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MARCO CIPOLLONI Università di Brescia Ritratti del potere invisibile. Jovellanos e Foucault tra le Meninas e Carlos III "Nous joindrons [...] le fragment sur le goùt, que M. le président de Montesquieu destinoit a VEncyclopèdie [...] ce fragment a été trouvé imparfait dans ses papiers [...] mais les premieres pensées des grands maìtres méritent d'ètre conservées à la póstente, comme les esquisses des grands peintres" [Diderot e d'Alembert, introduzione allo "Essai sur le Goùt" di Montesquieu, pubblicato in appendice alla voce "Goùt" nel tomo VII della Encyclopèdie, nel 1757]. I. Las Meninas di Velázquez e il Don Chisciotte di Cervantes sono senza dubbio i due capolavori più noti e studiati del Sigio de Oro 1 spagnolo. Tanto questa notorietà quanto la fortuna esegetica che l'ha accompagnata e ne è stata in parte determinata hanno radice nel fatto che entrambe le opere realizzano la confluenza di due tradizioni che, con un anacronismo intenzionale e volutamente provocatorio, potremmo chiamare classica e moderna, non fosse che il senso e il valore di questi due termini andrebbe quasi rovesciato rispetto a quello attribuito loro prima dalla settecentesca querelle degli antichi e dei moderni e poi dalla polemistica romantica: nella Spagna barocca anche i classicisti aspiravano infatti ad essere moderni, cioè a porsi in modo nuovo il problema del rapporto tra eroe, autore e pubblico. 1 Nei mesi di fine millennio, trascorsi tra il convegno e la pubblicazione di questi atti, uno specchio autorevole del comune sentire come "EP[S]'\ il supplemento settimanale di "El País", ha sottolineato per ben due volte il valore di questa affermazione: a) il IO ottobre, scegliendo, per la sezione cultura della rubrica "Lo mejor del milenio", il Chisciotte come "mejor novela" (con un corsivo di Eduardo Mendoza) e Le Meninas come "mejor ojo" (con un corsivo di Félix de Azúa) e b) il 21 novembre, pubblicando un lungo reportage intitolato "Locos por Las meninas". Tutti gli altri eroi universali della cultura ispanica, per quanto importanti, godono in effetti di una fama e di una fortuna diverse. Il mito di Lope, per esempio, proverbiale nel suo tempo, riguarda più l'autore che le singole opere, mentre quello di Don Giovanni, cresciuto dopo, è prerogativa del personaggio e delle sue reinvenzioni più che di un singolo testo.

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MARCO CIPOLLONIUniversità di Brescia

Ritratti del potere invisibile.Jovellanos e Foucault tra le Meninas e Carlos III

"Nous joindrons [...] le fragment sur le goùt, que M. le président deMontesquieu destinoit a VEncyclopèdie [...] ce fragment a été trouvé imparfaitdans ses papiers [...] mais les premieres pensées des grands maìtres méritentd'ètre conservées à la póstente, comme les esquisses des grands peintres"[Diderot e d'Alembert, introduzione allo "Essai sur le Goùt" di Montesquieu,pubblicato in appendice alla voce "Goùt" nel tomo VII della Encyclopèdie, nel1757].

I. Las Meninas di Velázquez e il Don Chisciotte di Cervantes sono senzadubbio i due capolavori più noti e studiati del Sigio de Oro1 spagnolo.

Tanto questa notorietà quanto la fortuna esegetica che l'haaccompagnata e ne è stata in parte determinata hanno radice nel fatto cheentrambe le opere realizzano la confluenza di due tradizioni che, con unanacronismo intenzionale e volutamente provocatorio, potremmo chiamareclassica e moderna, non fosse che il senso e il valore di questi due terminiandrebbe quasi rovesciato rispetto a quello attribuito loro prima dallasettecentesca querelle degli antichi e dei moderni e poi dalla polemisticaromantica: nella Spagna barocca anche i classicisti aspiravano infatti adessere moderni, cioè a porsi in modo nuovo il problema del rapporto tra eroe,autore e pubblico.

