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Bibbia 1
LE SACRE SCRITTURE EBRAICHE
Il termine bibbia deriva dal greco e significa i libri ovvero è una raccolta di
libri e al contempo un libro solo perché unico è il messaggio che ci
comunica: la Parola di Dio. Affermare che la Bibbia è Parola di Dio significa
testimoniare l’autorità che il testo riveste per la fede ebraica di ogni
tempo. Nel linguaggio tecnico della teologia l’autorità della Bibbia si
nomina canonicità (dal greco kanon e dall’ebraico qaneh ovvero la canna,
antica unità di misura), che sta a dire: la Bibbia è la misura, la regola, la
norma per la fede ebraica. E questo è un dato di fatto indisponibile alla
all’ebraismo, che la riconosce, ma non è in grado di crearla. La canonicità
della Bibbia prende corpo nel canone biblico ovvero nell’elenco e nel
catalogo dei libri che la compongono, che secondo la tradizione fu fissato a
Jamnia (presso l’attuale Tel Aviv) attorno alla fine del I secolo dopo Cristo:
è il canone palestinese che consta di 24 libri. Chi pensa che il canone
biblico sia disceso intatto dal cielo o sia il frutto di una programmata e
compiuta azione editoriale, si sbaglia. Per molto tempo, infatti, la
testimonianza canonica ovvero autorevole circa la fede ebraica è stata
consegnata, dapprima, alla tradizione orale, poi a molteplici tradizioni
scritte, e, infine, alla tradizione - redazione finale scritta. In una parola: il
canone biblico ha una storia. E’ bene dichiararlo subito: di nessun libro
della Bibbia possediamo il testo originale. Questa condizione, lungi
dall’essere un’eccezione, è, in realtà, normale per tutti i testi dell’Antichità
Classica. Prima dell’invenzione della stampa, infatti, i Sumeri scrivevano
incidendo con uno stilo una tavoletta d’argilla, che poi lasciavano essiccare
al sole o cuocevano come i mattoni. Gli Egizi utilizzarono il papiro, che
cresceva abbondantemente sulle rive del Nilo, confezionando fogli di
papiro su cui era possibile scrivere con inchiostro o colore per mezzo di un
pennello o di una specie di penna. I singoli fogli venivano incollati o cuciti
uno dopo l’altro ottenendo una striscia di papiro lunga anche diversi metri.
L’operazione veniva completata ponendo due bastoncini alle estremità e
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così si aveva il rotolo di papiro. I Persiani, infine, si specializzarono nel
trattamento della pelle di montone o di capra, la pergamena, che prese il
nome dalla città di Pergamo, dove verso il 100 a. c. si perfezionò la
tecnica. I fogli di pergamena, dapprima, vennero solamente cuciti uno
dopo l’altro per formare un rotolo, in seguito (durante il I secolo d. c.) si
pensò di sovrapporli e di legarli con una cucitura ed ecco il codice di
pergamena (questa tecnica fu estesa anche ai fogli di papiro). Se questa
fu la condizione editoriale comune a tutta l’Antichità è facile intuire perché
i testi originali andarono perduti: il materiale era deteriorabile, l’uso
continuo esigeva di riscrivere il testo a breve termine e quando si riscrive
gli errori di copiatura si commettono e si trasmettono. Per tacere
dell’azione del tempo, dell’acqua, del fuoco, dei topi…. Non possediamo,
dunque, l’originale, ma i c. d. testimoni del testo: esemplari del testo
giunti a noi dopo una lunga catena di trascrizioni, che impone di necessità,
la critica testuale ovvero la ricostruzione e l’approntamento di un testo che
sia il più possibile vicino all’originale. I testimoni del testo si suddividono
in diretti perché riproducono il testo per se stesso (per intero o per sezioni
o per pochi versetti) e indiretti perché in un’altra opera letteraria si
trovano citazioni del testo biblico (Sant’Agostino che cita letteralmente un
brano della Bibbia). Le versioni antiche, infine, sono importanti perché
condotte su manoscritti non molto distanti dagli originali:
- Testimoni diretti: fino alla fine del XIX secolo, i più antichi manoscritti
ebraici noti non erano anteriori al secolo X ovvero al manoscritto di
Leningrado B 19a, risalente all’anno 1008 o 1009. Questo codice è
nominato Testo Masoretico (TM), dal verbo ebraico masor = tramandare.
