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Jean-Paul Sartre A porte chiuse a cura di Paolo Bignamini La parola conclusiva sul suo stesso lavoro merita di essere proprio quella di Jean-Paul Sartre, raccolta nella citata introduzione introduzione al testo registrata nel 1965 1 , e qui integralmente riportata in italiano e - in nota - in francese: “Quando si scrive una pièce, vi sono sempre cause occasionali e problematiche più profonde. La causa occasione era che, nel momento in cui ho scritto Huis clos, tra il 1943 e l'inizio del 1944, avevo tre amici e volevo scrivere per loro una pièce nella quale nessuno avesse più spazio dell'altro. In altre parole, volevo che restassero tutto il tempo in scena. Perché mi sono detto: 'Se uno deve uscire di scena, penserà che gli altri hanno un ruolo migliore dal momento che lui è stato fatto uscire...'. Volevo quindi tenerli insieme. E ho pensato: 'Come possiamo mettere insieme tre persone senza mai farne uscire una di scena, e tenerli sul palco fino alla fine, come fosse per sempre?' E' lì che mi è venuta l'idea di metterli all'inferno e di fare in modo che ciascuno fosse il carnefice degli altri due. Questa è la causa occasionale. Successivamente però, devo dire, questi tre amici non hanno recitato la pièce e, come sapete, sono stati Vitold, Tania Balachova e Gaby Sylvia, che la 1 Cfr. supra, p.8.

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Page 1: Jean-Paul Sartre A porte chiuse - Huis Clos testo e nota... · Jean-Paul Sartre A porte chiuse a cura di Paolo Bignamini La parola conclusiva sul suo stesso lavoro merita di essere

Jean-Paul Sartre

A porte chiuse

a cura di Paolo Bignamini

La parola conclusiva sul suo stesso lavoro merita di essere proprio quella di

Jean-Paul Sartre, raccolta nella citata introduzione introduzione al testo

registrata nel 19651, e qui integralmente riportata in italiano e - in nota - in

francese: “Quando si scrive una pièce, vi sono sempre cause occasionali e

problematiche più profonde.

La causa occasione era che, nel momento in cui ho scritto Huis clos, tra il

1943 e l'inizio del 1944, avevo tre amici e volevo scrivere per loro una pièce

nella quale nessuno avesse più spazio dell'altro.

In altre parole, volevo che restassero tutto il tempo in scena. Perché mi sono

detto: 'Se uno deve uscire di scena, penserà che gli altri hanno un ruolo

migliore dal momento che lui è stato fatto uscire...'.

Volevo quindi tenerli insieme. E ho pensato: 'Come possiamo mettere

insieme tre persone senza mai farne uscire una di scena, e tenerli sul palco

fino alla fine, come fosse per sempre?'

E' lì che mi è venuta l'idea di metterli all'inferno e di fare in modo che

ciascuno fosse il carnefice degli altri due. Questa è la causa occasionale.

Successivamente però, devo dire, questi tre amici non hanno recitato la pièce

e, come sapete, sono stati Vitold, Tania Balachova e Gaby Sylvia, che la

1 Cfr. supra, p.8.

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hanno recitata.

Ma c'erano a quei tempi problematiche più vaste con cui fare i conti, e così

ho voluto esprimere nel testo qualcosa di diverso rispetto quello che la

semplice occasione mi dava.

Ho voluto dire: 'l'inferno, sono gli altri'.

Ma 'l'inferno, sono gli altri' è sempre stato frainteso.

Si è pensato che volessi con questo dire che le nostre relazioni con gli altri

sono sempre avvelenate, che si tratta sempre di rapporti infernali.

In realtà, quello che voglio dire è un'altra cosa..

Voglio dire che, se i nostri rapporti con gli altri sono intricati, viziati, allora

l'altro non può che essere l'inferno.

Perché? Perché gli altri sono fondamentalmente ciò che c'è di più importante

in noi stessi per la nostra conoscenza di noi stessi.

Quando noi ci pensiamo, quando cerchiamo di conoscerci, in fondo noi

utilizziamo quelle conoscenze che gli altri hanno già di noi.

Noi ci giudichiamo con i mezzi che gli altri hanno, ci (corsivo mio, ndt.)

hanno. dato per giudicarci.

Qualsiasi cosa io dica su di me, c'è sempre dentro il giudizio degli altri.

Ciò significa che, se i miei rapporti sono cattivi, mi metto in totale

dipendenza dagli altri.

E allora davvero sono all'inferno.

E c'è una quantità di gente nel mondo che è all'inferno, perché dipende

troppo dal giudizio degli altri.

Ma questo non vuol dire assolutamente che non si possano avere rapporti

differenti con gli altri. Sottolinea semplicemente l'importanza capitale di tutti

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gli altri per ognuno di noi.

La seconda cosa che vorrei dire è che questi personaggi non sono simili a

noi.

I tre protagonisti che sentirete recitare in A porte chiuse non ci assomigliano

perché noi siamo vivi e loro sono morti. Naturalmente, qui, 'morto'

simboleggia qualcosa.

Quello che ho voluto dimostrare è proprio che molte persone sono incrostate

in abitudini e comportamenti che esse stesse disprezzano, ma che non

cercano nemmeno di provare a cambiare.

E queste persone sono come morte.

In questo senso non possono rompere la gabbia delle loro problematiche,

delle loro preoccupazioni, dei loro comportamenti, e sono spesso vittime di

giudizi espressi da altri su di loro.

Da questo punto di vista, è ovvio che siano vigliacchi o cattivi, per esempio.

Se hanno cominciato a essere vigliacchi, non interviene nulla a cambiare il

loro essere vigliacchi.

E' per questo motivo che sono morti, è un modo per dire che essere

circondati dalla preoccupazione eterna e da azioni che non si vogliono

cambiare, è una morte vivente

Ma siccome, in realtà, noi siamo vivi, ho voluto mostrare, per assurdo,

l'importanza della nostra libertà, vale a dire l'importanza di cambiare gli atti

degli altri atti .

Qualunque sia il cerchio dell'inferno nel quale viviamo, penso che noi siamo

liberi di romperlo.

E se una persone non lo rompe, è ancora liberamente che sceglie di restarvi,

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al punto di mettersi liberamente all'inferno.

Quindi, ecco: rapporti con gli altri, abitudini incrostate e libertà, e libertà

come altra faccia, appena suggerita, della medaglia; questi sono i tre temi del

dramma.

Vorrei che questo venisse ricordato quando sentirete dire: 'l'nferno, sono gli

altri' "2

Il disvelamento dell'apparente paradosso portato da 'l'inferno sono gli altri',

fa pensare oggi che, sartrianamente parlando, esso non poteva essere svolto

che come poco sopra descritto dal maestro.

2 "Quand on écrit une pièce, il y a toujours des causes occasionnelles et des soucis profonds. La cause occasionnelle

c'est que, au moment où j'ai écrit Huis clos, vers 1943 et début 44, j'avais trois amis et je voulais qu'ils jouent une

pièce, une pièce de moi, sans avantager aucun d'eux. C'est-à-dire , je voulais qu'ils restent ensemble tout le temps sur

la scène. Parce que je me disais : "S'il y en a un qui s'en va, il pensera que les autres ont un meilleur rôle au moment

où il s'en va..." Je voulais donc les garder ensemble. Et je me suis dit : "Comment peut-on mettre ensemble trois

personnes sans jamais faire sortir l'une d'elles et les garder sur la scène jusqu'au bout comme pour l'éternité?"

C'est là que m'est venue l'idée de les mettre en enfer et de les faire chacun le bourreau des deux autres. Telle est la

cause occasionnelle. Par la suite d'ailleurs, je dois dire, ces trois amis n'ont pas joué la pièce et, comme vous le savez c'est Vitold, Tania Balachova et Gaby Sylvia qui l'ont jouée. Mais il y avait à ce moment-là des soucis plus

généraux et j'ai voulu exprimer autre chose dans la pièce que simplement ce que l'occasion me donnait. J'ai voulu

dire : l'enfer, c'est les autres. Mais "l'enfer, c'est les autres" a toujours été mal compris. On a cru que je voulais dire

par là que nos rapports avec les autres étaient toujours empoisonnés, que c'étaient toujours des rapports infernaux.

Or, c'est autre chose que je veux dire. Je veux dire que si les rapports avec autrui sont tordus, viciés, alors l'autre ne

peut-être que l'enfer. Pourquoi ? Parce que les autres sont au fond ce qu'il y a de plus important en nous-mêmes pour

notre propre connaissance de nous-mêmes. Quand nous pensons sur nous, quand nous essayons de nous connaître,

au fond nous usons ces connaissances que les autres ont déjà sur nous. Nous nous jugeons avec les moyens que les

autres ont, nous ont donné de nous juger. Quoique je dise sur moi, toujours le jugement d'autrui entre dedans. Ce qui

veut dire que, si mes rapports sont mauvais, je me mets dans la totale dépendance d'autrui. Et alors en effet je suis en

enfer. Et il existe une quantité de gens dans le monde qui sont en enfer parce qu'ils dépendent trop du jugement

d'autrui. Mais cela ne veut nullement dire qu'on ne puisse avoir d'autres rapports avec les autres. Ça marque simplement l'importance capitale de tous les autres pour chacun de nous. Deuxième chose que je voudrais dire,

c'est que ces gens ne sont pas semblables à nous. Les trois personnages que vous entendrez dans Huis clos ne nous

ressemblent pas en ceci que nous sommes vivants et qu'ils sont morts. Bien entendu, ici "morts" symbolise quelque

chose. Ce que j'ai voulu indiquer, c'est précisément que beaucoup de gens sont encroûtés dans une série d'habitudes,

de coutumes, qu'ils ont sur eux des jugements dont ils souffrent mais qu'ils ne cherchent même pas à changer. Et que

ces gens-là sont comme morts. En ce sens qu'ils ne peuvent briser le cadre de leurs soucis, de leurs préoccupations et

de leurs coutumes; et qu'ils restent ainsi victimes souvent des jugements qu'on a portés sur eux. A partir de là , il est

bien évident qu'ils sont lâches ou méchants par exemple. S'ils ont commencé à être lâches , rien ne vient changer

le fait qu'ils étaient lâches. C'est pour cela qu'ils sont morts, c'est pour cela, c'est une manière de dire que c'est une

mort vivante que d'être entouré par le souci perpétuel de jugements et d'actions que l'on ne veut pas changer. De

sorte que, en vérité, comme nous sommes vivants, j'ai voulu montrer pr l'absurde, l'importance chez nous de la liberté, c'est-à-dire l'importance de changer les actes par d'autres actes. Quel que soit le cercle d'enfer dans lequel

nous vivons, je pense que nous sommes libres de le briser. Et si les gens ne le brisent pas, c'est encore librement

qu'ils y restent, de sorte qu'ils se mettent librement en enfer. Vous voyez donc que, rapports avec les autres,

encroûtement et liberté , liberté comme l'autre face à peine suggérée, ce sont les trois thèmes de la pièce. Je voudrais

qu'on se le rappelle quand vous entendrez dire : "l'enfer c'est les autres." (J.-P. Sartre, Un théâtre de situation,

Gallimard, Paris, 1973 – a cura di Michel Contat e Michel Rybalka).

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Ma è l'approccio post-sartriano a consentirci questa lucidità.

Tentare di rompere il cerchio infernale: la posizione di Sartre fa pensare,

ancora una volta a Beckett, e a quella sua misteriosa coazione a fallire che, a

sua volta, così tanto ci richiama alla memoria l'epilogo di un'altra celebre

opera sartriana, Le parole.

Cosa resta da fare, si chiedeva Sartre nell'atto di congedarsi dalla letteratura

nella sua splendida biografia immaginaria, se non continuare a scrivere?

“Scrivo sempre.

Che c’è da fare di diverso? Nulla dies sine linea.

E’ la mia abitudine, e poi è il mio mestiere.

Per molto tempo ho preso la penna per una spada: ora conosco la nostra

impotenza.

Non importa: faccio, farò dei libri; ce n’è bisogno; e serve, malgrado tutto.

La cultura non salva niente né nessuno, non giustifica.

Ma è un prodotto dell’uomo: egli vi si proietta, vi si riconosce; questo

specchio critico è il solo ad offrirgli la sua immagine.

Del resto, questa vecchia costruzione in rovina, la mia impostura, è anche il

mio carattere: ci si disfa d’una nevrosi, non ci si guarisce di sé (...).

Se ripongo l’impossibile Salvezza nel ripostiglio degli attrezzi, cosa resta?

Tutto un uomo, fatto di tutti gli uomini: li vale tutti, chiunque lo vale”3.

3 Le parole, trad. it. di Luigi De Nardis, Net, Milano, 2002 – p. 175.

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APPENDICE 1

Jean-Paul Sartre

A porte chiuse

Dramma in un atto

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A quella signora4

A porte chiuse è stato rappresentato per la prima volta al Théâtre du Vieux-Colombier nel

maggio del 1944.

4 Si tratta di Madame Louis Morel, nella cui casa di campagna Sartre e de Beuavoir si trovavano ospiti

durante l'estate del 1943. Ingrid Galster scrive che Mme Morel, madre di una studentessa di Sartre, ospitava spesso i due e inviava loro cibo a Parigi durante i momenti più difficili. La dedica à cette dame si spiega con il fatto che in questo modo i due intellettuali indicavano la donna. (I. Galster, Le théâtre de Jean-Paul Sartre devant ses premiers critiques, op. cit., p. 193).