1 Nei mesi di fine millennio, trascorsi tra il convegno e la pubblicazione di questi atti, unospecchio autorevole del comune sentire come "EP[S]'\ il supplemento settimanale di "El País",ha sottolineato per ben due volte il valore di questa affermazione: a) il IO ottobre, scegliendo,per la sezione cultura della rubrica "Lo mejor del milenio", il Chisciotte come "mejor novela"(con un corsivo di Eduardo Mendoza) e Le Meninas come "mejor ojo" (con un corsivo di Félixde Azúa) e b) il 21 novembre, pubblicando un lungo reportage intitolato "Locos por Lasmeninas". Tutti gli altri eroi universali della cultura ispanica, per quanto importanti, godono ineffetti di una fama e di una fortuna diverse. Il mito di Lope, per esempio, proverbiale nel suotempo, riguarda più l'autore che le singole opere, mentre quello di Don Giovanni, cresciutodopo, è prerogativa del personaggio e delle sue reinvenzioni più che di un singolo testo.

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Lo specchio fittizio della modernità propone infatti identificazioni erispecchiamenti diversi a seconda che lo si collochi tra eroe e pubblico(come nel teatro d'onore), tra eroe e autore (come per esempio nella finzioneautobiografica della picaresca), oppure tra autore e pubblico, come accadetanto nelle Meninas come nel Chisciotte, dove gli eroi della rappresentazione(il sovrano e i protagonisti dei romanzi di cavalleria) fanno letteralmente damodello per l'azione, cioè si fanno da parte, catalizzando lo sguardo di tutti ipersonaggi e facendo sì che la scena del testo ci restituisca l'immagine e ilgioco di questi sguardi, collocandoci nel punto verso cui essi convergono. Lospecchio della scena costruisce, attraverso una rappresentazione indiretta, ilritratto virtuale di un eroismo invisibile e prospettico, consegnato allacapacità di rimandare contemporaneamente l'immagine dell'autore e quelladel suo pubblico, collocando fuori scena proprio l'identità eroica che i testidichiarano di costruire, rappresentare e celebrare. L'io eroico, come diràOrtega, non salva se stesso che attraverso la redenzione prospettica deipropri circumstantia, operata, nel caso del potere moderno, attraverso unavera e propria taumaturgia dello sguardo (il potere dei grandi taumaturghi,da contagioso diventa infettivo: il re e il folle non mi salvano e non sisalvano toccandomi, ma guardandomi e facendo di me la scena e lospecchio, il banco di prova e il doppio del loro eroico ideale).

Quale che sia il rapporto che ciascuna opera stabilisce con l'universodella rappresentazione e con i suoi artifici, il Chisciotte e le Meninas non sonoscritture, ma letture; il loro mito è la mitopoiesi, una mitopoiesi che, puressendo originalissima e ben riconoscibile, non è autonoma e si innestacontemporaneamente sul repertorio classicista del pensiero rinascimentale esulla trasfigurazione simbolica e teatrale della Edad Media e delle suetradizioni (di cui è segno, per esempio, la rossa croce di Santiago chel'autoritratto di Velazquez orgogliosamente esibisce nelle Meninas o, su unaltro piano, l'orgoglio lepantino di Cervantes, segni, l'uno e l'altro,dell'ostinata autoinclusione dei due autori nella sfera di pertinenza simbolicadello sguardo redentore).

Le Meninas e il Chisciotte devono non poca parte della loro meritatafama al fatto di portare in scena questa dicotomia2, facendo coesistere entro ilimiti di uno stesso testo un compendio e una critica delle tradizionalistrategie di rappresentazione eroico-cavalleresca. La finzione cortese delleMeninas e quella cavalieresca del Chisciotte, in quanto ritratti di come il pre-testo si trasforma in testo, vengono portate oltre i limiti della narrabilità edella cornice narrativa. Entrambe le opere presentano al pubblico un genialeautoritratto del proprio processo creativo, sono cioè capostipiti e modelli di

2 Dicotomia destinata ad esplodere nel Settecento nell'opera pittorica e grafica di Goyae nel gusto larmoyante de El delincuente honrado di Jovellanos.