Tra il VI e il X secolo d. c., generazioni di studiosi ebrei “vocalizzarono” il
testo ebraico consonantico e lo arricchirono con note marginali di diverso
genere. Così si fissò una volta per tutte la lezione del testo ebraico. Su
questo testo base è stata costruita l’edizione critica a cura di K. Ellinger e
W. Rudolph, Biblia Hebraica Stuttgartensia, Stuttgart 1967/1977.
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Nel 1896 nella Genizah (ripostiglio per libri fuori uso) della sinagoga della
città antica del Cairo furono scoperti testi risalenti ai secoli VII – VI d. c..
Nel 1948 furono scoperti nelle grotte di Qumram altri testi risalenti al
periodo tra il II secolo a. c. e il I secolo d. c..
Il Pentateuco Samaritano, infine, anche se non è anteriore al X secolo d.
c., è importantissimo perché ha avuto una trasmissione indipendente e
precedente il V secolo d. c..
- Per quanto riguarda le versioni antiche, è di capitale importanza il testo
greco dei LXX (= Settanta). Secondo la Lettera dello pseudo – Aristea,
attribuita tradizionalmente ad un funzionario ebreo del re Tolomeo II
Filadelfo (283 – 246 a. c.), questi voleva avere una traduzione delle Sacre
Scritture ebraiche da collocare nella grande Biblioteca che egli fondò ad
Alessandria d’Egitto. Per questo motivo Tolomeo commissionò a
settantadue traduttori (sei per ogni tribù di Israele) la traduzione dei testi
ebraici. Essa, secondo il filosofo ebreo Filone d’Alessandria, fu condotta
separatamente dai traduttori segregati in settantadue celle sull’isola di
Faro e compiuta in settantadue giorni. Al termine dell’opera si
confrontarono le settantadue versioni che risultarono miracolosamente
identiche. Al di là della leggenda il testo dei LXX è importante perché
testimonia che tra il III e il II secolo a. c., ad Alessandria d’Egitto, vi era
una significativa colonia ebraica, che produsse una versione greca delle
Sacre Scritture ebraiche probabilmente per un motivo interno ed esterno:
gli ebrei di Alessandria d’Egitto parlavano ormai il greco ellenistico ed
avevano bisogno di una versione greca per comprendere il testo ebraico e
farsi leggere e conoscere dagli abitanti della metropoli alessandrina. I LXX,
inoltre, presuppongono un testo ebraico molto anteriore rispetto a quello
utilizzato dai Masoreti. I LXX, infine, divennero l’Antico Testamento dei
cristiani.
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TaNaK
Il vocabolo è acronimo delle iniziali delle tre parti in cui si suddivide la
Bibbia ebraica: T sta per Torah (insegnamento), N sta per Neviim
(profeti), K sta per Ketuvim (scritti).
1. La Torah (= insegnamento) comprende i primi cinque libri
(Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio), attribuiti e
posti sotto l’autorità di Mosè, che non li ha scritti, ma funge da chiave di
lettura per una loro piena comprensione. Essi costituiscono la prima,
fondamentale e fondante espressione della canonicità perché narrano la
storia teologicamente originaria del popolo ebraico (da Abramo a Mosè
ovvero tra il secolo XX e il secolo XII), perché offrono l’insegnamento
divenuto legge e perché tutti gli altri scritti si dicono canonici in
riferimento a questi.
La rivelazione di Jhwh al Sinai
La rivelazione al Sinai (Es 19 – 40) è il cuore della Torah e in particolare
dell’esodo: Jhwh si rivela Mosè donando a Israele l’insegnamento ovvero
la legge perché Israele viva. Esso abbraccia tutta la vita dell’ebreo, come
singolo e come popolo, e prende forma nel Decalogo, nel Corpo legislativo,
che è codice civile e penale, e, soprattutto, disciplina scrupolosamente il
culto in Israele. Al Sinai, Jhwh ha di fronte un popolo libero e non più
schiavo, cui rivolgere la sua parola che plasma definitivamente Israele
come popolo santo, popolo di Jhwh. D’ora innanzi, Israele sarà il popolo
dell’alleanza ovvero il popolo che ascolta e risponde con tutta la propria
esistenza all’insegnamento di Jhwh diventando “un regno di sacerdoti e una
nazione santa” (Es 19, 6).
