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MIGRAZIONE IN NUOVI TERRITORI MADDALENIANO (FRANCIA SETTENTRIONALE) 12 000 a.C. t ititivuu -ehl. • ••nnn. to" ffitt, DOMINANZA DI ÉLITE GENGHIZ KHAN 1200 d.C. DISPERSIONE LEGATA ALL'AGRICOLTURA VICINO ORIENTE 7500 a.C. DISPERSIONE RECENTE A SEGUITO DI MUTAMENTI CLIMATICI STRETTO DI BERING 8000 a.C. Studi interdisciplinari iniziano a chiarire come le famiglie linguistiche si siano insediate, al seguito di antichi pionieri, agricoltori, mercanti e conquistatori, nelle regioni del mondo che attualmente occupano La diversità linguistica nel mondo L o storico greco Erodoto narra che Psammetico I, faraone egiziano del VII secolo a.C., ordinò di te- nere in isolamento due neonati finché non avessero iniziato a parlare. La prima parola da essi pronunciata fu bekos. Gli scribi del faraone scoprirono che si trat- tava di una parola frigia che significava «pane», e ne dedussero che il frigio, una lingua anatolica, fosse la lingua origina- ria della Terra. Purtroppo si direbbe che questo fantasioso esperimento sia stato preso a modello in tutti gli studi succes- sivi. Nel XIX secolo le indagini specu- lative sull'origine delle lingue avevano raggiunto un livello tale di vacuità che la Société de Linguistique di Parigi de- cise di bandire quell'argomento dalle sue discussioni. Oggi, finalmente, i progressi nel cam- po dell'archeologia, della genetica e del- la stessa linguistica offrono la possibilità di dare una spiegazione plausibile alla diversità delle lingue. Molti aspetti del problema rimangono altamente contro- versi e ogni tentativo di sintesi ha un ca- rattere solo provvisorio, ma almeno nel- le sue linee generali si comincia a distin- guere il processo attraverso il quale si evolvono le lingue. La storia fornisce una base sicura su cui costruire ipotesi ragionevoli. Più di 200 anni fa i linguisti hanno riconosciu- to che alcune lingue hanno tali somi- glianze lessicali, strutturali, morfologi- che e fonetiche da dover necessariamen- te discendere da un antenato comune. A queste parentele ancestrali è stato dato il nome di famiglie linguistiche. La più fa- mosa fra le prime classificazioni di que- sto genere fu proposta nel 1786 da Sir William Jones, un giudice inglese del- l'Alta corte di Calcutta, sulla base di so- miglianze da lui osservate tra sanscrito, greco, latino, gotico e persiano. L'esi- stenza di elementi comuni sul piano les- sicale e morfologico suggerì a Jones l'i- 48 LE SCIENZE n. 307, marzo 1994 di Colin Renfrew potesi che quelle lingue «avessero avuto origine da una sorgente comune». Que- sta famiglia linguistica è nota oggi come indoeuropeo. T e generazioni successive hanno svi- luppato e raffinato i metodi analitici utilizzati da Jones. La linguistica storica, una disciplina nata con le ricerche sul- l'indoeuropeo, si dedica attualmente al sistematico confronto tra le lingue che fanno parte di una stessa famiglia, un la- voro che mira a consentire la ricostru- zione di un'ipotetica lingua ancestrale, chiamata protolingua. Il problema di ricostruire una genea- logia a partire da dati attuali si incon- tra anche nella biologia evoluzionistica. Tradizionalmente gli sforzi dei biologi si sono concentrati nella ricostruzione del- le relazioni genetiche tra specie tramite lo studio di dati anatomici e fisiologici. Negli ultimi decenni la ricerca si è estesa anche a livello molecolare, nel tentativo di decifrare le linee di discendenza di particolari sequenze di nucleotidi del DNA. In ogni caso lo studio sistematico produce una classificazione, o tassono- mia, interamente fondata su informazio- ni ottenibili attualmente. Si tratta in fon- do di una classificazione tipologica e strutturale, ossia basata sulle caratteristi- che osservabili a prima vista. Tale clas- sificazione è detta fenetica (phenetic). Spesso la somiglianza relativa tra uni- tà tassonomiche può essere rappresenta- ta sotto forma di albero. Seguendo le or- me di Charles Darwin, molti studiosi di discipline storiche, tra cui la linguisti- ca storica e la paleontologia, hanno so- stanzialmente identificato questo albero con il processo evolutivo dal quale ha avuto origine la situazione attuale. In al- tri termini, essi hanno stabilito una cor- rispondenza tra l'albero fenetico e l'al- bero filogenetico. Questo parallelismo si fonda su alcuni fondamentali assunti teorici, il più im- portante dei quali è che il cambiamento evolutivo avvenga a un ritmo continuo e costante. Con il passare del tempo, for- me divenute separate divergono costan- temente l'una dall'altra, e nascono le in- novazioni lessicali. La relativa costanza della velocità di cambiamento è un presupposto fonda- mentale: se le mutazioni possono avere accelerazioni o rallentamenti, infatti, lo schema delle ramificazioni diventa con- fuso. Immaginiamo, per esempio, che il danese si sia separato dall'inglese e dal tedesco prima che queste due lingue di- vergessero tra loro. La corretta filogene- si metterebbe l'inglese e il tedesco su un ramo e il danese su un altro. Ma se il danese e il tedesco hanno subito poche modificazioni, mentre l'inglese ha avuto profondi cambiamenti, un linguista che non abbia altri elementi di confronto po- trebbe erroneamente raggruppare il tede- sco e il danese e separarli dall'inglese. Un altro presupposto è che le somi- glianze tra lingue nascano dalla presenza di progenitori comuni e non vadano vi- ste come risultato della convergenza in- dotta da fattori indipendenti. In un con- testo linguistico, la convergenza si ha quando lingue tra loro contemporanee si influenzano reciprocamente tramite pre- stiti lessicali, sintattici e morfologici. L'uso pressoché universale dell'espres- sione americana «OK» in Europa setten- trionale è un esempio di convergenza. Dato che il prestito incide raramente su- gli aspetti fondamentali di una lingua, di La diffusione delle lingue sarebbe avve- nuta secondo quattro processi (dall'alto in basso): la migrazione in nuovi terri- tori, l'espansione demografica di agri- coltori, l'insediamento recente in zone subartiche e le conquiste a grande scala.