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buona parte della propria tradizione critica. In esse e con esse non soloCervantes racconta la scrittura e Velázquez dipinge la pittura, ma l'uno el'altro lo fanno in modo così diretto e radicalmente originale che ilChisciotte e le Meninas, oltre ad essere capolavori assoluti, sono anche operedi due geni del relativo; sono cioè, e di gran lunga, i migliori saggi mairealizzati sulla scrittura al tempo di Cervantes e sulla pittura al tempo diVelázquez; sono contemporaneamente opere dell'arte e della letteratura(racconti) e testi della critica e della cultura (discorsi); partecipano tantoall'ordine del racconto quanto a quello del discorso.

Il gioco di autorispecchiamento (di riflessione) che ne deriva hadeterminato e legittimato una proliferazione virtuale dei percorsiinterpretativi, incoraggiando un vero e proprio big bang esegetico, sfociatonella costituzione di due galassie relativamente indipendenti dai restantidomini della critica d'arte e letteraria, non esclusi quelli relativi al "resto"dell'opera di Cervantes e di Velázquez.

Mentre il Persiles e la Resa di Breda sono opere soggette al monopoliointerpretativo degli ispanisti e degli storici dell'arte, il Chisciotte e leMeninas sono ormai come le reliquie delle cattedrali che si affacciano sullepiazze delle grandi fiere o lungo le vie di pellegrinaggio: indipendentementedal valore storico e artistico (nei nostri due casi altissimo) e in ragionedell'intenzione critica e della vocazione discorsiva, mercanti e pellegriniprovenienti da ogni angolo del mondo e da ogni disciplina rendono loroomaggio e invocano la loro benedizione per i propri traffici e i propriitinerari. Di fronte alle spoglie del Cavaliere e sotto lo sguardo annoiatodell'Infanta Margarita hanno così preso forma, nei secoli, due tradizioni. Daun lato c'è la tradizione ortodossa degli studi specialistici, così ricca cheormai da tempo tende ad alimentarsi di sé e da sé, producendo titoli chesempre più spesso prescindono (dandolo per scontato) dal confronto direttocon le opere e si misurano quasi esclusivamente con l'interminabilecarovana delle più autorevoli interpretazioni. Dall'altro, altrettanto ricca, maassai meno disciplinata e disciplinare, si è costituita una tradizioneeterodossa, che più volte ha cercato e trovato la cifra del proprio esibito nonspecialismo nel plusvalore di icona culturale che nei secoli ha accomunato ilChisciotte e le Meninas. Gli eterodossi, curiosa galleria di dilettanti veri efinti, di folli eruditi e di locos amenos*, hanno in genere diffidato dellacritica ufficiale, rifiutandone l'atteggiamento e il metodo ancor prima eancor più dei risultati. Strumentalizzando lo studio delle arti e delle lettere,

3 In seno alla Asociación de Cervantistas e in memoria di Maurice Molho, si è costituitoun gruppo di locos amenos, ludici cacciatori di disparates esegetici cervantini. Tale onorabiletertulia de locos ha celebrato a Menorca, pochi anni fa, un primo incontro, dedicato, appunto,allo studio scientifico delle stramberie critiche di argomento cervantino.

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cioè considerando lo studio, le arti e le lettere come mezzo invece che comefine, gli eterodossi hanno praticato una forma estrema e solo apparentementeingenua di radicalismo filologico, cercando (e trovando) il propriointerlocutore, il proprio modello e la fonte di legittimazione del proprio agirenella coscienza critica degli stessi autori, senza ricorrere, se non per farsenebeffa, alla mediazione delle letture accreditate dalla tradizione. Questoatteggiamento eterodosso (seguito anche da intellettuali di grande staturacome Azorín, Miguel de Unamuno, Marthe Robert e José Antonio Maravall)tende cioè ad azzerare la storia dell'esegesi e le dimensioni narrative delracconto e della rappresentazione, per misurarsi direttamente con tutto ciòche non è né history, ne story, cioè con la struttura e l'intenzione critica chea torto o a ragione ogni eterodosso riconosce o crede di riconoscere nellesofisticate autorías di Velázquez e Cervantes. Tanto nella follia libresca diDon Chisciotte quanto nella quadresca famiglia di Filippo IV coesistonoinfatti oleografia e dramma, affermazione e collasso dell'ordine razionaleche definisce, secondo Foucault e secondo Jovellanos, il nucleo dellamodernità e del suo progetto.

