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    MEDIAZIONITesti di base per comunicare

    Facoltà di Scienze della Comunicazione socialeUniversità Pontificia Salesiana

    Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1 - 00139 Romahttp://fsc.ups.urbe.it

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    ADRIANO ZANACCHI

    RelazioniPubbliche

    LAS - ROMA

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    © 2004 by LAS - Libreria Ateneo SalesianoPiazza dell’Ateneo Salesiano, 1 - 00139 ROMATel. 06 87290626 - Fax 06 87290629 - e-mail: [email protected] - http://las.ups.urbe.itISBN 88-213-0554-6

    Elaborazione elettronica: LAS Stampa: Tip. Abilgraph - Via Pietro Ottoboni 11 - Roma

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    Sommario

    Cap. 1: Perché è difficile definire le Relazioni Pubbliche ................ 7

    Cap. 2: Origini e sviluppo................................................................... 23

    Cap. 3: Le R.P. nell’area privata e in quella pubblica ..................... 51

    Cap. 4: Campi di applicazione, aspetti operativi, tecniche e mezzi. 79

    Cap. 5: La professione ........................................................................ 109

    Cap. 6: La Chiesa e le R.P. ................................................................. 131

    Riferimenti bibliografici ....................................................................... 141

    Indice analitico..................................................................................... 145

    Indice generale..................................................................................... 151

    Nota. La grafia dell’espressione “Relazioni Pubbliche” è quanto mai varia. Aparte l’abbreviazione “R.P.” che sarà spesso usata in questo testo, il ricorsoalle maiuscole o alle minuscole costituisce un piccolo campionario di variazionisul tema. Qui si è preferito l’uso delle maiuscole, per sottolineare la specificitàdi una disciplina professionale e di studio. Nelle citazioni di altri testi, tuttavia,verrà conservata la grafia originale e ciò non dovrà sembrare un esempio di di-sordine, ma solo una forma di rispetto per le scelte altrui.

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    Capitolo 1

    Perché è difficile definirele Relazioni Pubbliche

    L’espressione “Relazioni Pubbliche” può assumere significati no-tevolmente diversi, sia per quanto riguarda finalità e funzioni di que-sta “disciplina”, sia per ciò che concerne le sue pratiche.

    Nel classico manuale di Howard Stephenson le moderne Relazio-ni Pubbliche – all’americana Public relations (P.R.) – sono definitecome «rearrangement of forces and procedures always present ineconomic and social life. The historically minded have included Mo-ses and Lincoln, Sam Adams and Phineas T. Barnum as great pratic-tioners of the past» [Stephenson, 1960, p. 10].

    Il fatto di mettere insieme i nomi di Mosè, di Lincoln e di Adamscon quello di Barnum, creatore del più famoso circo del mondo epromotore dei suoi spettacoli con forme eccentriche di pubblicità econ iniziative clamorose capaci di catturare le prime pagine dei gior-nali, la dice lunga sull’elasticità del concetto. Strumento per la co-struzione di rapporti continuativi, fondati sulla trasparenza della co-municazione, sulla coltivazione del dialogo, sulla promozione dellafiducia, del mutuo interesse e della socialità, addirittura veicolo didemocrazia, oppure semplice espediente pratico per ottenere il con-senso su posizioni precostituite, senza darla a vedere, sostituendo ointegrando la petulanza e l’invadenza palesi della pubblicità e dellapropaganda?

    Per quanto diventata d’uso comune, in realtà, l’espressione “Re-lazioni Pubbliche” dà ancora luogo a incomprensioni, ambiguità,equivoci, imputabili specialmente al fatto che – come concetto e co-me funzione – le R.P. «si trovano ancora in uno stato fluido, che nonne ha finora consentito una soddisfacente definizione» [Cutlip e Cen-ter, 1999, p. 27]. Inoltre, «Molti definiscono le RP come dovrebberoessere, non per quello che invece talvolta sono» [Ibid.]. Ciò non im-

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  • 8 Capitolo 1

    pedisce a questi due autori di adottare, nel loro noto manuale, il ter-mine Relazioni Pubbliche «per designare tutte quelle attività e tuttequelle forme di comunicazione intese a creare buone, e reciproca-mente utili, relazioni col pubblico». Una definizione generica e mol-to succinta, che costituisce comunque un punto di partenza per unaserie di chiarimenti e di integrazioni che esamineremo nelle pagineche seguono, specialmente in questo e nei successivi due capitoli.