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  • MIGRAZIONE IN NUOVI TERRITORIMADDALENIANO (FRANCIA SETTENTRIONALE) 12 000 a.C.

    t

    ititivuu-ehl. •

    ••nnn.

    to"ffitt,

    DOMINANZA DI ÉLITEGENGHIZ KHAN 1200 d.C.

    DISPERSIONE LEGATA ALL'AGRICOLTURAVICINO ORIENTE 7500 a.C.

    DISPERSIONE RECENTEA SEGUITO DI MUTAMENTI CLIMATICISTRETTO DI BERING 8000 a.C.

    Studi interdisciplinari iniziano a chiarire come le famiglie linguistichesi siano insediate, al seguito di antichi pionieri, agricoltori, mercantie conquistatori, nelle regioni del mondo che attualmente occupano

    La diversità linguisticanel mondo

    Lo storico greco Erodoto narra chePsammetico I, faraone egizianodel VII secolo a.C., ordinò di te-nere in isolamento due neonati finchénon avessero iniziato a parlare. La primaparola da essi pronunciata fu bekos. Gliscribi del faraone scoprirono che si trat-tava di una parola frigia che significava«pane», e ne dedussero che il frigio, unalingua anatolica, fosse la lingua origina-ria della Terra. Purtroppo si direbbe chequesto fantasioso esperimento sia statopreso a modello in tutti gli studi succes-sivi. Nel XIX secolo le indagini specu-lative sull'origine delle lingue avevanoraggiunto un livello tale di vacuità chela Société de Linguistique di Parigi de-cise di bandire quell'argomento dallesue discussioni.

    Oggi, finalmente, i progressi nel cam-po dell'archeologia, della genetica e del-la stessa linguistica offrono la possibilitàdi dare una spiegazione plausibile alladiversità delle lingue. Molti aspetti delproblema rimangono altamente contro-versi e ogni tentativo di sintesi ha un ca-rattere solo provvisorio, ma almeno nel-le sue linee generali si comincia a distin-guere il processo attraverso il quale sievolvono le lingue.

    La storia fornisce una base sicura sucui costruire ipotesi ragionevoli. Più di200 anni fa i linguisti hanno riconosciu-to che alcune lingue hanno tali somi-glianze lessicali, strutturali, morfologi-che e fonetiche da dover necessariamen-te discendere da un antenato comune. Aqueste parentele ancestrali è stato dato ilnome di famiglie linguistiche. La più fa-mosa fra le prime classificazioni di que-sto genere fu proposta nel 1786 da SirWilliam Jones, un giudice inglese del-l'Alta corte di Calcutta, sulla base di so-miglianze da lui osservate tra sanscrito,greco, latino, gotico e persiano. L'esi-stenza di elementi comuni sul piano les-sicale e morfologico suggerì a Jones l'i-

    48 LE SCIENZE n. 307, marzo 1994

    di Colin Renfrew

    potesi che quelle lingue «avessero avutoorigine da una sorgente comune». Que-sta famiglia linguistica è nota oggi comeindoeuropeo.

    T e generazioni successive hanno svi-luppato e raffinato i metodi analitici

    utilizzati da Jones. La linguistica storica,una disciplina nata con le ricerche sul-l'indoeuropeo, si dedica attualmente alsistematico confronto tra le lingue chefanno parte di una stessa famiglia, un la-voro che mira a consentire la ricostru-zione di un'ipotetica lingua ancestrale,chiamata protolingua.

    Il problema di ricostruire una genea-logia a partire da dati attuali si incon-tra anche nella biologia evoluzionistica.Tradizionalmente gli sforzi dei biologi sisono concentrati nella ricostruzione del-le relazioni genetiche tra specie tramitelo studio di dati anatomici e fisiologici.Negli ultimi decenni la ricerca si è estesaanche a livello molecolare, nel tentativodi decifrare le linee di discendenza diparticolari sequenze di nucleotidi delDNA. In ogni caso lo studio sistematicoproduce una classificazione, o tassono-mia, interamente fondata su informazio-ni ottenibili attualmente. Si tratta in fon-do di una classificazione tipologica estrutturale, ossia basata sulle caratteristi-che osservabili a prima vista. Tale clas-sificazione è detta fenetica (phenetic).