II. Proprio perché legati rispettivamente all'instaurazione e alla crisi delparadigma della razionalità classica e perché tra i pochi che hanno coinvoltoentrambi i testi di cui ci stiamo occupando, i percorsi esegetici di dueeterodossi di vaglia come Jovellanos e Foucault possono costituire un'ottimafalsariga per rintracciare i segni e le ragioni di questa curiositas che, se aprima vista può sembrare erudita, dilettantesca e pretestuosa (anche perchétale ostinatamente si dichiara), si rivela però tutt'altro che superficiale. Tantogli interventi di Jovellanos quanto quelli di Foucault, infatti, mescolanointenzionalmente il senso ottico e quello filosófico della parola riflessione,ed esprimono, sia pure in modo diverso, l'intenzione di configurarsi comeglosse, cioè non come autonomi discorsi sulle opere, ma come praticheinterpretative di esegeti d'occasione che aspirano ad essere continuatori diuno dei livelli di discorso contenuti nelle opere.

Da un lato troviamo dunque il severo parere di Jovellanos su unromanzo chisciottesco del Settecento4, e le sue riflessioni biografiche sulbozzetto, oggi perduto, del quadro di Velázquez5.

4 Si tratta di un abbozzo di stroncatura epistolare, indirizzata a Bernardo Alonso, autoredella Historia fabulosa del distinguido y noble caballero Don Pelayo, Infanzón de la Vega,Quijote de la Cantabria. La lettera, non completata e probabilmente mai spedita, èsicuramente posteriore al 1785 e precedente al 1792, anno di pubblicazione del romanzo, datoche Jovellanos, dopo attenta e ripetuta lettura del manoscritto, presenta all'autore le proprieriflessioni su "la utilidad o perjuicio que puede traer su publicación, tanto a usted como alpúblico" (cito dal teso pubblicato alle pp. 311-322 delle Obras escogidas, a cura di A. delRío, voi. III, Clásicos Castellanos 129, Espasa Calpe, Madrid, 1956, p. 311).

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Dall'altro troviamo invece le evocazioni foucaultiane, anticipate inalcune pagine della Storia della follia e ampiamente sviluppatenell'introduzione e nel capitolo III di Les mots et les choses, come parte diun complesso discorso sulle modalità assunte dal rapporto d'ordine che neldiscorso moderno lega linguaggio e potere, realtà e rappresentazione.

Sia Jovellanos che Foucault sfruttano "archeologicamente"6 le noncomuni doti del proprio sguardo analitico e di dettaglio, utilizzandole permettere a confronto logica e storia e per sottolineare polemicamente lamodernità formale e compositiva delle rappresentazioni della follia e dellafamiglia proposte da Cervantes e da Velázquez; ne derivano un uso originalee non accademico del dato erudito e una notevole capacità di mettere indiscussione la tradizione del proprio tempo. Senonché la tradizione messa incausa da Foucault è esattamente quella della ragione moderna, in nome dellaquale Jovellanos scoperchiava il castello dell'episteme premoderna.

La distanza che separa i due esegeti, voci di apogeo e crisi della ragionemoderna, è del resto specchio di quella che divide il primo di essi(Jovellanos) dal tempo-mondo delle opere analizzate: la sovranità e la folliabarocche consistevano essenzialmente nell'essere riconoscibili ericonosciute, visibili e viste; la sovranità e la follia settecentesche, in virtù diparalleli processi di "internamento"7, spariscono dalla scena sociale delmondo e diventano forme del vedere e del conoscere, pietre di paragone dausare per instaurare e affermare la normalità come condizione quotidiana enon eroica, ritratta però sotto le opposte ed eroiche specie dell'ordine e deldisordine8.

Jovellanos, un secolo e mezzo prima di Américo Castro, intuisce dietrola mente sconvolta di Don Chisciotte la rigorosa trama rinascimentale delpensamiento di Cervantes:

Reflexiones y conjeturas sobre el boceto original del cuadro llamado la familia, inObras en prosa, edizione di J. Caso González, Clásicos Castalia, Madrid, 1969, pp. 194-205.Il bozzetto, oggi perduto, faceva parte della collezione privata di Jovellanos.