    Il ricorso alla parola “relazione” intende sottolineare la continuitàdi un rapporto, quale elemento costitutivo di qualsiasi aggregato so-ciale, formale o informale. Coltivare (o gestire o governare) le rela-zioni implica, di conseguenza, un processo organico e continuo dicomunicazione, volto a renderle operanti e feconde mediante il supe-ramento dell’occasionalità e lo scambio costante di informazioni ba-sato sulla piena trasparenza. Ciò avviene col sussidio di tecniche ap-propriate, in grado di coinvolgere un determinato insieme di persone(un “pubblico”) e di promuovere la conoscenza e la comprensione re-ciproca, un clima di fiducia e, desiderabilmente, una collaborazionecapace di portare anche all’adeguamento di attività e di programminell’interesse comune. La conciliazione degli interessi particolaridelle organizzazioni con l’interesse pubblico costituisce (o dovrebbecostituire) un aspetto fondativo delle Relazioni Pubbliche.

    Si parla, comunque, di relazioni pubbliche, come appare evidente,in quanto riferite all’insieme dei rapporti molteplici che una organiz-zazione, privata o pubblica, intrattiene con il pubblico in generale econ pubblici particolari, variamente denominati come vedremo piùavanti. Dobbiamo però introdurre un’altra eccezione, perché non tuttiritengono che le R.P. debbano rivolgersi all’opinione pubblica, cioèal pubblico in generale.

    Diversi studiosi indicano come fine ultimo delle R.P. la creazionedel consenso, vale a dire la conquista dell’approvazione, della fiduciae dell’appoggio. In effetti, le R.P. hanno una natura persuasoria inquanto tendono ad influenzare atteggiamenti e comportamenti, a par-tire dalla conoscenza, che è il primo obiettivo dell’azione persuaso-ria: ma lo fanno (o lo dovrebbero fare) per finalità e con metodi di-versi rispetto a quelli di altre forme di comunicazione, in primis lapubblicità e la propaganda, che del consenso sono altrettante artefici.La persuasione, come tentativo di influenzare conoscenze, atteggia-menti e comportamenti, è di per sé legittima, fino a quando i suoiscopi e i suoi metodi sono da considerare leciti: tema che affrontere-mo in seguito, nelle pagine dedicate alla dimensione etica delle R.P.

    La definizione di Cutlip e Center che abbiamo più sopra riportato,

  • Perché è difficile definire le Relazioni Pubbliche 9

    per quanto generica, è in ogni caso utile per sottolineare tre aspettibasilari:

    1. le Relazioni Pubbliche comprendono, come pratica, sia attivitàsia vere e proprie forme di comunicazione: questo riferimentotroverà il necessario sviluppo quando si tratterà dei campi diapplicazione, delle tecniche e dei mezzi delle R.P.;

    2. le Relazioni Pubbliche tendono a creare buone relazioni colpubblico: vedremo che il riferimento al pubblico in generale,come si è accennato, non è da tutti condiviso e che deve essereintegrato o sostituito da una serie di importanti specificazioni –si parlerà, quindi, di “pubblici” – dalle quali derivano ancheopportune scelte di tecniche e di mezzi;

    3. le “buone relazioni” che le R.P. mirano a costruire, presentanoil carattere della reciprocità: la loro utilità, infatti, non riguar-da solo chi le promuove, ma anche coloro che vengono coin-volti. Questa natura pro-sociale costituisce – o dovrebbe co-stituire – un fattore caratterizzante delle R.P. Non sempre, in-fatti, risulta chiaro (o effettivo) l’obiettivo di promuovere l’in-teresse comune: il solo miglioramento formale delle modalitàdi comunicazione non si traduce in un vantaggio sostanzialeper i destinatari.