    Spesso la somiglianza relativa tra uni-tà tassonomiche può essere rappresenta-ta sotto forma di albero. Seguendo le or-me di Charles Darwin, molti studiosi didiscipline storiche, tra cui la linguisti-ca storica e la paleontologia, hanno so-stanzialmente identificato questo alberocon il processo evolutivo dal quale haavuto origine la situazione attuale. In al-tri termini, essi hanno stabilito una cor-rispondenza tra l'albero fenetico e l'al-bero filogenetico.

    Questo parallelismo si fonda su alcuni

    fondamentali assunti teorici, il più im-portante dei quali è che il cambiamentoevolutivo avvenga a un ritmo continuo ecostante. Con il passare del tempo, for-me divenute separate divergono costan-temente l'una dall'altra, e nascono le in-novazioni lessicali.

    La relativa costanza della velocità dicambiamento è un presupposto fonda-mentale: se le mutazioni possono avereaccelerazioni o rallentamenti, infatti, loschema delle ramificazioni diventa con-fuso. Immaginiamo, per esempio, che ildanese si sia separato dall'inglese e daltedesco prima che queste due lingue di-vergessero tra loro. La corretta filogene-si metterebbe l'inglese e il tedesco su unramo e il danese su un altro. Ma se ildanese e il tedesco hanno subito pochemodificazioni, mentre l'inglese ha avutoprofondi cambiamenti, un linguista chenon abbia altri elementi di confronto po-trebbe erroneamente raggruppare il tede-sco e il danese e separarli dall'inglese.

    Un altro presupposto è che le somi-glianze tra lingue nascano dalla presenzadi progenitori comuni e non vadano vi-ste come risultato della convergenza in-dotta da fattori indipendenti. In un con-testo linguistico, la convergenza si haquando lingue tra loro contemporanee siinfluenzano reciprocamente tramite pre-stiti lessicali, sintattici e morfologici.L'uso pressoché universale dell'espres-sione americana «OK» in Europa setten-trionale è un esempio di convergenza.Dato che il prestito incide raramente su-gli aspetti fondamentali di una lingua, di

    La diffusione delle lingue sarebbe avve-nuta secondo quattro processi (dall'altoin basso): la migrazione in nuovi terri-tori, l'espansione demografica di agri-coltori, l'insediamento recente in zonesubartiche e le conquiste a grande scala.

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    LIMITEDELLA VEGETAZIONEPRIMA DELL'ESODO a.C.

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    solito gli studiosi sono in grado di rico-noscerlo. Il problema sta nel definire icriteri di dimostrazione.

    Nell'ambito della linguistica, l'entu-siasmo per una concezione universalisti-ca dell'evoluzione delle lingue è benlungi dall'essere unanimemente condivi-so. Da molti anni si possono riconosceredue opposte scuole di pensiero tra glistudiosi della disciplina: da una parte cisono i «divisionisti» e dall'altra gli «uni-taristi». I divisionisti tendono a sottoli-neare le differenze che rendono le lingueapparentemente prive di rapporti e aframmentare la classificazione in picco-le unità indipendenti. Con l'obiettivo diescludere parentele spurie, i divisionistiesigono che nessun raggruppamento lin-guistico venga classificato come fami-glia finché non si sia dimostrata l'esi-stenza di tutta una serie di somiglianzee affinità. Insistono, inoltre, sulla neces-sità di utilizzare queste corrispondenzeper ricostruire la protolingua da cui que-sta ipotetica famiglia discende. Gli uni-taristi, al contrario, accettano tutti i cri-teri che consentano di raccogliere nume-rose lingue in poche famiglie. Alcuni la-vorano alla ricostruzione di protolingue,ma altri ritengono che questa operazionesia superflua.

    Alcune famiglie linguistiche tuttaviasono accettate più o meno da tutti: quel-la indoeuropea, quella semito-camitica(che include le lingue semitiche e granparte di quelle nordafricane) e quellauralica, comprendente il finnico e l'un-gherese. La fondatezza di altri raggrup-pamenti, però, è assai più dubbia.

    Nel 1963 il linguista americano Jo-seph H. Greenberg della Stanford

    University fece un passo significativoverso una teoria unificata classificandole lingue africane in appena quattro ma-crofamiglie dominanti: il camito-semiti-co, il khoisan, il niger-kordofaniano e ilnilo-sahariano. Non intraprese, però, laricostruzione storica attraverso il meto-do comparativo prediletto da numerosiglottologi, ma operò secondo un'analisimultilaterale: invece di mettere a con-fronto alcune parole di due e solo duelingue alla volta, questo metodo consistenell'esaminare contemporaneamente di-verse parole di molte lingue.

    Nonostante le riserve avanzate dai di-visionisti, sono molti gli studiosi chehanno accettato la classificazione propo-sta da Greenberg per l'Africa. Più di re-cente egli ha applicato lo stesso proce-dimento alle lingue americane, identifi-cando tre macrofamiglie (si veda l'arti-colo Le origini linguistiche dei nativiamericani di Joseph H. Greenberg eMerritt Ruhlen in «Le Scienze» n. 293,gennaio 1993). Due di esse, l'eschimo--aleutino e il na-dene, hanno trovato va-sti consensi, mentre l'altra categoria,l'«amerindio», che racchiude in una solamacrofamiglia gran parte delle linguenative, è stata ampiamente criticata e hasuscitato una polemica che ha raggiun-

    to toni aspri e a tratti anche sarcastici.Da archeologo, io preferisco in un pri-

    mo momento astenermi da giudizi sullavalidità di queste macrofamiglie, e an-che delle numerose altre proposte dallinguista indipendente Merritt Ruhlen,un unitarista radicale. Mi limito a met-tere tra virgolette le macrofamiglie con-troverse, lasciando aperta la questionedella loro natura, e cerco invece di ri-spondere a un quesito più concreto: qualè l'origine di questa distribuzione?