6 La parola si intende ovviamente nella sua accezione foucaultiana (una sorta digenetica sintomatica, applicata al campo dei saperi storici). Cfr. Archeologia del sapere eNascita della clínica.

7 Anche in questo caso l'accezione è quella proposta da Foucault nella Storia dellafollia. I manicomi, le carceri, le corti extraurbane, gli alberghi dei poveri, ma anche le Corti, iteatri, etc., segnano nel corso del Seicento un processo di reclusione e autoreclusione di tuttociò che sta al di fuori (al di sopra o al di sotto) delle normalità sociali. Il principe, il povero, ilmalato, il matto, il defunto, etc. vengono allontanati dalla quotidianità e consegati ad unadimensione separata e ad una funzione prospettica, di principio d'ordine o di disordine.

Non a caso il Re e il folle si identificano nel mondo alla rovescia del Carnevale.

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Debió ciertamente Cervantes haberle dado otra educación, porque un hidalgode la Mancha, sin otra lectura que los libros de caballerías, mal podía tener lasideas que Don Quijote desenvuelve en sus discursos (CC, 129, p. 316).

Foucault intende dire più o meno la stessa cosa quando, con uno stile eun lessico che oscillano tra l'antisocratismo di Nietzsche e il socratismo diBacthin, dice che "La follia è il grande trompe-l'oeil nelle strutturetragicomiche della letteratura preclassica" e che tali strutture segnano ilpassaggio al "grande internamento" che caratterizza la "esperienza classicadella follia" (cioè l'istituzionalizzazione, per reclusione, della differenza).

Ancor più ambiguo è, se possibile, il caso di Velázquez, che, secondoFoucault, emargina il soggetto, trasformandolo in sguardo e principio d'ordinee di composizione. Foucault, distinguendo tra atto e funzioni dellarappresentazione, legge le Meninas come un tentativo eroico e chisciottesco dicogliere la non rappresentabile natura dell'atto attraverso la rappresentabilecultura delle sue funzioni. Per parte sua Jovellanos si regola più o meno nellostesso modo, proponendo di distinguere tra pittori dal "genio filosófico eideai" e pittori caratterizzati, come Velázquez, da un "naturai imitativo".Come la follia epeisodiotes di Don Chisciotte, anche la rappresentazione de Lafamilia è frutto più di composizione che di invenzione. Pur presentandosicome una "teologia de la pintura", il quadro "al fin se reduce a un retratohistoriado, o más bien una colección combinada de retratos puestos enacción"9.

Ecco allora emergere ciò che accomuna il capolavoro di Cervantes equello di Velázquez: il grande tema seicentesco degli spazi di illusione,occupati dall'uno collocando la follia di Don Chisciotte tra ragione e storia edall'altro collocando le Meninas tra il potere e la sua immagine.

Entrambi gli scritti di Jovellanos si collocano nella seconda metà deglianni ottanta del XVIII secolo -1789 quello sul bozzetto delle Meninas, tra il1785 e il 1792 quello sul Chisciotte cantábrico. Jovellanos è ormai lontanodalla corte (nello scritto sulle Meninas, datato in Madrid, dice di non potercorroborare le proprie "reflexiones y conjeturas" con un confronto diretto trail celebre quadro e il bozzetto in suo possesso) e si avvia a diventarepromotore e centro di gravitazione del mondo culturale asturiano (è proprioin questa veste che gli viene chiesto un parere sul Quijote de la Cantabria).La visione problematica del rapporto con il passato, presente fin dagli annisivigliani e teorizzata nel discorso di ingresso alla Reale Accademia dellaStoria, trova in questa fase nuovi stimoli e si riflette oltre che negli Informese nei Diari anche nell'Epistolario e negli scritti d'occasione, come quelli dicui ci stiamo occupando.

Reflexiones y conjeturas sobre el boceto, cit., p. 195 e p. 196.