    1.1. Relazioni pubbliche e comunicazione

    Anche il nome stesso delle Relazioni Pubbliche è fonte di diffi-coltà. In diversi Paesi europei l’espressione “Relazioni Pubbliche” èsostituita da ”Comunicazione”. Secondo una recente ricerca, allaquale avremo modi di attingere anche in seguito, in Europa, sul pianoprofessionale, si adotta in 11 Paesi il termine “Relazioni Pubbliche”,in 5 “Comunicazione”, in uno “Informazione” e in 6 si usano altredenominazioni non indicate [van Ruler e Vercic, 2002, p. 3]. Dallastessa ricerca emerge che, sempre in Europa, «il termine “Relazionipubbliche” (laddove viene utilizzato), è sempre più spesso sostituitoda “Management della comunicazione”, “Comunicazione d’impre-sa”, “Relazioni Esterne” o “Comunicazione integrata”». Possiamoaggiungere a questo elenco, come vedremo, anche “Comunicazioneistituzionale” [la ricerca alla quale abbiamo fatto – e faremo ulterior-mente – riferimento costituisce la base del “Bled Manifesto on PublicRelations”, redatto da Betteke van Ruler e Dejan Vercic e presentatonel 9° Simposio Internazionale di Ricerche sulle R.P. tenutosi nel lu-

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  • 10 Capitolo 1

    glio 2002 a Bled (Slovenia). Noi faremo riferimento, nelle citazioni,alla versione italiana, reperibile in http://www.ferpi.it, indicandonegli autori].

    L’Italia non fa eccezione. Da noi, come afferma il più noto espo-nente del mondo accademico e professionale delle R.P. (ai cui con-tributi si farà ampio ricorso in questo testo), «l’espressione “relazionipubbliche” non riscuote particolare gradimento nei “piani alti” dellegerarchie aziendali, fra gli stessi operatori, nell’accademia e neppurefra i consulenti di organizzazione». Ciò accade sia perché con taleespressione si indicano le attività più diverse, sia perché «i relatoripubblici sono stati, e sono ancora oggi, responsabili o complici dicomportamenti e decisioni discutibili sul piano etico, culturale, so-ciale, economico e, last but not least, estetico». Inoltre, «i giornalisti,ben consapevoli di quanto il loro lavoro dipenda dalle relazioni pub-bliche, ma prigionieri del mito del giornalismo indipendente e controil potere, non sempre gradiscono che i lettori ne siano al corrente, equesto crea un certo astio, una questione di principio verso le propriefonti» [Muzi Falconi 2003b, pp. 12-13].

    Ecco allora che il ricorso al termine “comunicazione” intendereb-be sottolineare, meglio di “Relazioni Pubbliche”, una modalità di co-municazione dialogica, bidirezionale in contrapposizione alla “in-formazione” che molti assumono caratterizzata dall’unidirezionalità.Ciò però comporta una riduzione semantica del termine “comunica-zione”, che non dovrebbe essere utilizzato in mancanza di reciprocitàdel processo attivato, e del termine “informazione”, ridotto al merosignificato di trasmissione unilaterale di messaggi, quando non a me-ra trasmissione di semplici dati. Per comunicazione, infatti, e nonsolo nel linguaggio comune, si intende spesso anche un processo ca-ratterizzato da unilateralità intenzionale e dichiarata, come accade, adesempio, con la pubblicità e la propaganda, qualificate come “formeparticolari di comunicazione”. I mezzi “di comunicazione di massa”,a loro volta, non sembrano distinguersi per favorire una comunica-zione bidirezionale.

    Non sempre, dunque, «comunicare significa anche allenarsi ad uncontinuo monitoraggio del contenuto dei messaggi percepiti dagliinterlocutori, imparando ad interpretare le loro reazioni, in modo dariutilizzare le informazioni ricevute per ricalibrare il tiro, al fine diaccorciare la distanza tra le intenzioni dell’emittente ed i risultati divolta in volta conseguiti» [Maffeis, 1998, p. 21]. In altre parole, l’a-scolto del feed-back non è necessariamente destinato a risolversi inun vantaggio per i destinatari, ben potendo tradursi, anzi, in un raffi-

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  • Perché è difficile definire le Relazioni Pubbliche 11

    nato strumento al servizio della manipolazione. Vi possono essere in-somma, per dirla con Morin, una “comunicazione reciproca” e una“comunicazione unilaterale”.