    In anni recenti, indicazioni per unapossibile risposta sono venute dai pro-gressi delle discipline archeologiche, siariguardo all'evoluzione della nostra spe-cie sia riguardo all'evoluzione culturale.

    Rispetto a 20 anni fa, ora si sa moltodi più sui primi ominidi. Nessun dubbiorimane sul fatto che Australopithecus siacomparso in Africa quattro o cinque mi-lioni di anni fa. Ancora in Africa, circa1,6 milioni di anni fa, ebbe origine l'an-tenato di tutti noi. Homo erectus, che sidiffuse in Asia e in Europa e i cui fossilie manufatti sono stati trovati in entrambii continenti. La specie a cui noi appar-teniamo, H. sapiens, ebbe certamenteorigine da H. erectus e raggiunse la suaforma attuale, H. sapiens sapiens, più di100 000 anni fa.

    Gran parte degli archeologi concordaoggi nel ritenere che questo processoevolutivo abbia avuto luogo esclusiva-mente in Africa, ma una teoria alterna-tiva sostiene che il processo di transizio-ne da H. erectus a H. sapiens non fu li-mitato all'Africa, e si compì invece suun'area più vasta che comprendeva an-che l'Asia e forse l'Europa. I dati gene-tici, però, favoriscono attualmente lateoria «africana». Seguendo questa con-cezione, allora, possiamo far risalire acirca 100 000 anni fa la comparsa di H.sapiens sapiens in Africa e la gradualedispersione della nostra specie nel Vec-chio Mondo. Circa 40 000 anni fa, l'uo-mo di tipo moderno aveva ormai colo-nizzato il Vicino Oriente, l'Asia meri-dionale, l'Europa, l'Asia centrale e o-rientale, la Nuova Guinea e l'Australia.Forse già 37 000 anni fa - e certamentenon più tardi di 16 000 anni fa - alcunipionieri asiatici avevano attraversato loStretto di Bering, iniziando la colonizza-zione del Nuovo Mondo. Dobbiamo pre-supporre che tutti questi popoli parlasse-ro una o più lingue, anche se non abbia-mo alcuna idea precisa su come fosseroqueste lingue.

    T 'altro recente sviluppo archeologico èla rilevanza attribuita ai meccanismi

    della modificazione culturale. In partico-lare, molti archeologi non sono più di-sposti a spiegare ogni antico cambia-mento culturale come risultato di qual-che non meglio definita migrazione;hanno abbandonato l'equazione sempli-cistica tra una lingua, una cultura e un«popolo». Se si vuole utilizzare una mi-grazione per spiegare un cambiamentonell'arte decorativa, la nascita di un nuo-

    MIGRAZIONE IN NUOVI TERRITORI

    Sembra che i primi esseri umani moderniabbiano iniziato a diffondersi a partire

    dall'Africa circa 100 000 anni fa. Alcune trac-ce di questa migrazione potrebbero soprav-vivere, per esempio, nel basco e nelle linguecaucasiche, khoisan, australiane, "indopaci-fiche» e «amerinde».

    DISPERSIONELEGATA ALL'AGRICOLTURA

    Ladozione dell'agricoltura in diverse zoneportò le popolazioni ivi residenti a espan-

    dersi. Le lingue originarie degli agricoltori po-trebbero quindi essersi diffuse e differenziatefino a formare grandi famiglie linguistichequali l'indoeuropeo, il sino-tibetano, l'austro-nesiano e il camito-semitico.

    DISPERSIONE RECENTEA SEGUITO DI MUTAMENTI CLIMATICI

    II riscaldamento globale avvenuto diversemigliaia di anni fa, al termine dell'ultima

    glaciazione. aprì le regioni a nord del 54° pa-rallelo a pionieri che parlavano lingue da cuisi sarebbero evolute le famiglie linguistichenote come uralico-yukaghiro, chukchi-kam-chadal, eschimo-aleutino e na-dene.

    DOMINANZA DI ÉLITE

    Lo sviluppo di società complesse permisea piccoli gruppi di dominare altre popola-

    zioni e di imporre loro le proprie lingue. Lafamiglia altaica si sarebbe diffusa in questomodo, come pure alcune lingue appartenentia famiglie preesistenti quali l'indoeuropeo eil sino-tibetano.

    vo sistema religioso o la comparsa diuna nuova lingua, la relazione deve es-sere sostenuta da qualche prova docu-mentaria e da una certa conoscenza deiprocessi economici e sociali che l'hannooriginata.

    Sarebbero quattro i principali processiattraverso i quali in un dato territorio sipuò arrivare a parlare una certa lingua:la colonizzazione iniziale di una regionedisabitata; la divergenza; la convergen-za; e la sostituzione linguistica, che si haquando una lingua proveniente dall'e-sterno rimpiazza del tutto un'altra linguapreesistente.

