili a panbe

Presepe di Piazza San Pietro dell’anno 2012

25 RIFLESSIONIUn Natale di speranza per l’umanitàdi Vito Cutro

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Gesù,tu sei nato deboleperché ionon abbia mai paura di te.

Sei nato poveroperché io ti considerila mia unica ricchezza.

Sei nato piccoloperché io non cerchidi dominare gli altri.

Sei nato in una grottaperché ogni uomosia libero di incontrarti.

Sei nato nella semplicitàperché io smettadi essere complicato.

Sei nato per amoreperché io non dubitimai del tuo amore.

Anonimo

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Editorialedi Madre Paola Iacovone - Superiora Generale

Fede e speranzaS i è concluso da poco l’Anno

della Fede, ma credo chel’impegno che abbiamo preso

di riflettere a fondo sulla nostra fedeaffinchè essa aumenti e migliori devecontinuare anche nel futuro.

Molte volte la Chiesa ci propone dei‘momenti forti’ da vivere nel nostro cam-mino di cristiani, non tanto perché sianofatti sporadici, nei quali ci assorbiamoper un certo periodo di tempo, per poitornare alla nostra solita vita; questidevono essere, uno in successione all’al-tro, momenti che devono lasciare unsegno di crescita spirituale nel nostrocammino verso la santità.

È questa la fiduciosa speranza che cideve sostenere, ora soprattutto che cistiamo avvicinando ad uno di questi‘momenti forti’ l’Avvento in preparazio-ne al santo Natale: una speranza che siavivificata dalle altre due virtù teologali,la fede, appunto, e la carità.

Scrive Papa Francesco nell’Enci-clica Lumen Fidei: “Nell’unità con lafede e la carità, la speranza ci proiettaverso un futuro certo, che si colloca inuna prospettiva diversa rispetto alleproposte illusorie degli idoli del mondo,ma che dona nuovo slancio e nuovaforza al vivere quotidiano. Nonfacciamoci rubare la speranza, nonpermettiamo che sia vanificata consoluzioni e proposte immediate che cibloccano nel cammino, che “frammen-tano” il tempo, trasformandolo in spa-zio. Il tempo è sempre superiore allospazio. Lo spazio cristallizza i processi,il tempo proietta invece verso il futuroe spinge a camminare con speranza.”(LUMEN FIDEI n. 57).

Credo che un concetto migliore nonvi possa essere per proseguire in questafine dell’anno in corso e nell’intrapren-dere il nuovo anno 2014. Mi permetto diaggiungere che non solo non dobbiamofarci rubare la speranza, ma dobbia-mo lottare perché non ne vengano pri-vate le giovani generazioni , soprattut-to i bambini, le creature più fragili ed

i quali possiamo e dobbiamo avvicinarcial nostro prossimo, soprattutto quandobisognoso di cure, di ascolto, di aiuto. Ecome non incarnarli nei momenti difesta: quante persone vivranno questoprossimo Natale in solitudine, in tristez-za, con amarezze interiori, se non alcapezzale di qualche malato. È lì certa-mente che ci vuole il Signore che viene.

È con questi sentimenti che desideroaugurare a tutta la mia Congregazione, ainostri amici, lettori e benefattori, di tra-scorrere un sereno Natale cristiano nelvero senso del termine ed un nuovo annonella comune convinzione che l’impe-gno di tutti deve portare a far in modoche Gesù, alla fine, trovi, finalmente,una grande fede tra gli uomini.

indifese, vittime inconsapevoli dellacattiveria e della violenza umane.

La credibilità della nostra fede devetrovare espressione, appunto, nella spe-ranza che non dobbiamo limitare a noistessi ed al nostro intimismo, ma chedobbiamo estendere a macchia d’oliotutt’intorno a noi attraverso una semprepiù incisiva carità: quella carità che ha,come massima tangibilità l’accoglienza,l’amore, l’ascolto e la disponibilità.

Sono, ritengo, i migliori pensieri con

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4 - Accoglienza che cresce

Redazionaleddddiiii VVVViiii ttttoooo CCCCuuuuttttrrrroooo

È , forse, uno degli stati piùangosciosi e preoccupantiin cui vive una buona fetta

dell’umanità cosiddetta civilizzata. Nonsi vuole, in questa sede entrare in unaanalisi delle varie forme di emarginazio-ne o di autoemarginazione sociale; ci sipuò soffermare sulla considerazioneche, a fronte di progressi tecnologicisempre più incalzanti, si osserva un pro-gressivo ed incessante isolamento del-l’essere umano che si ‘rifugia’ in stati dipiù o meno profonda solitudine. È ciòche vediamo nei nostri ragazzi e neinostri giovani, ma non solo. Internet,face book e similari contribuiscono inmodo rilevante in quanto, standosenetranquillamente seduti – nel proprio‘regno’ – si riesce a ‘dialogare’ conmolti ‘amici’ che, poi, in prevalenza,sono e rimangono virtuali, quando nonpericolosi. La televisione ed i videogio-chi, inoltre, aiutano e sostengono unatendenza all’autoisolazionismo e glieffetti provocati da tali situazioni sonodiventati, ormai, oggetto di interesse dimedici, sociologi e, in molti casi, di psi-chiatri e tribunali.

Ciò che viene ad essere lentamentesoppresso è il ‘dialogo’ che, per essere

tale, ha bisogno anche, se non soprattut-to, di contatti umani, fisici. Ed eccoci,quindi, a quella situazione di ‘isole’ checiascuno di noi, chi più chi meno, rap-presenta con il suo bagaglio di egoismoe autoreferenzialità. Isole in un mondoche vive, che pulsa, che corre, ma che civede, spesso, passivi seguaci e non dina-mici partecipi della quotidianità.

Può essere utile, in tale contesto, cita-re un uomo che ha lanciato dalla solitu-dine - a cui volontariamente si era votato– meravigliosi messaggi che andrebberofinalmente ascoltati e meditati. ThomasMerton, divenuto monaco e mistico trap-pista dopo una vita intensamente vissuta,ha prodotto, tra gli innumerevoli scrittielaborati, (con i quali, peraltro, ha contri-buito a dare alla Chiesa numerose voca-zioni), il volume “Nessun uomo è un’i-sola” in cui, per l’appunto, mostra la suapreoccupazione per la strada per laquale, già dalla prima metà del ‘900, l’u-manità si stava incamminando. In unodei passi più significativi di questo volu-me, afferma: «Nulla, proprio nulla hasenso se non ammettiamo, con JohnDonne, che: “Nessun uomo è un’isola, insé completa: ognuno è un pezzo di uncontinente, una parte di un tutto”». Ogni

uomo, spiega, «è una parte di me, perchéio sono parte e membro del genereumano. Ogni cristiano fa parte del miostesso corpo, perché noi tutti siamomembra di Cristo. Quello che faccioviene dunque fatto per gli altri, con loroe da loro: quello che essi fanno è fatto inme, da me e per me. Ma ad ognuno di noirimane la responsabilità della parte cheegli ha nella vita dell’intero corpo».

Per riandare al concetto della solitu-dine, quindi, è appena il caso di eviden-ziare come, in particolare per il cristia-no, sia ormai urgente stimolare i bimbied i giovani ad una vita partecipata,insieme con gli altri, nel dialogo, nelcontraddittorio e nella edificazionecomune di idee, progetti, spaccati disocietà sempre più a dimensione collet-tiva. I risultati del non impegno in que-sto senso li conosciamo già, li abbiamocostantemente sotto gli occhi: sono rap-presentati da quella fascia adolescenzia-le e giovanile contro la quale ci accania-mo, spesso con giudizi alquanto incle-menti, abbastanza volentieri, ma versola quale non sempre ci rendiamo dispo-nibili in atteggiamenti di ascolto, di dia-logo – appunto -, di disponibilità e, segenitori ed educatori, di sacrificio.

LA SOLITUDINE

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Accoglienza che cresce - 5

IndiceUno sguardo ai padria cura di Vito Cutro

Il cuore conosce Dio per mezzo delleispirazioni interiori.Abbiamo visto che l’uomo è spessoinvaso da una moltitudine di pensieri.Per giudicare la loro utilità per la vita,bisogna esaminare non solo ciò chedicono, ma anche da dove vengono.Sotto quest’aspetto, i Padri cercano inprimo luogo di distinguere se vengono“dal di fuori” o “dal di dentro”. I pen-sieri che ci provengono dal di fuorihanno cause molto varie: abbiamovisto qualche cosa che ci fa pensare,udito un racconto, un interlocutore ciha “suggerito” un’idea. Gli autori spiri-tuali sperimentarono che anche ildemonio suggerisce varie idee perdistruggerci. D’altra parte, siamo con-vinti che anche Dio ci parla attraversole ispirazioni. Lo Spirito Santo, infatti,ci suggerisce delle idee. Ma il suomodo di avvicinarci è diverso da quel-lo del nemico, la sua voce, infatti, si fasentire “dal di dentro”.

Gli autori siriaci descrivono questaesperienza con una metafora. Il cuore,dicono, assomiglia ad una fontana. Se èpura, il cielo si riflette in essa.Similmente, nel cuore puro si riflettonoi pensieri divini. Chi è abituato a sen-tirli, non ha bisogno di altri insegna-menti. Gli autori chiamano “preghieradel cuore” ascoltare le ispirazioni divi-ne nel proprio interno.

La preghiera del cuore descritta daiSanti occidentali.Spesso si dice che la “preghiera delcuore” sarebbe tipica della Chiesaorientale e che gli occidentali non laconoscono. Eppure è interessante para-gonare ai testi orientali la brevissima,ma ben riuscita descrizione disant’Ignazio di Loyola inserita negliEsercizi Spirituali, là dove parla delladistinzione degli spiriti. Afferma:“Solo Dio nostro Signore può dareconsolazione all’anima senza causa

previa perché è proprio del Creatoreentrare, uscire e fare mozione in essa,elevandola interamente all’amore dellaSua divina grandezza. Dico senzacausa, cioè senza nessun precedentesentimento o conoscenza di un deter-minato oggetto…”. L’arte è di saperaccogliere le reali mozioni.Di san Francesco leggiamo, nell’anticabiografia, che spessissimo aveva taliintuizioni e che non se le lasciava sfug-gire. Al contrario, le accettava conmolta attenzione. Così, quando cam-minava con gli altri, se gli veniva un’“illuminazione”, lasciava andare avan-ti gli altri e si soffermava ad ascoltarequesta voce del Signore. Si dice anco-ra che, in questi momenti, ponesse unamano sul cuore (gesto che viene racco-mandato dagli esicasti) “e ivi parlavacon il Signore, ivi rispondeva al suogiudice, ivi supplicava suo Padre, iviconversava con l’Amico, ivi si compia-ceva (la sua anima) con il suo sposo”.

Conoscere se stessi per conoscere Dio.Il pensiero cristiano ha ripreso e svi-luppato il motto scolpito sul tempio diDelfi trasmesso a noi da Socrate:“Conosci te stesso!”, ma per gli autoricristiani che cosa significa esattamen-te conoscere se stessi? Non si tratta diuna conoscenza psicologica, piuttostodi quella che si dice “morale”: si trattadi sapere quale bene siamo capaci direalizzare, quale virtù dobbiamo prati-care. Ma san Basilio parla di una cono-scenza di sé ancora più sublime, “teo-logica”: conoscere Dio, contemplandola sua immagine nella nostra anima esentendo la voce dello Spirito nel pro-prio cuore. È quest’ultima che si eser-cita nella cosiddetta “preghiera delcuore”.

Pregare “nel Cuore” (V)TOMÁS SPIDLÍK: (1919-2010)

È morto la sera del 16 aprile 2010. La messa ese-quiale è stata celebrata nella Basilica Vaticanamartedì 20 aprile. Alla fine della liturgia il SantoPadre Benedetto XVI ha benedetto la salma e hatenuto l’omelia. I funerali hanno avuto luogo,

venerdì 30 aprile 2010 alle ore 16, nella basilica dell’Assunzione dellaBeataVergine Maria e dei santi Cirillo e Metodio a Velehrad, in Moravia, doveè stato sepolto.

(Fine)

Il brano che rileggiamo è tratto, come i precedenti, dal volume “L’arte di puri-ficare il cuore”, per le Edizioni della Lipa di Roma.Per ulteriori notizie sulla biografia e sulla bibliografia del Card. TomásSpidlík, ci si può rivolgere al più volte citato“Centro Studi e Ricerche EzioAletti”, Via Paolina, 25 – 00184 Roma, Italia, tel. +39-06-4824588 -Fax: +39-06-485876

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Speciale Teresa Orsini

6 - Accoglienza che cresce

2.3 La vita familiare.L’educandato di Tor de’ Specchi è cosìchiamato perché, secondo un’antica leg-genda, sul Campidoglio si trovavaun’altissima torre d’oro che di notte fun-geva da faro per orientare i naviganti esulla stessa torre era stato collocato unospecchio dai poteri sorprendenti dalquale «si scopriva quanto veniva opera-to nel mondo». Inoltre, afferma lo stu-dioso Umberto Gnoli: «Si è scritto eripetuto che questa torre fosse apparte-nuta alla nobile famiglia romana degliSpecchi, dalla quale l’avrebbe acquista-ta santa Francesca Romana. Penso siareale la leggenda medioevale deglispecchi, sui quali i romani vedevano ciòche avveniva nelle loro province».Verso la fine del 1807 e i primi mesi del-l’anno seguente Teresa lascia l’educan-dato di Tor de’ Specchi. È stata formataalla fede cattolica e ha appreso gli ele-menti culturali propri della formazionefemminile aristocratica del tempo.Teresa, educata nei collegi di Napoli e diRoma, come è d’uso nelle migliori fami-glie se non optano per avere dei pedago-ghi a domicilio, esce dal mondo dell’i-struzione per accedere ad una nuovavita, quella matrimoniale. La sua vita eil suo futuro sono già programmati comeavviene in tutte le famiglie aristocrati-che che hanno obblighi e doveri dinasti-ci e sociali: il prestigio del casato primadi tutto, prima ancora del bene della per-sona stessa. E Teresa, di natura mite econciliante, non pensa minimamente disottrarsi alle leggi di famiglia.Teresa si prepara a iniziare la sua vita

matrimoniale con grande slancio e sere-nità, senza timori o titubanze: è pronta arealizzare nella vita domestica la suamissione di cristiana. È giovane, bellis-sima, dai lineamenti delicati e fini; iritratti stessi hanno tramandato fino anoi il suo aspetto luminoso,la grazia, labellezza radiosa. Il suo promesso (pareche sia stato suo nonno a prepararle lavia coniugale) è un discendente dellafamiglia principesca dei Doria PamphiljLandi, una delle più importanti famiglieromane.