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Personaggi

Inès

Estelle

Garcin

Il cameriere

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SCENA I

Garcin, il cameriere al piano

Un salotto in stile Secondo Impero. Una statua di bronzo sopra il camino.

GARCIN, entra e si guarda intorno

Dunque è così.

IL CAMERIERE

Proprio così.

GARCIN

Così...

IL CAMERIERE

Così.

GARCIN

Immagino che con il tempo ci si debba abituare ai mobili...

IL CAMERIERE

Dipende dalle persone.

GARCIN

E tutte le stanze sono uguali?

IL CAMERIERE

Ci pensi bene. Qui arrivano Cinesi, Indiani. Cosa potrebbero farsene di un divano Secondo

Impero?

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GARCIN

E io, che dovrei farmene? Ma lei sa chi ero io? Bah, ormai non ha nessuna importanza.

Tutto sommato, ho sempre vissuto tra mobili che non mi piacevano e in situazioni false; e ci

stavo bene. Una situazione falsa in una sala da pranzo Louis-Philippe, ha presente?

IL CAMERIERE

Vedrà che anche in un salotto Secondo Impero non è male.

GARCIN

Bene. Bene, bene, bene. (Si guarda intorno) Comunque non me l'aspettavo... Lei sa cosa si

dice là fuori?

IL CAMERIERE

Riguardo che cosa?

GARCIN

Beh... (con un gesto vago e ampio) riguardo tutto questo.

IL CAMERIERE

Come si può credere a quelle sciocchezze? Nessuno ha mai messo piede qui. Perché se

qualcuno ci fosse venuto...

GARCIN

Certo.

Ridono entrambi.

GARCIN, ritornando a un tratto serio

Avanti, dove sono i pali?

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IL CAMERIERE

Come?

GARCIN

I pali, le graticole, gli imbuti di cuoio.

IL CAMERIERE

Sta scherzando?

GARCIN, fissandolo

Cosa? Capisco. No, non stavo scherzando. (Una pausa. Cammina.) Niente specchi,

ovviamente niente finestre. Niente che si possa rompere. (Con improvvisa violenza: ) Perché

mi avete preso lo spazzolino da denti?

IL CAMERIERE

Ci risiamo. Ecco la dignità umana che torna fuori. Straordinario.

GARCIN, battendo sul bracciolo del divano con rabbia

Mi risparmi la sua confidenza. Mi rendo perfettamente conto della mia condizione, ma non

tollererò...

IL CAMERIERE

Calma, calma. Mi deve scusare. Che le posso dire, tutti i clienti fanno la stessa domanda.

Arrivano e: “dove sono i pali?” In quel momento, le garantisco che non pensano alla loro

toilette. E poi, dopo essere stati rassicurati, salta fuori lo spazzolino da denti. Ma, per l'amor

di Dio, rifletta! In fin dei conti, perché si dovrebbe lavare i denti?

GARCIN, più calmo

Già, certo, perché? (Si guarda intorno) E perché dovrei guardarmi in uno specchio? Mentre

il bronzo, al momento opportuno... Immagino che ci saranno momenti in cui lo fisserò con

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gli occhi sgranati. Con gli occhi sgranati, vero? Avanti, avanti, non c'è niente da nascondere;

le ho già detto che mi rendo perfettamente conto della mia condizione. Vuole che le racconti

cosa succederà? Uno soffoca, sprofonda, muore di noia, solo il suo sguardo affiora dal

baratro e cosa vede? Un bronzo di Barbedienne. Che incubo! Certo, le avranno senz'altro

proibito di rispondermi, non insisterò. Ma sappia che non sono uno sprovveduto, non

vantatevi di avermi colto di sorpresa; io guardo la situazione in faccia. (Ricomincia a

camminare) Dunque, niente spazzolino. E niente letto, ovviamente. Perché non si dorme

mai, vero?

IL CAMERIERE

Vero!

GARCIN

Ci avrei scommesso. Perché si dovrebbe dormire? Il sonno ti sale da dietro le orecchie.

Senti gli occhi che ti si chiudono, ma perché dormire? Ti stendi sul divano e ouff... il sonno

sparisce. Ti freghi gli occhi, ti rialzi e tutto ricomincia.

IL CAMERIERE

Lei è molto romantico!

GARCIN

La smetta. Non mi metterò a gridare, non piangerò, ma voglio guardare in faccia la realtà.

Non voglio essere preso alle spalle dalla situazione, la voglio riconoscere. Romantico?

Quindi, il fatto è che non c'è nemmeno bisogno del sonno. Perché dormire, se non si ha

sonno? Perfetto. Aspetti... Aspetti: e perché questo dovrebbe essere un male? Perché

dovrebbe essere, per forza, un male? Ci sono: è la vita senza tagli.

IL CAMERIERE

Quali tagli?

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GARCIN, imitandolo

Quali tagli? (Sospettoso) Mi guardi. Ne ero sicuro! Ecco spiegata la grossolana,

insostenibile invadenza del suo sguardo. Glielo garantisco: sono atrofizzate.

IL CAMERIERE

Ma di cosa sta parlando?

GARCIN

Delle sue palpebre. Noi, le palpebre, le sbattiamo. Un batter d'occhio, così si chiama. Un

piccolo lampo nero, un sipario che si chiude e subito si riapre: il taglio è quello. L'occhio si

inumidisce, il mondo si annichilisce. Lei non ha idea di quanto sia riposante. Quattromila

pause all'ora. Quattromila piccole evasioni. E quando dico quattromila... Allora? Dovrò

vivere senza palpebre? Non faccia l'imbecille. Niente palpebre, niente sonno, è un tutt'uno.

Non dormirò più... Ma come farò a sopportarmi? Cerchi di capire, faccia uno sforzo: io ho

un carattere molesto, e pensi un po'... ho l'abitudine di molestarmi. Ma io... io non posso

molestarmi senza sosta.: laggiù, almeno, c'erano le notti. Potevo dormire. Avevo il sonno

pesante. Per compensazione. Mi concedevo dei sogni semplici. Una prateria... Una prateria,

tutto lì. Sognavo di camminarci dentro. Farà giorno?

IL CAMERIERE

Come vede, le luci sono accese.

GARCIN

Accidenti. E' questo il vostro giorno. E fuori?

IL CAMERIERE, stupito

Fuori?

GARCIN

Ma sì, fuori! Dietro a questi muri!

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IL CAMERIERE

C'è un corridoio.

GARCIN

E in fondo al corridoio?

IL CAMERIERE

Ci sono altre stanze e altri corridoi, e delle scale.

GARCIN

E dopo?

IL CAMERIERE

Nient'altro.

GARCIN

Ma lei, nel suo giorno libero, andrà pure da qualche parte?

IL CAMERIERE

Da mio zio, che è capo-cameriere, al terzo piano.

GARCIN

Avrei dovuto immaginarlo. Dov'è l'interruttore?

IL CAMERIERE

Non c'è.

GARCIN

Cioè? Non si può spegnere?

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IL CAMERIERE

Dalla direzione possono togliere la corrente. Ma non mi pare l'abbiano mai fatto su questo

piano. Abbiamo elettricità a discrezione.

GARCIN

Molto bene. Quindi bisogna vivere con gli occhi aperti...

IL CAMERIERE, ironico.

Vivere...

GARCIN

Non si prenda gioco di me per una questione di vocaboli. Gli occhi aperti. Per sempre. Sarà

mezzogiorno nei miei occhi. E nella mia testa. (Una pausa.) E se spegnessi la lampada

elettrica scagliandole addosso il bronzo?

IL CAMERIERE

E' troppo pesante.

GARCIN prende il bronzo con due mani e cerca di sollevarlo.

Ha ragione. E' troppo pesante.

Una pausa.

IL CAMERIERE

Bene. Se non ha più bisogno di me, la lascio.

GARCIN, di soprassalto.

Come? Se ne va? Arrivederci. (Il cameriere raggiunge la porta.) Aspetti (Il cameriere si

gira.) E' un campanello, quello? (Il cameriere annuisce.) Posso suonarlo quando voglio e lei

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sarà obbligato a venire?

IL CAMERIERE

In linea di principio, sì. Ma è capriccioso. C'è qualche cosa di incastrato nel meccanismo.

Garcin si avvicina al campanello e schiaccia il bottone. Il campanello suona.

GARCIN

Ma funziona!

IL CAMERIERE, colpito.

Sì, funziona. (Suona a sua volta). Ma non si illuda, non durerà. Arrivederci, sono a sua

disposizione.

GARCIN cercando di trattenerlo con un gesto.

Io...

IL CAMERIERE

Sì?

GARCIN

No, niente. (Raggiunge il camino e prende il tagliacarte). E questo cos'è?

IL CAMERIERE

Non lo vede? Un tagliacarte.

GARCIN

Ci sono libri, qui?

IL CAMERIERE

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No.

GARCIN

E allora a cosa serve? (Il cameriere alza le spalle). Capisco. Se ne vada.

Il cameriere esce.

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SCENA II

Garcin, solo.

Garcin è solo. Si avvicina al bronzo e lo accarezza con la mano. Si siede. Si rialza.

Raggiunge il campanello e schiaccia il bottone. Il campanello non suona. Prova due o tre

volte. Invano. Va alla porta e prova ad aprirla senza riuscirci. Chiama.

GARCIN

Cameriere! Cameriere!

Nessuna risposta. Bussa violentemente con i pugni sulla porta mentre chiama il cameriere.

Improvvisamente si calma e si risiede. In quel momento la porta si apre ed entra Inès,

seguita dal cameriere.

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SCENA III

Garcin, Inès, il cameriere

IL CAMERIERE, a Garcin.

Mi ha per caso chiamato?

Garcin sta per rispondere, ma getta un'occhiata a Inès.

GARCIN

No.

IL CAMERIERE, girandosi verso Inès.

Faccia come se fosse a casa sua, signora. (Silenzio della donna.) Se ha domande da farmi...

(Inès non parla.)

IL CAMERIERE, deluso.

Di solito ai clienti piace informarsi... Non insisto. In ogni caso, per quanto riguarda lo

spazzolino da denti, il campanello e il bronzo di Barbedienne, il signore sa tutto e le può

rispondere meglio di me.

Esce. Una pausa. Garcin non guarda Inès. La donna osserva intorno a sé, poi si dirige

bruscamente verso Garcin.

INES

Dov'è Florence? (Garcin non risponde.) Le ho chiesto dov'è Florence?

GARCIN

Non so di cosa parla.

INES

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Tutto qui, quello che avete pensato? La tortura con l'assenza? Beh, avete sbagliato di grosso.

Florence era una sciacquetta, e non la rimpiango affatto.

GARCIN

Scusi: ma lei per chi mi ha preso?

INES

Lei? Ma lei è il boia.

GARCIN, si scuote e poi si mette a ridere.

E' un equivoco piuttosto divertente. Il boia, sul serio? Lei è entrata, mi ha guardato, e ha

pensato: è il boia. Che sciocchezza! Il cameriere è uno stupido, avrebbe dovuto fare le

presentazioni. Il boia! Io sono Jospeph Garcin, giornalista e letterato. La verità è che noi due

siamo alloggiati nella stessa locanda. Signora...

INES, asciutta.

Inès Serrano. Signorina.

GARCIN

Benissimo. Perfetto. Ecco, il ghiaccio è rotto. Così, lei trova che io abbia l'aria di un

carnefice? E da cosa si riconosce un carnefice, mi dica?

INES

E' uno che ha l'aria di avere paura.

GARCIN

Paura? Assurdo. E di chi? Delle sue vittime?

INES

La smetta. So di cosa parlo. Mi sono ben guardata allo specchio.

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GARCIN

Allo specchio? (Si guarda intorno.) E' soffocante: hanno tolto tutto ciò che poteva ricordare

uno specchio. (Una pausa.) In ogni caso, posso garantirle che io non ho paura. Non sto

sottovalutando la situazione e sono cosciente della sua gravità. Ma io non ho paura.

INES, alzando le spalle.

Sono affari suoi. (Una pausa.) Non le viene voglia ogni tanto di fare un giro fuori?

GARCIN

La porta è sbarrata.

INES

Tanto meglio.

GARCIN

Capisco benissimo che la mia presenza la infastidisca. E anch'io, personalmente, preferirei

restarmene solo: ho bisogno di fare ordine nella mia vita e di concentrarmi. Ma sono certo

che potremo trovare un accordo: io non parlo, quasi non mi muovo, e non faccio rumore. Mi

permetta soltanto un consiglio: dovremmo cercare di tenere tra noi una grande cortesia. Sarà

la nostra migliore difesa.

INES

Io non sono cortese.

GARCIN

Lo sarò io per tutti e due.

Una pausa. Garcin è seduto sul divano. Inès passeggia avanti e indietro.

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INES, guardandolo.

La sua bocca.

GARCIN, distolto dai suoi pensieri.

Prego?

INES

Non potrebbe fermare la bocca? Gira come una trottola sotto il suo naso.

GARCIN

Le chiedo scusa: non me ne ero accorto.

INES

E' proprio questo che le rimprovero. (Di nuovo il tic di Garcin.) Ancora! Pretende di essere

cortese e lascia il suo volto senza controllo. Lei qui non è solo e non ha il diritto di

infliggermi lo spettacolo della sua paura.

GARCIN

E lei, non ha paura, lei?

INES

E di che? La paura, serviva prima, quando avevamo almeno la speranza.

GARCIN, lentamente.

Non c'è più speranza, ma siamo comunque prima. Non abbiamo ancora nemmeno

cominciato a soffrire, signorina.

INES

Lo so. (Una pausa) Allora, chi deve arrivare adesso?

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GARCIN

Non lo so. Aspetto.