    Se non avesse mai avuto luogo alcunasostituzione, la divergenza rappresente-rebbe la causa principale del cambia-mento, e la mappa linguistica del mondosarebbe forse un mosaico di piccole uni-tà linguistiche. Ciascuna lingua sarebbedecisamente diversa dalle vicine e an-drebbe classificata come famiglia auto-noma e distinta o, più precisamente, co-me lingua isolata. Un mosaico di questogenere si presenta nelle lingue degli abo-rigeni dell'Australia settentrionale, doveun gran numero di famiglie linguisticheoccupa un'area di ridotta estensione.(Nell'Australia meridionale vi è inveceun'unica vasta famiglia linguistica, il pa-ma-nyungan, la cui straordinaria diffu-sione non ha ancora trovato una chiaraspiegazione.) Questo tipo di distribuzio-ne a mosaico si trova anche in NuovaGuinea. Un'impressione analoga si haquando si studia la mappa delle lingue

    MIGRAZIONE IN NUOVI TERRITORI

    KHOISAN

    NILO-SAHARIANO

    CAUCASICO

    AUSTRICO (DAICO E AUSTROASIATICO)

    «INDOPACIFICO»

    • AUSTRALIANO

    «AMERINDIO»

    DISPERSIONE LEGATA ALL'AGRICOLTURA

    NIGER-KORDOFANIANO

    CAMITO-SEMITICO

    INDOEUROPEO

    ELAMO-DRAVIDICO

    R4, SINO-TIBETANO•AUSTRONESIANODISPERSIONE RECENTEA SEGUITO DI MUTAMENTI CLIMATICI

    URALICO-YUKAGHIRO

    CHUKCHI-KAMCHADAL

    ESCHIMO-ALEUTINO

    NA-DENE

    DOMINANZA DI ÉLITE

    ALTA ICO

    La diffusione delle lingue

    50 LE SCIENZE n. 307, marzo 1994 LE SCIENZE n. 307, marzo 1994 51

  • Il metodo del confronto multilaterale

    Un semplice confronto lessicale evidenzia importanti raggruppamenti linguistici,quali i ceppi germanico, italico e slavo della famiglia indoeuropea, l'uralico-yukaghiro e il basco.

    4

    GRUPPOLINGUISTICO

    GERMANICO

    ITALICO

    SLAVO

    URALICO-YUKAGHIRO

    BASCO

    LINGUA

    SVEDESE

    OLANDESE

    INGLESE

    TEDESCO

    FRANCESE

    ITALIANO

    SPAGNOLO

    RUMENO

    POLACCO

    RUSSO

    BULGARO

    FINNICO

    ESTONE

    BASCO

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    TESTA

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    testa

    kabesa

    kap

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    galava

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    OCCHIO

    Oga

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    BOCCA

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    usta

    rot

    usta

    sii

    aho

    FONTE: Merritt Ruhlen

    DELLANUOVA GUINEA

    AUSTRALIANA

    MELANESIANA

    CINESE I

    GIAPPONESE

    EUROPEA

    PIGMIDE(ZAIRE)

    PIGMIDE(REPUBBLICA

    CENTRO- °IAFRICANA) t

    O 0,01 0,02 0,03 0,04 0.05 0,06 0.01 0,08 0,09 0.10 0,11DISTANZA GENETICA

    Gli alberi genealogici ricavati dalle frequenze geniche rilevate in varie popolazionidel mondo costituiscono un corpo indipendente di dati con cui confrontare i modellilinguistici, archeologici e antropologici della preistoria. Questo albero si basa suglistudi effettuati da Joanna L. Mountain e dai suoi colleghi della Stanford University.

    autoctone della California e di alcunezone dell'America meridionale (se nonsi accetta, per ora, la classificazione diGreenberg e il suo «amerindio»); e lostesso vale per il Caucaso.

    Molto diversa è però la situazione pergran parte del mondo. Vaste zone delglobo sono occupate da singole famiglielinguistiche, quali avrebbero potuto na-scere solo tramite un processo di sosti-tuzione. A mio giudizio, vi sono tre sem-plici ragioni per spiegare questo assetto.

    Innanzitutto, alcune famiglie lingui-stiche hanno raggiunto la loro attualeestensione tramite l'influenza esercitatadal dominio di un'élite. In questo mo-dello, una minoranza proveniente dall'e-sterno assume il controllo delle leve delpotere e si insedia come aristocrazia, ga-rantendo alla propria lingua un prestigiotale da indurre la popolazione autoctonaa preferirla alle lingue preesistenti. Datoche l'imporsi di una minoranza implicache il gruppo in arrivo abbia una formadi organizzazione centralizzata, questaipotesi vale solo per la tarda preistoria oper l'epoca storica, quando compaionosocietà fortemente gerarchizzate.

    Nella Cina meridionale, per esempio,la lingua cinese fu adottata in epoca sto-rica con l'espansione militare dell'impe-ro cinese. Anche la diffusione del latinoin Europa rispecchia questo principio.La stessa cosa potrebbe valere per la dif-fusione delle lingue indoeuropee in Iran,nell'India settentrionale e in Pakistan,che può essere attribuita alla comparsadella pastorizia nomade nel II millennioa.C. Le lingue altaiche si sarebbero im-poste nell'Asia centrale in epoca medie-vale, quando la regione venne travoltada orde di guerrieri a cavallo.

    La maggior parte delle famiglie lin-guistiche a larga diffusione potrebbe in-vece avere avuto origine dalla dispersio-ne di popolazioni in epoca successiva al-la fine dell'ultima glaciazione, circa10 000 anni fa. Le dispersioni sarebberodi due tipi differenti: da una parte, quellelegate all'introduzione dell'agricoltura;dall'altra, quelle che consistevano nellapenetrazione in zone disabitate a seguitodi cambiamenti climatici.