2.3.1. Luigi Giò Andrea IV, marito diTeresa Orsini.Il futuro marito di Teresa, Luigi, è nato aRoma il 24 ottobre 1779. I suoi genitori,Andrea e Leopolda di Savoia Carignano,vivono nel palazzo che sorge fra piazzaCollegio romano e il Colle Capitolino,proprio nel pieno centro della capitale. Ilbambino viene battezzato il giorno stes-so della nascita e la cerimonia avvienenel grande palazzo dei Doria e nella sto-rica chiesa di Santa Maria in via Lata,situata, ancora oggi, nel maestoso palaz-zo dei Doria Pamphilj in via del Corso.Illustri nomi circondano la funzioneliturgica amministrata dal vicario perpe-tuo della parrocchia, don PietroCasciotti.La madre di Luigi, Leopolda Maria, èuna discendente della famiglia Savoia-Carignano. Il padrino prescelto è il prin-cipe Vittorio Amedeo Savoia-Carignano, ma poi, per impossibilità diquest’ultimo, viene sostituito daAntonio dei Doria Pamphilj, il quale

presta il suo servizio nella gerarchiaecclesiastica con il titolo di protonotarioapostolico. La madrina è Teresa diLorena d’Armagnac. Il piccolo vennebattezzato con i nomi: Luigi, Vittorio,Giovanni, Andrea, Giuseppe-Maria,Raffaele, Raimondo. Verrà poi semprechiamato Luigi Andrea.Dal precettore di famiglia è avviato aglistudi di grammatica. Ama andare acavallo, si muove molto bene all’internodei salotti patrizi, ma si sa, per certo, cheha un’attenzione tutta particolare per ipoveri. Intorno ai vent’anni decide diistruirsi nel settore agricolo: l’attivitàeconomica che foraggia la nobiltà, benlontana dalla nascente industria e dal-l’artigianato regionale.

2.3.2. Il matrimonioLe circostanze, in cui il giovane princi-pe ha modo di conoscere Teresa Orsini,non si conoscono, ma si può dedurreche, frequentando incontri, feste e ballinei palazzi romani, abbia qui modo diconoscere e frequentare colei che poidiventerà la sua futura sposa. Il loroamore, è presumibile, inizia e si consoli-da fra il 1805 ed il 1808.Il matrimonio si celebra il 2 ottobre1808. È un giorno di festa per tutta lanobiltà romana.Sul periodico Diario di Roma si legge lacronaca delle nozze :«Nella mattinata didomenica 2 ottobre, festività dellaVergine, sotto il celebratissimo titolo delRosario, dedicato altresì alla devozionedei Santi Angeli Custodi, ebbe luogo lacelebrazione del matrimonio tra

di Anna Rita Capodiferro

La Principessa Teresa Orsini Doria Pamphilj (VI)

Proseguiamo nella pubblicazione del pregevole lavoro svolto dalla sig.ra Anna Rita Capodiferro, nata a Gravina in Puglia,patria natale anche della principessa Teresa Orsini Doria, quale sua tesi di laurea in Magistero delle scienze religiose, concui si è laureata con il massimo dei voti. Ringraziamo l’autrice e auspichiamo che anche questa sua ricerca possa contribuire alla nobile causa di vedere laPrincipessa, fondatrice delle SOM, posta agli onori degli altari.

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Speciale Teresa Orsini

Accoglienza che cresce - 7

l’Ecc.mo Sign. Luigi Doria, figlio di SuaEcc. il Sign. principe Doria PamphiljLandi e l’Ecc. ma Sign. D. TeresaOrsini, nipote di Sua Ecc. il Sign. prin-cipe Orsini, Duca di Gravina, seguitanella gentilizia cappella del suo palazzoa monte Savelli. Sua Ecc.za Rev. maMons. D. Giorgio Doria, maestro dicamera di S. Santità e fratello germanodello sposo eseguì la sacra cerimonia edopo averli congiunti nell’indissolubilevincolo matrimoniale, presenti i duerispettivi parroci, celebrò la S. Messa,nella quale dispensò ai novelli sposila sacra Eucaristia, che ricevetterocon la più edificante devozione, tuttapropria della loro conosciuta pietà.Sul finire poi della medesima diresseloro la parola, e nel suo discorso rile-vò i pregi nonché i doveri del matri-monio, con brevi ma commoventiespressioni che intenerì i circostanti. Ascoltarono quindi un’altra messaper rendere le dovute grazie alSignore; serviti finalmente di rinfre-sco in unione degli Ecc. mi Signoridelle due famiglie, che vi erano inter-venuti, si recarono a visitare la basili-ca vaticana».Due anni dopo nasce il primo figlio; èil 13 dicembre 1810, giorno di santaLucia. È un maschio e viene chiamatoAndrea. L’anno seguente viene allaluce Leopolda e il 29 settembre 1813è la volta di Filippo. Il 30 maggio1815 nasce Domenico.Teresa «come madre ruppe […] l’u-sanza dell’epoca di affidare la prole abalie di campagna per l’allattamento e iprimi rudimenti di educazione». Forseproprio perché ha saggiato in prima per-sona che cosa significhi crescere senza ipropri familiari accanto, Teresa donaaffetto e tenerezza ai propri figli senzaparsimonia, ma, in definitiva, non sapràmai risparmiare la sua persona in nessuncampo.Teresa e Luigi sono uniti dagli stessiprincipi e dagli stessi ideali; sono benconsapevoli che, mettendo al mondodelle creature, cooperano nel miglioredei modi all’amore di Dio. È per questoche il loro matrimonio è molto felice.

Sono state conservate alcune letterescritte da Teresa ed indirizzate ai figlilegate da una fascetta dove sta scritto:«Lettere della chiara sempre e carissi-ma memoria di mamma mia, mia cheora in Paradiso prega per noi. A.D.1829». L’anno è quello della morte diTeresa Orsini Doria Pamphilj, ma non siconosce a quale figlio appartenga lascrittura. Il biografo di Teresa, EugenioPaparelli, costruisce a tal proposito un’i-potesi verosimile. Nel 1829 tutti i figlidei coniugi Doria Pamphilj sono in

grado di scrivere, comunque «noi pro-pendiamo per Andrea, il quale era il pri-mogenito […] come primogenito avevadelle prerogative particolari ed anchedei diritti».Queste lettere sono una testimonianzachiara e visibile della grandezza moralee spirituale di questa donna.In quegli anni Napoleone sale al poteree tale potere giunge fino in CasaPamphilj: il signor Prefetto, alla fine difebbraio del 1912, invia due lettere aLuigi Doria Pamphilj con un documentostampato con la formula del giuramento:«Io sottoscritto giuro obbedienzaall’Impero e fedeltà all’Imperatore,

fatto a Roma… il giorno… del mese…1812». Il Prefetto precisa, inoltre, che ilgiuramento si debba fare come elettore ecome suddito. Luigi è dubbioso, contra-rietà e dubbio s’insinuano in lui, tantoche presenta una lettera di scusa alPrefetto con un attestato del medico edel chirurgo sullo stato della sua saluteper cercare di sottrarsi al giuramento difedeltà alla costituzione. Negli archivi siè trovato uno scritto che non portafirma; sembrerebbe essere stato redattoda un figlio da come è stilato il docu-

mento, ma non può essere, perché ilprimogenito è nato nel 1810 e la datadel testo è del 1812. Per questo si èattribuito tale scritto a Teresa che, conparole di benevolenza e di compren-sione prende nota della prepotenzamorale subita dal consorte in unmomento difficilissimo per la Chiesa,perché il suo capo, papa Pio VII, èfatto prigioniero dai soldati francesiper ordine di Napoleone e, dopo esse-re stato trasferito da una città all’altra,è poi esiliato a Savona: «Non avendopapà ricevuto risposta dal Prefetto[…] si credette che la cosa fosse fini-ta. Non fu così, perché il generale(Maire) chiamò Felici e fece venireBeratrelli, il quale poi uscì fuori perconvincere papà a prestare giura-mento. Questi recava l’ambasciata apapà il quale rispose che quandoaveva bisogno di consultarsi avrebbedato loro parola, ma nelle cose in cuinon rispondeva, essi non vi dovevano

entrare. Il generale allora venne luistesso a convincerlo, dicendo che preve-deva conseguenze funeste di confisca,sequestro, deportazione». Parole pesan-ti, minacce decisamente forti tanto cheLuigi Doria Pamphilj si sente schiaccia-re dagli eventi «né mai aveva provatotanta esitazione nella propria coscienza.Il pensiero della famiglia formata direcente, la reputazione di convinto cri-stiano, crearono in lui degli angosciosiconflitti, per cui tra un’esitazione eun’oscillazione, sentì il bisogno di unconsiglio sincero e sicuro».

(continua)

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8 - Accoglienza che cresce

Guardiamo Gesù

Aquesto punto chiedo ai lettoridi fare insieme a me unariflessione sulla passione fisi-

ca di Gesù. Ho tratto queste note dall’illu-stre sindonologo dottor Barbet.

Ripercorreremo con lui nelle prossimedue note ciò che Gesù ha sofferto dalpunto di vista fisiologico e medico acominciare dall’agonia nel Getsemani.Non so per chi mi legge, ma per me è statauna sconvolgente meditazione. Chi vuolemi segua e tenga in serbo questa riflessio-ne per i momenti più difficili della suavita. Gesù, dopo aver dato ai Suoi la suacarne da mangiare e il suo sangue da bere,li conduce con sè di notte, come al solito,nell’ orto degli olivi. Li lascia sdraiarepresso l’ingresso, conduce un po’ più lon-tano i suoi tre intimi e si allontana da lorodi un tiro di sasso per prepararsi pregando.Sa che la sua ora è venuta. Egli stesso hacomandato al traditore: “Ciò che devi farefallo subito” (Gv 13, 27). Ha fretta di farlafinita e lo vuole. Ma poichè ha rivestito,incarnandosi, quella forma di schiavitùche è la nostra umanità, questa si ribellaed inizia la tragedia della lotta tra la suavolontà e la natura. “Cominciò a sentirepaura e angoscia” (Mc 14, 33). Quellacoppa ch’egli deve bere contiene dueamarezze; anzitutto i peccati degli uominidi cui deve caricarsi, Egli il giusto, perredimere i suoi fratelli, e questa è senzadubbio la prova più dura, una prova chenon possiamo immaginare poichè i piùsanti di noi sono coloro che più vivamen-te sentono la loro indegnità e la loro infa-mia. Forse, comprendiamo meglio il pre-vedere, il soffrire in anticipo le torturefisiche, ch’ egli subisce già nel pensiero:eppure non abbiamo provato che il brivi-do retrospettivo delle sofferenze passate.Deve essere qualcosa di indicibile: “Pater,

si vis, transfer calicem istum a me; verum-tamen non mea voluta sed tua fiat.” (Lc22, 42).

È qui la sua umanità che parla ... e chesi sottomette, poichè la sua divinità sa ciòche vuole da tutta l’eternità: l’Uomo sitrova in un punto morto. I suoi tre fedelisono addormentati “per la tristezza”, dicesan Luca (22, 45). Poveretti! La lotta spa-ventosa: un angelo scende per confortarlo,ma nello stesso tempo per raccogliere,sembra, la sua accettazione. “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e ilsuo sudore diventò come gocce di sangueche cadevano a terra.” (Lc 22, 44). Sitratta del sudor di sangue ... Un fenomenorarissimo ma esattamente descritto. Essosi produce, come scrive il dotto LeBec,“in condizioni particolarissime: una spos-satezza fisica, accompagnata da una scos-sa morale, conseguenza di una profondaemozione, di una grande paura.” “Etcoepit pavere et taedere”. Il terrore, lospavento e la scossa morale sono qui almassimo grado. È ciò che Luca chiama “agonia”, che, in greco, significa lotta edansietà. “E diede in un sudore come digrumi di sangue, che cadevano sino aterra.” A che serve spiegare il fenomeno?Una intensa vasodilatazione dei capillarisottocutanei che si rompono a contatto dimilioni di glandole sudoripare. Il sanguesi mescola al sudore e si coagula sullapelle, dopo essudazione. Ed è questoinsieme di sudore e di grumi, che si rac-coglie e discende per tutto il corpo, inquantità sufficiente per cadere al suolo.Da notare che questa emorragia microsco-pica si produce in tutta la pelle, la quale èin tal modo già lesa nel suo insieme, percosì dire indolenzita e resa fragile per tuttii colpi futuri. Ma andiamo avanti. EccoGiuda ed i servi del Sinedrio, armati di

spade e di bastoni e recanti corde e lanter-ne. Vi è pure la coorte dei soldati del tem-pio comandati dal loro tribuno. Ci si è benguardati dall’ avvisare i Romani e la coor-te della torre Antonia. Il loro turno nonverrà che quando gli Ebrei, dopo aver pro-nunciato la loro sentenza, cercheranno difarla ratificare dal procuratore. Gesù si faavanti, un sua parola basta a far cadere aterra i Suoi aggressori, ultima manifesta-zione del suo potere, prima di abbando-narsi alla volontà divina. Il bravo Pietrone ha approfittato per mozzare l’orecchiodi Maleo e, ultimo miracolo, Gesù l’hariattaccato. Ma la turba urlante s’è ripresa,ha legato Cristo e lo conduce, senzariguardi, lo si può credere, non curandosidei personaggi di secondo piano. Gesù sache Pietro e Giovanni lo seguono di lonta-no (“a longe” Mc 15,54; Gv 19,15) e cheMarco non scamperà all’arresto se nonfuggendosene nudo, dopo aver lasciatonelle mani delle guardie la “sindone” chelo copriva. Percorrono in salita la famosascala del tempio dei Maccabei, a tutt’oggiancora visibile a cielo aperto.Raggiungono il palazzo del SommoSacerdote Caifa e dinanzi al Sinedrio. Ènotte fonda: non può trattarsi che di un’i-struttoria preliminare. Gesù rifiuta dirispondere: ha predicato apertamente lasua dottrina. Caifa è disorientato, furiosoed una delle sue guardie, traducendo que-sto sdegno, dà uno schiaffo all’imputato:“Così rispondi al sommo sacerdote?” (Gv18, 22). (Schiaffo particolare questo!Nella Sindone si è rilevato, sul volto delCristo, la rottura del setto nasale con con-seguente enfiagione della regione circo-stante. Segno che la “alapa” (schiaffo)non doveva essere data a mano libera, maprobabilmente con un bastone.) Ma que-sto non è nulla: bisogna attendere il matti-

Passione di Cristo – Passione dell’uomo

L’uomo dei dolori (1ª parte)

di @ Andrea Gemma Vescovo Emerito

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Accoglienza che cresce - 9

no per poter udire i testimoni. Gesù è tra-scinato fuori della sala, nel cortile vedePietro che l’ha rinnegato tre volte e conuno sguardo lo perdona. Lo si trascina inqualche caverna sotterranea e la canagliadei servi se la spasserà sulle spalle di que-sto falso profeta (debitamente legato) cheancora poco fa li ha gettati a terra con nonsi sa quale stregoneria. Lo si tempesta dischiaffi, di pugni, gli si sputa sul viso, epoichè non c’è modo di dormire, si cercadi divertirsi un poco. E velandogli il voltociascuno lo colpisce: gli schiaffi risuona-no e questi bruti hanno la mano pesante:“Profetizza: dicci, Cristo chi ti ha percos-so?”. Il suo corpo è già tutto un dolore, laSua testa rintrona come una campana; egliè colto da vertigini ... e tace. Con unaparola potrebbe annientarli “e non aprì lasua bocca” (Is 53, 7). Questa plebagliafinisce per stancarsi e Gesù attende dasolo, nel buio orrido di quello scantinato.Desolazione di Gesù! Solo! In un mare dipene! Alle prime luci del giorno, secondaudienza, sfilata pietosa di falsi testimoniche non provano nulla. Bisogna che Eglistesso si condanni, affermando la suafiliazione divina, e quel volgare istrione diCaifa proclama la bestemmia strappando-si le vesti. Oh, rassicuratevi, questi buonigiudei prudenti ed avari hanno un abitopreparato e ricucito leggermente che puòservire un gran numero di volte! Non restache ottenere da Roma la condanna a morteche essa ha arrogato a sè in questo paesedi protettorato. Gesù, spossato per la fati-ca ed indolenzito per i colpi, verrà trasci-nato all’ altro capo di Gerusalemme nellacittà alta, alla torre Antonia, specie di cit-tadella di dove la maestà romana assicural’ordine nella città troppo agitata per isuoi gusti. La gloria di Roma è rappresen-tata da Pilato. Gesù gli si impone e gli èsimpatico; ed egli farà tutto quanto è insuo potere per strapparlo alle unghie diquesti energumeni: “cercava di liberarlo”(Gv 19, 12).