La prima parola del Decalogo costituisce il fondamento delle altre e di
tutto l’ebraismo:
“Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di
schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di
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quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque
sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono
il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e quarta
generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille
generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi” (Es 20, 2 – 6).
L’autopresentazione di Jhwh è la premessa, il “prologo storico”, che
attesta quanto Jhwh ha già fatto gratuitamente per Israele: la liberazione
dalla schiavitù. Essa testimonia che Jhwh è un Dio personale ed è un Dio
d’amore: ha visto l’oppressione in Egitto, ne ha sentito il lamento ed è
intervenuto inviando Mosè con la missione di liberare Israele.
Da ciò discende l’affermazione dell’unicità di Jhwh, che non è tanto una
formulazione teorica e filosofica di monoteismo, lontana dalla lingua e
dalla mentalità orientale, quanto un monoteismo intuitivo e affettivo:
Jhwh è l’unico dio che personalmente si rivolge e si prende cura di Israele
per amore, e solo per amore.
Il divieto delle immagini rispecchia la convinzione tipica della cultura
orientale per cui l’immagine è come la realtà stessa raffigurata. Ciò non è
possibile per Jhwh, la cui presenza non è confinabile in un tempio o in una
statua, perché il luogo di Jhwh è lo spazio e il tempo del suo popolo, la
storia di Israele. E se si vuole cercare un’immagine di Dio bisogna volgersi
all’uomo, creato a sua immagine e somiglianza.
Il divieto del culto, indicato simbolicamente dal prostrarsi, completa
l’affermazione dell’unicità di Jhwh, che è un Dio geloso ovvero ama
appassionatamente Israele, il suo popolo.
Le benedizioni/maledizioni finali che si rivolgono all’individuo solidale con
la comunità, nel bene e nel male, rivelano nella sproporzione tra
benedizione e maledizione il volto di Jhwh come dio d’amore che non
applica implacabilmente la giustizia.
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La tradizione esodo.
Il libro dell’Esodo narra nei capitoli 12 – 15 quello che costituisce il primo
esodo del popolo ebraico dall’Egitto: è l’evento originario e fondante
dell’ebraismo stesso. L’esodo è il passaggio del Mar Rosso, che è
passaggio dalla schiavitù alla libertà, dalla morte alla vita. L’esodo, al
contempo, è evento celebrato nella festa pasquale e in questo modo
consegnato alle generazioni future. L’esodo è proclamazione dell’azione
potente di Jhwh, che interviene nel tempo e nello spazio,
liberando/salvando il suo popolo, che una volta uscito dall’Egitto si
incammina verso la Terra Promessa attraversando il deserto. Camminare
nel deserto ed entrare nella Terra Promessa fanno parte a pieno titolo
dell’esodo. Il deserto è il luogo e il tempo della rivelazione/conoscenza di
Jhwh e della tentazione: la manna, le quaglie, l’acqua dalla roccia, il vitello
d’oro e Mosè sul Sinai. La Terra Promessa è la meta cui tende il popolo
ebraico, fin dai tempi di Abramo. Il senso e la verità della narrazione
ovvero l’intenzione dell’autore è chiara: fare memoria reale (= memoriale)
dell’esodo di Mosè (dell’evento che ha fondato e avviato la storia ebraica)
e confessare che Jhwh è Dio, un Dio che ha visto la sofferenza e
l’umiliazione del suo popolo, che ha ascoltato le preghiere del suo popolo,
che è intervenuto e lo ha liberato dalle mani dei suoi nemici: Jhwh è Dio e
Jhwh ama Israele.
Secoli dopo, Ciro, re di Persia, emana un editto nel 538 a. c. che, in
coerenza con la sua politica più tollerante nei confronti delle autonomie
locali, permette ad Israele il ritorno in patria. Cinquant’anni prima, infatti,
il meglio del popolo ebraico era stato deportato a Babilonia a seguito della
conquista della Palestina da parte di Nabucodonosor II (587 a. c.), che
aveva espugnato e distrutto Gerusalemme, compreso il Tempio di
Salomone. Cinquant’anni dopo può iniziare una nuova fase della storia
ebraica grazie a Ciro, che ha tolto di mezzo la potenza babilonese. Ora, tra
i diversi testimoni di questo ritorno e nuovo inizio spicca il c. d.