    Le dispersioni recenti collegate al cli-ma dovevano avere come meta soprat-tutto i territori deserti a nord del 54 0 pa-rallelo, non abitabili durante l'ultima fa-se fredda del Pleistocene. Le regioni at-tualmente occupate da popoli che parla-no lingue eschimo-aleutine sono proba-bilmente abitate solo da poche migliaiadi anni. Le lingue uralico-yukaghire echukchi-kamchadal avrebbero occupatoi loro attuali territori in epoca di pocoprecedente.

    Il caso delle lingue na-dene sembrapiù complesso. Come ipotizza Green-berg, probabilmente esse arrivarono inAmerica Settentrionale prima dei popo-li che parlavano eschimo-aleutino, mamolto tempo dopo la prima colonizza-zione delle Americhe. Ritengo che, ini-zialmente, le popolazioni che parlavanolingue na-dene si fossero adattate al-l'ambiente della tundra; poi, quando fat-tori climatici o ecologici resero la zonameno ospitale, si spostarono verso sud.Alcuni gruppi di individui parlanti pro-to-na-dene si spinsero fino all'Arizona eal New Mexico. La dominanza di élite,rafforzata dalla capacità di cavalcare,spiegherebbe la presenza in gran partedel continente di culture collegate a que-sto gruppo linguistico.

    a causa più importante dello sviluppo-1—d di famiglie linguistiche presenti suun vasto territorio sembra essere stata lasostituzione legata alla diffusione dell'a-gricoltura. Secondo questa teoria, unafamiglia linguistica inizierebbe comesingola lingua parlata da raccoglitori chevivono in un ecosistema contenentepiante (e forse animali) domesticabili. Iraccoglitori elaborerebbero una culturaagricola che li indurrebbe alla stanzialitàe favorirebbe una crescita dell'indice dinatalità, un abbassamento dell'indice dimortalità infantile e un incremento dellaproduzione di cibo. L'aumento delladensità di popolazione assicurerebbe lapredominanza locale degli agricoltori edella loro lingua.

    In alcuni casi si può presumere che lespecie vegetali e animali domesticate,insieme con le tecniche elaborate per illoro mantenimento, si dimostrassero a-datte a essere trasposte in nuove nicchieecologiche. In quei casi la lingua o lelingue della zona originaria si sarebberodiffuse assieme alle piante e agli animalidomesticati. Le lingue si sarebbero mos-se seguendo il lento propagarsi delle po-polazioni di agricoltori, in un'onda diavanzamento nota come diffusione de-mica. In alternativa, la lingua degli agri-coltori, insieme con la nuova economiaagricola, potrebbe essere stata adottataper acculturamento da parte di gruppi dicacciatori-raccoglitori che vivevano nel-le vicinanze. Gli effetti genetici dei duemeccanismi sono notevolmente diversi.

    E oggi ampiamente accettata la teoriasecondo cui le lingue bantu africane (al-l'interno della famiglia niger-kordofa-niana) si diffusero per via demica. Lamedesima tesi è stata avanzata da PeterBellwood della Australian National Uni-versity non solo per le lingue polinesia-ne, ma anche per le lingue austronesianein generale (si veda l'articolo L'origi-ne delle lingue austronesiane di PeterBellwood in «Le Scienze» n. 277, set-tembre 1991).

    Io ho esaminato più in dettaglio il ca-so delle lingue indoeuropee dell'Europa(si veda l'articolo L'origine delle lingueindoeuropee di Colin Renfrew in «LeScienze» n. 256, dicembre 1989). Alcu-ni autori hanno sostenuto che nell'Euro-pa nordoccidentale si sia trattato più diun processo di acculturamento che dispostamento di popoli, ma, se anche cosìfosse, gli effetti linguistici avrebbero po-tuto essere in definitiva gli stessi. Argo-mentazioni del tutto simili si possonoproporre per le lingue camito-semitiche,forse anche per le lingue elamo-dravidi-che e per la diffusione iniziale delle lin-gue altaiche in Asia. Naturalmente que-ste ultime, soprattutto le lingue turche,si diffusero in seguito su un territoriomolto più ampio attraverso il processodella dominanza di élite esercitata da pa-stori nomadi a cavallo.

    Di recente C. F. W. Higham dell'U-niversità di Otago ha ipotizzato che lastessa teoria valga per le lingue austroa-

    siatiche dell'Asia sudorientale (munda emon-khmer), un raggruppamento lingui-stico associato a un centro di domestica-zione del riso in Asia sudorientale. An-che la diffusione delle lingue sino-tibe-tane pare sia stata inizialmente associataalla domesticazione del miglio e di altricereali nella valle del Fiume Giallo e so-lo in un secondo momento alla domesti-cazione del riso.

    Naturalmente, ciascun caso di espan-sione agricola di questo tipo va analiz-zato in dettaglio, e questo è un compitoche l'archeologia contemporanea puòbenissimo assolvere. In effetti, è gene-ralmente possibile stabilire la zona d'o-rigine di un certo vegetale o animale do-mesticato e definire l'epoca approssima-tiva della domesticazione, oltre che in-dividuare le testimonianze materiali delprocesso di dispersione. Per quanto ri-guarda le conseguenze linguistiche, bi-sogna ovviamente procedere per via ipo-tetica: le lingue preistoriche non hannolasciato alcuna traccia nella documenta-zione archeologica.