Gesù - egli dice - è Galileo: passiamo-lo a quella vecchia canaglia di Erode cherecita la parte di reuccio e creda d’esserechi sa chi. - Ma Gesù disprezza quellavolpe e non gli risponde verbo. Ed eccolodi ritorno con la turba urlante e quegliinsopportabili farisei che schiamazzano intono acutissimo. “Pilato, riuniti i sommisacerdoti, le autorità e il popolo, disse: -

Mi avete portato questo uomocome sobillatore del popolo; ecco,l’ho esaminato davanti a voi, manon ho trovato in lui nessunacolpa di quelle di cui lo accusate;e neanche Erode, infatti ce l’harimandato. Ecco, egli non ha fattonulla che meriti la morte. Perciò,dopo averlo severamente castiga-to, lo rilascerò” (Lc 23, 13-16).

Un governatore era soli-to, per ciascuna festa di Pasqua,rilasciare al popolo un prigioniero,a loro scelta. Avevano in queltempo un prigioniero famoso,detto Barabba. Mentre quindi sitrovavano riuniti, Pilato disseloro: “ Chi volete che vi rilasci:Barabba o Gesù chiamato ilCristo? Egli sapeva bene infattiche gliela avevano consegnato perinvidia. (Mt 27, 15-18; Lc 23, 18;Mt 27, 22). “

“Allora Pilato prese Gesù e lo fece fla-gellare.” (Gv 19, l). I soldati di guardiaconducono Gesù nell’ atrio del Pretorio echiamano alla riscossa tutta la coorte .....La coorte sembra presa da un deliro col-lettivo, che Pilato non ha previsto. Satanaè là a suggerire loro l’odio. Ma basta. Nonpiù parole: soltanto colpi; e procuriamo diandare sino alla fine. Essi lo spogliano e,del tutto nudo, lo legano per i polsi ad unacolonna dell’ atrio, con le braccia solevatein alto. La flagellazione si effettua condelle strisce di cuoio multiple, su cui sonofissate, a qualche distanza dall’ estremitàlibera, due palle di piombo e degli ossici-ni. ( ... ) il numero dei colpi è fissato a 39dalla legge ebraica. Ma i carnefici sonolegionari scatenati, che andranno sino allimite della sincope. Infatti le tracce sullasindone sono innumerevoli e la maggiorparte sull’impronta posteriore (la parteanteriore del corpo è contro la colonna); sivedono sulle spalle, sulla schiena, sullaregione lombare e anche sul petto. I colpidi flagello scendono sulle cosce, sui pol-pacci: e l’estremità delle strisce, oltre lepallottole di piombo, avvolge l’arto elascia il suo solco fin sulla faccia anterio-re delle gambe. I carnefici sono due, unoda ciascun lato, e sono di ineguale corpo-ratura (come si deduce dall’ orientamentodelle impronte della Sindone). Essi colpi-scono accanitamente, con grande sforzo.

Ai primi colpi le corregge lasciano dellelunghe tracce livide, delle lunghe ecchi-mosi bluastre sottocutanee. Si ricordi chela pelle già stata alterata, è resa più sensi-bile dai milioni di piccole emorragie intra-dermiche del sudor di sangue. Le palle dipiombo determinano maggiori contusioni.Poi la pelle infiltrata di sangue è resa piùfragile, si apre sotto nuovi colpi. Il sanguezampilla; lembi di pelle si distaccano erestano pendenti. Tutta la parte posteriorenon è più che una superficie rossa su cuirisaltano grandi solchi marezzati e, qua elà, le piaghe profonde dovute alle palle dipiombo. Queste piaghe in forma di manu-brio (le due palle e le strisce tra di loro)s’imprimeranno sulla sindone, di ognicolpo il corpo trasale in un dolorososoprassalto. Ma egli non apre bocca e que-sto mutismo raddoppia il furore satanicodei suoi carnefici. Non è più la fredda ese-cuzione di un ordine giudiziario; è unoscatenarsi di demòni. Il sangue scorredalle spalle fino a terra (le larghe lastre delpavimento ne sono coperte) e si sparge inpioggia, da flagelli sollevati, fin sullerosse clamidi degli spettatori. Ma ben pre-sto le forze del suppliziato vengono meno,un sudor freddo inonda la sua fronte, latesta gli gira in una vertigine di nausea,brividi gli corrono lungo la schiena. Legambe cedono ed egli, se non fosse legatomolto in alto per i polsi, cadrebbe nellapozza di sangue.

(continua)

Guardiamo Gesù

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Clinica Mater Misericordiae

10 - Accoglienza che cresce

Un giorno le mie orecchie si sono aperte e hanno sentito il cinguettare degli uccellini ei miei occhi hanno visto la bellezza dei fiori.

Tutta questa meraviglia è diventata un’esplosione di luce e di colori come il quadro di un pittore.

Eppure tra tanto colore anche tante sfumature grigiastresi presentano davanti agli occhi miei e dei lamenti odono le mie orecchie.

Sono le voci delle persone bisognose d’aiuto e di una parola di conforto nella malattia.Sono le mani delle persone che soffrono che cercano una mano amica da stringere.

E allora corro da loro, tendo la mia mano e dono loro il mio cuore nella speranza di rivedere nei loro occhi la luce dell’arcobaleno.

Un ricoverato

““UUnnaa mmaannoo ee uunn ccuuoorree””

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Accoglienza che cresce - 11

Residenza Maria Marcella

È con grande emozione chericordo quel lontano primogiorno di scuola della mia

bambina. Era entrata nella classe connuovi compagni, non più quelli dell’a-silo e con una nuova insegnante che leincuteva un certo timore perché a leisconosciuta. Io l’ho attesa all’uscitacon grande ansia e curiosità e mi sonosorpresa quando mi è corsa incontrosorridente e felice. “Mamma, la mae-stra è tanto buona, ci ha parlato del-l’accoglienza, ma io non ho capitobene.”

Questa sua frase mi ha reso vera-mente entusiasta nei confronti di questainsegnante che aveva dimostrato, non aparole, ma con la sua bontà, la gioia dilegare a sé quei bambini che, in teneraetà, avevano bisogno di comprensione etenerezza. Ho spiegato così alla mia

bambina cosa significava accogliere glialtri con affetto, anche quando non esi-ste legame di parentela o di amicizia.

Accoglienza è una parola dal pro-fondo significato che ci aiuta a vivereserenamente. Una Mamma accoglie congioia e con amore il bimbo che porta nelsuo grembo fin dal concepimento, senzaancora conoscerlo.

Nella vita tutti desideriamo esserebene accolti e questo ci insegna ad acco-gliere anche il nostro prossimo conamore, secondo la volontà di Gesù nelVangelo.

Per essere più esplicita con la miabambina, le ho fatto esaminare la nostrasituazione familiare, in cui i genitorisono fuori casa per l’impegno lavorativoe i bambini sono presi dalla scuola edallo studio. Ecco la ragione per cui lacara nonnina, ormai in età avanzata e

non più autosufficiente, si trova in unastruttura dove è accolta con amorevolecura dalle brave Suorine. La bimba miascolta con attenzione, poi mi chiede :”Le Suore vogliono bene alla mianonna?” Con la mia risposta positiva, hacompreso che in alcune circostanze, siha necessità dell’aiuto altrui e per que-sto esiste l’accoglienza elargita conamore, professionalità e sacrificio delleSuore e dei buoni laici.

La nonna vive quindi presso la Casadi Riposo “Residenza Maria Marcella”serenamente, accudita con amore dalleSuore della Misericordia, che organizza-no delle belle feste perché tutte le perso-ne anziane, con vari acciacchi dell’età,vivano allegramente le loro giornate.

Oggi la mia bambina è una donna,ma è sempre disponibile ad accoglierechi necessita di aiuto.

di Gabriella Ferroni

L’ACCOGLIENZA

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12 - Accoglienza che cresce

Salute e sanità

C ome abbiamo visto, venivaaffermandosi la medicinamonastica, intendendo que-

sta per quel periodo “premedievale”,periodo quasi di transizione per l’artemedica, in quell’epoca in cui da un lato lamedicina presentava ancora le caratteri-stiche del classicismo, mentre dall’altrosi assisteva ad un dilagare di magismo edesoterismo.

I malati hanno sempre invocato con-sigli e farmaci, pertanto era inevitabileche, in mancanza di una classe medicapropriamente detta, facessero appello aisacerdoti, cercando ad un tempo la salutedel corpo assieme a quella dell’anima epertanto la medicina divenne cura preci-pua degli ecclesiastici.

“Tale abitudine divenne tanto comu-ne da indurre abati, vescovi e persinobadesse a prescrivere cure”. Questi otti-mi religiosi propinavano ai pazienti stra-ne mescolanze di rimedi. In primo luogo,naturalmente, venivano le medicine pre-scritte nelle sue opere da Galeno; ma, ingenere, ogni farmaco era arricchito daqualche sfumatura cabalistica, da un piz-zico di alchimia e per l’imposizione diuno o due amuleti. Eppure questi intrugliincontravano tale favore che i dignitaridella Chiesa dedicavano tanto tempo alle“dilettantesche escursioni nel campodella medicina” che Papa Innocenzo IIIebbe motivo di preoccuparsene così tantoche arrivò, spinto dal timore che questitrascurassero i loro doveri per il piùlucroso esercizio della professione sani-taria, nel 1139 a convocare un Concilio,in seno al quale si fece divieto ai preti didistribuire medicine, e li si invitò a stu-diare la teologia.., con maggior diligen-za! (Ad onor del vero già il Concilio diReims del 1131 aveva emanato taledivieto).

“Ma neppure il decreto papale risultò

sufficiente ad elimina-re l’abusivo eserciziodella medicina”.Trent’anni più tardi,Papa Alessandro II,vietava ai sacerdoti di assistere a confe-renze mediche, minacciandoli di scomu-nica se avessero trasgredito all’ordine.

I preti continuarono tuttavia a mani-festare un eccessivo interesse per lascienza medica, sicché l’autorità pontifi-cia finì per accettare un compromesso: daquel momento al clero sarebbe stato con-cesso di distribuire medicine ma essoavrebbe dovuto rinunciare a qualsiasiintervento chirurgico.

Ma fu proprio dalle idee umanitarieche, come abbiamo visto, andavanonascendo i primi ospizi (che presero ilnome di xenodochi) cui si aggiunsero gliospizi per i viandanti ed i pellegrini, conenti che si occupavano della pubblicabeneficenza (diaconie), lebbroserie, edinfine ospedali veri e propri, che se purall’inizio furono soltanto “ospedali dicarità”, asili intesi come asili per i pove-ri piuttosto che di luoghi deputati adappropriate cure mediche, furono peraltri versi luoghi dove veniva tramandatonel segno più classico l’insegnamentodella medicina stessa.

E qui assistiamo a due fasi diverse econtrastanti dell’assistenza sanitaria: inuna prima ritroviamo che chi venivaaccolto in questi “istituti” poteva esserecurato per mezzo esclusivo della religio-ne e non della medicina, rimanendo que-sto in armonia con quell’atteggiamentoche la Chiesa aveva verso le malattie,tutte intese come attribuibili ai demoni enon all’ignoranza e alla negligenza del-l’uomo stesso. Il clero curava i malaticon le preghiere, gli esorcismi, le imposi-zioni delle mani e l’esposizione di sacrereliquie e poiché, in ogni caso, l’ottanta o

il novanta per cento dei malati guariscesenza ricorrere a medicine, molti si rista-bilivano, a maggior gloria della Chiesa.

Fu così che la fama dell’abbazia doveera stata effettuata la cura aumentava conl’annuncio di questi favorevoli risultati,per cui i pazienti-pellegrini vi affluivanoin numero via via sempre più elevato,contribuendo ad infuocare una granderivalità tra i vari monasteri e le variechiese circa i meriti di... sacre reliquiepossedute.

Raggiungiamo così dei paradossi cheportarono per esempio, nel XII secolo, afare affermare che nella Cattedrale diColonia, al proprio reliquiario, avesseroaggiunto i teschi dei tre Re Magi. Senzaindugio, la Chiesa di San Gereone annun-ciò ai quattro venti di possedere le reli-quie del Santo Patrono e dei suoi compa-gni di martirio.

Naturalmente le reliquie tenute inmaggior conto erano i frammenti dellaSanta Croce e i chiodi che avevano trafit-to le mani o i piedi di Gesù Crocifisso.Queste potevano essere acquistate ingran copia, grazie ai servigi dei premuro-si mercanti che abitavano in Terra Santae che non si facevano scrupolo dinanzi aniente.

Dall’altro canto però nei conventiaccanto ai medici-monaci esistevano imedici-laici, per come si apprende daglistatuti del Convento di Corbie, stesi dal-l’abate Adalardo (751-826), nipote diCarlo Magno, laddove il servizio di infer-miera del convento era affidato a tremonaci, aiutati da due medici-laici e dadue inservienti.

(continua)

LLaa mmeeddiicciinnaa mmoonnaassttiiccaa

di Gerardo Corea

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Salute e sanitàdi Fabiola Belivacqua

Accoglienza che cresce - 13

I noltre, contrariamente a quanto molti pen-savano, recenti ricerche hanno dimostratoche l’eventuale assunzione eccessiva di

calcio non è dannosa alla salute (non provoca calco-li renali o calcificazioni ai reni), in quanto il surplusviene espulso con le urine.

L’esposizione al sole è fondamentale per la sin-tesi cutanea della vitamina D. Anche una buona idra-tazione è importante.

CURIOSITÀ: i vegetariani hanno le ossa più forti.Da numerosi studi è risultato che, chi segue un’ali-mentazione vegetariana ha meno rischi di esserecolpito dalla malattia. La ragione è legata al fattoche chi non mangia carne consuma meno proteine,che portano l’organismo ad espellere il calcio attra-verso le urine.

Consigli per evitare le cadute: fattori di rischio individuali inambito residenziale- Età avanzata;- Limitazioni nell’espletamento delle attività quotidiane;- Sesso femminile- deficit degli estrogeni,ridotta densità ossea;- Riduzione della forza o dell’equilibrio degli arti inferiori;- Carenza alimentare o disidratazione;- Patologie con insorgenza acuta;- Andatura incerta o utilizzo non appropriato di ausili per la

deambulazione;- Anamnesi di pregresse cadute;- Necessità di ricorrere a un aiuto negli spostamenti/mobili-

tà su sedia a rotelle;- Impiego di antidepressivi/sedativi/polifarmacologia;- Deficit cognitivi;- Ridotta capacità visiva;- Ipotensione sistolica postprandiale;- Diabete mellito;- Incontinenza;- Trasferimento in un contesto sconosciuto;- Pericoli ambientali (ad es. wc troppo bassi/troppo alti, pro-

blemi ai freni della sedia a rotelle) e scorretto utilizzo dei pre-sidi per la deambulazione (ad es. ausili, sedie a rotelle,etc.);

- Tra gli ostacoli che possono fare inciampare eliminare dilasciare oggetti in giro ad es. biancheria a terra, carrelli,

cavi, zerbini, traversine sotto le porte e varie irregolaritàdel pavimento, tavolini, tappeti, scendiletto, spostare mobi-li, sedie, etc );

- Corretta illuminazione;- Pavimenti adeguati;- Scarpe e pantofole chiuse;

Le misure in grado di migliorare la sicurezza nel proprioambiente- maniglie su entrambe i lati di scale e corridoi;- maniglie su wc e nei bagni;- toilette e lavandini ad altezza ergonomica;- doccia a livello del pavimento con possibilità di sedersi;- stuoie e supporti antiscivolo nella doccia e nella vasca da bagno;

ConclusioniLa lotta all’Osteoporosi Post-Menopausale passa quindi prin-cipalmente nella sua prevenzione e nella diagnosi precoce. Leterapie mediche e quelle chirurgiche hanno fatto in questi ulti-mi anni progressi molto importanti: ora abbiamo a disposizio-ne farmaci che riescono ad invertire la storia naturale dellamalattia, a incrementare la massa ossea, la qualità e la resi-stenza dell’osso e così pure sono state sviluppate tecniche chi-rurgiche praticabili anche in DaySurgery o in regime ambula-toriale capaci di alleviare il dolore delle complicazioni e rico-struire con l’uso di particolari “cementi” le vertebre fratturate.