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deuteroisaia, profeta in Israele, che rilegge e interpreta il ritorno in patria
come il secondo esodo sulla scia dell’esodo di Mosè. Sentiamo, tra i
tanti, un testo significativo:
Così dice il Signore vostro redentore; il Santo di Israele: “Per amor vostro l'ho mandato
contro Babilonia e farò scendere tutte le loro spranghe, e quanto ai Calde muterò i loro
clamori in lutto. Io sono il Signore, il vostro Santo, il creatore di Israele, il vostro re”.
Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque
possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi insieme; essi giacciono morti:
mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono estinti. Non ricordate più le
cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora
germoglia, non ve ne accorgete? Immetterò fiumi nella steppa. Mi glorificheranno le
bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla
steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me
celebrerà le mie lodi (Is 43, 14 – 21).
In questo oracolo l’intenzione dell’autore s’avvia dalla gioia del presente,
che è liberazione per i deportati e lamento per gli aguzzini, si riannoda
all’evento simbolo della salvezza ovvero il passaggio del Mar Rosso, per
sfociare in un futuro di salvezza e di speranza perché il popolo riprenderà
la via del deserto verso Gerusalemme, e il deserto sarà attraversato da
fiumi d’acqua e dalle lodi del Signore, proprio come l’esodo di Mosè.
Il paradigma narrativo, simbolico e teologico dell’esodo è come un
fiume carsico che riemerge lungo la storia di Israele:
in Osea – “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò sul suo
cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là
canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto” (Os 2,
16 – 17);
in Geremia – “Ecco, verranno giorni – dice il Signore – nei quali con la casa di Israele e
con la casa di Giuda io concluderò una alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho
concluso con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una
alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Parola del Signore. Questa
sarà l’alleanza che io concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, dice il Signore:
Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed
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essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il
Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore;
poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati” (Ger 31, 31 –
34);
e in Ezechiele (16. 20. 23), nei Salmi (78. 95. 105…), in Giuditta e Ester….
L’esodo di Mosè, quindi, è il passato vivo di Israele ed è il passato mai
trapassato remoto, morto e sepolto, perché in esso Jhwh si rese presente
non una volta per tutte, ma la prima volta, segno e promessa per tutte le
altre.
[E la presenza dell’esodo continua anche nel Nuovo Testamento:
- “Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i
suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo […] Non pensiate che
io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare
compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà
dalla Legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto. […] Avete inteso
che fu detto dagli antichi: “Non uccidere”; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma
io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice
al fratello: “Stupido”, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà sottoposto
al fuoco della Geenna” (Mt 5, 1. 17 – 18. 21 – 22).
Il testo riportato è l’esordio del Discorso della montagna (Mt 5 – 7), il
primo dei cinque grandi discorsi nei quali Matteo ha raccolto
l’insegnamento di Gesù, inquadrandolo sullo sfondo del centro storico e
teologico della tradizione esodo: al Sinai subentra il Monte delle
Beatitudini, a Jhwh Gesù, a Mosè i discepoli. L’intenzione di Matteo è
evidente: Gesù è il nuovo Mosè che dona la Nuova Legge ovvero
l’Evangelo, compimento e pienezza della legge mosaica.
- “Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e
parlavano dell’esodo che egli avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9, 30 –
31). È il cuore della Trasfigurazione di Gesù, secondo la descrizione di
Luca, che riassume nell’esodo tutto quanto accadrà a Gerusalemme
ovvero la Passione, Morte e Risurrezione di Cristo.
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- “La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù
Cristo” (Gv 1, 17). Così recita il prologo del vangelo di Giovanni che, in molte
parti, struttura la sua narrazione riprendendo la tradizione esodo: l’Io
sono applicato a Gesù (4, 26); la manna (6, 22 – 59); l’acqua (3, 5); il
serpente (3, 14 – 15); i miracoli di Gesù nominati segni come le piaghe
d’Egitto….
È il terzo esodo, quello definitivo. L’esodo iniziato da Gesù che, come
guida e pastore, condurrà il nuovo popolo di Dio verso la Gerusalemme
celeste.]