Una pausa. Garcin torna a sedersi. Inès ricomincia a camminare. Garcin ha ancora il suo

tic alla bocca: dopo uno sguardo a Inès, nasconde il volto tra le mani. Entrano Estelle e il

cameriere.

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SCENA IV

Inès, Garcin, Estelle, il cameriere.

Estelle guarda Garcin, che non ha rialzato la testa.

ESTELLE, a Garcin.

No! No no non rialzare la testa: So cosa nascondi tra le mani, so che non hai più la faccia.

(Garcin apre le mani.) Oh! (Una pausa. Poi con sorpresa:) ma io non la conosco.

GARCIN

Non sono io il boia, signora.

ESTELLE

Ma non l'ho mica scambiata per il boia. Avevo... avevo solo paura che qualcuno volesse

farmi uno scherzo. (Al cameriere) Chi aspettiamo ancora?

IL CAMERIERE

Non verrà più nessuno.

ESTELLE, sollevata.

Ah! Pare che resteremo soli soletti, io, lei e la signora...

Si mette a ridere.

GARCIN, seccamente.

Non c'è niente da ridere.

ESTELLE, continuando a ridere.

Ma questi divani sono così squallidi... E come li hanno disposti, mi sembra di essere a casa

di mia zia Maria la mattina di Capodanno. Ciascuno ha il suo, immagino. Il mio sarebbe

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questo? (Al cameriere:) Ma io non potrei mai sedermici sopra, è una catastrofe: io sono

vestita in blu chiaro e il divano è verde scuro.

INES

Vuole il mio?

ESTELLE

Il divano bordeaux? Lei è molto gentile, ma non andrebbe molto meglio. No, che vuole? A

ciascuno il suo posto: ho il verde e me lo tengo. (Una pausa.) Il solo che andrebbe bene, a

dire la verità, è quello del signore.

Una pausa.

INES

Ha sentito, Garcin?

GARCIN, sussultando.

Il... divano. Oh, prego! (Si alza.) E' suo, signora.

ESTELLE

Grazie. (Si toglie la sua mantella e getta sul divano. Una pausa.) Perché non facciamo

conoscenza, dal momento che dovremo abitare insieme. Io sono Estelle Rigault.

Garcin si inchina e sta per presentarsi, ma Inès gli passa davanti.

INES

Inès Serrano, molto piacere.

Garcin si inchina di nuovo.

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GARCIN

Joseph Garcin.

IL CAMERIERE

Avete ancora bisogno di me?

ESTELLE

No, vada pure. La chiamerò.

Il cameriere si inchina ed esce.

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SCENA V

Inès, Garcin, Estelle.

INES

Lei è molto bella. Vorrei avere dei fiori per augurarle il benvenuto.

ESTELLE

Fiori? Ah sì, mi piacevano molto i fiori. Ma qui appassirebbero, fa troppo caldo. La cosa

importante, comunque, è conservare il buon umore, no? Lei è...

INES

Sì, la settimana scorsa. E lei?

ESTELLE

Io? Ieri. Il funerale non è ancora finito. (Parla con naturalezza, ma come se vedesse quello

che descrive.) Il vento scompiglia la veletta di mia sorella. Come si sforza per piangere...

Forza! Forza! Ancora un piccolo sforzo. Ecco! Due lacrime, due lacrimucce che brillano

sotto il velo. Olga Jardet è davvero brutta stamattina. Sostiene mia sorella con il braccio.

Non piange per non far colare il rimmel, e devo ammettere che anch'io al suo posto... Era la

mia migliore amica.

INES

Lei ha sofferto molto?

ESTELLE

No. Ero piuttosto incosciente.

INES

E di che cosa è...

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ESTELLE

Polmonite. (Stesso espediente che in precedenza.) Ecco, tutto finito, se ne vanno.

Arrivederci! Arrivederci! Quante strette di mano. Mio marito è malato di depressione, è

rimasto a casa. (A Inès) E lei?

INES

Gas.

ESTELLE

E lei, signore?

GARCIN

Dodici pallottole nella schiena. (Gesto di Estelle). Mi scusi, non sono un morto

raccomandabile.

ESTELLE

Oh! Caro signore, se solo potesse usare termini meno crudi. E'... è scioccante. E poi, morto,

che cosa significa? Mi pare che non siamo mai stati tanto vivi. Se proprio dovessimo

definire questo nostro... stato, proporrei di chiamarci “assenti”, sarebbe più corretto. E da

quanto tempo lei è assente?

GARCIN

Da circa un mese.

ESTELLE

Di dov'è lei?

GARCIN

Di Rio.

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ESTELLE

Io sono di Parigi. E... ha ancora qualcuno laggiù?

GARCIN

Mia moglie. (Stesso espediente utilizzato con Estelle.) Come tutti i giorni, viene alla

caserma. Non l'hanno lasciata entrare. Guarda le sbarre del cancello. Non sa ancora che

sono assente, ma lo sospetta. Ecco, adesso se ne va. E' tutta vestita di nero. Meglio così, non

avrà bisogno di cambiarsi. Non piange: non piangeva mai. C'è un bel sole e lei è tutta nera

in mezzo alla strada deserta, con i suoi grandi occhi da vittima. Ah! Quanto mi irrita.

Una pausa. Garcin va a sedersi sul divano centrale e nasconde la testa tra le mani.

INES

Estelle!

ESTELLE

Signore, signor Garcin!

GARCIN

Prego?

ESTELLE

Lei è seduto sul mio divano.

GARCIN

Mi scusi.

Si alza.

ESTELLE

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Ha l'aria assorta...

GARCIN

Sto mettendo ordine nella mia vita. (Inès si mette a ridere.) Chi ride farebbe bene a

imitarmi.

INES

E' già in ordine, la mia vita. Completamente in ordine. Si è messa in ordine da sola, laggiù,

non ho più bisogno di preoccuparmene.

GARCIN

Davvero? E lei crede sul serio che sia così semplice? (Si passa una mano sulla fronte.) Che

caldo! Permettete?

Inizia a togliersi la giacca.

ESTELLE

Ah no! (Poi, più dolcemente.) No. Ho orrore degli uomini in maniche di camicia.

GARCIN, rimettendosi la giacca.

Va bene. (Una pausa.) Sa, io passavo le notti in redazione. Faceva sempre caldo, come in un

formicaio. (Una pausa. Stesso espediente che in precedenza.) Fa sempre caldo, come in un

formicaio. E' notte.

ESTELLE

Guarda, è già notte. Olga si sta spogliando. Come passa in fretta il tempo sulla terra.

INES

Già notte. Hanno messo i sigilli sulla porta della mia camera. La camera è vuota, nel buio.

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GARCIN

Hanno appoggiato le giacche sullo schienale della sedia e hanno rimboccato le maniche

delle camicie fino al gomito. C'è odore di sudore e sigaro. (Una pausa.) Mi piaceva vivere

in mezzo a uomini in maniche di camicia.

ESTELLE, seccamente.

Infatti, non abbiamo gli stessi gusti. Ecco tutto. (A Inès.) A lei piacciono gli uomini in

maniche di camicia?

INES

Camicia o no, a me gli uomini non piacciono molto.

ESTELLE, guardandoli entrambi con stupore.

Ma perché, perché, ci hanno messo qui insieme?

INES, con soffocato stupore.

Cosa intende, esattamente?

ESTELLE

Io vi guardo, e quando penso che dovremo abitare insieme... Insomma, mi aspettavo degli

amici, dei familiari.

INES

Il suo bell'amico, con un buco al posto della faccia.

ESTELLE

Perché no? Ballava il tango come un professionista... Ma come mai hanno messo insieme

proprio noi?

GARCIN

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Ovvio: è il caso. Incasellano le persone in base all'ordine d'arrivo. (A Inès.) Che cos'ha da

ridere?

INES

Rido di lei, del suo caso. Ha un tale bisogno di essere rassicurato... Qui non lasciano niente

al caso.

ESTELLE, timidamente.

Magari ci siamo già incontrati da qualche parte?

INES

Mai. Non ricorderei di una come lei.

ESTELLE

Magari qualche amico in comune? Conoscete per caso i Dubois-Seymour?

INES

La cosa mi stupirebbe.

ESTELLE

Tutti vanno ai loro ricevimenti...

INES

Di che cosa si occupano?

ESTELLE

Di niente. Hanno un castello nella Corrèze, e...

INES

Guardi, io ero impiegata in posta.

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ESTELLE, indietreggiando impercettibilmente.

Ah. In tal caso... (Una pausa.) E lei, signor Garcin?

GARCIN

Io non ho mai lasciato Rio.

ESTELLE

Temo che lei abbia perfettamente ragione: è il caso che ci ha messi insieme.

INES

Il caso. Quindi questi mobili sono qui per caso. E' un caso se il divano di destra è verde

scuro e se quello di sinistra è bordeaux. Un caso, no? Bene, provate a cambiarli di posto, e

poi ditemi. E il bronzo, è un caso anche quello? E questo caldo? E questo caldo? (Una

pausa.) Vi dico che è tutto studiato. Tutto, fin nei minimi dettagli, con cura. Questa camera

ci stava aspettando.

ESTELLE

Ma cosa sta dicendo? Qui è tutto così brutto, così rigido, così spigoloso. Detesto gli spigoli.

INES, alzando le spalle.

Perché, crede forse che io vivessi in salone Secondo Impero?

Una pausa.

ESTELLE

Tutto previsto, quindi?

INES

Tutto. E noi, ben assortiti.

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ESTELLE

Quindi non è un caso che proprio lei, lei, mi stia di fronte? (Una pausa.) Che cosa stanno

aspettando?

INES

Non lo so. Ma stanno aspettando.

ESTELLE

Non posso sopportare che qualcuno si aspetti qualcosa da me. Mi fa venire voglia di fare il

contrario.

INES

Benissimo. Lo faccia. Avanti, lo faccia! Peccato che non sappia che cosa contraddire.

ESTELLE, picchiando i piedi.

E' insopportabile. Dunque dovrei aspettarmi qualcosa da voi due? (Li guarda.) Conoscevo

visi che sapevo leggere in un attimo. Mentre i vostri, non mi dicono niente.

GARCIN, bruscamente, a Inès.

Avanti, perché siamo insieme? Ci ha girato intorno anche troppo: vada al punto.

INES, stupita.

Ma io non ne so assolutamente niente.

GARCIN

Dobbiamo saperlo.

Riflette un istante.

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INES

Se soltanto ciascuno di noi avesse il coraggio di dire...

GARCIN

Che cosa?

INES

Estelle!

ESTELLE

Sì?

INES

Lei che cosa ha fatto? Perché la hanno spedita qui?

ESTELLE, animatamente.

Ma io non lo so. Davvero, non lo so! Mi chiedo persino se non ci sia stato un errore. (A

Inès). Non sorrida. Pensi alla quantità di gente che... che si assenta ogni giorno. Vengono

qui a migliaia e hanno a che fare solo con degli scagnozzi, con impiegati senza istruzioni.

Come possiamo pretendere che non ci sia qualche errore? Ma non sorrida... (A Garcin.) E

lei, dica qualcosa! Se si sono sbagliati nel mio caso, potrebbero essersi sbagliati anche nel

suo. (A Inès.) E anche nel suo. Non sarebbe meglio credere che siamo qui per errore?

INES

Tutto qui, quello che ha da dire?

ESTELLE

Che cos'altro vuole sapere? Io non ho niente da nascondere. Ero orfana, e povera, e ho

accudito il mio fratellino minore. Un vecchio amico di mio padre ha chiesto la mia mano.

Era ricco e buono, e ho accettato. Che cosa avrebbe fatto al mio posto? Mio fratello era

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malato e aveva bisogno di cure. Ho vissuto per sei anni con mio marito senza un'ombra. Poi,

due anni fa, ho incontrato la persona che avrei dovuto amare. Ci siamo riconosciuti subito.

Lui voleva che partissi con lui, ma io ho rifiutato. Dopo, ho avuto la polmonite. Tutto qui.

Forse, in base a certi principi, mi si potrebbe rimproverare di aver sacrificato la mia

giovinezza a un vecchio. (A Garcin.) Lei crede che sia una colpa?

GARCIN

No, naturalmente. (Una pausa.) E lei, crede forse che sia una colpa vivere secondo i propri

principi?

ESTELLE

E chi mai potrebbe rimproverarglielo?

GARCIN

Ero direttore di un giornale pacifista. Scoppia la guerra. Che fare? Avevo tutti gli occhi

addosso: “Avrà il coraggio?”. Ebbene, l'ho avuto, il coraggio. Ho incrociato le braccia e mi

hanno fucilato. Dov'è la colpa? Dov'è la colpa?

ESTELLE, appoggiandogli la mano sul braccio.

Nessuna colpa. Lei è...

INES, concludendo la frase con ironia.

Un eroe! E sua moglie, Garcin?

GARCIN

Mia moglie, cosa? L'ho tirata fuori dalla miseria.

ESTELLE, a Inès.

Vede? Vede?

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INES

Vedo, vedo. (Una pausa.) Per chi state recitando? Qui siamo tra di noi...

ESTELLE, con insolenza.

Tra di noi?

INES

Tra assassini. Siamo all'inferno, bella mia, non c'è nessun errore e le persone non vengono

dannate senza motivo.

ESTELLE

La smetta.

INES

All'inferno! Dannati! Dannati!

ESTELLE

La smetta! La vuole smettere? La diffido dall'utilizzare parole così volgari.