L’OSTEOPOROSIPREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE! (IV)

Prevenzione e cura (seconda parte)

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14 - Accoglienza che cresce

di Alberthine Voahirana

M i chiamo Sr. Alberthine Voahirana e sono nata inMadagascar. Da piccola, insieme ai miei fratelli,siamo rimasti orfani e furono i miei nonni e poi

i miei cugini a prendersi cura di noi.

Quando eravamo piccoli, i nostri genitori ogni domenica ciobbligavano ad andare in Chiesa. A quel tempo non avevamo unSacerdote, ma c’erano dei Catechisti che ci insegnavano la paroladel Signore. Mio padre era una persona amante della preghiera ea casa, prima di mangiare e andare a letto, dovevamo sempre pre-gare. Nella mia famigliaperò nessuno è diventatoreligioso. Sono andata ascuola insieme ai miei cugi-ni e tutte le mattina incon-travo sempre le suoreCarmelitane e le figlie dellaSapienza che andavano adinsegnare a scuola. Allora siè acceso in me il desideriodi andare in convento. Madovetti desistere. Cominciaicosì ha seguire la moda delmondo e gli svaghi dei mieicugini: tatuaggi, ballo, cine-ma, ecc. Ma quando torna-vamo a casa ci aspettavasempre il bastone delnonno per rimproverarci,perciò decisi di smetterequesta mia brutta abitudi-ne. Al liceo, avevo un’amicache si chiamava Christine laquale aveva una zia suora emi parlava spesso di lei e fucosì che la mia vocazioneinvase di nuovo il miocuore. Con Christine deci-demmo di entrare in con-vento non appena superato l’esame, ma lei venne bocciata e cosìil nostro sogno finì. Pensai che quello forse non era il mio desti-no e decisi di seguire un’altra vita che mi voleva futura sposa di unparente (avevo 14 anni). Ma prima avrei dovuto terminare glistudi. Mi sentivo completamente sola e abbandonata e inizia apregare tanto e a chiedere a Gesù quale via avrei dovuto seguire.Andavo nella tomba della nostra Beata Victoire Rasoamanarivoper chiedere la grazia. Quando ero sola e in silenzio mi veniva

sempre in mente d’essere religiosa, non andava via dalla mia testaquesto desiderio. Ma fui molto fortunata perché avevo un’amica,Maria Goretti, che aveva il mio stesso desiderio di entrare in con-vento ed anche lei aveva una zia suora che ci diede tutte le infor-mazioni per la vita religiosa. Avevamo conosciuto laCongregazione delle Suore Ospedaliere della Misericordia (SOM)attraverso un libro. Sapevamo benissimo che i nostri familiarierano contro la nostra vocazione , perciò nelle ore di ginnasticadel sabato, senza dire a nessuno, scappavamo nel convento delleSOM. Nel loro convento ci colpirono subito il silenzio, la pulizia

dell’aria, la bellezza dellacasa soprattutto della cap-pella e del giardino; la gioiae l’amore di Madre Loreta,di Sr Eugenia, delle altresuore e delle postulanti checi accoglievano. Eravamocontentissime e volevamorimanere direttamente inquel luogo bellissimo, mapurtroppo dovevamo torna-re a casa e continuare lascuola. In tanto i miei fami-gliari stavano già decidendodel mio futuro dopo lamaturità, alcuni volevanomandarmi all’università,altri dicevano di farmi lavo-rare direttamente, ma il miodesiderio era diverso eriuscii a confessarlo ad unodei miei cugini che ne fumolto felice e mi incoraggiòa seguirlo. Nel luglio 2005,superammo l’esame dimaturità e, una volta svelatoil mio desiderio, anche imiei parenti si convinsero afarmi entrare in convento.

Il 29 ottobre 2005 per la grazia di Dio, finalmente entrainel convento delle SOM. Ora tutti i miei parenti sono d’accor-do con me.

Grazie Signore per le meraviglie che hai compiuto su di me,nessuna può ostacolare e cancellare la tua chiamata. Tu sei fede-le dal principio alla fine. Eccomi, mi metto in cammino dietro diTe, dammi la tua grazia e la tua benedizione affinché possa com-piere la tua volontà nella mia vita quotidiana.

Eccomi...

La storia della mia vocazione

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Accoglienza che cresce - 15

... manda me

7 Febbraio 1978“ - L’aspetto della natura più suggestivoche ridestò tanti sentimenti nei nostricuori è stato, penso per tutte, quando involo verso Bombay, il cielo si squarcialasciando posto alla luce, il passaggiolento ma inesorabile dalle tenebre allaluce; alle spalle la notte, davanti a noi ilgiorno…( più tardi mi sarebbe risuonatoadatta la mantra ‘lead me from darknessto light’). Di meraviglia in meravigliaquasi non ci accorgiamo di essere ormailontane dalla nostra patria. Il comandan-te informa che è iniziata la discesa versoBombay, pochi minuti ancora e si toccala pista, la porta dell’aereo si apre e unanuova scena si apre ai nostri occhi: voltidiversi, lingua diversa, temperaturadiversa, infatti siamo passate dal gelidofebbraio italiano all’afoso febbraio india-no. Momenti di slancio spirituale si sonoalternati a momenti di scoraggiamento edi ripensamento, ma un’unica convinzio-ne ci dà la forza di continuare: il pensie-ro che tanti fratelli ci attendono e chetanti altri fratelli e sorelle da Roma cihanno ‘inviate’, la Congregazione ci ha -direi quasi - ‘donate’ per i fratelli biso-gnosi, non è quindi il caso di indietreg-giare di fronte a questo primo impattocon la serie di disagi morali e materialiche incontreremo nella vita missionaria.–“

8 Febbraio 1978“È difficile per occhi che non hannovisto, il poter immaginare quale ricevi-mento ci attendeva all’arrivo aChengalam! Tutta la popolazione del vil-laggio e di svariati villaggi all’intorno èmobilitata . Ognuno come può, contri-buisce per accogliere nel migliore deimodi le quattro ‘madama kagnastrigal’(suore bianche); spari, fuochi d’artificio,elefanti decorati a festa, banda musicale,bambine pronte per la danza, addobbi di

ogni genere e il caratteristico rice-vimento floreale che non mancamai a qualsiasi straniero che visitaquesta terra. Processionalmenteraggiungiamo la chiesa parrocchia-le di S. Antonio , è la prima voltache vedo una chiesa tanto povera,senza marmi, senza mosaici lucci-canti, senza ori e senza vetri isto-riati. Di mosaici artistici , sevogliamo ce n’erano pure, intessu-ti dai numerosi ragni con le loro tele! Mala presenza di Gesù Eucaristia è lì e ci fatrasalire il cuore di gioia e di ringrazia-mento. Ci inginocchiamo e chiediamo alui la grazia per questo passo che stiamocompiendo e per tanti che ne dovremocompiere ancora. “- Terminata la breve ma intensa visitaalla chiesa, ci invitano a prendere postosu un palco appositamente preparato perla cerimonia. Di fronte a noi una follaimmensa si stringe da ogni parte. Inprimo piano centinaia e centinaia di testi-ne nere di bambini ; nei loro sguardi siavverte un misto di curiosità, meravi-glia, stupore e anche paura perché permolti o quasi per tutti è la prima volta chevedono degli esseri umani, con sembian-ze come loro, ma… stranamente… con lapelle bianca. Si avverte nell’aria un sensodi curioso interesse da parte di piccoli egrandi, si vorrebbe parlare con questiesseri extraplanetari, ma che lingua par-lano? Come fare? Qualche vecchietta piùardita comincia il suo bel discorso e purcapendo che non la comprendiamo, nonsi dà per vinta. Segue una serie infinita didiscorsi e felicitazioni, non mancano deigiornalisti che l’indomani riempiranno lepagine di qualche giornale locale.”

23 luglio 1978Organizzare e gestire un ospedale è giàimpresa difficile nel nostro occidenteprogredito e provvisto di tutto, immagi-

niamo cosa significa fare questo in unpaese completamente diverso per lin-gua, cultura, tradizioni, usi e costumi,mentalità ecc. a cui si aggiunge unaignoranza assoluta da parte nostra deimetodi locali, moltissimi sono gli episo-di che potrebbero essere raccontati forseanche divertendo, ma ora per noi tre èuna realtà che non diverte anzi fa soffri-re terribilmente facendoci sentire lozimbello di tutte. Cosa dire? Cosa fare?Niente, rimboccarsi le maniche e dire, atutti i costi dobbiamo farcela! Così silotta, si lavora, e nella foga dei prepara-tivi si arriva finalmente al 23 luglio,giorno fissato per la famosa inaugura-zione del Mercy Hospital. Non so espri-mere con quale entusiasmo il popolo diChengalam guidato dai padriA.Nirappel e A.Thannickal hanno pre-parato l’avvenimento! Strade decorate, canti, musica in ognidove. Abbiamo cercato di preparare nelmiglior modo possibile l’ospedaleanche se manca ancora delle attrezzatu-re più essenziali come il letto operato-rio, l’apparecchio radiologico ecc. Il primo ricovero è avvenuto proprioquesta mattina e nel pomeriggio alle16.30 mentre nel piazzale davanti all’o-spedale personaggi importanti dellachiesa e del mondo politico si esibivanoin discorsi augurali, nella sala partosono risuonati i vagiti di Mercier ilprimo nato nel Mercy Hospital.

Spigolando... Le pagine del diario di SSrr..PPaaoollaa IIaaccoovvoonnee: una delle pioniere.

di Paola Iacovone

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16 - Accoglienza che cresce

Segni del tempo

È una Domenica di aprile eterminata la CelebrazioneEucaristica delle ore 10,00,

nella Chiesa dei santi ProtomartiriRomani, alla quale appartengo, DonCarmelo Giarratana, sacerdote sicilianoincardinato nella Diocesi di Roma,Parroco emerito di quella Parrocchia, michiama e mi invita a seguirlo. Io rispon-do: “Eccomi” e chiedo: “Dove andia-mo”? Lui mi dice semplicemente:“Vieni”! Ci incamminiamo e ci immet-tiamo in una strada privata in salita ementre camminiamo parliamo dellapastorale a cui tutti siamo chiamati,interrotti, di tanto in tanto, dalle personeche incontriamo lungo il percorso.Anche la natura ci aiuta. C’è il sole tie-pido delle giornate primaverili, i prativerdi, il cielo sereno.

È proprio una bella giornata!Giungiamo davanti a un palazzo e

Don Carmelo pigia un pulsante campa-nello nei citofoni, risponde una vocefemminile: “Chi è”? Il Sacerdote si pre-senta e il portone si apre. Saliamo e unadonna, che dai tratti somatici sembrastraniera, ci attende sull’uscio.Accompagnati da lei, entriamo in ungrande e bello appartamento, arredatocon gusto, pulito e curato. Di lì a pocoentra una signora anziana su di una sediaa rotelle, con il marito che l’aiuta.Parliamo un poco del più e del meno eDon Carmelo si alza, confessa l’infermae la comunica. Qualche parola di conge-do e l’anziana signora con il marito salu-tano e si ritirino nella stanza dalla qualesono entrati prima.

Don Carmelo si mette a parlare inpolacco con la domestica che viene daquella nazione.

Lui conosce bene quella lingua e l’e-loquio appare, infatti, fluido e sicuro.

L’aveva studiata da giovane e l’ave-

va pure approfonditapraticandola. Per farequesto si era recatodalla lontana Sicilia,in Polonia, aCracovia, nel tempoin cui il BeatoGiovanni Paolo II eraancora Cardinale. Ilsacerdote siciliano,infatti, era moltoamico sia di KarolWojtyla.

Salutiamo e di-scendiamo al pianoterra, usciamo e siamodi nuovo sulla strada.Le fermate sono tante.Il sacerdote porta unaparola di conforto,una battuta umoristi-ca, un commento sui fatti di recente cro-naca, ma le conclusioni sono sempreimprontate alla buona novella,all’Amore di Cristo, alla testimonianzaoperosa della Fede, della Speranza edella Carità.

Siamo davanti a un altro palazzo dal-l’ingresso signorile, Don Carmelo, suonasul citofono e risponde una giovane vocemaschile; lui si presenta, il portone siapre. Saliamo e sull’uscio ci attende ungiovane che ci accoglie. Il sacerdote,dopo i saluti e le presentazioni rituali,chiede: “Come sta”? e l’altro non rispon-de, ma fa una smorfia, molto eloquenteche lascia intendere che la persona mala-ta alla quale si riferiscono non sta pernulla bene. Ci accomodiamo e durante lachiacchierata, apprendo che l’infermo èaffetto da un tumore maligno in fase ter-minale e che si tratta del fratello di unalto dirigente sanitario che, anni prima,io avevo conosciuto e che era tornato allaCasa del Padre a seguito della stessa

patologia. Il fratello delmalato era stato un gran-de benefattore.

Don Carmelo mi dicedi aspettarlo e accompa-gnato dal giovane che michiede permesso, si recanella stanza dell’infermoper dargli la SantaComunione.

Salutiamo e prendia-mo la via del ritorno.

Rifletto, in silenzio, epenso che siamo a Roma,grande città metropolita-na, dove nessuno cono-sce nessuno e dove l’in-differenza e l’anonimatosembrano farla da padro-ni… eppure osservandola cupola di San Pietro e

guardando con gli occhi della Fede, misembra di trovarmi in un piccolo pae-sello di campagna o di montagna su“…quel ramo del lago di Como…”dovela Provvidenza domina su tutto, ponen-do, alla fine, in luce le dimensioni dimissione e di edificazione della Chiesae … sceglie, oggi, come protagonisti unsacerdote e un laico a testimoniare ilServizio e l’Amore di Cristo.

È stata una esperienza bellissima…portare Gesù agli infermi e consolare iloro parenti afflitti.

Ringrazio Don Carmelo che mi salu-ta e mi dice: “Alla prossima”.