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Jovellanos considera "muy extraño que ninguno de nuestros artistas niaficionados hayan emprendido hasta ahora la descripción científica de estecuadro" (corsivo mio). Il suo concetto di "descrizione scientifica" è talmentemoderno da assomigliare molto al programma che sarà proprio della letturafoucaultiana. La scienza è per Jovellanos essenzialmente un'analisi dilinguaggio. Il linguaggio, lungi dall'essere determinato dalle "pequeñascircunstancias" del contesto sociologico, ne disegna la cornice e ledetermina. Il mondo, come ben sanno Don Chisciotte e i suoi lettori, è com'èperché così lo guardiamo e lo vediamo e non viceversa:

Es verdad que se ha esento y hablado mucho acerca de este cuadro; que se hatratado de su época, su objeto, su significación, sus más pequeñascircunstancias; que se han averiguado los nombres de los personajes [...] Pero¿quién ha analizado hasta ahora su composición, su dibujo, su colorido, suclaroscuro, etcétera? (Obras en prosa, p. 195).

Jovellanos, pur essendo "un mero aficionado" (nel Settecento un "meroaficionado" poteva possedere il bozzetto di un capolavoro!), purconsiderando il quadro per ciò che secondo Filippo IV avrebbe dovuto essere- "un retrato de la señora infanta Doña Margarita" - e pur ragionando su unbozzetto privo di "aquellos accidentes que tanto recomiendan el mérito delcuadro; por ejemplo, los retratos de los reyes reflejados en un espejo", sirende tuttavia perfettamente conto di trovarsi di fronte a "un retratohistoriado, o más bien a una colección de retratos puestos en acción".

Il suo sguardo lo porta ad anticipare, con straordinaria intuizione edisarmante semplicità, quello che sarà il punto chiave della sofisticatainterpretazione di Foucault, incardinata proprio sull'immagine riflessa dellareal pareja:

¿qué pincel, aunque entren en la lid los de Tiziano y Tintoreto, ha sido tanfuerte, tan expresivo, tan veraz como el de Velázquez? [...] De él se dice quellegó a pintar hasta lo que no se ve {ibidem, cursiva mía).

È proprio quello che dirà Foucault: Velázquez cerca di cogliere l'attodella rappresentazione, collocando fuori quadro il soggetto e il potere(l'immagine dei sovrani) e utilizzando il loro punto di convergenza (losguardo dei sovrani) come fuoco prospettico e principio di ordine deldipinto; per dirla con il linguaggio usato da Jovellanos, Velázquez usa la"composición" per trasformare in "descripción científica" le "pequeñascircunstancias" della rappresentazione.

Il processo di affermazione dell'ordine occidentale moderno neiconfronti della devianza, della follia, della conoscenza e della sessualità,

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processo di cui Jovellanos era stato intelligente protagonista (penso peresempio al famoso Informe sobre espectáculos y diversiones públicas), è ilprincipale oggetto della riflessione critica di Foucault.

Nella crisi della modernità il pensiero torna a funzionare come nelmomento della sua instaurazione: sul filo delle immagini, alternando concetti eicone con le modalità che sono proprie del commento. L'archeologia delsapere moderno si presenta dunque, almeno sul piano retorico, comeriflessione analitica. Anteponendo a Le parole e le cose la propria glossa alleMeninas Foucault non fa che testualizzare fedelmente il paradosso proiettivoche, a suo avviso, caratterizza la genesi del pensiero critico moderno, unpensiero critico che fa nascere il discorso e il racconto dalla scrittura e non (onon più) viceversa. Un pensiero critico a dominante semiotica, in cuil'appartenenza del segno al sistema dei segni conta di più della suaequivalenza referenziale. Il significato, nel senso sociale e relazionale deltermine, non è altro che questa capacità del segno di traghettare la propriareferenza (l'ordine della realtà) entro gli orizzonti della significazione (l'ordineartificiale del discorso). Il rapporto tra parole e cose è infatti un rapporto difalsa equivalenza e di falsa simmetria: non è e non può essere né reciproco, néinnocente, né perfettamente reversibile. Lo scarto che distingue l'identitàmoderna dalle sue rappresentazioni non è più quello della negazione chedistingue (tra) essere e non essere, ma quello dell'articolazione che distingue(tra) la possibilità di essere altro e l'impossibilità di essere l'altro.

Le parole (l'altro delle cose), pur restando comunque ed essenzialmentecose, diventano al contempo altro che le cose, mentre le cose (l'altro delleparole), pur diventando essenzialmente e comunque le parole, restano alcontempo altro che parole.