INES

Dannata la piccola santarellina e dannato l'eroe senza macchia. Abbiamo avuto i nostri

momenti di piacere, o no? Qualcuno ha sofferto per noi fino alla morte e questo ci ha

divertito molto. Adesso, bisogna pagare il conto.

GARCIN, alzando una mano.

La vuole smettere?

INES, lo guarda senza paura, ma con grande sorpresa.

Oh! (Una pausa.) Aspettate! Ho capito, ho capito perché ci hanno messi insieme.

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GARCIN

Stia attenta a quello che sta per dire.

INES

Ora vedrete quanto è banale. E' semplicissimo! Non c'è una tortura fisica, vero? E, tuttavia,

siamo all'inferno. E non deve arrivare nessun altro. Nessuno. Resteremo fino alla fine soli,

insieme. E' così, no? Insomma, qui manca qualcuno: manca il boia.

GARCIN, a mezza voce.

Lo so bene.

INES

Ecco: hanno risparmiato sul personale. Tutto qui. I clienti si servono da soli, come ai

ristoranti self-service.

ESTELLE

Che cosa vuol dire?

INES

Il boia, è ciascuno di noi per gli altri due.

Una pausa. Rimuginano sulla cosa.

GARCIN, con voce dolce.

Io non sarò il vostro carnefice. Non vi voglio alcun male e non ho niente da spartire con voi.

Proprio niente. In effetti, è una cosa semplice. Allora facciamo così: ciascuno nel suo

angolo; è la soluzione. Lei qui, lei laggiù, e io là. E soprattutto, silenzio. Non una parola:

non è difficile, no? Ciascuno di noi ha abbastanza da fare con se stesso. Credo che potrei

restare mille anni senza dire una parola.

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ESTELLE

Cioè, dovrei tacere?

GARCIN

Sì. E noi... saremo salvi. Tacere. Guardare dentro se stessi, non alzare mai la testa. Siamo

d'accordo?

INES

D'accordo.

ESTELLE, dopo una breve esitazione.

D'accordo.

GARCIN

Allora, addio.

Raggiunge il suo divano e mette la testa tra le mani.

Silenzio. Inès si mette a cantare, per se stessa:

Dans la rue des Blancs-Manteaux

Ils ont éléve des tréteaux

Et mis du son dans un seau

Et c'était un échafaud

Dans la rue des Blancs-Manteaux

Dans la rue des Blancs-Manteaux

Le bourreau s'est levé tôt

C'est qu'il avait du boulot

Faut qu'il coupe des Généraux

Des Evêques, des Amiraux

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Dans la rue des Blancs-Manteaux

Dans la rue des Blancs-Manteaux

Sont v'nues des dames comme il faut

Avec des beaux affûtiaux

La tête avec le chapeau

Dans le ruisseau des Blancs-Manteaux.

Nel frattempo, Estelle si mette della cipria e del rossetto. Mentre si trucca, cerca intorno a

sé uno specchio con aria inquieta. Fruga nella sua borsa, poi si volta verso Garcin.

ESTELLE

Non avrebbe per caso uno specchio? (Garcin non risponde.) Uno specchio, uno specchietto

da borsa, qualcosa? (Garcin non risponde.) Se dovete lasciarmi tutta sola, procuratemi

almeno uno specchio.

Garcin tiene la testa tra le mani, senza rispondere.

INES, premurosa.

Io, ho uno specchio nella borsa. (Fruga nella borsa. Con disappunto:) Non c'è più, devono

avermelo preso all'ingresso.

ESTELLE

Che strazio.

Una pausa. Estelle chiude gli occhi e vacilla. Inès si precipita a sostenerla.

ESTELLE, riapre gli occhi e sorride.

Mi sento sciocca. (Si tocca la faccia.) A lei non fa lo stesso effetto? Quando non mi vedo,

per quanto mi tocchi, mi chiedo se esisto per davvero.

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INES

Lei è fortunata. Io mi sento sempre da dentro.

ESTELLE

Ah! Sì, da dentro... Tutto quello che succede dentro le teste è così vago, mi fa venire sonno.

(Una pausa.) Ci sono sei grandi specchi nella mia camera da letto. Ecco, li vedo. Li vedo.

Ma loro non vedono me. Riflettono la poltrona, il tappeto, la finestra... com'è vuoto, uno

specchio, senza di me. Quando parlavo con qualcuno, ne cercavo sempre uno per potermi

guardare. Parlavo, e mi vedevo parlare. Mi vedevo come gli altri mi vedevano, e questo mi

teneva viva. (Con scoramento.) Il rossetto! Sono sicura di aver sbavato. Non posso mica

restare senza uno specchio per tutta l'eternità!

INES

Vuole che le faccia io da specchio? Venga da me, la invito. Si sieda sul mio divano.

ESTELLE, indica Garcin.

Ma...

INES

Non occupiamoci di lui.

ESTELLE

Prima o poi ci faremo del male. L'ha detto lei stessa...

INES

Ho forse l'aria di farle del male?

ESTELLE

Non si sa mai...

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INES

Sei tu che mi farai del male. Ma tanto che importa? Visto che bisogna soffrire, tanto vale

soffrire per te. Siediti. Vieni qui vicino. Di più. Guarda nei miei occhi: ti vedi?

ESTELLE

Sono piccola piccola. Mi vedo molto male.

INES

Ma io ti vedo bene. Tutta intera. Fammi delle domande, nessuno specchio sarà così fedele.

Estelle, in imbarazzo, si volta verso Garcin come per chiedere aiuto.

ESTELLE

Signore! Signore! Non le diamo fastidio con le nostre chiacchiere?

Garcin non risponde.

INES

Lascialo stare, lui non conta. Siamo sole. Fammi delle domande.

ESTELLE

Ho messo bene il rossetto sulle mie labbra?

INES

Fa' vedere. No, non molto bene.

ESTELLE

Lo sapevo. Meno male che (getta uno sguardo a Garcin) nessuno mi ha vista. Riprovo.

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INES

Ora va meglio. No, segui il disegno delle labbra. Aspetta, ti guido: così, così. Bene.

ESTELLE

Bene come quando sono entrata poco fa?

INES

Meglio di poco fa: più intenso, più crudele. La tua bocca è l'inferno.

ESTELLE

Hum! Ed è una cosa bella? Com'è irritante, non posso giudicare da sola. Me lo può giurare

che va bene?

INES

Non vuoi che ci diamo del tu?

ESTELLE

Me lo puoi giurare, che va bene?

INES

Sei bella.

ESTELLE

Ma lei ha buon gusto? Ha il mio gusto? Com'è irritante, com'è irritante.

INES

Io ho il tuo gusto, dal momento che tu mi piaci. Guardami bene. Sorridimi. Anch'io non

sono brutta. Non valgo più di un semplice specchio?

ESTELLE

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Non so... Lei mi mette soggezione. La mia immagine negli specchi era addomesticata. La

conoscevo così bene... Ecco, sorrido: il mio sorriso sprofonderà nella sue pupille e Dio sa

che cosa accadrà...

INES

E chi ti impedisce di addomesticarmi? (Si guardano. Estelle sorride, un po' sedotta.) Non

vuoi proprio darmi del tu?

ESTELLE

Faccio fatica a dare del tu alle donne.

INES

Soprattutto alle impiegate della posta, vero? Che cos'hai là sulla sulla guancia? Una macchia

rossa?

ESTELLE, sussultando.

Una macchia rossa, oddio! Dove?

INES

Là! Là! Sono lo specchietto per le allodole, mia piccola allodoletta, ti tengo in pugno! Non

c'è nessuna macchia rossa. Nessuna. Allora? E se lo specchio si mettesse a mentire? O se

chiudessi gli occhi, se non ti volessi più guardare, che cosa te ne faresti di tutta questa

bellezza? Non avere paura: io devo guardarti, i miei occhi resteranno spalancati. E sarò

gentile, molto gentile. Ma tu mi darai del tu.

Una pausa.

ESTELLE

Ti piaccio?

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INES

Molto.

Una pausa.

ESTELLE, indicando Garcin con un cenno del capo.

Vorrei che mi guardasse anche lui.

INES

Certo! Perché lui è un uomo. (A Garcin.) Ha vinto. (Garcin non risponde.) Ma la guardi,

una buona volta! (Garcin non risponde.) Non reciti la commedia: non ha perso una parola di

quello che ci siamo dette.

GARCIN, alzando bruscamente la testa.

Può ben dirlo, non una parola: avevo un bell'infilarmi le dita nelle orecchie, vi sentivo

parlare nella mia testa. Mi lascerete in pace, adesso? Non ho niente da spartire con voi.

INES

Neanche con la biondina? Ho capito il suo gioco: si dà un sacco di arie per fare colpo sulla

ragazza.

GARCIN

Le dico di lasciarmi in pace. C'è qualcuno che sta parlando di me al giornale e vorrei

sentire. Me ne frego della ragazza, se questo la può tranquillizzare.

ESTELLE

Grazie.

GARCIN

Non volevo essere volgare...

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ESTELLE

Cafone.

Una pausa. Sono in piedi, gli uni di fronte agli altri.

GARCIN

Ecco fatto! (Una pausa.) Vi avevo supplicato di stare in silenzio.

ESTELLE

Ha cominciato lei. E' lei che mi ha offerto il suo specchio, io non avevo chiesto niente.

INES

Niente. Ti stavi soltanto strusciando contro di lui e facevi la scema perché lui ti guardasse.

ESTELLE

E allora?

GARCIN

Ma siete pazze? Non vi rendete conto di dove siamo. Piantatela! (Una pausa.) Torniamo a

sederci piano piano, chiudiamo gli occhi e ciascuno cercherà di dimenticare la presenza

dell'altro.

Una pausa, Garcin si risiede. Le donne vanno verso il loro posto con passo esitante. Inès si

volta bruscamente.

INES

Ah! Dimenticare. Che sciocchezza. Io la sento fino dentro le mie ossa, Garcin. Il suo

silenzio mi urla nelle orecchie. Anche se si sigillasse la bocca, se si tagliasse la lingua, come

potrebbe impedirsi di esistere? O fermare il pensiero? Io lo sento, il suo pensiero: fa tic tac

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come una sveglia, e so che lei sente il mio. Per quanto si rannicchi sul suo divano, lei è

dappertutto, i suoni arrivano alle mie orecchie insudiciati perché li ha già sentiti lei mentre

vagavano. Mi ha rubato persino il mio volto: lei lo riconosce e io non lo riconosco più. E la

ragazza? La ragazza? Mi ha rubato anche quella: se fossimo state sole, crede che avrebbe

osato trattarmi come mi ha trattata? No, no, tolga le mani dalla faccia, io non la lascerò in

pace, sarebbe troppo comodo. Lei se ne starà là, insensibile, tuffato in se stesso come un

Buddha, io avrò gli occhi chiusi e sentirò che la ragazza le dedica tutti i rumori della sua

vita, compreso il fruscio del suo vestito, e che le manda sorrisini che lei non vede...

Nossignore! Voglio scegliermelo, il mio inferno; voglio guardarvi con gli occhi spalancati e

lottare a viso aperto.

GARCIN

E va bene. Immagino che ci dovevamo arrivare; ci hanno manovrato come bambini. Se

almeno mi avessero messo con degli uomini... gli uomini sanno tacere. Ma è inutile farsi

troppo domande. (Si avvicina a Estelle e le passa la mano sotto il mento.) Allora, biondina,

ti piaccio? Pare che tu mi abbia notato...

ESTELLE

Non mi tocchi.

GARCIN

Bah! Mettiamoci comodi. Mi piacevano molto le donne, sai? E anch'io piacevo a loro.

Mettiti comoda, non abbiamo niente da perdere. Buone maniere, tante cerimonie, a cosa

servono tra di noi? Presto saremo nudi come vermi.

ESTELLE

Mi lasci.

GARCIN

Come vermi. Ah, ve lo avevo detto. Io non vi avevo chiesto niente se non un po' di pace e

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un po' di silenzio. Mi ero messo le dita nelle orecchie. Gomez stava parlando, in piedi tra i

tavoli, tutti i colleghi del giornale ascoltavano. In maniche di camicia. Volevo capire quello

che diceva, ma era difficile: le cose sulla terra succedono così in fretta. E voi non potevate

tacere? Adesso è tardi, non parla più, quello che pensa di me è rientrato nella sua testa. E va

bene, bisognerà che andiamo fino in fondo. Nudi come vermi: voglio sapere con chi ho a

che fare.

INES

Lo sa. Adesso lo sa.

GARCIN

Fintanto che ciascuno di noi non avrà rivelato il motivo della sua condanna, nessuno saprà

niente. Tu, bella bionda, comincia tu. Perché. Dicci perché. La sincerità può evitare la

catastrofe; una volta che conosceremo i nostri mostri... Allora, perché?

ESTELLE

Vi dico che non lo so. Non hanno voluto spiegarmelo.

GARCIN

Capisco. Neanche a me hanno voluto rispondere. Però io mi conosco. Hai paura di parlare

per prima? Va bene. Comincio io. (Una pausa.) Io non sono una brava persona.

INES

Ma certo. Sappiamo che lei è un disertore.

GARCIN

Lasci stare questo. Non parli mai più di questo. Io sono qui perché ho torturato mia moglie.

Fine. Per cinque anni. Ovviamente lei soffre ancora. Eccola: ogni volta che parlo di lei, la

vedo. A me interessa Gomez, e vedo lei. Dov'è Gomez? Per cinque anni. Ditemi voi: le

hanno restituito i miei effetti personali, lei è seduta vicino alla finestra e ha messo la mia

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giacca sulle ginocchia. La giacca con i dodici fori. Il sangue sembra ruggine. I bordi dei fori

sono rossastri. Cazzo, è una giacca da museo, un pezzo storico. E l'ho portata io. Piangerai?