È ora di pranzo, rientro a casa. Èpronto e, dopo la preghiera di ringrazia-mento, partecipo mia moglie Cetty e miafiglia Serena, di quanto accaduto, sotto-lineando che delle volte, basta poco percompiere la volontà di Dio e per adope-rarsi per il prossimo ricordando che“…ogni volta farete questo a uno deivostri fratelli lo avrete fatto a Me…”.

di Giovanni Fàngani Nicastro

la pastorale porta a porta

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Il nostro prossimo, vicino e lontano

Chi sono i poveri e dove si trovano? Quale terra abitano? Quale vissuto portanocon sé? Nell’immaginario comune, siamo portati a pensare che i più bisognosi sitrovino nei paesi da sempre conosciuti come i più disagiati. Ed è anche così: LaCometa si occupa, da circa 12 anni ormai, di milioni di bambini residenti inAfrica, in Asia, in Sud America attraverso il programma del Sostegno a Distanza.Ma ciò che forse pochi sanno è che la stessa Associazione si prende cura, con lamedesima accortezza e amorevolezza, anche dei “nostri” poveri. I “nostri” pove-ri sono coloro che giornalmente bussano alla porta della casa delle SuoreOspedaliere della Misericordia chiedendo un tozzo di pane: aspettano, con pazien-za ed educazione, che gli venga donato qualcosa e si allontanano ringraziandoDio. I “nostri” poveri sono coloro che si affacciano umilmente alla porta dei mer-catini di beneficenza gestiti dalle Suore: sanno, ormai, che molta gente generosaporta lì per loro pantaloni, camicie, cappotti e sciarpe, affinché possano affrontare con più calore, umano e fisico, la stagioneinvernale. Chi sono allora i “nostri” benefattori? Sono coloro che non fanno distinzione tra un povero e l’altro e che sono ingrado di condividere i loro averi con il proprio prossimo, vicino e lontano, senza alcuna forma di giudizio ma, piuttosto, congrande accoglienza. Si tratta di forme differenti di “sostegno a distanza”: non solo verso i bambini dei paesi in via di sviluppo,ma anche e soprattutto verso i bambini che ci camminano accanto, verso i genitori che si muovono veloci per i marciapiedi conlo sguardo basso, quasi a vergognarsi d’essere rimasti senza lavoro. Siamo tutti appartenenti ad una stessa comunità: la comu-nità mondiale. E’ nostra responsabilità occuparcene e prendercene cura. In tempi felici e in tempi di crisi. Insieme!

Camilla Di Lorenzo

Carissimi Amici, Benefattori e Sostenitori,anche quest’anno con rinnovato affetto auguro a voi ed alle vostre famiglieogni gioia per il Santo Natale con la speranza che il Nuovo Anno porti a tuttiserenità e fratellanza.

Vi aspetto numerosi per la consueta Cena di Beneficenza natalizia, venerdì 13dicembre alle ore 20 (Via Latina 30). Il ricavato della cena (offerta minima 25euro) verrà quest’anno devoluto alle missioni gestite dalle Suore Ospedalieredella Misericordia (S.O.M.) nelle Filippine, colpite purtroppo da una fortecalamità naturale che sta mettendo in ginocchio gran parte del paese.

Con riconoscenza e gratitudine vi saluto cordialmente,

Il PresidenteSr. Adalgisa Mullano

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Cari benefattori de La Cometa, in molti ci state chiedendo come aiutare le missioni delle Filippinecolpite dal terremoto e dal tifone che sta mettendo in ginocchiogran parte del paese. Chiunque desiderasse avere notizie del pro-prio bambino adottato a distanza, può contattarci personalmente. Chi desiderasse effettuare un versamento per contribuire alla rico-struzione degli edifici distrutti e al sostentamento delle famiglie col-pite da tale calamità naturale, può utilizzare i seguenti dati e indica-re nella causale “Contributo Tifone Filippine Novembre 2013”.

Grazie a tutti per la vostra immensa generosità!

Gli orti e la Cometa

Questo è il quarto anno di un'esperienza davvero emozionante. Creareun orto in città mettendo insieme l'amore per la natura, la dimostrazione chegli uomini sono ancora in grado di condividere progetti e idee mettendosi adisposizione della comunità,la solidarietà verso paesi in via di sviluppo, ungrande esempio di ospitalità e di apertura verso le nuove idee.

Quattro anni fa ci è venuta l'idea di utilizzare parte del terreno annessoalla casa generalizia delle Suore Ospedaliere della Misericordia per crearedegli orti in città, a poche centinaia di metri dalle mura Aureliane. L'idea ciè sembrata subito buona, ma come formalizzare il tutto in modo da esserea posto da un punto di vista legale e assicurativo? Fortunatamente ci èvenuta incontro la Cometa, la onlus delle SOM che ha accolto gli aspirantiortolani come volontari. In questo modo circa una trentina di famiglie hanno aderito alla Cometa e versando un piccolo con-tributo annuale hanno potuto realizzare il loro sogno di coltivare verdure e ortaggi in pieno centro a Roma in un posto che sem-bra essere in aperta campagna. Poter recuperare il contatto con la terra e i suoi ritmi in una società tutta proiettata all'elettro-nica e al virtuale a mio parere è un valore grandissimo che mi aiuta a sentirmi creatura e ad avere un rapporto più vero con larealtà e con Dio. È stato bellissimo e per me edificante collaborare con gli ortolani per ristrutturare un vecchio magazzino edadibirlo a spogliatoio, preparare insieme le parti comuni e aiutarsi a vicenda nella cura degli orti.

Forse non è sempre vero, ma in questo caso l'esperienza non è solo bella ma anche buona, perchè grazie all'opera instan-cabile delle SOM e delle loro missioni sparse in tutto il mondo siamo in grado di devolvere il contributo annuale che versia-mo per partecipare al progetto degli orti cittadini a persone in difficoltà in paesi lontani, adottando a distanza bambini in dif-ficoltà economiche o finanziandone gli studi. La solidarietà tra i popoli è un esempio importante di come guardare oltre il pro-prio giardino sia essenziale per renderci conto della relatività dei nostri problemi che spesso sono le spine che soffocano ilnostro cuore e ci impediscono di aprirci a Dio.

Ma tutto ciò non sarebbe stato possibile se Madre Paola e tutte le sue consorelle non ci avessero aperto materialmente leporte della loro dimora. Questo non era affatto scontato e non dobbiamo pensare che non sia stato un sacrificio per loro né chenon abbia portato più di qualche problema. Si sa la convivenza non è mai una cosa facile anche se si è armati delle miglioriintenzioni. Per averne conferma basta chiedere a mia moglie. Quindi voglio dire, e credo che in realtà fino ad oggi non l'hoancora fatto come si deve, grazie per tanta generosità alle nostre SOM.

Andrea Fidanza

CONTO CORRENTE POSTALE POSTE ITALIANE S.P.A. N. di conto: 45938974Intestato a: Associazione Volontari La Cometa onlus Via Latina 30, 00179 ROMACodice ABI - 07601 Codice CAB - 03200 CIN: S IBAN: IT21 S076 0103 2000 0004

CONTO CORRENTE BANCARIO Intestato a: Associazione Volontari La Cometa onlus MONTE DEI PASCHI DI SIENA Spa Agenzia 36, Via Acaia 62 - 00183 Roma N.di conto: 263492 Codice ABI - 01030 Codice CAB - 03236 CIN: Z IBAN: IT 97 Z 01030 03236 000000263492 BIC: PASCITM1R36

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Auguri per un Natale di pace e un anno nuovo di felicità.

A cura dell’Associazione

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Accoglienza che cresce - 21

DDaammmmii SSiiggnnoorree uunn’’aallaa ddii rriisseerrvvaa

Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita,ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto : possono volare solo rimanendo abbracciati.

A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore,che anche Tu abbi un’ala soltanto, l’altra la tieni nascosta, forse per farmi capire che Tu non vuoi volare senza me, per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo.

Insegnami allora, a librarmi con Te, Signore perché vivere non è trascinare la vita , non è strapparla, non è rischiarla, vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ebbrezza del vento.

Vivere è assaporare l’avventura della libertà Vivere è stendere l’ala, l’unica ala con fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come Te.

Ma non basta saper volare con Te, Signore Tu mi hai dato il compito di abbracciare anche il fratello e aiutarlo a volare. Ti chiedo perdono, perciò, per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi. Non farmi più passare indifferente vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala inesorabilmente impigliata nelle rete della miseria e della solitudine e si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con te, soprattutto per questo fratello/sorella sfortunato/a ,dammi, o Signore un’ala di riserva.

Don Tonino Bello

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22 - Accoglienza che cresce

Magistero

Cari catechisti, buonasera!Mi piace che nell’Anno della fede

ci sia questo incontro per voi: la cate-chesi è un pilastro per l’educazionedella fede, e ci vogliono buoni catechi-sti! Grazie di questo servizio allaChiesa e nella Chiesa. Anche se a voltepuò essere difficile, si lavora tanto, ci siimpegna e non si vedono i risultativoluti, educare nella fede è bello! Èforse la migliore eredità che noi possia-mo dare: la fede! Educare nella fede,perché lei cresca. Aiutare i bambini, iragazzi, i giovani, gli adulti a cono-scere e ad amare sempre di più ilSignore è una delle avventure educa-tive più belle, si costruisce la Chiesa!“Essere” catechisti! Non lavorare dacatechisti: questo non serve! Io lavo-ro da catechista perché mi piaceinsegnare… Ma se tu non sei catechi-sta, non serve! Non sarai fecondo, nonsarai feconda! Catechista è una voca-zione: “essere catechista”, questa è lavocazione, non lavorare da catechista.Badate bene, non ho detto “fare” icatechisti, ma “esserlo”, perché coin-volge la vita. Si guida all’incontro conGesù con le parole e con la vita, con latestimonianza. Ricordatevi quello cheBenedetto XVI ci ha detto: “LaChiesa non cresce per proselitismo.Cresce per attrazione”. E quello cheattrae è la testimonianza. Essere cate-chista significa dare testimonianzadella fede; essere coerente nella pro-pria vita. E questo non è facile. Non èfacile! Noi aiutiamo, noi guidiamoall’incontro con Gesù con le parole econ la vita, con la testimonianza. A mepiace ricordare quello che san

Francesco di Assisi diceva ai suoifrati: “Predicate sempre il Vangelo e,se fosse necessario, anche con leparole”. Le parole vengono… maprima la testimonianza: che la genteveda nella nostra vita il Vangelo,possa leggere il Vangelo. Ed “essere”catechisti chiede amore, amore semprepiù forte a Cristo, amore al suo popolosanto. E questo amore non si compranei negozi, non si compra qui a Romaneppure. Questo amore viene daCristo! È un regalo di Cristo! È unregalo di Cristo! E se viene da Cristoparte da Cristo e noi dobbiamo riparti-re da Cristo, da questo amore che Luici dà. Che cosa significa questo riparti-re da Cristo per un catechista, per voi,anche per me, perché anch’io sonocatechista? Cosa significa?

Parlerò di tre cose: come facevanoi vecchi gesuiti… uno, due e tre!

Prima di tutto, ripartire daCristo significa avere familiarità conLui, avere questa familiarità conGesù: Gesù lo raccomanda con insi-stenza ai discepoli nell’Ultima Cena,quando si avvia a vivere il dono piùalto di amore, il sacrificio dellaCroce. Gesù utilizza l’immagine dellavite e dei tralci e dice: rimanete nel mioamore, rimanete attaccati a me, come iltralcio è attaccato alla vite. Se siamouniti a Lui possiamo portare frutto, equesta è la familiarità con Cristo.Rimanere in Gesù! È un rimanereattaccati a Lui, dentro di Lui, con Lui,parlando con Lui: rimanere in Gesù.

La prima cosa, per un discepolo, èstare con il Maestro, ascoltarlo,imparare da Lui. E questo vale sem-

pre, è un cammino che dura tutta lavita. Ricordo, tante volte in diocesi,nell’altra diocesi che avevo prima, diaver visto alla fine dei corsi nel semina-rio catechistico, i catechisti che usciva-no dicendo: “Ho il titolo di catechista!”.Quello non serve, non hai niente, haifatto una piccola stradina! Chi ti aiute-rà? Questo vale sempre! Non è un tito-lo, è un atteggiamento: stare con Lui; edura tutta la vita! È uno stare alla pre-senza del Signore, lasciarsi guardare daLui. Io vi domando: Come state allapresenza del Signore? Quando vai dalSignore, guardi il Tabernacolo, checosa fai? Senza parole… Ma io dico,dico, penso, medito, sento… Moltobene! Ma tu ti lasci guardare dalSignore? Lasciarci guardare dalSignore. Lui ci guarda e questa è unamaniera di pregare. Ti lasci guardaredal Signore? Ma come si fa? Guardiil Tabernacolo e ti lasci guardare… èsemplice! È un po’ noioso, mi addor-mento... Addormentati, addormenta-ti! Lui ti guarderà lo stesso, Lui tiguarderà lo stesso. Ma sei sicuro cheLui ti guarda! E questo è molto piùimportante del titolo di catechista: èparte dell’essere catechista. Questoscalda il cuore, tiene acceso il fuocodell’amicizia col Signore, ti fa sentireche Lui veramente ti guarda, ti è vicinoe ti vuole bene. In una delle uscite cheho fatto, qui a Roma, in una Messa, si èavvicinato un signore, relativamentegiovane, e mi ha detto: “Padre, piaceredi conoscerla, ma io non credo in nien-te! Non ho il dono della fede!”. Capivache era un dono. “Non ho il dono dellafede! Che cosa mi dice lei?”. “Non ti

Durante il recente Congresso internazionale sulla catechesi, venerdì 27 settembre 2013 Papa Francesco ha rivolto a tuttii catechisti presenti nell’Aula Paolo VI un discorso dal quale traiamo ciò che segue per la Rubrica Magistero.

a cura di Vito Cutro

Ripartire da Cristo

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Accoglienza che cresce - 23

Magistero

scoraggiare. Lui ti vuole bene. Lasciatiguardare da Lui! Niente di più”. E que-sto lo dico a voi: lasciatevi guardare dalSignore! Capisco che per voi non è cosìsemplice: specialmente per chi è sposa-to e ha figli, è difficile trovare un tempolungo di calma. Ma, grazie a Dio, non ènecessario fare tutti nello stesso modo;nella Chiesa c’è varietà di vocazioni evarietà di forme spirituali; l’importanteè trovare il modo adatto per stare con ilSignore; e questo si può, è possibile inogni stato di vita. In questo momentoognuno può domandarsi: come vivo ioquesto “stare” con Gesù? Questa è unadomanda che vi lascio: “Come vivo ioquesto stare con Gesù, questo rima-nere in Gesù?”. Ho dei momentiin cui rimango alla sua presenza,in silenzio, mi lascio guardareda Lui? Lascio che il suofuoco riscaldi il mio cuore?Se nel nostro cuore non c’è ilcalore di Dio, del suo amore,della sua tenerezza, comepossiamo noi, poveri pecca-tori, riscaldare il cuore deglialtri? Pensate a questo!

Secondo: ripartire daCristo significa imitarlo nel-

fa entrare in questo dinamismo dell’a-more. Dove c’è vera vita in Cristo, c’èapertura all’altro, c’è uscita da sé perandare incontro all’altro nel nome diCristo. E questo è il lavoro del cate-chista: uscire continuamente da séper amore, per testimoniare Gesù eparlare di Gesù, predicare Gesù.Questo è importante perché lo fa ilSignore: è proprio il Signore che cispinge a uscire.