    Detto questo, si deve riconoscere che le Relazioni Pubbliche ven-gono generalmente definite, in sede accademica e professionale, conriferimento all’utilizzazione sistematica della “comunicazione reci-proca” o “bidirezionale” o “dialogica”, considerata come strumentoelettivo per realizzare “rapporti efficaci e stabili” (cioè relazioni)“reciprocamente utili”. Una volta ammesso che la comunicazione èsempre lo strumento necessario per realizzare una relazione (ognirelazione, in altre parole, implica una comunicazione), si deve peròaggiungere che dal tipo di comunicazione, in particolare dalle moda-lità del processo di comunicazione attivato, dipende il tipo di rela-zione che ne può derivare. Così, quando si sostiene che le R.P. ten-dono a promuovere senso di fiducia, simpatia, consenso, si tende afare riferimento a modalità particolari di comunicazione e (ma nonsempre) ad una finalità pro-sociale, che richiede molto di più che ilricorso a espedienti formali.

    È difficile individuare lo stesso fondamento ultimo delle R.P. nel-le enunciazioni accademiche e nella prassi operativa: si oscilla tra lasemplice gestione delle relazioni già decise altrove (dal manage-ment), strumentale all’utilità economica, e l’impegno (del manage-ment) volto a fondare tutte le relazioni dell’organizzazione su pro-cessi di comunicazione improntati alla reciprocità in vista del benecomune: quindi un modo di concepire l’insieme dei rapporti dell’or-ganizzazione stessa con l’ambiente sociale per contribuire alla pro-mozione della socialità e dello spirito democratico.

    Siamo di fronte, come si vede, non solo a problemi terminologici,ma anche a problemi concettuali, resi più difficili, questi ultimi, dachi vede (anche) nelle Relazioni Pubbliche, uno strumento di mani-polazione dell’opinione pubblica: un’accusa che molti testi di R.P.prendono in seria considerazione, fino a rispondere di un’espressionecome “persuasione occulta” coniata cinquant’anni fa da Vance Pac-kard [1958] a proposito della pubblicità commerciale. Così, mentre ipubblicitari sostengono che i loro messaggi sono sempre leali nellaloro diffusione in quanto “firmati” (ma c’è in giro molta pubblicitàclandestina e “non trasparente”), gli operatori di R.P. devono ammet-tere che le loro iniziative «si trascinano da sempre un’ombra di di-sciplina “manipolatoria” proprio perché in molti casi le loro attivitànon sono palesi al grande pubblico» [Id., p. 8]. Anche se questa cir-costanza non basta, da sola, a giustificare l’accusa di manipolazione,

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    che resta comunque una spina nel fianco delle R.P., di cui tratteremomeno sommariamente nel prossimo Capitolo (§ 2.1). Quanto all’opi-nione comune, è indicativo il significato registrato nel VocabolarioDevoto-Oli sotto il lemma equivalente di “Public relations”: «Espres-sione anglosassone che esprime il complesso delle attività che perse-guono, al livello dei rapporti sociali, scopi informativi o propagandi-stici». Definizione in parte riscattata da ciò che si legge sotto la voce“Relazione”: le relazioni umane e le relazioni pubbliche sono «le r.tra individui, gruppi, categorie, ceti quali si manifestano nella convi-venza sociale, sia spontaneamente sia in quanto definite come og-getto di studi o misure concrete tendenti ad apportare un migliora-mento della reciproca comprensione e tolleranza». Per lo Zingarellisono, molto più sbrigativamente (e riduttivamente), il «complesso divarie attività informative volte a influenzare favorevolmente la pub-blica opinione intorno a persone, cose, istituzioni, aziende».

    1.2. Le R.P. nel “Rapporto MacBride”

    Nelle pagine dedicate al potere della comunicazione nella forma-zione dell’opinione pubblica, il Rapporto MacBride sui problemi del-la comunicazione nel mondo riconosce l’utilità delle Relazioni Pub-bliche, ma presenta un quadro sostanzialmente desolante della loroprassi:

    «Il settore delle pubbliche relazioni, come viene definito in ma-niera un po’ imprecisa, mira anch’esso a formare e ad influenzarel’opinione pubblica. In questi ultimi decenni è diventato una vera epropria industria della comunicazione con un bilancio di miliardi didollari. Le sue operazioni, estremamente varie, non sono chiaramentedefinite. In passato non sono state tutte benviste a causa di dubbi ge-nerati da malversazioni legate a pretese attività di pubbliche relazio-ni. Oggi è un settore in continuo sviluppo e il suo personale è reclu-tato in gran parte fra i giornalisti. I servizi governativi, le imprese in-dustriali e commerciali, le associazioni professionali e commerciali ei sindacati utilizzano tutti esperti in pubbliche relazioni, il cui com-pito è fornire ai mass-media e al pubblico le informazioni pertinenti.In pratica, le pubbliche relazioni sono usate per trasmettere un’imma-gine favorevole agli organismi interessati, replicare alle critiche e ba-dare che certi scomodi elementi non vengano alla luce. I loro servizipermettono di raccogliere anche le reazioni del pubblico, fornendoun’informazione di feed back ai datori di lavoro. Pur essendo utile e