Piangerai una buona volta? Tornavo a casa ubriaco come un maiale, puzzavo di vino e di

femmine. Lei mi aveva aspettato sveglia tutta la notte: e non piangeva. E, ovviamente, non

una parola di rimprovero. Ma i suoi occhi... i suoi grandi grandi occhi... Non mi pento di

niente. Pagherò ma non rimpiango niente. Fuori nevica. Piangerai una buona volta? E' una

donna con la vocazione al martirio.

INES, quasi con dolcezza.

Perché l'ha fatto soffrire tanto?

GARCIN

Perché era facile. Bastava una parola per farla arrossire, intuiva ogni cosa. Mai un

rimprovero! Io sono un bastardo. Aspettavo, aspettavo sempre. E lei niente, non una

lacrima, non un rimprovero. L'avevo raccolta io per strada, capite? Passa la mano sulla

giacca, senza guardarla. Le sue dita cercano i fori alla cieca. Cosa stai aspettando? Cosa

speri? Ti dico che non rimpiango niente. Insomma: il fatto è che mi ammirava troppo.

Capisce di cosa parlo?

INES

No. Nessuno mi ha mai ammirata.

GARCIN

Meglio per lei. Sul serio. Se tutto questo vi sembra astratto, vi racconto un aneddoto: avevo

portato a vivere a casa mia la mia amante mulatta. Che notti! Mia moglie dormiva al piano

di sopra, e ci sentiva senz'altro. Come se non bastasse, si alzava per prima e, siccome noi

dormivamo fino a tardi, ci portava la colazione a letto.

INES

Che maiale!

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GARCIN

Ma sì, ma sì, il maial prodigo. (Sembra distratto da qualcosa.) No, niente, è Gomez ma non

sta parlando di me. Un maiale, dice? Accidenti! Se no che ci starei a fare qui? E lei?

INES

Dunque: io ero quella che laggiù chiamano una donna dannata. Già dannata, capisce?

Quindi, nessuna sorpresa.

GARCIN

Tutto qui?

INES

No, c'è anche la storia con Florence. Ma è una storia di morti. Tre morti. Prima lui, poi lei e

io. Non c'è più nessuno laggiù, sono tranquilla; solo la camera. Ecco, vedo la camera ogni

tanto. Vuota, con le imposte chiuse. Ah! Alla fine hanno tolto i sigilli. Affittasi... La

affittano. C'è scritto sulla porta. E'... ridicolo.

GARCIN

Tre? Ha detto tre?

INES

Tre.

GARCIN

Un uomo e due donne.

INES

Sì.

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GARCIN

Pensa. (Una pausa.) Lui si è ucciso?

INES

Lui? Non era capace. E comunque non ha sofferto. No, l'ha investito un tram. Divertente. Io

abitavo da loro, era mio cugino.

GARCIN

Florence era bionda?

INES

Bionda? (Un'occhiata a Estelle.) Sa, non mi pento di niente ma non diverte raccontarle

questa storia.

GARCIN

Forza! Forza! Lei era disgustata da lui?

INES

A poco a poco. Una parola oggi, un gesto domani. Faceva rumore mentre beveva, per

esempio, soffiava con il naso dentro il bicchiere. Scemenze. Era un poveraccio, molto

vulnerabile. Perché sorride?

GARCIN

Perché io non sono vulnerabile.

INES

Vedremo. Io mi sono insinuata in lei, e lei lo ha visto con i miei occhi... Alla fine, lei mi è

caduta tra le braccia. Abbiamo preso una camera dall'altra parte della città.

GARCIN

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Dopo?

INES

Dopo c'è stato il tram. Io le dicevo tutti i giorni: hai visto, tesoro, lo abbiamo ucciso! (Una

pausa.) Io sono cattiva.

GARCIN

Sì. Anch'io.

INES

No. Lei non è cattivo. Lei è un'altra cosa.

GARCIN

Cosa?

INES

Glielo dirò dopo. Io, invece, sono cattiva: significa che ho bisogno della sofferenza degli

altri per esistere. Una fiamma. Una torcia nei cuori. Quando sono sola, mi spengo. Per sei

mesi, ho bruciato nel suo cuore; ho incendiato tutto. Lei si è alzata una notte, ha aperto il

gas senza che me ne accorgessi e poi si è rimessa a dormire vicino a me. Ecco.

GARCIN

Mmh...

INES

Cosa c'è?

GARCIN

Niente. Storia squallida.

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INES

Certo, storia squallida. E allora?

GARCIN

Niente, ha ragione. (A Estelle.) Tocca a te. Cosa hai fatto?

ESTELLE

Vi ho detto che non ne so niente. Più me lo chiedo...

GARCIN

Va bene. Adesso ti aiutiamo noi. Il tipo dal volto fracassato, chi è?

ESTELLE

Quale tipo?

INES

Lo sai benissimo. Quello di cui avevi paura appena sei entrata.

ESTELLE

E' un amico.

GARCIN

Perché avevi paura di lui?

ESTELLE

Voi non avete nessun diritto di interrogarmi.

INES

Si è ucciso per te?

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ESTELLE

Ma no, lei è pazza.

GARCIN

Allora perché ti faceva paura? Si è tirato un colpo di fucile in faccia, vero? E' questo che gli

ha staccato la testa?

ESTELLE

Smettetela! Smettetela!

GARCIN

Per colpa tua! Per colpa tua!

INES

Un colpo di fucile per colpa tua!

ESTELLE

Lasciatemi stare. Mi fate paura. Voglio andarmene! Voglio andarmene!

Si precipita verso la porta e bussa..

GARCIN

Vattene, non chiedo di meglio. Peccato che la porta sia chiusa dall'esterno.

Estelle suona, il campanello non funziona. Inès e Garcin ridono. Estelle si gira verso di loro

restando appoggiata alla porta.

ESTELLE, lentamente, con voce roca.

Siete spregevoli.

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INES

Esatto, spregevoli. Allora? Quindi il tipo si è ucciso per colpa tua. Era il tuo amante?

GARCIN

Ma certo che era il suo amante. E voleva averla per sé soltanto. Non è così?

INES

Ballava il tango come un professionista, ma era povero, mi sa.

Una pausa.

GARCIN

Ti stiamo chiedendo se era povero.

ESTELLE

Sì, era povero.

GARCIN

E tu, tu avevi una reputazione da difendere. Un giorno è venuto, ti ha supplicata e tu lo hai

preso in giro.

INES

Vero? Allora? Lo hai preso in giro? E' per questo che si è ucciso?

ESTELLE

La guardavi con questo occhi, Florence?

INES

Sì.

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Una pausa. Estelle si mette a ridere.

ESTELLE

Siete fuori strada. (Si ricompone, sempre appoggiata alla porta. Con tono asciutto e

provocatorio:) Voleva che facessimo un bambino. Ecco, siete contenti?

GARCIN

E tu non volevi?

ESTELLE

No. Ma il bambino è arrivato lo stesso. Io sono andata cinque mesi in Svizzera. Nessuno ha

saputo niente. Era una bambina. Roger era vicino a me quando è nata. Lo divertiva avere

una figlia. A me no.

GARCIN

Dopo?

ESTELLE

C'era un balcone, sopra il lago. Ho preso una grossa pietra. Lui gridava: “Estelle, ti prego, ti

supplico.” Lo detestavo. Ha visto tutto. Si è sporto dal balcone e ha visto i cerchi sul lago.

GARCIN

Dopo?

ESTELLE

Niente. Io sono tornata a Parigi. Lui ha fatto quello che ha voluto.

GARCIN

Cioè si è fatto saltare la testa?

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ESTELLE

Certo. Ma non ne valeva la pena: mio marito non si è mai accorto di niente. (Una pausa.) Vi

odio.

Ha una crisi, singhiozza senza lacrime.

GARCIN

Inutile. Qui le lacrime non scendono.

ESTELLE

Come sono vigliacca! Che vigliacca! (Una pausa.) Se sapeste quanto vi odio!

INES, prendendola tra le braccia.

Povera piccola! (A Garcin.) L'interrogatorio è finito. Non è il caso di tenere quel grugno da

carnefice.

GARCIN

Da carnefice... (Si guarda intorno.) Darei qualunque cosa per vedermi in uno specchio.

(Una pausa.) Che caldo! (Si toglie macchinalmente la giacca.) Oh, mi scusi.

ESTELLE

Può benissimo restare in camicia. A questo punto...

GARCIN

Certo. (Getta la giacca sul divano.) Non devi avercela con me, Estelle.

ESTELLE

Ma io non ce l'ho con lei.

INES

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E con me? Con me ce l'hai?

ESTELLE

Sì.

Una pausa.

INES

Allora, Garcin? Eccoci qui, nudi come vermi. Ci vede più chiaro adesso?

GARCIN

Non lo so. Forse un po' più chiaro. (Timidamente.) E se provassimo ad aiutarci a vicenda?

INES

Io non ho bisogno d'aiuto.

GARCIN

Inès, hanno ingarbugliato tutti i fili. A ogni suo minimo gesto, se lei alza una mano per farsi

aria, io ed Estelle sentiamo lo strattone. Nessuno di noi può salvarsi da solo; dobbiamo

perderci insieme o cavarcela insieme. Scelga. (Una pausa.) Che cosa c'è?

INES

L'hanno affittata. Hanno spalancato le finestre, c'è un uomo seduto sul mio letto. L'hanno

affittata! L'hanno affittata! Entri, entri pure, prego. E' una donna. Va verso di lui, gli mette le

mani intorno al collo... Cosa aspettano ad accendere la luce, non si vede più niente... Si

stanno baciando? Quella è la mia camera! E' mia! E perché stanno al buio? Non riesco più a

vederli. Cosa stanno sussurrando? Non starà accarezzandola sul mio letto! Ma, lei gli sta

dicendo che è mezzogiorno e che c'è il sole... sto diventando cieca. (Una pausa.) Fine. Più

niente: non vedo più, non sento più. Credo di aver chiuso i conti, con la terra. Non ho più

scuse. (Rabbrividisce.) Mi sento vuota. Adesso sono davvero morta. Qui, tutta intera. (Una

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pausa.) Cosa stava dicendo? Diceva di volermi aiutare, mi pare?

GARCIN

Sì.

INES

A fare cosa?

GARCIN

A sventare i loro piani.

INES

E io, in cambio?

GARCIN

Anche lei mi aiuterà. Non ci vorrà molto, Inès: solo un po' di buona volontà.

INES

Buona volontà... E dove vuole che la trovi? Io sono appassita.

GARCIN

E perché, io? (Una pausa.) Ma se provassimo lo stesso?

INES

Sono inaridita. Non posso né dare né ricevere: come può pretendere che la aiuti? Un ramo

secco, che sta per bruciare. (Una pausa. Guarda Estelle che ha la testa tra le mani.)

Florence era bionda.

GARCIN

Lei sa che questa ragazza sarà il suo carnefice?

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INES

Potrei benissimo non saperlo.

GARCIN

E' grazie a questa ragazza che riusciranno ad averla vinta su di lei. Per quanto mi riguarda,

io... io... a me la biondina non interessa. Se quindi lei volesse..

INES

Cosa?

GARCIN

E' una trappola. La stanno tenendo d'occhio per capire se si lascerà prendere.

INES

Sì, lo so. Anche lei è una trappola. Crede forse che le sue parole non fossero previste? E che

non vi si nascondano dei trabocchetti invisibili per noi? Tutto è una trappola. Ma cosa me ne

può importare? Anch'io sono una trappola. Una trappola per la ragazza. Forse sarò io a

intrappolarla.

GARCIN

Le non intrappolerà nessuno. Noi ci corriamo dietro come cavalli in un bosco, senza mai

raggiungerci: creda pure che tutto sia stato previsto. Lasci perdere, Inès. Apra le mani, molli

la presa. Altrimenti farà solo del male a tutti e tre.

INES

Crede che io sia una che molla la presa? So benissimo cosa mi aspetta. Brucerò, sto già

bruciando, e so che questo non avrà mai fine. So già tutto: crede che mollerò la presa? Io

avrò la ragazza, ed Estelle la vedrà con i miei occhi, proprio come Florence vedeva l'altro.

Cosa mi parla a fare della sua sventura? Le ho già detto che so tutto, e che non posso avere

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pietà nemmeno per me stessa. Una trappola, ah! Una trappola. Certo che sono presa in

trappola. E allora? Meglio così, almeno saranno contenti.

GARCIN, prendendola per le spalle.

Io posso avere pietà di lei. Mi guardi: noi siamo nudi. Fino alle ossa, e io vedo fin dentro il

suo cuore. Ci lega un filo: crede che voglia farle del male? Io non rinnego niente, anch'io

non mi compiango; anch'io sono inaridito. Ma di lei, posso avere pietà.

INES, che si è lasciata tenere per le spalle mentre Garcin parlava, si scuote.

Non mi tocchi. Destesto che mi si tocchi. E se la tenga, la sua pietà! Via, Garcin, ci sono

abbastanza trappole anche per lei in questa stanza. Si prepari ad affrontare le sue. Farebbe

meglio a pensare ai fatti suoi. (Una pausa.) Se ci lascerà tranquille, la ragazza e io, farò in

modo di non darle fastidio,

GARCIN, dopo averla guardata un istante, alza le spalle.

Va bene.

ESTELLE, rialzando la testa.

Aiuto, Garcin.

GARCIN

Cosa vuole da me?

ESTELLE, alzandosi e avvicinandosi all'uomo.