Il cuore del catechista vive sem-pre questo movimento di “sistole -diastole”: unione con Gesù - incon-tro con l’altro. Sono le due cose: iomi unisco a Gesù ed esco all’incontrocon gli altri. Se manca uno di questidue movimenti non batte più, non puòvivere. Riceve in dono il kerigma, e asua volta lo offre in dono. Questa paro-lina: dono. Il catechista è coscienteche ha ricevuto un dono, il donodella fede e lo dà in dono agli altri. Equesto è bello. E non se ne prende persé la percentuale! Tutto quello chericeve lo dà! Questo non è un affare!Non è un affare! È puro dono: donoricevuto e dono trasmesso. E il cate-chista è lì, in questo incrocio di doni. Ècosì nella natura stessa del kerigma: èun dono che genera missione, che

l’uscire da sé e andare incontroall’altro. Questa è un’esperienzabella, e un po’ paradossale. Perché?Perché chi mette al centro della pro-pria vita Cristo, si decentra! Più tiunisci a Gesù e Lui diventa il centrodella tua vita, più Lui ti fa uscire date stesso, ti decentra e ti apre aglialtri. Questo è il vero dinamismo del-l’amore, questo è il movimento di Diostesso! Dio è il centro, ma è sempredono di sé, relazione, vita che sicomunica… Così diventiamo anchenoi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci

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24 - Accoglienza che cresce

Magistero

periferie, lo troverete lì. Dio è sem-pre fedele, è creativo. Ma, per favore,non si capisce un catechista che non siacreativo. E la creatività è come lacolonna dell’essere catechista. Dio ècreativo, non è chiuso, e per questo nonè mai rigido. Dio non è rigido! Ci acco-glie, ci viene incontro, ci comprende.Per essere fedeli, per essere creativi,bisogna saper cambiare. Saper cambia-re. E perché devo cambiare? È peradeguarmi alle circostanze nelle qualidevo annunziare il Vangelo. Per rima-nere con Dio bisogna saper uscire,non aver paura di uscire. Se un cate-chista si lascia prendere dalla paura,è un codardo; se un catechista se nesta tranquillo, finisce per essere unastatua da museo: e ne abbiamo tanti!Ne abbiamo tanti! Per favore, nientestatue da museo! Se un catechista èrigido diventa incartapecorito e sterile.Vi domando: qualcuno di voi vuoleessere codardo, statua da museo o ste-rile? Qualcuno ha questa voglia? No?Sicuro? Va bene! Quello che dirò ades-so l’ ho detto tante volte, ma mi vienedal cuore di dirlo. Quando noi cristia-ni siamo chiusi nel nostro gruppo,nel nostro movimento, nella nostraparrocchia, nel nostro ambiente,rimaniamo chiusi e ci succede quelloche accade a tutto quello che è chiu-so; quando una stanza è chiusa inco-mincia l’odore dell’umidità. E se unapersona è chiusa in quella stanza, siammala! Quando un cristiano è chiusonel suo gruppo, nella sua parrocchia,nel suo movimento, si ammala. Se uncristiano esce per le strade, nelle peri-ferie, può succedergli quello che succe-de a qualche persona che va per la stra-da: un incidente. Tante volte abbiamovisto incidenti stradali. Ma io vi dico:preferisco mille volte una Chiesaincidentata, e non una Chiesa amma-lata! Una Chiesa, un catechista cheabbia il coraggio di correre il rischioper uscire, e non un catechista chestudi, sappia tutto, ma chiuso sempre:questo è ammalato. E alle volte èammalato dalla testa….

spinge sempre oltre se stessi. SanPaolo diceva: «L’amore di Cristo cispinge», ma quel “ci spinge” si puòtradurre anche “ci possiede”. È così:l’amore ti attira e ti invia, ti prende e tidona agli altri. In questa tensione simuove il cuore del cristiano, in parti-colare il cuore del catechista.Chiediamoci tutti: è così che batte ilmio cuore di catechista: unione conGesù e incontro con l’altro? Con que-sto movimento di “sistole e diastole”?Si alimenta nel rapporto con Lui, maper portarlo agli altri e non per ritener-lo? Vi dico una cosa: non capiscocome un catechista possa rimanerefermo, senza questo movimento. Noncapisco!

Il terzo elemento sta sempre inquesta linea: ripartire da Cristo signi-fica non aver paura di andare con Luinelle periferie. Qui mi viene in mentela storia di Giona, una figura davverointeressante, specialmente nei nostritempi di cambiamenti e di incertezza.Giona è un uomo pio, con una vita tran-quilla e ordinata; questo lo porta adavere i suoi schemi ben chiari e a giudi-care tutto e tutti con questi schemi, inmodo rigido. Ha tutto chiaro, la verità èquesta. È rigido! Perciò quando ilSignore lo chiama e gli dice di andare apredicare a Ninive, la grande città paga-na, Giona non se la sente. Andare là! Maio ho tutta la verità qui!. Non se lasente…Ninive è al di fuori dei suoischemi, è alla periferia del suo mondo.E allora scappa, se ne va in Spagna,fugge via, si imbarca su una nave che vada quelle parti. Andate a rileggere ilLibro di Giona! È breve, ma è una para-bola molto istruttiva, specialmente pernoi che siamo nella Chiesa.

Che cosa ci insegna? Ci insegna anon aver paura di uscire dai nostrischemi per seguire Dio, perché Diova sempre oltre. Ma sapete una cosa?Dio non ha paura! Sapevate questovoi? Non ha paura! È sempre oltre inostri schemi! Dio non ha pauradelle periferie. Ma se voi andate alle

Ma attenzione! Gesù non dice:andate, arrangiatevi. No, non dicequello! Gesù dice: Andate, io sonocon voi! Questa è la nostra bellezza ela nostra forza: se noi andiamo, se noiusciamo a portare il suo Vangelo conamore, con vero spirito apostolico,con parresia, Lui cammina con noi, ciprecede, – lo dico in spagnolo – ci“primerea”. Il Signore sempre ci “pri-merea”! Ormai avete imparato il sensodi questa parola. E questo lo dice laBibbia, non lo dico io. Il Signore dicenella Bibbia: Io sono come il fior delmandorlo. Perché? Perché è ilprimo fiore che fiorisce nella prima-vera. Lui è sempre “primero”! Lui èprimo! Questo è fondamentale pernoi: Dio sempre ci precede! Quandonoi pensiamo di andare lontano, inuna estrema periferia, e forse abbia-mo un po’ di timore, in realtà Lui ègià là: Gesù ci aspetta nel cuore diquel fratello, nella sua carne ferita,nella sua vita oppressa, nella suaanima senza fede. Ma voi sapete unadelle periferie che mi fa così tantomale che sento dolore - lo avevo vistonella diocesi che avevo prima? Èquella dei bambini che non sanno farsiil Segno della Croce. A Buenos Airesci sono tanti bambini che non sannofarsi il Segno della Croce. Questa èuna periferia! Bisogna andare là! EGesù è là, ti aspetta, per aiutare quelbambino a farsi il Segno della Croce.Lui sempre ci precede.

Cari catechisti, sono finiti i tre punti.Sempre ripartire da Cristo! Vi dico gra-zie per quello che fate, ma soprattuttoperché ci siete nella Chiesa, nel Popolodi Dio in cammino, perché camminatecon il Popolo di Dio. Rimaniamo conCristo - rimanere in Cristo - cerchia-mo di essere sempre più una cosa solacon Lui; seguiamolo, imitiamolo nelsuo movimento d’amore, nel suoandare incontro all’uomo; e usciamo,apriamo le porte, abbiamo l’audaciadi tracciare strade nuove per l’an-nuncio del Vangelo.

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Accoglienza che cresce - 25

Riflessioni

D opo il solstizio d’inverno iRomani festeggiavano laFesta delle luci, poiché in

quel periodo cominciavano ad aumenta-re le ore di luce durante le giornate,annunciando così un lento ma inequivo-cabile progredire verso la fioritura pri-maverile. Queste sono le radici paganedi quella che per noi cristiani è la ricor-renza del più grande evento occorsoall’umanità: la nascita di Gesù. Conl’avvento del cristianesimo alla festadelle luci si è sovrapposta la celebrazio-ne dell’incarnazione del Cristo, la Luce.

Questa premessa storica mette subi-to in evidenza la correlazione tra la rina-scita della Terra, la quale, come abbia-mo visto, comincia a prendere le distan-ze dal gelo e dal buio, e la rinascita delloSpirito, rappresentata dall’incarnazionedi Gesù Cristo. Bellissima questa com-parazione, a pensarci bene. Il problemaè che non sempre ci si pensa; si dà perscontato che il Natale è – giustamente! –la festa che ci ricorda la nascita di Gesù,ma quasi mai ci si sofferma a pensare alperché sia stata scelta questa data perricordarci la venuta del Salvatore. Gesùè venuto nel mondo a portarci la Lucedello spirito, per salvarci dalle tenebredella lontananza da Dio. Ecco perché,visto in quest’ottica, è bellissimo ilparagone tra la festa delle luci ed ilnostro Natale. Non c’è nessuna contrad-dizione, come invece vorrebbero ravvi-sare i detrattori del Natale, i quali obiet-tano che, in realtà, questa non sarebbealtro che una rivisitazione di una festapagana; queste dissertazioni sulle cele-brazioni natalizie sono un insulto allanostra intelligenza, in quanto tutti i cri-stiani sanno benissimo che Gesù non era“del Capricorno”, o perlomeno sanno dinon poterlo sapere…

Cosa rappresenta, dunque, il Natalenella vita di ognuno di noi? Un alberopiù o meno grande da adornare con

ghirlande e palline colorate? Deiregali da comperare, in fretta –perché sotto le feste si va sempredi fretta! – per non venir meno aldovere di donare qualcosa a qual-cuno? Il presepe da allestire, cer-cando di metterci sempre qualcheelemento di novità che possa col-pire i nostri ospiti? Oppure rappre-senta un grosso e annoso proble-ma: cosa preparare per il cenone?E, soprattutto, devono propriovenire tutti… o quest’anno sipotrebbe finalmente fare a menodi invitare chi non ci piace?? Siaccetta quell’invito o si può decli-nare, con qualche scusa più omeno plausibile, altrimenti ci sonogli altri parenti che si offendono senon andiamo da loro….? Per moltiil Natale viene associato a tuttoquesto. La tradizione, soprattuttonei più anziani, “impone” unaserie di formalità, a cominciare dall’or-ganizzazione di pranzi e/o cene pertavolate di familiari, perché così biso-gna passare il Natale con i tuoi (matanto nemmeno la Pasqua la puoi passa-re con chi vuoi). E, in una certa misura,è anche piacevole fare dei regali e poiriceverne (salvo poi pensare che è quasitutto inutile). È bellissimo festeggiare ilNatale, perché ci riporta alla memoria ilricordo dei Natali della nostra infanzia,quando trovare dei doni sotto l’alberosembrava veramente un riconoscimentoper essere stati buoni durante tutto l’an-no, e poi si rimaneva incantati davantiagli addobbi, alle luci, ai festoni colora-ti… quell’atmosfera magica ha lasciatoun segno in ognuno di noi, una nostal-gia antica, di nonni, di cuginetti e divacanze da scuola, di tombolate e dicanzoncine, di tanti auguri da parte dipersone che sembravano tutte buone esorridenti, di profumo di castagne e dilegna bruciata… anche per questo

risveglio emotivo ci sentiamo ammalia-ti dal Natale.

Ma non dimentichiamo che si cele-bra la venuta di Gesù. Lui è sempre tranoi, e questo è il periodo dell’anno in cuidovremmo prepararci a riaccoglierlonelle nostre vite, come se ogni Natalefosse un nuovo inizio. Perché è un nuovoinizio: come la luce ricomincia ad avan-zare sulla notte, così la Luce di Dio devefarsi strada nelle nostre esistenze, pertirarle fuori dall’ombra dei nostri piccolio grandi egoismi, dei nostri falsi proble-mi (è vero, non ci facciamo mai bastarei problemi reali), della nostra corsa versonon sappiamo nemmeno noi cosa. Ecco,il miglior augurio che possiamo fare anoi stessi ed a chi amiamo è questo: farrinascere in noi la Speranza, affinchépossiamo confidare nella realizzazionedi noi stessi affidandoci alla Sua guida,senza perdere mai di vista quella Luceche da più di duemila anni ci è statadonata per illuminare le nostre vite e perrammentarci che non siamo soli.

di Cristina Allodi

Un Natale di speranza per l’Umanità

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L’angolo delle famiglie

26 - Accoglienza che cresce

di Alessandra Caneva

E’ interessante, a mio avviso,ritornare sulla brevissima strisciaserale ideata e diretta dal geniale IvanCotroneo, “La Mamma imperfetta”(nella foto una scena, N.d.R.), unprodotto che riscuote moltissimasimpatia. L’autore, uno dei più raffi-nati che esistono attualmente sullapiazza, ( ha firmato anche la serie“Tutti Pazzi per amore”) è tra quelliche con più abilità riesce a contrab-bandare la sua idea di famiglia comeprigione culturale. La breve striscia,dopo esserci sorbiti un Tg sicuramen-te pesante dove oltre a tragedie mon-diali, ci fa sentire sempre più insicuriin una realtà di crisi a rischio default,ecco che ci strappa una risata. Mafate attenzione: non è una risata cheesprime gioia, superamento della tra-gedia, della monotonia della vitaquotidiana, no, ma un sarcasmo pro-fondo che si abbatte contro quella cheè la vita coniugale e familiare.Guardate le case, quella di Chiara inparticolare: mai visto tanto buio,tanto squallore nel mobilio, nelle tap-pezzerie, nei colori, nella cucina,luogo deputato della famiglia che siriunisce a tavola, e non è una questio-

te, non perché renda veramente felici. Non che le famiglie siano tutte

uguali, lo stesso Tolstoj inizia il rac-conto di Anna Karenina con una frasein proposito: “ Tutte le famiglie felicisi somigliano; ogni famiglia infeliceè invece disgraziata a modo suo”.Vero, ma questo non esclude che lefamiglie felici non abbiamo diritto aessere raccontate o inserite nei conte-sti della drammaturgia. La felicità,inoltre, in nessun ambito esistenzialeè gratuita, richiede sforzo, dedizione,sacrificio, perdono e via dicendo.Tutti elementi che possono dare mol-tissimi spunti al racconto televisivo.Ma se questo non viene considerato,la ragione è che o si vuole volontaria-mente demolire la struttura dellafamiglia naturale per aprire le porte afamiglie di tipo alternative, omosses-suali, allargate etc… o gli autori deglisceneggiati sono loro stessi cultural-mente convinti che la famiglia “ tradi-zionale” (uso questo termine con unpo’ di riluttanza) non sia che fonte diconflitti, noia e routine, responsabilitàeccessive, e , nella peggiore delle ipo-tesi, causa di profonda infelicitàumana e psicologica.

C ome viene raccontata lafamiglia nelle fiction chehanno riscosso più suc-

cesso di pubblico? Il panorama èabbastanza sconfortante se si pensache, in questo esordio autunnale dellaprogrammazione televisiva, la fami-glia naturale, in particolare la coppiamonogama, appare come una sorta diprigione culturale dalla quale nonriusciamo a liberarci. Fiction benfatte, con cast notevoli come “Lagrande famiglia 2” (nella foto, il castal completo, N.d.R.) che vanta la pre-senza di Stefania Sandrelli, StefaniaRocca, Alessandro Gassman, maanche fiction più leggere come“Provaci ancora prof. 5” con VeronicaPivetti ed Enzo De Caro in mododiverso ci confermano questa tesi.Non è esente da questa linea la tantoamata striscia serale di Rai 2, “UnaMamma imperfetta” che ritrae situa-zioni divertenti, reali che si vivono infamiglia, ma che in fondo non raccon-ta le piccole e quotidiane gioie dellavita familiare che danno senso ai pro-blemi, alla fatica e anche a qualchefrustrazione.