2. I Neviim (= profeti) coprono un periodo racchiuso tra il XI e il IV
secolo a. c., si suddividono in profeti anteriori (Giosuè, Giudici, 1 e 2
Samuele, 1 e 2 Re), profeti posteriori o maggiori (Isaia, Geremia,
Ezechiele) e profeti minori (Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea,
Nahum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia). La canonicità dei
Neviim si è plasmata a partire della Torah nel senso che contestualmente,
ed anche successivamente, alla stesura scritta della Torah, quest’ultima
ha svolto la funzione di paradigma di riferimento di base per la selezione e
collezione degli scritti profetici. In una parola: la lettura profetica della
storia posteriore a Mosè è autorevole e canonica perché in essa vede la
continuazione, benché in un periodo cronologicamente successivo e
diverso, della medesima vicenda tra Jhwh e il popolo.
Uno sguardo ai profeti.
Il profeta è l’uomo scelto da Jhwh, per testimoniare la parola di Jhwh
(oracolo del Signore) di fronte a tutto il popolo.
Il profeta non è un mago, un indovino, un negromante. Non è un uomo
degno, importante o speciale che, per questo, viene scelto da Jhwh. Il
profeta è un uomo che Jhwh costituisce, crea come profeta perché gli
rivolge la sua parola, lo chiama per una missione di salvezza a favore del
suo popolo (= vocazione e missione).
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Il profeta non dice cose sue, non offre pensieri e riflessioni che gli
vengono dalla sua saggezza, ma parla in nome di Jhwh, comunica il
pensiero di Jhwh: è la voce di Jhwh. Il profeta ha un compito: rivelare
pubblicamente, ad alta voce, il giudizio di Jhwh circa le vicende umane.
Il profeta condanna il presente, segnato dalla malvagità umana (l’uomo si
è allontanato da Jhwh), richiama il passato, pregno della benevolenza di
Jhwh, che ha benedetto l’uomo ed ha stretto alleanza con lui, e proprio
per questo il profeta può annunciare un futuro di salvezza e non di
condanna: Jhwh è fedele alle sue promesse e non abbandonerà il suo
popolo nonostante esso abbia peccato. Lo salverà, ancora una volta, come
fece liberandolo dalla schiavitù egiziana.
“Alcune parole sul concetto, sul ruolo, sulla natura del profeta in generale. Chi è profeta?
Qualcuno che vede la gente com'è, e come dovrebbe essere. Qualcuno che è specchio
del suo tempo, eppure vive al di fuori del tempo. Un profeta è sempre sveglio, sempre
vigile; non è mai indifferente, meno che mai all'ingiustizia, umana o divina, in qualunque
momento o in qualunque luogo possa annidarsi. Messaggero di Dio presso l'uomo, a
volte diventa messaggero dell'uomo presso Dio. Inquieto, inquietante, aspetta sempre
un segnale, un appello. Quando dorme, ode voci e segue visioni; i suoi sogni non gli
appartengono. Spesso perseguitato, sempre angosciato, è solo, anche quando si rivolge
alle folle, quando parla con Dio o con se stesso, quando descrive il futuro o evoca il
passato. A volte c'è un aspetto teatrale in lui; sembra recitare una parte scritta da un
altro. Eppure, per essere un profeta, deve scendere nelle profondità del suo essere. Per
essere abitato o penetrato - o invaso - da Dio deve essere veramente, autenticamente
se stesso. Da qui la dimensione tragica di un profeta: avendo raggiunto il massimo
grado di autorealizzazione, si dà a Dio. Più esiste, e più appartiene a Dio, che parla
attraverso la sua voce e lo usa come un legame, un ponte, uno strumento. Il profeta è
allo stesso tempo un essere irritante e un semplificatore. Ciò che gli altri penseranno o
sapranno, il profeta lo sa già; è il primo a saperlo. È la cassa di risonanza di Dio. Ma, a
volte, è l'ultimo a sapere: Elia parlava e a volte non sapeva ciò che aveva detto, riferisce
il Talmud” (E. Wiesel, Cinque figure bibliche, Giuntina, Firenze 1988, pp. 37 – 38).