Lei può aiutarmi.

GARCIN

Si rivolga a lei.

Inès si è avvicinata a Estelle, e si posiziona vicinissimo a lei, alle sue spalle, senza toccarla.

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Durante le seguenti battute, le parlerà quasi nell'orecchio. Ma Estelle, rivolta verso Garcin,

che la osserva senza parlare, risponderà solo a quest'ultimo come se fosse l'uomo a farle le

domande.

ESTELLE

La prego, me l'ha promesso. Garcin, lei ha promesso! Avanti, avanti, non voglio restare sola,

Olga l'ha portato al dancing.

INES

Chi ha portato al dancing?

ESTELLE

Pierre. Ballano insieme.

INES

Chi è Pierre?

ESTELLE

Un bamboccio. Mi chiamava la sua “acqua viva”. Mi voleva bene. E lei lo ha portato al

dancing.

INES

Tu lo amavi?

ESTELLE

Si risiedono. Lei è senza fiato. Ma perché balla? A meno che non sia per dimagrire... Ma

certo che no. Ovvio che non lo amavo: ha solo diciotto anni, e io non sono un'orchessa.

INES

Allora lasciali in pace. Che ti importa di loro?

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ESTELLE

Lui era mio.

INES

Non c'è più niente di tuo sulla terra.

ESTELLE

Era mio...

INES

Appunto: era... Prova a prenderlo, prova a toccarlo. Olga, lei può toccarlo. Non è così? Non

è così?

Lei può tenergli le mani, strusciarsi contro le sue ginocchia.

ESTELLE

Lo schiaccia contro il suo enorme seno, respira nel suo respiro. Povero bimbo, povero

piccolo bimbo, cosa aspetti a scoppiare a riderle in faccia? Ah! Mi sarebbe bastato uno

sguardo, e lei non avrebbe mai osato... Non conto proprio davvero più nulla?

INES

Più nulla. E non c'è più nulla di te sulla terra: tutto quello che hai è qui. Vuoi il tagliacarte?

O il bronzo di Barbedienne? Hai il divano blu. E me, piccola mia, io sono tua per sempre.

ESTELLE

Tu? Mia? Ma chi di voi due avrebbe mai il coraggio di chiamarmi la sua “acqua viva”? Non

vi si inganna, a voi due. Voi sapete che io sono spazzatura. Pensa a me, Pierre, non pensare

che a me, difendimi: fintanto che tu pensi: la mia “acqua viva”, la mia cara “acqua viva”, io

sono qui solo per metà, sono colpevole solo per metà, sono acqua viva, laggiù, vicino a te.

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Lei è rossa come un peperone. Andiamo, è impossibile: abbiamo riso di lei cento volte

insieme. Cos'è questo brano? Uh, come mi piaceva! Ah, è Saint Louis Blues... Va bene,

ballate, ballate. Garcin, si divertirebbe un mondo se potesse vederli. Olga non saprà mai che

io la vedo. Io ti vedo, ti vedo, con la tua pettinatura sfatta, il tuo volto scomposto, lo vedo

che gli schiacci i piedi. E' da morir dal ridere. Dài, più veloce, più veloce! La tira, la spinge.

E' inguardabile! Più in fretta! A me diceva: sei così leggiadra. Avanti! Avanti! (Balla mentre

continua a parlare.) Ti dico che ti sto vedendo. Ma lei se ne frega, balla anche attraverso il

mio sguardo. La nostra cara Estelle! Come? La nostra cara Estelle? Ma taci! Se non ha

nemmeno versato una lacrima al funerale. Lei gli sta dicendo ancora: “La nostra cara

Estelle”. Ha la sfrontatezza di parlargli di me. Avanti! A tempo. Non sei il tipo che può

parlare mentre balla. Ma che cosa... No! No! Non dirglielo! Te lo lascio, prenditelo,

portatelo via, tienitelo, fanne quello che vuoi ma non dirgli... (Smette di ballare.) Ecco.

Bene, puoi tenertelo adesso. Gli ha detto tutto, Garcin: Roger, il viaggio in Svizzera, il

bambino, gli ha raccontato tutto.

“La nostra cara Estelle non era...”. No, infatti, non era... Lui scuote la testa con aria triste,

ma non sembra proprio che la notizia lo abbia sconvolto. Tienitelo, a questo punto. Tieniti le

sue lunghe ciglia e i suoi modi da femminuccia. Ah, mi chiamava la sua “acqua viva”, il suo

cristallo. Ecco, il cristallo è in frantumi. “La nostra cara Estelle”. Ballate! Avanti, ballate! A

tempo. Uno, due. (Balla.) Darei qualsiasi cosa per tornare sulla terra un istante, e per ballare

(Continua a ballare. Una pausa.) Non sento più molto bene. Hanno spento le luci come per

un tango; perché suonano così piano? Più forte! Com'è lontano! Io... non sento più niente.

(Smette di ballare.) Più niente. La terra mi ha lasciata. Garcin, guardami, prendimi tra le tue

braccia.

Inès, alle spalle di Estelle, fa segno a Garcin di spostarsi.

INES, autoritaria.

Garcin!

GARCIN, indietreggia di un passo e indica Inès a Estelle.

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Si rivolga a lei.

ESTELLE, lo afferra.

Non mi lasci! E' o non è un uomo? Mi guardi, allora, non distolga lo sguardo: sono davvero

così sgradevole? Ho i capelli come l'oro e, dopo tutto, c'è chi si è ucciso per me. La

supplico, qualcosa dovrà pur guardare. Se non sarò io, sarà il bronzo, il tavolo o il divano.

Tra tutto, io sono la cosa più gradevole. Ascolta: sono caduta dai loro cuori come un

uccellino fuori dal nido. Raccoglimi, prendimi nel tuo cuore, vedrai come sarò docile.

GARCIN, respingendola con forza.

Le ho detto di rivolgersi a lei.

ESTELLE

A lei? Ma lei non conta: lei è una donna.

INES

Io non conto? Ma uccellino, allodoletta, è da un bel po' che sei al riparo, qui, nel mio cuore.

Non aver paura, ti guarderò io, senza sosta, senza un battito di ciglia. Vivrai nei mio sguardo

come una pagliuzza dentro un raggio di sole.

ESTELLE

Un raggio di sole? Ma fammi il piacere! Ci ha già provato poco fa con me, e le è andata

male.

INES

Estelle! Mia acqua viva, mio cristallo.

ESTELLE

Suo cristallo? Che buffonata. Ma chi vuole prendere in giro. Avanti, tutti sanno che ho

scaraventato il bambino dalla finestra. Il cristallo è frantumato a terra e io me ne frego. Non

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sono più che questa mia pelle – e la mia pelle non è per lei.

INES

Vieni qui! Sarai quello che vorrai: acqua viva, acqua sporca, ti vedrai in fondo ai miei occhi

esattamente come vorrai.

ESTELLE

Mi lasci in pace! Lei non ha occhi! Ma cosa devo fare perché tu mi lasci in pace? Tieni!

Le sputa in faccia. Inès la lascia bruscamente.

INES

Garcin! Questa me la pagherà!

Una pausa. Garcin alza le spalle e va verso Estelle.

GARCIN

Allora? Vuoi un uomo?

ESTELLE

No, non un uomo. Voglio te.

GARCIN

Poche storie. Non importa chi avrebbe dovuto essere il fortunato. Dal momento che sono

qui, il fortunato sono io. E va bene. (Le abbraccia le spalle.) Non ho niente per piacerti, sai:

non sono un bamboccio e non ballo il tango.

ESTELLE

Ti prendo come sei. Magari potrò cambiarti...

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GARCIN

Ho i miei dubbi. Sappi che potrei... distrarmi. Ho altro per la testa.

ESTELLE

Che cosa?

GARCIN

Non ti interesserebbe.

ESTELLE

Mi siederò sul tuo divano. Aspetterò che ti occupi di me.

INES, scoppiando a ridere.

Ah, cagna! Come strisci! Come strisci! E non è nemmeno bello!

ESTELLE, a Garcin.

Non ascoltarla. Non ha occhi, non ha orecchie. Lei non conta.

GARCIN

Ti darò quello che potrò. Non è molto, sai. Non potrò amarti: ti conosco troppo bene.

ESTELLE

Ma mi desideri?

GARCIN

Sì.

ESTELLE

E' tutto quello che voglio.

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GARCIN

In questo caso...

Si china su di lei.

INES

Estelle! Garcin! State impazzendo! Io sono qui, io!

GARCIN

Sì, e allora?

INES

Davanti a me? Voi... non potete!

ESTELLE

E perché? Mi spogliavo sempre davanti alla mia cameriera.

INES, aggrappandosi a Garcin.

La lasci! La lasci! Non la tocchi con le sue mani sudicie di maschio!

GARCIN, respingendola violentemente.

Attenta: non sono un gentiluomo, non ho paura di picchiare una donna.

INES

Lei me l'aveva promesso, Garcin, me l'aveva promesso! La supplico, me l'aveva promesso!

GARCIN

E' lei che ha rotto l'accordo.

Inès si divincola e arretra in fondo alla stanza.

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INES

Faccia quello che vuole, è lei il più forte. Ma si ricordi che io sono qua e vi guardo. Io non

vi staccherò gli occhi di dosso, Garcin: dovrà baciarla sotto il mio sguardo. Come vi odio,

tutti e due! Amatevi, amatevi pure! Siamo all'inferno, verrà il mio turno.

Durante la scena seguente, Inès li guarda senza dire una parola.

GARCIN, ritorna da Estelle e le cinge le spalle.

Dammela, la tua bocca.

Una pausa. Si china su di lei e bruscamente si rialza.

ESTELLE, con un gesto di disappunto.

Ah!... (Una pausa.) Ti ho detto di non badare a lei.

GARCIN

E' proprio questo il problema. (Una pausa.) Gomez è al giornale. Hanno chiuso le finestre;

quindi è inverno. Sei mesi. Sono passati sei mesi da quando mi hanno... Ti avevo detto che

mi sarebbe successo, di distrarmi. Hanno freddo, hanno tenuto su le giacche... E' strano che

abbiano freddo laggiù: e che io abbia tanto caldo. Adesso stanno proprio parlando di me.

ESTELLE

Durerà molto... (Una pausa.) Raccontami almeno che cosa dicono.

GARCIN

Niente. Non dicono niente. E' una carogna, tutto qui. (Tende l'orecchio.) Una grossa

carogna. Boh! (Si riavvicina a Estelle.) Torniamo a noi! E tu, mi amerai?

ESTELLE, sorridendo.

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Chi lo sa?

GARCIN

Avrai fiducia in me?

ESTELLE

Che domanda sciocca. Sarai sempre sotto i miei occhi e non è certo con Inès che mi tradirai.

GARCIN

Certo che no. (Una pausa. Lascia le spalle di Estelle.) Io parlavo di un altro tipo di fiducia.

(Ascolta.) Ah! Continua continua! Di' quello che vuoi: tanto non sono lì per potermi

difendere. (A Estelle.) Estelle, devi darmi fiducia.

ESTELLE

Che strazio! Hai già la mia bocca, le mie braccia, tutto il mio corpo, potrebbe essere così

semplice... La mia fiducia? Ma io non ho fiducia da dare, io; mi irriti terribilmente. Ah!

Devi averla combinata proprio grossa per reclamare in questo modo la mia fiducia.

GARCIN

Sono stato fucilato.

ESTELLE

Lo so: avevi rifiutato di arruolarti. E dopo?

GARCIN

Io... Io non avevo esattamente rifiutato (Al pubblico invisibile sulla terra.) Parla bene, lui,

giudica, ma non dice che cosa bisognava fare. Dovevo forse andare dal generale e dirgli:

“caro generale, io non parto”? Che idiozia. Mi avrebbero sbattuto in galera. Io, invece,

volevo dare una testimonianza. Non volevo che la mia voce venisse soffocata. (A Estelle.)

Così... così ho preso il treno. Mi hanno preso mentre passavo la frontiera.

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ESTELLE

Dove volevi andartene?

GARCIN

In Messico. Volevo fondare là un giornale pacifista. (Una pausa.) Allora, di' qualcosa.

ESTELLE

Che cosa vuoi che ti dica. Hai fatto bene, dal momento che non volevi scappare. (Un gesto

infastidito di Garcin.) Ah! Tesoro, non posso mica indovinare quello che vuoi che ti si

risponda.

INES

Ma carina, bisogna dirgli che è scappato come un leone. Perché è scappato, il tuo tesoro. E'

questo che lo tormenta.

GARCIN

Scappato, partito. Ditelo un po' come volete.

ESTELLE

Ma per forza dovevi scappare. Se fossi rimasto, ti avrebbero messo dentro.

GARCIN

Appunto. (Una pausa.) Estelle, sono un vigliacco?

ESTELLE

Ma che ne so, amore mio, io non sono nei tuoi panni. Sta' a te deciderlo.

GRACIN, con un gesto stanco.

Io non decido niente.

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ESTELLE

In fin dei conti dovrai pur ricordarti: avrai avuto le tue buone ragioni per fare quello che hai

fatto.

GARCIN

Certo.

ESTELLE

E allora?

GARCIN

Ma quali sono le ragioni vere?

ESTELLE, demoralizzata.

Come sei complicato.

GARCIN

Io volevo dare una testimonianza, io... ci avevo riflettuto a lungo... Quali sono le ragioni

vere?

INES

Ecco! Ecco qui la questione. Saranno state le ragioni vere? Tu riflettevi, non volevi

impegnarti con superficialità. Ma la paura, l'odio e tutte le meschinità nascoste sono anche

quelle delle ragioni. Avanti, cerca la risposta, interrogati.