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  • Perché è difficile definire le Relazioni Pubbliche 13

    necessaria nel complesso mondo della comunicazione, l’attività dellepubbliche relazioni pone problemi di etica, dovuti soprattutto al ca-rattere selettivo delle informazioni comunicate» [Commissione In-ternazionale di Studio, 1982, pp. 175-176].

    Il Rapporto pone chiaramente in evidenza i pericoli connessi alleattività che le R.P. promuovono. In particolare mette in luce in modopreoccupato l’attività di lobbying: «Attraverso passaggi inavvertibilile “pubbliche relazioni” possono trasformarsi in gruppi di pressione:il loro obiettivo è di ottenere condizioni vantaggiose per un’industria,un settore di interessi economici come per esempio l’agricoltura,gruppi di consumatori, ecc., favorendo l’approvazione di certe leggipiuttosto che di altre. La loro pressione si esercita sull’opinione pub-blica, ma ancor più sugli organi di governo e sui membri del parla-mento. Possono anche avere un ruolo importante nella comunicazio-ne, collaborando a chiare operazioni tecniche complesse o problemigiuridici sollevati da progetti di legge».

    In definitiva, sostiene il Rapporto, «Molte attività della comuni-cazione, condotte dagli organismi più disparati, sono diventate indi-spensabili e sempre più influenti nel mondo intero. Ma, per quantonecessaria, la comunicazione istituzionalizzata presenta alcuni peri-coli; essa può essere utilizzata per manipolare l’opinione pubblica,per ufficializzare l’informazione, per monopolizzare le fonti d’infor-mazione; può così abusare dei principi di segretezza o di sicurezzamascherando i fatti. Troppi sono coloro che, occupando posti che as-sicurano potere e influenza, ritengono che l’informazione sia unvantaggio di cui possono disporre a loro piacimento e non un dirittoper tutti coloro che ne hanno bisogno. L’uso della comunicazioneistituzionalizzata dipende dagli obiettivi che le sono stati assegnati:essa può rafforzare limitati interessi individuali o favorire l’interesseper i problemi collettivi; può contribuire all’asservimento dei deboliai potenti o creare la volontà e le circostanze per la partecipazionereale; può rendere più umane o più burocratiche le relazioni sociali.La comunicazione non deve essere utilizzata come fine a se stessa,ma inserirsi in un contesto più ampio» [Id., pp. 176-177, corsivo neltesto].

    Ancora più dure nei confronti delle R.P. sono le parole usate daNoam Chomsky. «Gli Stati Uniti – egli ha scritto – sono stati pionierinell’industria delle pubbliche relazioni. L’obiettivo era quello di“controllare l’opinione pubblica”. Lo spiegavano coloro che avevanoimparato molto dai successi della Commissione Creel, come adesempio la creazione del “terrore rosso” ed i conseguenti positivi ri-

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  • 14 Capitolo 1

    sultati. L’industria delle relazioni pubbliche ebbe in quel periodoun’enorme espansione. Nel corso degli anni Venti riuscì a creare unasubordinazione quasi totale dell’opinione pubblica nei confronti deldominio della classe dirigente» [Chomsky, 1994, p. 22]. La Commis-sione Creel venne istituita dal governo degli Stati Uniti durante ilprimo conflitto mondiale per convincere gli americani ad intervenirenella guerra che si combatteva in Europa. Una commissione di pro-paganda governativa, afferma Chomsky, che «riuscì, in sei mesi, atrasformare una popolazione pacifista in una massa isterica e guerra-fondaia che voleva distruggere qualsiasi cosa fosse tedesca, fare apezzi i tedeschi, entrare in guerra e salvare il mondo» [Ibid.].