    Le date di queste dispersioni agricole,definite in modo sempre più preciso coni sistemi di datazione al radiocarbonio,sono in genere anteriori a quelle che iglottologi attribuiscono alla nascita dellefamiglie linguistiche in questione. Nonè mai stato ben chiarito, però, quale siala base logica su cui si fonda la datazio-ne linguistica: non esiste alcun sistemaaffidabile per una datazione indipenden-te delle protolingue.

    E che cosa possiamo dire di quelle fa-miglie linguistiche che non possono es-sersi diffuse al seguito di popoli mossi

    da un cambiamento climatico, una rivo-luzione agricola o un'ondata di conqui-sta relativamente recenti? Queste lingueresidue, sparse qua e là per il mondo, do-vrebbero essere arrivate nelle loro zoneattuali molto tempo fa, durante la disper-sione iniziale dell'uomo moderno. Ap-partengono a queste famiglie il khoisane il nilo-sahariano in Africa; le linguedel Caucaso settentrionale e meridiona-le; il basco; le lingue australiane; il mo-saico di lingue forse autonome e indi-pendenti tra loro della Nuova Guinea(«indopacifico»); e le lingue pre-na-de-ne delle Americhe. Quest'ultima catego-ria è talmente vasta da comprenderequasi certamente diverse sottofamigliela cui distribuzione è stata per lo più de-terminata da processi successivi, tra cuila dispersione agricola.

    Lagenetica molecolare può servire averificare, almeno per alcuni aspetti,

    questa spiegazione complessiva della di-stribuzione delle lingue sulla Terra. Unatecnica sfruttata da questa disciplinaconsiste nel confrontare la frequenzacon cui compaiono certi geni in diversepopolazioni e trasferire poi questi dati inun albero i cui rami rappresentano le di-stanze genetiche. Si può a questo puntovedere in quale misura le relazioni ge-netiche confermino le ipotesi formulateall'interno del quadro esplicativo enun-ciato in precedenza. La teoria dell'origi-ne africana della nostra specie ha già ri-cevuto una solida conferma da un alberogenealogico costruito in base a una cam-pionatura del DNA nucleare di un grannumero di popolazioni viventi (si veda

    l'illustrazione nella pagina a fronte).La dispersione iniziale di popoli in un

    territorio disabitato implica ovviamenteun totale trasferimento genico. Le di-spersioni agricole comportano un flussogenico significativo solo quando proce-dono per diffusione demica; quelle chesi propagano per acculturamento lasce-ranno tracce genetiche più deboli. Anchela sostituzione linguistica per dominanzadi élite implica un flusso genico su scalamolto limitata: in questi casi, di solito,sono gli uomini che si spostano, e saran-no quindi minimi gli effetti sul DNA mi-tocondriale (che viene ereditato solo perlinea materna).

    Il caso studiato con maggiore atten-zione è quello dell'avvento dell'agricol-tura in Europa: qui la distribuzione geo-grafica della frequenze geniche dà luogoa un ben definito gradiente da sud-est anord-ovest. Un recente lavoro statisticocondotto da Robert R. Sokal e dai suoicollaboratori della State University ofNew York a Stony Brook ha fornito unaserie di dati che corroborano l'ipotesi se-condo cui una parte significativa di que-sto gradiente sarebbe associata alla dif-fusione dell'agricoltura a partire dall'A-natolia. Anche se questa correlazione vaa sostegno della teoria che vede una po-polazione di agricoltori portare l'agri-coltura in nuovi territori, essa tuttavianon dimostra che quegli agricoltori par-lassero un qualche dialetto dell'origina-rio indoeuropeo.

    Di recente Guido Barbujani dell'Uni-versità di Padova ha condotto un'analisidello stesso tipo per le altre famiglie lin-guistiche la cui distribuzione potrebbe

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  • Le testimonianze dirette di lingue antiche iniziano so-lo circa 5000 anni fa, con i primi documenti scritti,come questa tavoletta pittografica di argilla prove-niente dalla città di Uruk, nella Bassa Mesopotamia.

    t.

    essere spiegata con una dispersio-ne agricola a partire dal VicinoOriente (quali il camito-semitico,l'elamo-dravidico e il proto-altai-co) e ha trovato una corrisponden-za analoga. Studi ancora più per-suasivi sono stati effettuati per ilPacifico, dove la diffusione dellelingue polinesiane ha un'impres-sionante correlazione con le testi-monianze genetiche. In questo ca-so, però, la correlazione non sor-prende, in quanto i polinesiani an-davano a occupare isole disabitate.Il loro movimento, quindi, si con-figura sia come dispersione agrico-la sia come migrazione in un nuo-vo territorio.

    Per quanto riguarda l'Africa, al-tri dati vengono dal lavoro di Lau-rent Excoffier e dei suoi colleghidell'Università di Ginevra. Questistudiosi hanno trovato una fortecorrispondenza tra le varietà digammaglobuline in campioni disangue e la famiglia linguisticadelle popolazioni in questione. Ildato è particolarmente significati-vo per le lingue camito-semitichee tende a corroborare il quadro delineatoin precedenza.