Geniali incarnazioni di questo rispecchiamento imperfetto e di questaparadossale non corrispondenza tra mots e choses, la follia di Don Chisciottee la rappresentazione di Velàzquez sono per Foucault manifesti diprovocatoria e sovversiva modernità.

Il commento alle Meninas propone una lettura periferica rispetto alsoggetto (sia perché non parla delle Meninas, sia perché analizza ciò che,dentro e fuori dal quadro, le circonda). Ciò che è centrale nella tela (cheoccupa la parte centrale della tela) e che ne costituisce il vero soggetto noncoincide con ciò che in essa occupa il primo piano e ne costituisce ilsoggetto dichiarato. Il soggetto dichiarato (le Meninas), posto in primo pianoe in piena luce, occupa infatti il terzo inferiore del dipinto. La loro presenzaè, per Foucault, ostentatamente incidentale. Facendosi vedere mentreguardano ciò che è essenziale (la coppia regale in posa, fuori quadro,soggetto del quadro nel quadro) distraggono da ciò che è essenziale il nostrosguardo e la nostra attenzione. Le Meninas sono un incidente nel percorso

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del nostro sguardo verso la rappresentazione della rappresentazione;occultano nella mezza luce del secondo piano Velázquez che dipinge, lospecchio che riflette ciò che Velázquez dipinge e il cortigiano che guarda ciòche sta succedendo. Le Meninas non sono l'evento, ma il testimone. Per dirlacon Ortega e Jovellanos, non l'io, ma i suoi "circumstantia", la piccola corteche circonda col proprio hic et nunc la scelta metastorica di ogni io sovranoche sovranamente decida di attribuire al proprio sguardo un tale valore"avasallador" da assoggettarvisi fino a farlo diventare oggetto dirappresentazione. Ci troviamo di fronte ad un re che si sacrifica per darecorpo all'immagine del proprio potere, un re che rinuncia alla propriasovranità per diventarne immagine, per farsi soggetto (cioè suddito) dellarappresentazione. Questo re, attraverso il pittore, si ritrae e, ritraendosi,indietreggia fino a sparire dal margine anteriore del quadro. Nel farlo generaun ritratto che, ancora in corso d'opera, trova anticipazione e idealecollocazione entro la cornice dello specchio, che, sulla parete di fondo,raccoglie l'immagine della coppia regale e già la allinea con quelle di altri,meno erratici, ritratti. L'esegesi foucaultiana fa del sovrano e della suadeliberata reificazione la metafora del potere moderno, veduto e resoinvisibile dallo sguardo delle sue Meninas. Un potere invisibile che siidentifica, anche dal punto di vista ottico, con la prospettiva del nostrosguardo di spettatori (per lo spazio di un quadro, davanti al quadro ed entro ilquadro, noi siamo il re: / 'état e 'est nous).

III. Il sovrano prospettico e ordinatore, intuito e indirettamente ritratto daVelázquez nelle Meninas, ha ben poco in comune con Filippo IV, il cuiproblema è ancora quello, barocco, di essere visto e ben visibile, maassomiglia molto al Carlo III "dipinto" dall'elogio funebre di Jovellanos, il cuiproblema è piuttosto quello, tipicamente illuministico, di vedersi rispecchiatonella razionalizzazione del mondo su cui esercita il proprio potere. Non a casol'elogio funebre scritto da Jovellanos si apre con una paternalistica analogia trala rappresentazione del regno e quella "de la familia" ("la familia" è anche iltitolo originale del quadro di Velázquez). Il re non solo viene considerato"corno padre de sus vasallos", ma, proprio come nelle Meninas, vienegiudicato dalla felicità, dalla ricchezza e dal buon ordine della sua famiglia. Lalegittimità e il senso del potere sovrano e della sua genesi risiedono proprio inquesto centro ordinatore, facendo perno sul quale Velázquez e Jovellanostrasformano la tradizionale metafora organicistica del Re-Padre in consapevolericonoscimento di un necessario artificio. Di questo artificio il paternalismonon è che la superficie retorica: una conseguenza minore e quasi una veste discena. Lo stato e la famiglia, per quanto possano sembrare tali, non sonoinfatti società organiche; sono il mezzo artificiale per raggiungere il naturale

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fine della felicità; sono, come le Meninas, una "galería de retratos en acción" eil frutto di una "composición":

Si los hombres se han asociado, si han reconocido una soberanía, si le hansacrificado sus derechos más preciosos, lo han hecho sin duda para aseguraraquellos bienes a cuya posesión los arrastraba el voto general de la naturaleza.¡Oh príncipes! Vosotros fuisteis colocados por el Omnipotente en medio de lasnaciones para atraer a ellas la abundancia y la prosperidad. Ved aquí vuestraprimera obligación (cito dalla edizione Obras en prosa, già utilizzata per iltesto su Velázquez).