    La conclusione di Chomsky non lascia spazio ad una visione di-versa delle R.P. «L’industria delle pubbliche relazioni non spendemiliardi di dollari all’anno per gioco. L’industria delle pubbliche re-lazioni è un’invenzione americana che è stata creata all’inizio di que-sto secolo con lo scopo, dicono gli esperti, “di controllare la mentedella gente, che altrimenti rappresenterebbe il pericolo più forte nelquale potrebbero incorrere le grandi multinazionali”» [Id., p. 78].Siamo all’equivalenza tra R.P. e propaganda, cioè all’uso della comu-nicazione in chiave manipolatoria: un’ombra che sembra destinata adaccompagnare ineluttabilmente il destino delle Relazioni Pubbliche.

    1.3. Comunicazione e organizzazione

    Le difficoltà definitorie, prima ancora dell’espressione “RelazioniPubbliche”, riguardano (come si è già accennato nel § 1.1) la stessaparola “comunicazione”, che indica un fenomeno strettamente legatoalla natura della disciplina che esse denotano e alla sua dimensioneoperativa. Di fronte al termine comunicazione «l’atteggiamento dellostudioso che a questo mondo deve accostarsi in termini classificatoririmane consegnato a un’oscillazione tra il fascino, la forza quasi ma-gica della parola nel suo autoreplicarsi a connotare l’intera esperien-za umana, e il disagio per il fatto di non trovare punti fermi perl’analisi» [Rivoltella, 1998, p. 18]. Nel Rapporto MacBride si av-verte che «in teoria la comunicazione è uno scambio permanente frapartners eguali o quanto meno reciprocamente responsabili. In prati-ca questa concezione ideale non è mai stata completamente realizza-ta, e forse non potrà mai esserlo. La circolazione è verticale inveceche orizzontale e segue quasi sempre una sola direzione, dall’altoverso il basso. Tutto questo condiziona inevitabilmente lo stile dei

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  • Perché è difficile definire le Relazioni Pubbliche 15

    professionisti; essi giudicano il loro lavoro dal punto di vista dell’ef-ficacia e si sforzano di “far passare il messaggio”, traducendo l’in-formazione in termini semplici per catturare e trattenere l’attenzione.È un’abilità certamente necessaria: un professionista incapace d’inte-ressare il suo pubblico non sarebbe un vero professionista. Ma questaconcezione della comunicazione tende a eclissare l’obiettivo al-trettanto importante che consiste nel promuovere l’accesso e la par-tecipazione del pubblico» [p. 218].

    Nelle sue riflessioni sulla semiotica della comunicazione d’impre-sa, Gianfranco Bettetini conferma la difficoltà di proporre una defini-zione «onnicomprensiva, significativa, eloquente e funzionale deltermine “comunicazione”» [Bettetini, 1993, p. 11]. Dopo avere ripor-tato numerose definizioni del termine, riferite alle prospettive offerteda varie discipline, egli afferma: «Si potrebbe dire che comunicaresignifica mettere in comune beni simbolici. Si tratta di una definizio-ne solo apparentemente semplice, perché in realtà mette in gioco unacategoria in genere applicata a oggetti concreti, dotati di una lorofunzione d’uso e di un valore commerciale, e un’altra di discussa de-finibilità, come quella di “simbolico”. I beni, nel caso della comuni-cazione, sono segni strutturati in messaggi, che non valgono tanto perse stessi, quanto perché rinviano ad altro da sé, generalmente assentedal luogo dello scambio, in virtù di una relazione iscritta in una nor-mativa più o meno fortemente convenzionalizzata, istituzionalizzata.Ma la specificità della comunicazione, ciò che la differenzia dallasemplice significazione, consiste proprio nella “messa in comune” diquesta particolare categoria di beni» [Id., p. 12].

    Queste indicazioni sembrano rispondere anche alla necessità didistinguere la comunicazione dall’informazione, in quanto solo laprima implica un’idea di partecipazione. Bettetini sostiene inoltreche, da un punto teorico, «la comunicazione implica soprattutto pa-rità di ruoli fra gli interlocutori e partecipazione allo scambio. Sonoproprio queste caratteristiche che la differenziano sostanzialmente daogni attività semplicemente informativa». Ma avverte poi che «negliultimi decenni il termine “comunicazione” ha subito una serie di usicosì riduttivi e così mirati, anche in campo scientifico, che ha finitoper assistere alla consumazione del suo senso primario e del com-plesso di valori coinvolti nel suo spazio semantico» [Id., p. 14]. Si èverificata, in particolare, una progressiva identificazione fra comuni-cazione e informazione.