Perché impelagarsi in una struttu-ra così opprimente (Una grande fami-glia2) , o in un rapporto monogamo,noioso che dà adito a fantasie e dop-piezze affettive represse? (Provaciancora prof. 5). Perché imbarcarsi afare la madre imperfetta quando i sin-gle sembrano molto più realizzati emeno problematici? La famiglia,sembrano dirci le fiction, è solo fruttodi un condizionamento culturale nellaquale tutti finiamo per approdare per-ché ci hanno educato che questa strut-tura di convivenza è la più rassicuran-

L’immagine della famiglia nella fiction: prigione culturale, desiderio di evasione

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Accoglienza che cresce - 27

L’angolo delle famiglie

bene e del male. Nella realtà nonaccadono tutte quelle disgrazie, maquesto non importa perché si spinge ilpubblico a fare il tifo per la coppiaostacolata, non a interrogarsi su cosasia l’amore.

Avendo lavorato tanti anni per latelevisione, a contatto con gli autori ei produttori, spesso ho sentito dire chela colpa è del pubblico da casa, dellafamosa “ casalinga di Voghera” (

espressione per indica-re lo spettatore medio)che sembra condizio-nare le scelte degli edi-tori televisivi. Mi per-metto di dissentire per-ché tale teoria, pergiunta offensiva neiconfronti dei comunitelespettatori, non spie-gherebbe il grande suc-cesso riscosso in que-sta stagione autun-nale dalla miniserie“Adriano Olivetti, laforza di un sogno”, un

prodotto di alto livello storico e cultu-rale. E di conferme del genere nepotremmo elencare all’infinito, comel’enorme successo riscosso da bendieci stagioni di serie come “DonMatteo” con Terence Hill e NinoFrassica. Per quanto riguarda la rap-presentazione della famiglia, temacentrale di questo articolo, nessunonega la libertà di esprimere a chiun-que le proprie convinzioni a riguardo,ma, di grazia, non si censuri ciò che lafamiglia naturale rappresenta peralmeno la metà della popolazione ita-liana, un luogo di autentica realizza-zione della persona umana.

se una famiglia non funziona benediviene un’arma letale contro i suoicomponenti, non siamo così ingenuida non capirlo, da non vederlo.Quando non si hanno così alte pretesedi affermare che la famiglia è una isti-tuzione superata allora si naviga nelmelò, nella soap, meglio ancora in ungenere che appare di recente fatturache è un misto tra la soap, il giallo, ilthriller , vedi “Le tre rose di Eva”,

“Paura di amare”, “Rossella”. A que-sto punto il registro cambia, l’evasio-ne è la parola d’ordine. Quello chesuccede dopo il matrimonio con tantodi abito bianco e liturgia in chiesa,non interessa. Ci si concentra sugliostacoli rocamboleschi che la coppiaincontra per coronare il proprioamore: vendette, gelosie, congiure,interessi economici, omicidi, furfan-terie di ogni genere: chi più ne ha piùne metta. Il risultato è una rappresen-tazione della realtà affettiva tra uomoe donna fortemente alterata, legatasolo a una passione inspiegabile, irra-zionale che si pone al di sopra del

ne di budget modesto che possonopermettersi due impiegati. Non silascia spazio alla felicità che anima lefamiglie normali e non patologiches’intende, che inevitabilmente sialterna agli affanni, alle fatiche, mache fa ripetere almeno al 50 per centodella popolazione che “vale la pena”,perché nessun luogo come la nostracasa ci aiuta a sopportare il peso dellavita stessa. Non ci sembra veritieroné onesto raccontare lavita familiare solo a favo-re dell’altro 50 per cento.Allora, perché divertetanto questo appunta-mento serale? Perché letematiche che l’autoreaffronta sono vere, eanche ben descritte, ma èil contesto che è falsato oalmeno di parte.

Ascoltando le quattroamiche che si confidanoviene da chiedere loro:scusate, ma chi ve lo fafare? Ridiamo da casa,senza accorgerci che l’autore vuoledemolire l’idea che sposarsi, averedei figli possa rendere felici. Ci sonosit com- americane come “Tutto infamiglia”, “La vita secondo Jim” pernon parlare degli storici “Robinson”e altre ancora, che raccontano lafamiglia in modo più genuino. Perchénelle famiglie sane, si ride, ci si con-forta, si condividono i problemi, siimpara l’amore gratuito: non sonofavole, è la pura verità.

La famiglia come prigione cultu-rale è legata a quelle fiction di mag-giore aderenza alla realtà che si con-centrano sulle situazioni patologiche,

n: prigione culturale, desiderio di evasione

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28 - Accoglienza che cresce

Sapori Divini

Sapori DiviniLa ciambella dei Re Magi

Il “roscòn de reyes magos” (“ciambella deiRe Magi”) è l’equivalente spagnolo della“Gallette des Rois” francese. Un dolce tipi-co dell’Epifania, nel cui impasto è nascostauna fava. Colui che la troverà sarà fortuna-to per tutto l’anno. In questo caso, la fava èinterpretata come un simbolo solare, porta-trice di vita e di prosperità. In Spagna, i ReMagi sostituiscono la Befana nel portare idoni ai bambini il 6 gennaio.

Ingredienti(per un Roscón di dimensioni medie):

2 uova60 gr burro60 gr olio d’oliva4 cucchiai belli pieni di zuccheroscorza di un limone e di un arancio grattugiate600 gr farina1 cucchiaino di acqua di fiori d’arancio,molto tipica anche della pasticceria meri-dionale italiana1 bicchiere di latte30 g di lievito di birra

Per decorare:3 cucchiai di granella di zucchero2 cucchiai di sciroppo di zuccherociliegine candite

Procedimento:Sbattere le uova con lo zucchero, il burro,la scorza grattugiata del limone e dell’aran-cio, l’acqua di fiori d’arancio e il latte, doveprima si sarà diluito il lievito (se si tratta diquello fresco, altrimenti quello in polvereva mescolato con la farina). Infine, aggiun-gere la farina finché non avremo ottenutoun impasto solido, compatto e liscio.Far riposare l’impasto, coperto, vicino auna fonte di calore (un termosifone, adesempio), per minimo 3 o 4 ore. L’impastodeve lievitare e raggiungere il doppio delsuo volume di partenza. A questo punto, sirimpasta finché non sarà tornato al suovolume iniziale e si inserisce il fagiolo.

Si dispone il roscón a forma di corona inuna teglia da forno, dove dovrà riposarealtre due ore per farlo lievitare nuovamen-te. A quel punto spennellare un uovo sulroscón e ricoprire di canditi, zucchero (nona velo, ma a granelli) e mandorle crudeaffettate. Cuocere in forno a temperaturamedia finché non sarà dorato. Servire fred-do.

Alcune variazioni: tagliato a metà e riem-pito di panna dolce montata (fatta a casa,mi raccomando!), oppure di marmellata opersino di crema di panna e cioccolato.Queste variazioni sono deliziose masoprattutto sono perfette per rendere piùsucculento un dolce che di per sé è asciut-to.

I Re Magi nei VangeliIl 6 gennaio la Chiesa ricorda l’incontrodei Re Magi con Gesù bambino e la loroconversione alla nuova dottrina. La festa sicelebrava a Roma già fin dal II sec. e laparola epifania, che in greco significa“visibile” secondo la lettura volgare si èvia via trasformata in “Pifania, Befania” efinalmente Befana. In oriente viene chia-mata con il vocabolo più appropriato“Teofania”, manifestazione della divinitàdel Signore.“Allora Erode, chiamati segretamente iMagi, si fece dire con esattezza da loro iltempo in cui era apparsa la stella e li inviòa Betlemme esortandoli: “Andate e infor-matevi accuratamente del bambino e,quando l’avrete trovato, fatemelo sapere,perché anch’io venga ad adorarlo”.“Udite le parole del re, essi partirono. Edecco la stella, che avevano visto nel suosorgere, li precedeva, finché giunse e sifermò sopra il luogo dove si trovava ilbambino. Al vedere la stella, essi provaro-no una grandissima gioia. Entrati nellacasa, videro il bambino con Maria suamadre, e prostratisi lo adorarono. Poi apri-rono i loro scrigni e gli offrirono in donooro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sognodi non tornare da Erode, per un’altra strada

fecero ritorno al loro paese” (Mt., 2, 1-12).Oltre ai Vangeli ‘canonici’ (riconosciutidalla Chiesa come ispirati), ne parlanoanche i vangeli apocrifi. Il Protovangelo diGiacomo, probabilmente anteriore al IVsecolo, (cap. 21-23); il Libro dell’infanziadel Salvatore, circa IX secolo, (cap. 89-91); il Vangelo dello Pseudo Matteo, versoil VI secolo, (cap. 16-17); il Vangelo Arabodell’infanzia del Salvatore, circa la metàdel VI secolo, (cap. 7-9); il VangeloArmeno dell’Infanzia, fine VI secolo, (cap.V, 10) che ci riferisce anche i nomi, accet-tati poi normalmente nella tradizione.Riporto solo la citazione di quest’ultimo:“Un angelo del Signore si affrettò di anda-re al paese dei persiani per prevenire i remagi ed ordinare loro di andare ad adorareil bambino appena nato. Costoro, dopoaver camminato per nove mesi avendo perguida la stella, giunsero alla meta proprionel momento in cui Maria era appenadiventata madre. E’ da sapere che in quelmomento il regno persiano dominavasopra tutti i re dell’Oriente per il suo pote-re e le sue vittorie. I re magi erano tre fra-telli: Melchiorre, che regnava sui persia-ni, poi Baldassare che regnava sugliindiani, ed il terzo Gaspare che dominavasul paese degli arabi”.È anche interessante che il “Libro dellaCaverna dei Tesori”, scritto nel V secolod.C., ma riferentesi ad un testo siriaco piùantico, descrive i Magi come Caldei, re efigli di re, in numero di tre.

di Concita De Simone

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Accoglienza che cresce - 29

D opo un’estate di riposo e di tanti e sva-riati divertimenti, si è aperta per meuna nuova ed entusiasmante avventu-

ra: l’università. Da Padova, mio borgo natio, sonopartito per Milano per studiare alla Bocconi. Misono trasferito a Milano gli ultimi giorni di agosto,la Bocconi inizia sempre molto presto e avevo biso-gno di qualche giorno per orientarmi. TramiteFacebook avevo già stretto qualche conoscenza conaltre matricole per cui in quei giorni ho avuto l’op-portunità di fare amicizia. Molti ragazzi, qualcheanno più grandi, infatti organizzano per quelleprime settimane parecchi aperitivi e serate varie perdare l’opportunità a tutti di non arrivare troppo soliil primo giorno. Fin dalla prima lezione ho capitoche, se consideravo fino ad allora l’università comeun punto d’arrivo dopo cinque anni di Liceo classi-co, il primo giorno mi ha fatto subito cambiareidea: sarà stato l’ambiente nuovo, saranno state le125 facce nuove dei miei compagni di corso, saràstato il primo impatto con i professori, ma subito misono detto: “Matteo, questo è solo l’inizio!”.L’aspetto più interessante tuttavia è che, dopo avercondiviso le mie preoccupazione con i miei nuoviamici, ho scoperto che non ero l’unico, bensì solouno dei tanti. Ed è proprio nei momenti di incer-tezza e in cui si è spaesati che nascono le amicizie:ho trovato un gruppo di 7 persone con cui mi trovomolto bene e devo dire che il fatto di incontrarepersone simpatiche e disponibili ha reso il passag-gio superiori-università meno difficoltoso: studia-mo insieme, pranziamo in gruppo tre volte a setti-mana, ci divertiamo insieme e, ovviamente, andia-mo a guardare le partite del Milan insieme (nonposso nascondere la mia fede calcistica); ma nonsiamo un gruppo autoreferenziale: da settembrefino ad ora, credo di aver conosciuto centinaia diragazze e ragazzi da tutta Italia, il che non solo miha permesso di venire in contatto con altre realtà,ma mi ha fatto davvero capire che la mia realtà nonera l’unica, ma solamente una delle tante.

di Matteo Fusaro

L’angolo dei giovani

Un nuovo inizio

Preghiera dello studente universitario

O Dio, luce radiosa e sorgente della Sapienza:accogli la preghiera che oggi innalzo a Te.Ascoltami, Dio fedele.Ho bisogno di luce, Signore,per vedere e discernere,per conoscere e riconoscerti,per orientare il mio studio alla ricerca della Veritàe desiderarla sempre più.Sii Tu la luce che risplende nella mia vitae dissipa ogni genere di tenebra.Ho bisogno di forza, Signore, per vincere la pigrizia e rinvigorire la volontà,per resistere alle tentazioni e aprirmi agli altri,per disincantarmi dall’erroree stare in compagnia dei tuoi amici.Sii Tu la forza che mi attirae spegne in me ogni resistenza.Ho bisogno d’amore, Signore,per crescere e tendere alla perfezione,per vivere nella trasparenza e servirti nei fratelli,per sperimentare la tua misericordiae godere la vera pace.Sii Tu la sapienza che mi fa cresceree mi dà il gusto della tua Parola.O Dio, rendimi docile alla veritàe perseverante nel ricercarla.Fammi libero per Tedi quella libertà che solo tu insegni.Donami il tuo Santo Spiritoperché possa essere figlio tuo in pienezzae discepolo del Figlio Tuo, Gesù, mio unico maestro.

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“Oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore”

(Lc. 2,11)

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StorieConcita De Simone

diano Avvenire – perché, anche se per“ragioni di stato” ero musulmano, misono sempre sentito vicino al cristianesi-mo e ai suoi valori: la mia famiglia, conun padre di origine tedesca, era aperta atutte le tradizioni tanto che da piccolo aTeheran festeggiavo il Natale». Un ruolofondamentale in questa storia di conver-sione, l’ha avuto la musica di Bach.«Come spiegare una perfezione così altase non con un’esperienza più grande,come se ogni nota fosse dettata daDio?», si chiede lo stesso Bahrami.

«Cristo l’ho sempre sentito pre-sente nella mia vita. Una presenza cheho avvertito ancora più forte quel gior-no. Da allora ho seguito quella voce e hocapito che non potevo più rimandare lamia risposta a questa chiamata. A giugnosono stato battezzato a Vallelonga, vici-no a Pizzo Calabro, paese natale dei mieisuoceri. Qui sono stato accolto dallacomunità che mi ha abbracciato come unfratello e mi ha fatto sentire la gioia diessere cristiano. E il 20 luglio mi sonosposato con rito religioso a Roma: unafesta con tanti amici», ha dichiaratoancora il pianista iraniano.

Ramin Bahrami: una conversione grazie a Bach

I l Signore si serve dei più sor-prendenti strumenti per entrarenel cuore delle persone. Tanti,

nel corso dei secoli, si sono convertitidopo aver ascoltato un sacerdote, o latestimonianza di un credente, o cono-sciuto la vita di un Santo. Ma forse nonera mai capitato che qualcuno si conver-tisse grazie a Johann Sebastian Bach, sìproprio il grande compositore, organi-sta, clavicembalista e maestro di corotedesco del periodo barocco, conside-rato uno dei più grandi geni nella storiadella musica.

È successo però a Ramin Bahrami,pianista iraniano conosciuto in tutto ilmondo, che, oggi, da battezzato, si fachiamare Sebastiano, proprio in onoredel Maestro.