La felicità di quanti lo circondano e vivono sotto il suo sguardo è lamisura della bontà di un potere. L'elogio di Carlo III gira tutto attorno a questovoyeuristico gioco di mutuo riconoscimento che mette uno di fronte all'altrol'essere riconosciuto del sovrano e l'esser riconoscenti dei suoi sudditi. Il reguardato non si vede più. Solo il re che guarda è davvero sovrano. L'amore deisudditi è insieme genitivo soggettivo e genitivo oggettivo:

la mayor gloria de un soberano es la que se apoya sobre el amor de sussubditos y que nunca este amor es más sincero, más durable, más glorioso quecuando es inspirado por el reconocimiento (ibidem, p. 177, cursiva mía).

II re si identifica con la nazione e, come nelle Meninas, altro non è chel'immagine riflessa del punto verso il quale tutti i "figli" guardano (il puntodal quale tutti noi, resi sovrani dal solo fatto di usurpare la prospettiva del re,li guardiamo):

la nación atónita ve por la primera vez vueltos hacia sí todos los corazones desus hijos (ibidem, p. 190).

La nación non è altro che la sovranità alienata, intesa come luogoprospettico, separata dal corpo fisico e mortale dei cittadini e del re. Con il remorto tutti guardano verso la sovranità. Come nel bozzetto, lo specchio dellaparete di fondo è momentaneamente vuoto, ma la sua cornice continua ariprodurre il fuoco ordinatore della scena. Non il corpo del re, ma lo sguardodei sudditi è la materia di cui è fatta la sovranità (un discorso analogo riguardal'onore in El delincuente honrado). Alla generica necessità ordinatrice che ècoessenziale ad ogni potere ed al gioco di mutuo riconoscimento costruito daVelázquez il progetto illuminista di Carlo III ha aggiunto, come terzoelemento, il problema della consapevolezza e del sapere:

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Sí, españoles; ved aquí el mayor de todos los beneficios que derramó sobrevosotros Carlos III. Sembró en la nación las semillas de la luz que han deilustraros, y os desembarazó los senderos de la sabiduría (ibidem, p. 191).

Il suddito moderno ha lo sguardo del re seminato in sé. Vive guardato avista da un occhio invisibile (quello che Freud chiamerà Super-Io). Il giocodella rappresentazione (vedere/esser visto) instaura così quel nesso diradicale identità tra potere, vedere e sapere che costituisce l'ideale politico esociale di Jovellanos ed è l'oggetto della critica radicale di Foucault allesofisticate repressioni del panotticismo illuminista.

La grandezza di Carlo III è "foucaultiana", radica cioè secondoJovellanos nella sua capacità di intuire il cambio di episteme e di vederenella rivoluzione prospettica l'unica rivoluzione vera e la conditio sine quanon delle vere riforme (in una lettera a Lord Holland, Jovellanos dirà dicredere nella necessità di "hacer grandes reformas sin sangre"):

Carlos previo que nada podría hacer en favor de su nación si antes no lapreparaba a recibir estas reformas, si no le infundía aquel espíritu de quienenteramente penden su perfección y estabilidad [...] Ciencias útiles,principios económicos, espíritu general de ilustración: ved aquí lo queEspaña deberá al reinado de Carlos III [...] Más otra ciencia era todavíanecesaria para hacer tan provechosa aplicación. Su fin es de apoderarse deestos conocimientos, distribuirlos utilmente, acercarlos a los objetos deprovecho común, y en una palabra aplicarlos por principios ciertos yconstantes al gobierno de los pueblos. Esta es la verdadera ciencia delEstado, la ciencia del magistrado público (ibidem, p. 179 e p. 185).