    Torneremo ancora su questo tema, non solo perché la comunica-zione costituisce l’essenza delle Relazioni Pubbliche, ma anche per-

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  • 16 Capitolo 1

    ché proprio il termine “comunicazione” tende ad essere adottato, co-me abbiamo già accennato, in luogo di questa espressione, ritenuta,per diverse ragioni, inopportuna.

    Già questa annotazione attesta le difficoltà che accompagnano ilnome delle Relazioni Pubbliche, indubbiamente legate alla concezio-ne stessa di una disciplina o tecnica di comunicazione che riguarda irapporti tra un soggetto (persona o organizzazione) e i suoi interlo-cutori (pubblico, pubblici) e i fattori che li possono influenzare.

    La ragion d’essere delle R.P. va essenzialmente individuata nel-l’esigenza di rapporti propri di qualunque organizzazione: «Infatti,per il semplice fatto di esistere e di operare, ogni organizzazione –anche se priva di una funzione interna di relazioni pubbliche – entrain relazione con altri soggetti (i collaboratori, i dirigenti, gli azionisti,i clienti, gli aderenti, i soci, gli elettori, le istituzioni)», benché sitratti, spesso, di relazioni non consapevoli e, quindi, non programma-te [Muzi Falconi, 1999, p. 35]. Siamo però di fronte ad un’esigenzavitale che può essere non solo concepita, ma anche “guidata” secon-do criteri differenti.

    L’importanza di questa “guida” è emersa in modo sempre più av-vertito in conseguenza di una evoluzione sociale caratterizzata da tra-sformazioni rapide e profonde, dal formarsi di una società fortementeframmentata o “segmentata”, nella quale coesistono un pubblico ge-nerico (in pratica, l’intera popolazione) e un assai articolato universodi “pubblici” particolari: consumatori, utenti, fornitori, azionisti, or-ganizzazioni sindacali e imprenditoriali, enti pubblici, operatori dellacomunicazione, gruppi di opinione, ecc. La necessità di coltivare larete sempre più fitta di relazioni è stata resa più cogente anche dal-l’accresciuta complessità delle organizzazioni, dal crescente rilievodegli aspetti simbolici legati all’attività e alla presenza sociale diqualsiasi soggetto (si pensi al valore dell’immagine, delle marche,della publicity in generale), dallo sviluppo dei processi di internazio-nalizzazione e globalizzazione, dal ruolo che nella competizione haassunto il concetto di “qualità totale”, dalla dimensione totalizzantedella comunicazione nella vita individuale e sociale.

    Per rapportarsi ai propri pubblici in modo efficace, e quindi pervivere e sopravvivere, ogni organizzazione complessa deve adottarecriteri, linguaggi, canali e metodi di comunicazione adatti, tenendoconto delle ragioni che la collegano a ciascun pubblico. A questipubblici, che vengono definiti con vari termini – come stakeholders,o “portatori di interessi”, o “pubblici di riferimento” –, si rivolgonole Relazioni Pubbliche per promuovere conoscenza, stima, collabora-

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  • Perché è difficile definire le Relazioni Pubbliche 17

    zione. In conclusione, esse hanno come compito la gestione profes-sionale e organica dei sistemi di relazione con tutti coloro che posso-no aiutare o ostacolare il raggiungimento degli obiettivi propri diun’impresa o di qualsiasi altro ente pubblico o privato, utilizzandoattività e forme di comunicazione adeguate. Quanto al rapporto conl’opinione pubblica in generale, come si è detto, siamo di fronte aun dilemma irrisolto, del quale ci occuperemo comunque nel Capi-tolo 4.