Ramin è nato a Tehran nel 1976 dafamiglia benestante. Con l’avvento delregime degli Ayatollah a seguito dellarivoluzione iraniana, il padre Paviz,ingegnere dello Scià, fu incarcerato, conl’accusa di essere oppositore del nuovoregime (morì poi in carcere nel 1991).Ramin fu costretto a emigrare in Europaquando aveva 11 anni. L’intenzione eraquella di recarsi in Germania (oggi vivea Stoccarda), patria originale dellanonna paterna, ma il primo paese che loaccolse fu l’Italia, grazie ad una borsa distudio donatagli dall’Italimpianti inseguito all’intervento dell’ambasciataitaliana a Teheran.. Dopo gli studi e ildiploma al Conservatorio “G. Verdi” diMilano, il suo portentoso talento l’haportato a suonare in tutto il mondo, Cinacompresa.

Qualche tempo fa, ha raccontato aproposito della sua conversione, eracaduto in una profonda depressione estava pensando di abbandonare le scene,quando un giorno è arrivata “la chiama-ta” entrando in una chiesa di Venezia.

«Un percorso iniziato anni fa – hadichiarato il pianista iraniano al quoti-

A proposito di Bach, ha aggiunto:«Per me Bach è la voce di Dio, la vocedi qualcosa di soprannaturale.

È il compositore più perfetto, piùprofondo: in lui ho sempre trovato unafonte di energia indistruttibile che si rin-nova ascolto dopo ascolto. Ogni nota diBach è ispirata da Dio e per questo èprofondamente umana: nelle sue paginesi trovano tutte le voci, tutte le culturedel mondo e la sua musica travalica ogniepoca suonando ancora come modernis-sima».

Il pensiero di Ramin va poi al suoPaese natio, sempre travagliato dallaguerra.

«Non ci sarà pace finché non cisaranno cambiamenti radicali, finchéOriente e Occidente non imparerannoad abbracciarsi, finché si metteranno inprigione donne e bambini, scrittori eregisti che chiedono solo di essere libe-ri e di potersi esprimere, finché non cisarà una giustizia sociale.

Spero che l’Iran torni a essere lanazione illuminata, aperta al bello e allasperanza, di qualche secolo fa, un paeseaperto al contrappunto, al dialogo travoci diverse»

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32 - Accoglienza che cresce

Biblioteca

È l’ultima produzione, in ordine ditempo, a firma di Mons. AndreaGemma, con cui l’autore ha voluto trat-tare della sua lotta contro Satana, svol-ta normalmente attraverso il suo mini-stero di esorcista sin dal 1992, quandoera Vescovo di Isernia e Venafro. Ilvolume, che è il terzo che viene dedica-to all’argomento, segue: “Io, vescovoesorcista”, ed. Mondadori, 1992 e“Confidenze di un esorcista”, ed.Villadiseriane, 2009, (entrambi di pros-sima rieditazione) è una raccolta ditestimonianze, scelte tra le innumerevo-li a disposizione, che tanti fedeli hanno

voluto indirizzargli per gratitudine ocome richiesta di aiuto.Scrive mons. Gemma nella premessa alvolume: «È successo così che mi ritro-vassi in mano una copiosa quantità ditestimonianze scritte da questi fratellipresi di mira dal demonio e dai suoi emis-sari. Che farne? La risposta a questointerrogativo è nelle pagine seguenti.Mi sono detto, infatti: perché non mette-re a disposizione, e degli esorcisti e deglistessi disturbati dal Maligno, un mate-riale che ad ogni modo documenta laperfidia di lui e la sofferenza delle suevittime? Ecco spiegata la ragione diquesto terzo volume che io dedico allascabrosa problematica a cui molti guar-dano con schizzinosa diffidenza, condeprecabile supponenza e con una malcelata, più apparente che reale, incredu-lità, sacerdoti come si credono della dea

ragione.Eppure a questi ”Catoni improvvisati”, iquali non sanno quanta sofferenza pro-curino a chi è gravato da sofferenze, fisi-che e morali, a cui l’azione malefica delserpente antico le sottopone, noi ripetia-mo l’adagio ”contrafacta non valentargumenta”.A qualcuno di costoro, tra i più accesi ediffidenti promotori del dubbio, mi sonopermesso di dire: ”vieni e vedi!”. ».Il volume, che raccoglie 34 testimonian-ze, debitamente corredate da risposteformulate dall’autore, è dedicato alSanto Padre Francesco con l’auspicioche vi sia un intervento del magisterosulla questione.

Andrea Gemma – “I Trofei del Satana”– Edizioni Avvertenze Generali – 2013 –€ 12,00

In attesa della canonizzazione (27aprile 2014), un ritratto inedito diGiovanni Paolo II attraverso i ricordidi mons. Boccardo, a lungo collabora-tore di papa Wojtyla, raccolti dal gior-nalista e scrittore Renzo Agasso.Monsignor Renato Boccardo, oggi arci-vescovo di Spoleto-Norcia, è stato alungo collaboratore di Giovanni Paolo II(dal 1992 fino alla morte del Ponteficenel 2005). Tra le altre cose, fu organiz-zatore delle Giornate per la Gioventùpromosse dal Papa e degli ultimi viaggidi Wojtyla all’estero. Un patrimonio diesperienze, attraverso le quali si puòdelineare la figura di questo Papa neisuoi aspetti più inediti, ma sempre ricchidi una grande fede e di una grande uma-

nità. Questi aspetti sono stati raccoltidalla penna dello scrittore Renzo Agassonel nuovo libro “Il mio Giovanni PaoloII” i cui capitoli sono stati intitolati conle parole-chiave della figura e del ponti-ficato di Wojtyla (Roccia, Operaio,Preghiera, Speranza, Polonia, Umanità,Fragilità, GMG, Santo….). È estrema-mente interessante ripercorrere l’iter delpontificato di Giovanni Paolo II attraver-so il suo variegato ministero petrino, cheguardava con intensa partecipazioneanche alle vicissitudini storiche e politi-che dell’Europa di quegli anni. Un’Europa che deve tanto alla presenzadi questo Pontefice in un momento cru-ciale della sua storia. Scrive Agassonella prefazione: “Forse mai come ai

tempi di GiovanniPaolo II èapparsa vera erealizzata quellaparola di Gesùche chiede diandare in tutto ilmondo a predi-care il Vangelo.Forse nessunmessaggero dellaBuona Notizia hapreso così allalettera il mandatodel suo Signoreda visitare praticamente tutti i popoli e iPaesi della terra. E tutti quelli che hannovisto ne sono testimoni”.

Renato Boccardo, Il “mio” GiovanniPaolo II - Collana I radar n. 34 - € 13,00

I Trofei del SatanaIl grido inascoltato delle sue vittime

Il “mio” Giovanni Paolo II

a cura della Redazione

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“Gloria a Dio nel più alto dei cielie sulla terra pace agli uomini, che egli ama”

(Lc 2,14)

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Notizie

34 - Accoglienza che cresce

25° e 50° anniversario di Professione religiosa

Il 29 settembre nella Chiesa parrocchiale di S. CaterinaDa Siena è stato celebrato il 25° di professione religiosadi: Sr. Crestituta Millan, Sr. Segundina Cantong,Sr. Madelyn Sinfuego, Sr. Delna De LaRosa e Sr. Dianelyn Malacad e il 50°di Sr. Beatrice Sandri.La celebrazione Eucaristica è statapreceduta da Sua Ecc. za Mons. CelsoMorga Iruzubieta, Segretario per laCongregazione per il Clero.Vi è stata una buona partecipazione diamici, conoscenti, parrocchiani, vo-lontari e di alcuni parenti. La festa si èconclusa con un’agape fraterna neilocali della casa.Un sincero augurio e un grazie allesorelle per la loro perseveranza allavocazione per questi 25 e 50 anni.

Nuovo complesso parrocchiale

La Parrocchia S. Caterina, dopo ben 43 anni di attesa, ha inaugu-rato un nuovo complesso Parrocchiale in Via Populonia, 44. Inpreparazione di questo evento il 15 novembre sono stati celebratii Vespri presieduti da Mons. Giuseppe Marciante (vescovo delsettore est di Roma) e il 16 novembre alle ore 16.00 il Card.Vicario Agostino Vallini ha presieduto la solenne concelebrazio-ne per la consacrazione della nuova Chiesa. «Portate a questo altare tutto ciò che pesa - ha detto il porporatorivolgendosi ai fedeli - le vostre sofferenze, i vostri dubbi, levostre lacrime. Su di esso porteremo pane, vino e acqua, attraver-so cui diventeremo corpo e sangue di Cristo glorioso; saremo unacomunità viva di fratelli». I riti si sono conclusi poi con l’incensazione e l’illuminazione dell’altare e della chiesa.Una festa alla quale non sono mancate le parole, colme di gioia, del parroco, don Humberto Gomez: «Se l’immagi-ne più alta della Chiesa è il banchetto dell’Eucaristia, questa chiesa dovrà essere per prima cosa la tavola sulla qualel’amore di Dio si spezza per tutti», perché «il punto non è tanto quello di costruire materialmente l’edificio, ma piut-tosto di mantenere le sue porte aperte come quelle dei nostri cuori, degli occhi, delle mani per accogliere, benedire,rincuorare».

ITALIA

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Notizie

U.S.A

Accoglienza che cresce - 35

Delegazione Italia

Nel 2008 il 43° Capitolo Generale SOM ha dato il mandato per studiare la possibilità di istituire laDelegazione Italia per uniformare la gestione e amministrazione della realtà della Congregazione comeviene specificato nel n° 23 del documento capitolare: “per una omogeneità del governo nell’interaCongregazione il capitolo è convinto che si debba creare una delegazione anche per l’Italia”. Dopo sufficiente studio e discernimento il 21 novembre è stato dato inizio alla Delegazione Italia. Ilcompito della delegata è stato assegnato a Sr. Alessandrina Rossi. Sr. Miriam Pandaplackal, Sr. M. AliceRakotoarisoa, Sr. Edith Seravillo come Consigliere, Sr. Annabelle Mammon come Segretaria e Sr.Beatrice Sandri come Economa.

Nuova aperturaIl 23 novembre sono partite le pioniere Sr. Beatrice Sandri e Sr.Innocenzia Ndikum accompagnata dalla Madre Generale Sr.

Paola Iacovone per una nuova missione inCameroon. Saranno raggiunte da altre duesorelle nel mese di gennaio: Sr. JulieUmadhay e Sr. Hendriette Adieri Kintwadi. Auguriamo alle sorelle un fruttuoso serviziomissionario nella terra di Cameroon.

Il 1° Novembre è stato benedet-to il Mercy Convent, che è lamemoria storica della presenzadelle Suore Ospedaliere inUSA. È stato ricostruito com-pletamente per metterlo a di-sposizione di qualunque attivitàdella congregazione in USA.

CAMERUN

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Vi offriamo accoglienza per: • Esercizi spirituali per singoli e gruppi organizzati,

sacerdoti, religiosi e religiose• Attività pastorali• Gruppi giovanili e di Preghiera• Movimenti ecclesiali• Convegni culturali e religiosi• Pellegrinaggi• Famiglie

Ed inoltre avete a disposizione• Cappella per celebrazioni liturgiche (100 posti)• Varie sale per riunioni• Sala Bar e sala da pranzo• Camere (28 singole - 21 doppie tutte con

telefono e bagno; possibilità anche di terzo e quarto letto aggiuntivo)

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Il Centro Accoglienza “San Giuseppe” è aperto tutto l’annoVia San Francesco d’Assisi, 44 - 60025 Loreto (An)

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La Casa di Accoglienza “San Giuseppe”delle Suore Ospedaliere della Misericordia è una struttura extra-alberghiera ideata per ospitare pellegrini e turisti,

nonché l’ideale per Incontri Spirituali e Convegni d’ogni genere.È situata a pochi minuti dal Santuario della Santa Casa di Loreto

in un ambiente rilassante e sereno, vicino alla natura e a Dio.

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ISO 9001:20089122.CCMM

Residenza Maria MarcellaCasa di riposo per Anziani delle Suore Ospedaliere della MisericordiaVia della Vignaccia, 197 - 00163 Roma (Aurelio) Tel. 06.66419012-8 fax 06.66419019 • [email protected]

A servizio dell’Amore

In caso di mancato recapito inviare al CMP Romanina per la restituzione al mittente previo pagamento resi

Mittente: “Accoglienza che cresce” Congregazione Suore Ospedaliere della Misericordia

Via Latina 30 – 00179 Roma

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ORIZZONTALI1.Lavora metalli preziosi. 6. Non zuccherati. 10. Unapersona ipotetica. 11. Sopportano le pene dell’infer-no. 13. In mezzo. 14. Un segmento del dito. 16. Peril poeta è… egli. 17. Il Simón detto "El Libertador".18. Anno Santo. 19. Castigate. 20. Agnes a Madrid.22.Tempietto con dentro una statua. 25. Metallo peranelli. 26. È ricca di potassio. 27. Tubi dilegno…vuoti. 29. C’è quello delle Amazzoni.30. Lamentela noiosa e insistente. 32.Imposta, bat-tente. 34. Calma, serena. 35. Torino. 36. Velenopotentissimo. 38. In mezzo alle dita. 39. Lewis atletaamericano. 40. In fin dei conti. 41. Amò Leandro.42. Quella di ferro passava per Berlino. 44. Veicolo atrazione elettrica. 45. Barca ricavata da un troncod’albero. 46. Quattrini, palanche.

VERTICALI1. Priva di lucidità. 2. Quasi unici. 3. L’organo delvolo. 4. Ferrara per l’ACI. 5. Erta o venuta su.6. L’attrice Magnani. 7. Non hanno bisogno di diete.8. Divinità della mitologia greca. 9. Un po’ di rispet-to. 11. Tagliò i capelli a Sansone. 12. Un mezzo di trasporto. 14. Quanto di energia vibrazionale. 15. Campione sportivo. 17. Lameta del golfista. 18. Compiono decolli e atterraggi. 19. Vino bianco e secco. 21. La mamma del papà. 23. È simile al cervo.24. Erano anche detti “Uomini Puri”. 27. Il veleno di Socrate. 28. Venuto al mondo. 30. Rete locale. 31. Uomo meccanico.33. Piccolo parassita. 34. Si usano per le staccionate. 37. Strada parecchio difficoltosa. 38. La sua capitale è Teheran. 39. Il con-trario di senza. 41. La moglie di Zeus. 42. L’inizio del cammino. 43. Napoli. 44. All’inizio è troppo.

Relax

36 - Accoglienza che cresce

a cura di Concita De Simone

Tra chi invierà la risposta esatta al rebus e la soluzionedel cruciverba entro il 28 febbraio 2014 verranno sorteggiati graditi premi. Potete inviare le vostre risposte al seguente indirizzo:Concita De Simone, Via Latina, 30 - 00179 Romac/o Rivista Accoglienza che CresceFax: 06 70452142 e-mail: [email protected]

Soluzione rebus numero precedente: Bere molta limonata

Vincitori numero 3/2013: Edy (Residenza Maria Marcella)

Stefania Bracco - Triora (IM)

REBUS (4, 5, 8)Ricava dalle sillabe e dai disegni la frase risolutiva!

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Soluzione cruciverba numero precedente

U S T I O N E S A L I

T I L T I D E M R

M I N O R E O R A T E

I N C E L E V A T E

A G H I E M U K A A R

S E P I T E T O M A

M A A S T R I C A S

A S S T R I K A R M O

S E R R A T A M O I

C E R E I O R B A T O

A A N A S P A T E

T U O I Q U E R E L A