GARCIN

Smettila! Ci mancavano solo i tuoi consigli. Camminavo nella mia cella, giorno e notte,

avanti e indietro dalla finestra alla porta. Mi sono spiato. Ho braccato me stesso. Mi pare di

aver passato tutta la vita a interrogarmi, e poi niente, l'atto era là. Ho... ho preso il treno,

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questo è un fatto. Ma perché? Perché? Alla fine mi sono detto: sarà la mia morte a decidere;

se morirò dignitosamente, avrò provato di non essere un vigliacco...

INES

E come sei morto, Garcin?

GARCIN

Male. (Inès scoppia a ridere.) Oh, è stata un piccolo imprevisto di natura fisica. Io non

provo vergogna. Semplicemente, ogni cosa è rimasta sospesa all'infinito. (A Estelle.) Vieni

qui, tu. Guardami. Ho bisogno che qualcuno mi guardi mentre parlano di me sulla terra.

Amo i tuoi occhi verdi.

INES

Gli occhi verdi? Ma pensa un po'! E tu, Estelle? Tu ami i vigliacchi?

ESTELLE

Sapessi quanto me ne importa. Vigliacco o no, basta che baci bene.

GARCIN

Ciondolano la testa fumando i loro sigari; si stanno annoiando. E pensano: Garcin è un

vigliacco. Fiaccamente, debolmente. Per il fatto di dover pensare sempre a qualcosa. Garcin

è un vigliacco! Ecco cosa hanno deciso i miei colleghi. Tra sei mesi diranno: vigliacco come

Garcin. Avete una bella fortuna, voi due: nessuno pensa più a voi sulla terra. A me tocca la

sorte più dura.

INES

E sua moglie, Garcin?

GARCIN

Mia moglie cosa? E' morta.

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INES

Morta?

GARCIN

Avrò dimenticato di dirvelo. E' morta subito dopo. Saranno quasi due mesi.

INES

Di crepacuore?

GARCIN

Certo, di crepacuore. Di cos'altro poteva morire? Quindi, tutto va bene: la guerra è finita,

mia moglie è morta e io sono entrato nella storia.

Ha un singhiozzo improvviso e si passa la mano sul volto.

Estelle gli si avvicina.

ESTELLE

Tesoro, tesoro! Guardami, tesoro! Toccami, toccami. (Gli prende la mano e gliela appoggia

sul suo seno.) Metti la tua mano sul mio seno. (Garcin cerca di divincolarsi.) Lascia qui la

tua mano, lasciala qui, non muoverti. Moriranno, uno per uno. Cosa importa quello che

pensano? Dimenticali, ci sono solo io.

GARCIN, liberandosi la mano.

No, non dimenticano loro. Moriranno, sì, ma verranno degli altri che si passeranno il

testimone: ho lasciato la mia vita nelle loro mani.

ESTELLE

Tu pensi troppo!

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GARCIN

Cos'altro posso fare? Un tempo, potevo agire... Ah! Ritornare uno solo giorno in mezzo a

loro... Che rivincita! Ma ora sono fuori gioco; tirano le somme senza considerarmi, e hanno

ragione, visto che sono morto. Ho fatto la fin del topo. (Ride.) Sono cascato nel luogo

comune.

Una pausa.

ESTELLE, lentamente.

Garcin!

GARCIN

Eccoti. Allora, ascolta: adesso mi farai un piacere. No, non spaventarti. Lo so, ti sembra

strano che ti si possa chiedere aiuto, non ci sei abituata. Ma se vorrai, se farai uno sforzo,

potremo finalmente, una buona volta, amarci. Dunque: a migliaia ripetono che io sono un

vigliacco. Ma cosa sono, mille persone di fronte a un'anima, una sola, che affermasse con

tutte le sue forze che non sono scappato, che non posso essere scappato, che ho avuto

coraggio, dignità. Ecco: io... io sarei salvo. Vuoi credere in me? Mi saresti più cara della

mia stessa persona...

ESTELLE, ridendo.

Stupido! Piccolo stupido! Pensi davvero che potrei amare un vigliacco?

GARCIN

Ma poco fa hai detto...

ESTELLE

Ti stavo prendendo in giro. A me piacciono gli uomini, Garcin, gli uomini veri, con la pelle

ruvida, le mani forti. Tu non hai il mento di un vigliacco, non hai la bocca di un vigliacco,

non hai la voce di un vigliacco, i tuoi capelli non sono quelli di un vigliacco. Ed è per la tua

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bocca, per la tua voce, per i tuoi capelli, che io ti amo.

GARCIN

Davvero? Dici davvero?

ESTELLE

Vuoi che te lo giuri?

GARCIN

Allora li sfido tutti, quelli che stanno laggiù e quelli che stanno qui. Estelle, noi usciremo

dall'inferno. (Inès scoppia a ridere. Garcin si interrompe e la guarda.) Che cosa vuoi?

INES, ridendo.

Ma se non crede a una parola di quello che ti ha detto: come puoi essere così ingenuo?

“Estelle, sono un vigliacco?” Se sapessi quanto gliene importa!

ESTELLE

Inès. (A Garcin.) Non ascoltarla. Se vuoi la mia fiducia devi cominciare con il darmi la tua.

INES

Ma sì, ma sì! Dalle fiducia. Ha bisogno di un uomo, questo è certo, delle braccia di un uomo

intorno alla vita, dell'odore di un uomo, del desiderio di un uomo negli occhi di un uomo.

Per il resto... ah! Ti direbbe anche che sei Dio Padre, se questo potesse farti piacere.

GARCIN

Estelle! E' vero? Rispondi: è vero?

ESTELLE

Ma cosa vuoi che ti dica? Non capisco niente di tutte queste storie. (Picchia i piedi.) Com'è

tutto irritante! Anche se tu fossi un vigliacco, io ti amerei lo stesso, ecco! Non ti basta?

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Una pausa.

GARCIN, alle due donne.

Mi fate schifo.

Va verso la porta.

ESTELLE

Che cosa fai?

GARCIN

Me ne vado.

INES, pronta.

Non andrai lontano: la porta è chiusa.

GARCIN

Sarà bene che la aprano.

Preme il bottone del campanello. Il campanello non funziona.

ESTELLE

Garcin!

INES, a Estelle.

Tranquilla, il campanello è rotto.

GARCIN

Vi dico che apriranno. (Bussa alla porta.) Non vi posso più sopportare, non ne posso più.

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(Estelle gli si avvicina, lui la respinge.) Vattene! Mi fai ancora più schifo di lei. Non voglio

sprofondare dentro i tuoi occhi. Sei umida! Sei molle! Sei una piovra, sei una palude.

(Picchia contro la porta.) Volete aprire?

ESTELLE

Garcin, ti supplico, non andartene, non parlerò più, ti lascerò sempre tranquillo, ma non

andartene. Inès ha tirato fuori gli artigli, non voglio restare sola con lei.

GARCIN

Arrangiati. Non ti ho chiesto io di venire qui.

ESTELLE

Vigliacco! Vigliacco! Oh! E' proprio vero che sei un vigliacco.

INES, avvicinandosi a Estelle.

Allora, allodoletta, sei contenta? Mi hai sputato in faccia per fare colpo su di lui e abbiamo

litigato a causa sua. Ma il guastafeste adesso se ne va, ci lascia tra donne.

ESTELLE

Tu non otterrai niente; se questa porta si apre io scappo.

INES

E dove?

ESTELLE

Dovunque. Il più lontano possibile da te.

Garcin non ha mai smesso di bussare alla porta.

GARCIN

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Aprite, aprite, avanti! Accetto tutto: lo stivale di ferro, la gogna, il piombo fuso, la forca, il

supplizio, qualunque cosa bruci, laceri, voglio soffrire davvero. Meglio sbranato, meglio le

frustate, meglio il vetriolo piuttosto che questa sofferenza di testa, questo fantasma di

sofferenza che logora , che sfiora e che non fa mai abbastanza male. (Prende la maniglia

della porta e la scuote.) Volete aprire? (La porta si apre violentemente, rischiando di farlo

cadere.) Ah!

Una lunga pausa.

INES

Allora, Garcin? Se ne vada.

GARCIN, lentamente.

Mi chiedo perché la porta si sia aperta.

INES

Cosa sta aspettando? Presto, se ne vada!

GARCIN

No, non me ne vado.

INES

E tu, Estelle? (Estelle non si muove. Inès scoppia a ridere.) Allora? Chi? Chi di noi tre? La

strada è libera, chi ci trattiene? Ah! C'è da morir dal ridere! Siamo inseparabili!

Estelle la aggredisce alle spalle.

ESTELLE

Inseparabili? Garcin! Aiutami. Aiutami, presto. Trasciniamola in corridoio e chiudiamola

fuori dalla porta. Così imparerà...

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INES, dibattendosi.

Estelle! Estelle! Ti supplico, tienimi con te. Il corridoio no, non gettarmi nel corridoio!

GARCIN

Lasciala.

ESTELLE

Tu sei pazzo, lei ti odia.

GARCIN

E' per lei che sono rimasto.

Estelle lascia Inès e guarda Garcin stupefatta.

INES

Per me? (Una pausa.) E va bene, chiudete la porta. Fa dieci volte più caldo da quando è

aperta. (Garcin raggiunge la porta e la chiude.) Per me?

GARCIN

Sì. Perché tu, tu sai che io sono un vigliacco.

INES

Sì che lo so.

GARCIN

Tu sai che esistono il male, la vergogna, la paura. Ci sono stati giorni nei quali ti sei

guardata fin dentro il cuore – e questo ti ha spezzato le gambe e le braccia. E il giorno dopo

non sapevi più che cosa pensare, non riuscivi più a riconoscere le verità del giorno prima.

Sì, tu conosci il prezzo del male. E se tu dici che io sono un vigliacco, è perché sai bene di

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cosa stai parlando, vero?

INES

Sì.

GARCIN

E' te che devo convincere: tu sei della mia stessa specie. Credevi davvero che sarei andato?

Non potevo lasciarti qui, trionfante, con tutti quei pensieri in testa, tutti quei pensieri su di

me.

INES

Tu puoi veramente convincermi?

GARCIN

Non posso che fare quello. Loro non li sento più, sai. Probabilmente l'hanno finita una volta

per tutte, con me. Fine: la faccenda è archiviata, non sono più niente sulla terra, nemmeno

più un vigliacco. Inès, eccoci soli: non ci siete altri che voi due per pensare a me. Lei non

conta. Ma tu, tu che mi odi: se tu mi credi, tu mi salvi.

INES

Non sarà facile. Guardami: ho la testa dura.

GARCIN

Ci metterò il tempo che servirà.

INES

Oh! Abbiamo tutto il tempo. Tutto il tempo.

GARCIN, prendendola per le spalle.

Ascolta: ciascuno ha il suo obiettivo nella vita, non è vero? Io, me ne fregavo dei soldi,

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dell'amore. Volevo solo essere un uomo. Un duro. Ho puntato tutto su un solo cavallo.

Come si può essere vigliacchi quando scegliamo la strada più pericolosa? Si può giudicare

una vita intera da un solo atto?

INES

Perché no? Hai sognato per trent'anni di avere coraggio; e ti sei perdonato mille debolezze

perché agli eroi è tutto concesso. Comodo, no? Poi, nel momento del pericolo, ti sei trovato

con le spalle al muro e... hai preso un treno per il Messico.

GARCIN

Non l'ho sognato questo eroismo. L'ho scelto. Siamo quello che vogliamo essere.

INES

Provalo. Prova che non è stato un sogno. Solo gli atti sono giudici di quello che abbiamo

voluto.

GARCIN

Sono morto troppo presto. Non ho avuto il tempo di fare i miei atti.

INES

Si muore sempre troppo presto – o troppo tardi. E, nonostante questo, la vita resta là,

conclusa. La linea è tracciata, bisogna tirare le somme. Tu non sei altro che la tua vita.

GARCIN

Vipera! Hai una risposta per tutto.

INES

Avanti! Avanti! Non perderti d'animo. Dovrebbe esserti facile convincermi. Cerca dei buoni

argomenti, fai uno sforzo. (Garcin alza le spalle.) Allora, allora? Te l'avevo detto che eri

vulnerabile. Ah! Quanto la pagherai cara, adesso. Tu sei un vigliacco, Garcin, un vigliacco

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perché io lo voglio. Io lo voglio, capisci, io lo voglio! Eppure, vedi come sono debole, un

soffio: non sono nient'altro che lo sguardo che ti osserva, nient'altro che questo pensiero

incolore che ti pensa. (Garcin va verso di lei con le mani spalancate.) Ah! Si aprono

finalmente queste grandi mani da uomo. Ma cosa speri di fare? Non si catturano i pensieri

con le mani. Forza, non hai scelta: mi devi convincere. Ti tengo in pugno.

ESTELLE

Garcin!

GARCIN

Cosa c'è?

ESTELLE

Vendicati.

GARCIN

E come?

ESTELLE

Baciami. Vedrai come canta.

GARCIN

In effetti è vero, Inès. Mi tieni in pugno, ma anch'io ti tengo in pugno.

Si china su Estelle. Inès lancia un grido.

INES

Ah! Vigliacco! Vigliacco! Va' a farti consolare dalle femmine.

ESTELLE

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Canta, Inès, canta!

INES

Che bella coppia! Se tu vedessi la sua grossa zampa schiacciata sulla tua schiena, che fruga

la carne e la stoffa. Le sue mani madide, sudate. Lascerà una macchia blu sul tuo vestito.