    Da tutto ciò consegue il riconoscimento sempre più avvertito del-lo stretto rapporto tra i due termini comunicazione e organizzazione:«Oggi, ogni persona che opera con una qualsiasi responsabilità al-l’interno del mondo del lavoro sa – o, perlomeno, dovrebbe sapere –che tra i suoi compiti essenziali c’è proprio quello di comunicare.Questa, ormai, è una funzione che determina il successo o il falli-mento di un prodotto, di un’iniziativa, di una stessa organizzazione;non appare esagerato, quindi, affermare come essa costituisca unosnodo decisivo, l’ambito nel quale viene a giocarsi il confronto, ciòche contribuisce a conferire contenuto al tanto conclamato concettodi qualità». Qualsiasi organizzazione, del resto, comunica con tuttociò che è e che fa, con le sue relazioni interne e con ciò che produce,con il comportamento dei suoi componenti, via via fino alle vere eproprie comunicazioni formali: «A questo livello, la comunicazioneviene a costituire un nuovo sistema manageriale, un approccio so-stanziale che coinvolge tutti i settori, canalizzandoli verso la realiz-zazione delle strategie dell’organizzazione» [I. Maffeis, Organizza-zione e comunicazione, in Lever, Rivoltella, Zanacchi, 2002].

    Si riconosce, in definitiva, che la comunicazione – nelle sue di-verse forme – costituisce una dimensione destinata a coinvolgerel’intera attività di qualsiasi organizzazione, fino a identificarsi conessa: comunicazione al suo interno e comunicazione esterna, nel loroinsieme capaci di valorizzare le risorse umane e l’efficienza all’in-terno e di ottimizzare i rapporti con i “pubblici” esterni; comunica-zione come impronta manageriale, come concezione dello stesso mo-do di essere dell’organizzazione. Appare così evidente lo stretto rap-porto tra strategia organizzativa e strategia della comunicazione. An-che il “Manifesto di Bled” afferma che «non è possibile fare relazio-ni pubbliche senza influenzare la strategia dell’organizzazione e sen-za la responsabilità della comunicazione interna». Vitaliano Rovi-gatti, a sua volta, ha indicato, tra i caratteri e le finalità essenziali del-le R.P. la “introspezione programmatica e organizzativa”: in altre pa-role, le R.P. devono prevedere un costante riferimento al comporta-

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  • 18 Capitolo 1

    mento organizzativo e, in generale, a tutta l’attività dell’organizza-zione che le adotta. Fare R.P. significa, perciò, ricorrere alla comuni-cazione come mezzo di armonizzazione dell’intero sistema organiz-zativo e di promozione di un dialogo costruttivo con i pubblici di ri-ferimento, proprio per consentire all’organizzazione di prendere inconsiderazione le attese emergenti, dando conto dei relativi compor-tamenti seguiti.

    1.4. Il valore della comunicazione

    Alla base delle “buone relazioni” trova dunque la sua funzionepiù nobile la comunicazione, il cui valore è stato felicemente sinte-tizzato nel primo paragrafo della Nota emanata nel 1985 dalla Com-missione episcopale italiana per le comunicazioni sociali sul “Doverepastorale della comunicazione sociale”:

    «La comunicazione va considerata come componente fondamen-tale e vitale per le singole persone, per i gruppi e per la società. Lastoria dell’umanità è storia di comunicazione, cioè di sviluppo delleattitudini dell’uomo nel comunicare ad altri uomini intenzioni, desi-deri, sentimenti, conoscenze, esperienze.

    Essa è vitale perché se viene a mancare questa dinamica si spe-gne l’uomo e la sua storia. La comunicazione è perciò un fatto inti-mamente legato alla natura umana, le appartiene. Siamo tanto più“umani” quanto più cresce la nostra capacità di comunicare.

    Essa è infatti l’elemento che consente all’uomo di manifestarsicompletamente, di esprimere soprattutto la sua libertà. Il comunica-re sta dunque alla base della conoscenza e del progresso umano. Ècomunicando tra loro che gli uomini entrano in contatto autentico,vale a dire sono e rimangono esseri sociali, si intendono, operano eprogrediscono.

    D’altro canto tutto il patrimonio culturale si trasmette di genera-zione in generazione proprio attraverso la mediazione della comuni-cazione a tutti i livelli, dal segno scritto a quello parlato, dall’im-magine fissa a quella in movimento. Inoltre per il fatto che l’uomopuò stabilire una trama di rapporti, la società diventa paragonabilead un complesso sistema nervoso di cooperazione e può essere con-siderata come un’amplissima rete di rapporti reciproci, la cui effica-cia dipende dall’abilità degli uomini nel comunicare gli uni con glialtri. È quindi innegabile l’importanza della comunicazione, comed’altronde confermano quotidianamente le occasioni della vita nelle

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    SommarioCapitolo 1: Perché è difficile definire le Relazioni Pubbliche

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