    Il maggiore sostenitore della correla-zione tra dati genetici e dati linguistici èLuigi Luca Cavalli-Sforza della Schoolof Medicine della Stanford University(si veda l'articolo Geni, popolazioni elingue di Luigi Luca Cavalli-Sforza in«Le Scienze» n. 281, gennaio 1992).Con un'operazione ambiziosa, egli haconfrontato l'albero genealogico ottenu-to da dati genetici provenienti da tutto ilmondo con un albero genealogico deter-minato usando solo dati linguistici. Ilsuo studio evidenzia un notevole gradodi sovrapponibilità dei due alberi.

    Finora non ho preso in esame alcuna

    I- relazione linguistica anteriore a circa10 000 anni fa. Si tratta pur sempre diun arco di tempo più lungo di quello chela maggior parte dei glottologi prende-rebbe in considerazione, ma io lo giusti-fico non tanto con nuove classificazioniquanto proponendo in modo non con-venzionale datazioni più antiche per fa-miglie linguistiche universalmente ac-cettate. È bene, ora, procedere un pocolungo il percorso seguito dagli unitaristiper notare l'ipotetica esistenza di macro-famiglie più comprensive, quali l'ame-rindio e l'indopacifico. La loro origine,ipotizzando in ciascun caso un'unicaprotolingua, risalirebbe probabilmente aben più di 20 000 anni fa.

    La macrofamiglia forse più nota èquella proposta da due studiosi russi, ildefunto Vladislav M. Illych-Svitych eAharon B. Dolgopolsky dell'Universitàdi Haifa, i quali hanno ipotizzato chel'indoeuropeo, il camito-semitico, il dra-vidico, l'altaico e l'uralico possano es-sere classificati congiuntamente in un'u-nica macrofamiglia a cui hanno dato il

    nome di nostratico (dal latino nostras,«nostro concittadino»), a sua volta deri-vata da una lingua proto-nostratica chesi suppone parlata in Medio Oriente cir-ca 15 000 anni fa. (Greenberg ha defini-to «eurasiatico» una macrofamiglia ana-loga, che differisce per l'esclusione deldravidico e del camito-semitico e perl'inclusione dell'eschimo-aleutino e delchukchi-kamchadal.) Sorprendentemen-te, queste macrofamiglie mostrano unabuona correlazione con i dati geneticianalizzati da Cavalli-Sforza, e anche conalcune testimonianze archeologiche del-la dispersione agricola.

    I glottologi unitaristi non hanno anco-ra convinto la maggioranza dei loro col-leghi specialisti. Eppure il metodo del-l'analisi multilaterale di Greenberg at-tinge a una massa di testimonianze les-sicali che certamente impressiona i nonspecialisti. La scuola nostratica, inoltre,utilizza quel metodo comparativo di ri-costruzione storica per la cui omissioneGreenberg è stato severamente criticatodai colleghi. Gli argomenti archeologicie genetici sono in sintonia con alcuneconclusioni degli unitaristi; il successodelle indagini teoriche indica che puòvaler la pena di lavorare ulteriormente inquesta direzione.

    Alcuni studiosi, in particolare Ruhlen,sono arrivati a ipotizzare che tra le ma-crofamiglie ci siano affinità ancora piùampie, per esempio tra l'amerindio el'eurasiatico. Secondo questa teoria, sipotrebbe dimostrare che alcune formelessicali moderne derivino dall'unica an-cestrale protolingua parlata dai nostriantenati nella loro patria africana. Un'af-fermazione di questo genere è difficileda verificare e sarà respinta da moltiglottologi. Eppure gli argomenti lingui-stici a favore della monogenesi non sono

    in contrasto con i dati che l'archeo-logia, la bioantropologia e la gene-tica portano a sostegno dell'ipotesidi un'origine africana della nostraspecie.

    Siamo in acque profonde, ma siintravede comunque un barlumedei veri processi storici. Questaipotesi è suffragata dal lavoro diglottologi come Johanna Nicholsdell'Università della California aBerkeley, che analizza le lingue inbase a caratteristiche strutturali chepossono non avere alcuna rilevan-za genealogica. Il suo recente e in-teressante studio sulla tipologiastrutturale di un vasto campione dilingue di tutto il mondo l'ha por-tata a formulare un'ipotesi sull'o-rigine delle lingue che prevede trestadi e che potrebbe essere in sin-tonia con quanto da me proposto inquesta sede.

    La Nichols rileva l'esistenza didue tipi di aree linguistiche. Le«zone diffuse» sono vaste aree oc-cupate da appena una o due fami-glie linguistiche; ne sono esempiol'Europa (con le lingue indoeuro-

    pee) e l'Africa settentrionale (con le lin-gue camito-semitiche). Le «zone resi-duali» sono aree più piccole che ospita-no però numerose famiglie linguistichedi antica formazione; esempio di questotipo di zone sono il Caucaso e la NuovaGuinea. Secondo la Nichols, le zone dif-fuse sono il risultato di eventi successiviall'ultima glaciazione, mentre le zoneresiduali rispecchierebbero in sostanzapiù antiche migrazioni in nuovi territori.

    É ancora molto il lavoro da fare, masembra proprio che stia venendo alla lu-ce una chiara convergenza tra le testimo-nianze archeologiche, quelle genetiche ealmeno parte di quelle linguistiche. Sidirebbe che cominci a emergere, nellesue grandi linee, una nuova vasta sintesiche, nel prossimo decennio, potrebbegettare luce non solo sulla diversità trale lingue ma anche su quella tra i geni etra le culture.

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