ESTELLE

Canta! Canta! E tu, Garcin, stringimi più forte a te. Facciamola schiattare.

INES

Ma sì, stringila forte, stringila! Mescolate i vostri umori. Che bello l'amore, eh, Garcin? E'

tiepido e profondo come il sonno, ma io ti impedirò di dormire.

Disappunto di Garcin.

ESTELLE

Non ascoltarla. Bacia la mia bocca, sono tutta tua.

INES

Allora, Garcin, cosa aspetti? Fa' quello che ti dice. Garcin il vigliacco che tiene tra le

braccia Estelle l'infanticida. Le scommesse sono aperte. Garcin il vigliacco la bacerà? Io vi

vedo, io vi vedo: la mia solitudine è una moltitudine. Una moltitudine, Garcin, una

moltitudine, li senti? (Sussurrando.) Vigliacco! Vigliacco! Vigliacco! Invano tenti di

sfuggirmi, io non ti lascerò. Cosa cerchi sulle sue labbra? L'oblio? Non ci sarà oblio con me,

Garcin. E' me che devi convincere. Me. Vieni, vieni! Io ti aspetto. Vedi, Estelle, sta già

allentando l'abbraccio, è docile come un cagnolino... Non lo avrai mai!

GARCIN

Quindi non diventerà mai notte?

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INES

Mai.

GARCIN

E tu mi vedrai sempre.

INES

Sempre.

Garcin lascia Estelle e muove qualche passo nella stanza. Si avvicina al bronzo.

GARCIN

Il bronzo... (Lo accarezza.) Perfetto, è questo il momento. Il bronzo è qui, io lo guardo e

capisco di essere all'inferno. Vi dico che ogni cosa era prevista. Avevano previsto me, qui,

davanti a questo camino, la mia mano appoggiata a questo bronzo, con tutti questi sguardi

addosso. Tutti questi sguardi che mi divorano... (Si volta improvvisamente.) Ah! Ma siete

solo due? Vi credevo molte di più... (Ride.) Così è questo l'inferno. Non l'avrei mai

pensato... Vi ricordate: lo zolfo, il fuoco, la graticola... Ah, che sciocchezze. Nessuna

graticola: l'inferno sono gli Altri.

ESTELLE

Amore mio!

GARCIN, respingendola.

Lasciami. C'è lei tra di noi. Non ti posso amare se lei mi guarda.

ESTELLE

E va bene! Non ci guarderà più.

Prende il tagliacarte sul tavolo, si scaglia contro Inès e la colpisce a più riprese.

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INES, divincolandosi e ridendo.

Ma cosa stai facendo? Ma cosa stai facendo? Sei matta? Sai benissimo che sono già morta.

ESTELLE

Morta?

Lascia cadere il coltello. Una pausa. Inès raccoglie il coltello e si colpisce violentemente

con la lama.

INES

Morta! Morta! Morta! Né coltello, né veleno, né cappio. E' già stato, capisci? E noi saremo

insieme per sempre.

Ride.

ESTELLE, scoppiando a ridere.

Per sempre, mio Dio, che cosa assurda! Per sempre!

GARCIN, ride osservandole entrambe.

Crollano seduti, ciascuno sul proprio divano. Un lungo silenzio. Smettono di ridere e si

guardano. Garcin si alza.

GARCIN

E va bene, continuiamo.

SIPARIO

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JEAN-PAUL SARTRE - BIOGRAFIA ESSENZIALE5

Jean-Paul Sartre Jean-Paul Sartre nasce a Parigi il 21 giugno 1905 da Jean-

Baptiste Sartre, ufficiale di marina, e da Anne-Marie -Schweitzer (il celebre

"dottor Schweitzer" era cugino di Sartre).

Morendo il padre solo due anni dopo la nascita di Jean-Paul, la giovane

Anne-Marie si rifugia a Meudon dai suoi genitori. Qui il nonno materno

esercita sul futuro scrittore una profonda influenza, anche per quel che

concerne la sua precoce "vocazione" letteraria.

La madre passa quindi a nuove nozze con il direttore dei cantieri navali di

La Rochelle. Nella stessa città, il piccolo Jean-Paul frequenta il liceo. Dopo

aver conseguito il baccalaureato è ammesso alla Scuola Normale a Parigi.

A questi anni risale la sua conoscenza con Simone de Beauvoir, in seguito

pure lei celebre scrittrice e fervida promotrice di movimenti in difesa delle

donne, con la quale resterà sentimentalmente legato per tutta la vita.

Ottenuta l'abilitazione all'insegnamento, insegna filosofia a Le Havre.

Nel 1933 si reca per un anno a Berlino con una borsa di studio dell'Istituto

francese. Vi assiste alla presa del potere da parte dei nazisti, e legge per la

prima volta le opere di Husserl, Heidegger e Scheler.

Tre anni dopo, nel '36, pubblica il suo primo libro, il saggio filosofico

L'immaginazione.

Intanto, anche la sua carriera accademica subisce degli scossoni. Prima

insegna per un anno a Laon, poi diventa professore di filosofia al Liceo

Pasteur di Parigi. Sono anni importantissimi per la sua maturazione e una

5 http://biografieonline.it/

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riprova è nel fatto che nel '38 pubblica il romanzo La nausea e la raccolta di

novelle Il muro, nei quali già sono sviluppati i principi della filosofia

esistenzialista.

La nausea, più che un romanzo in senso stretto, è un 'racconto filosofico':

Roquentin, il narratore, scopre nell'angoscia che niente nella sua vita è

motivato o giustificato, e che, d'altra parte, questa gratuità non lo esime

dalla necessità di scegliere.

I cinque racconti de Il Muro, pubblicato l'anno seguente, esprimono questi

temi in un linguaggio più letterario, risolvendoli senza residui nel tessuto

narrativo. Per cui, più de La nausea, essi rivelano il clima socioculturale di

quegli anni. Il racconto che dà il titolo al volume rappresenta l'uomo in una

situazione estrema, e il suo sforzo di assumerla, padroneggiarla, superarla.

L 'esistenzialismo sartriano può infatti essere definito una filosofia della

libertà, della scelta e della responsabilità.

L 'uomo deve inventare la propria vita e il proprio destino, deve costruire i

propri valori. Non c'è un'essenza dell'uomo, che prefiguri la sua esistenza;

non ci sono norme, leggi, autorità che predeterminino il suo comportamento.

Solo i benpensanti, i farisei, che rifiutano la responsabilità di un'esistenza

libera, credono in una necessità esterna all'uomo, in una stabilità delle cose,

in un ordine metafisico che presieda alla vita della natura e della società.

I benpensanti rifiutano le esperienze radicali e rivelatrici del nulla, della

nausea, dell'angoscia, che Sartre ritiene fondamentali per provocare

nell'uomo la crisi da cui emerge l'esigenza della libertà e dei valori. Tale

precisazione sarà approfondita da Sartre, undici anni dopo, quando, su invito

di una rivista polacca, scriverà il saggio pubblicato poi come Questioni di

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metodo (1957). In questo saggio, e nella successiva Critica della ragione

dialettica (1960), egli cerca soprattutto di integrare il proprio

esistenzialismo nel pensiero marxista, da lui considerato 'l'insuperabile

filosofia del nostro tempo'. Intanto, in quegli anni, presta servizio militare a

Nancy, Brumath e Mossbronn. Scrive Immagine e coscienza, dove

l'immagine è vista come la prima espressione della libertà e del dramma

dell'uomo. Il 21 giugno viene fatto prigioniero dai tedeschi a Padoux, in

Lorena, e quindi internato a Treviri. Ottenuta la libertà (facendosi passare

per civile}, partecipa attivamente alla Resistenza clandestina e riprende

l'insegnamento al Liceo Pasteur e poi al Liceo Condorcet, dove insegna fino

alla liberazione di Parigi. Nel 1943 pubblica il suo primo dramma, Le

mosche (riprendendo l' Orestea di Eschilo), e il trattato d'ontologia

fenomenologica L' essere e il nulla.

Nel 1945 Fonda la rivista Les Temps Modernes, nella quale troveranno

espressione le tre esperienze fondamentali della sua vita: quella filosofica,

quella letteraria e quella politica. Escono L'età della ragione e Il rinvio, i

primi due volumi del ciclo romanzesco Le vie della libertà, e l'atto unico A

porte chiuse.

Pubblica i saggi L'esistenzialismo è un umanismo, Materialismo e

rivoluzione, L'antisemitismo, e i drammi La sgualdrina timorata e Morti

senza tomba. Ne L'esistenzialismo è un umanismo si preoccupa di precisare

in che senso vada inteso il termine, che era diventato in breve tempo così

generico "da non significare più nulla: o meglio, da significare le cose più

assurde". Compie un viaggio in Italia, con Simone de Beauvoir.

Negli anni successivi Sartre tornerà in Italia decine di volte.

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Anche l'attività politica è assai intensa. Dà vita, con Rousset, Rosenthal e

altri, a un nuovo partito: il 'Rassemblement Democratique Revolutionnaire',

d'ispirazione marxista ma privo d'impostazione classista; l'anno seguente il

risultato delle elezioni determinerà il fallimento di questo partito e,

successivamente, il suo scioglimento. Pubblica un lungo saggio su

Baudelaire e un altro dal titolo Che cos'è la letteratura? .

Si occupa anche di cinema, stendendo la sceneggiatura cinematografica Il

gioco è fatto.

Nel '49 appare La morte dell'anima", terzo volume della serie Le vie della

libertà, e il saggio Discussioni sulla politica.

Inoltre, escono il dramma Il diavolo e il buon Dio e il saggio Gide vivente.

Inizia la pubblicazione su Les Temps Modernes del lungo saggio I comunisti

e la pace, dove sostiene la fondamentale validità delle tesi marxiste,

sottolineando una posizione da 'compagno di strada critico'.

Lo scritto sartriano suscita clamorose polemiche con Camus, Merleau-Ponty

e Lefort. Appare anche il saggio Santo Genet, commediante e martire. Sullo

sfondo della guerra d'Indocina, si pronuncia sul caso Henri Martin, e

pubblica una raccolta di testi commentati che ha per titolo L'affare Henri

Martin. In maggio, con Simone de Beauvoir, visita l'URSS. Visita anche la

Cina, e scrive la prefazione a Da una Cina all'altra, libro fotografico di

Cartier-Bresson. Il numero di gennaio di Les Temps Modernes esce

interamente dedicato alla Rivolta ungherese. Sartre, che aveva già

pubblicato sull' "Express" una prima energica protesta, ribadisce, nel saggio

Il fantasma di Stalin, il suo atto di accusa contro la politica sovietica e

compie un'acuta analisi del dramma che ha sconvolto il campo socialista.

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Appare l'opera filosofica Critica della ragione dialettica, nella quale Sartre

instaura un colloquio critico tra il marxismo e il proprio esistenzialismo.

Risiede per un mese a Cuba, ospite di Fidel Castro, e vi dedica un reportage

su "France-Soir". È l'autore del famoso 'Manifesto dei 121' che proclama il

diritto all'insubordinazione per i francesi mobilitati nella guerra d'Algeria.

Dà la propria pubblica adesione al Reseau Jeanson, l'organizzazione

clandestina sostenitrice del Fronte Nazionale di Liberazione algerino.

Pubblica il saggio Merleau-Ponty vivente, e la Prefazione ai Dannati della

terra di Fanon. Nel 1963 esce l'opera autobiografica Le parole. Lo stesso

anno gli viene assegnato il premio Nobel per la letteratura. Sartre lo rifiuta,

giustificando il suo gesto con ragioni personali ("ho sempre declinato le

distinzioni ufficiali") e con ragioni obiettive ("io sto lottando per avvicinare

la cultura occidentale a quella orientale, e svuoterei la mia azione se

accettassi onorificenze da Est o da Ovest" ). Tiene un ciclo di conferenze in

Brasile. Pubblica Bariona, il suo primo dramma (scritto durante la prigionia

in Germania). Rifiuta un invito, rivoltogli da università americane, a

svolgere un ciclo di conferenze negli USA per protestare contro l'intervento

americano nel Vietnam. A questo proposito è fra i promotori e fra i membri

del Tribunale B. Russell, che in due sedute (maggio '67 a Stoccolma e

novembre '67 a Copenaghen), stende un documento di condanna. Appare il

volume miscellaneo "Che cosa può la letteratura?" e il dramma Le Troiane

in una riscrittura da Euripide. Pubblica i saggi La coscienza di classe in

Flaubert e Dal poeta all' artista.

Nell'inverno '66-'67, compie un giro di conferenze in Egitto e in Israele,

esprimendo in entrambi i paesi con grande franchezza la sua opinione sulla

Page 92: Jean-Paul Sartre A porte chiuse - Huis Clos testo e nota... · Jean-Paul Sartre A porte chiuse a cura di Paolo Bignamini La parola conclusiva sul suo stesso lavoro merita di essere

questione arabo-israeliana. Nel 1968, durante i fatti di maggio, Sartre prende

parte alle lotte studentesche, allineandosi alle posizioni politiche di alcuni

gruppi della sinistra extraparlamentare. Più tardi ribadirà questo

orientamento aspramente critico nei confronti del Partito Comunista

Francese e, sul piano internazionale, dell'U.R.S.S. in svariate occasioni: per

esempio, insorgendo contro l'invasione della Cecoslovacchia, e assumendo

la responsabilità giuridica di periodici "filocinesi".

Pubblica L'idiota di famiglia, saggio monografico dedicato a Gustave

Flaubert, in due tomi (più di 2000 pagine complessive).

Sartre muore a Parigi nel 1980.