Elia il profeta simile al fuoco (1 Re 17 – 22; 2 Re 1 – 2)
La missione di Elia si svolse nel IX secolo a. c. nel Regno del Nord o Regno
di di Israele o di Samaria (la capitale fondata dal re Omri), sotto i re Acab
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(874 – 853) e Acazia (853 – 852). Acab aveva stretto alleanza con il re
cananeo di Tiro per resistere e opporsi alle minacce provenienti dalla città
e dal regno di Damasco. L’alleanza con la popolazione cananea fu sigillata
dal matrimonio tra Acab e Gezabele, figlia del re di Tiro. Con la regina
Gezabele nel paese mise le radici il culto di Baal (principale divinità
cananea), giunsero una moltitudine di suoi profeti e servitori e, infine, in
Samaria fu edificato un tempio in suo onore. La fede e il culto di Jhwh
erano minacciati e rischiavano di scomparire. In questa situazione giunse
Elia (il nome significa Solo Jhwh è Dio!), che contrastò decisamente il
nuovo culto e il nuovo dio in nome dell’unico e vero culto e dio, Jhwh.
Il ciclo di Elia è composto da sei racconti, quattro anedotti miracolosi e
due episodi in rapporto con il re. Ne leggiamo alcuni.
Il giudizio di Jhwh sul Monte Carmelo
Acab si diresse verso Elia. Appena lo vide, Acab disse a Elia: “Sei tu la rovina di
Israele!”. Quegli rispose: “lo non rovino Israele, ma piuttosto tu insieme con la tua
famiglia, perché avete abbandonato i comandi del Signore e tu hai seguito Baal. Su, con
un ordine raduna tutto Israele presso di me sul monte Carmelo insieme con i
quattrocentocinquanta profeti di Baal e con i quattrocento profeti di Asera, che
mangiano alla tavola di Gezabele”. Acab convocò tutti gli Israeliti e radunò i profeti sul
monte Carmelo. Elia si accostò a tutto il popolo e disse: “Fino a quando zoppicherete da
entrambi i piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!”. Il
popolo non gli rispose nulla. Elia aggiunse al popolo: “Sono rimasto solo, come profeta
del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Dateci due giovenchi;
essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il fuoco.
Io preparerò l'altro giovenco e lo porrò sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Voi
invocherete il nome del vostro dio e io invocherò quello del Signore. La divinità che
risponderà concedendo il fuoco è Dio!”. Tutto il popolo rispose: “La proposta è buona!”.
Elia disse ai profeti di Baal: “Sceglietevi il giovenco e cominciate voi perché siete più
numerosi. Invocate il nome del vostro dio, ma senza appiccare il fuoco”. Quelli presero il
giovenco, lo prepararono e invocarono il nome di Baal dal mattino fino a mezzogiorno,
gridando: “Baal, rispondici!”. Ma non si sentiva un alito, né una risposta. Quelli
continuavano a saltare intorno all'altare che avevano eretto. Essendo già mezzogiorno,
Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: “Gridate con voce più alta, perché egli è un dio!
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Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si
sveglierà”. Gridarono a voce più forte e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con
spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora
agivano da invasati ed era venuto il momento in cui si sogliono offrire i sacrifici, ma non
si sentiva alcuna voce né una risposta né un segno di attenzione. Elia disse a tutto il
popolo: “Avvicinatevi!”. Tutti si avvicinarono. Si sistemò di nuovo l'altare del Signore che
era stato demolito. Elia prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei discendenti
di Giacobbe, al quale il Signore aveva detto: “Israele sarà il tuo nome”. Con le pietre
eresse un altare al Signore; scavò intorno un canaletto, capace di contenere due misure
di seme. Dispose la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla legna. Quindi disse:
“Riempite quattro brocche d'acqua e versatele sull'olocausto e sulla legna!”. Ed essi lo
fecero. Egli disse: “Fatelo di nuovo!”. Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: “Per la
terza volta!”. Lo fecero per la terza volta. L'acqua scorreva intorno all'altare; anche il
canaletto si riempì d'acqua. Al momento dell'offerta si avvicinò il profeta Elia e disse:
“Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele
e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi,
Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro
cuore!”. Cadde il fuoco del Signore e consumò l'olocausto, la legna, le pietre e la cenere,
prosciugando l'acqua del canaletto. A tal vista, tutti si prostrarono a terra ed
esclamarono: “Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!”. Elia disse loro: “Afferrate i profeti di
Baal; non ne scappi uno!”. Li afferrarono. Elia li fece scendere nel torrente Kison, ove li
scannò (1 Re 18, 16 – 40).
La teofania sull’Oreb
Acab riferì a Gezabele ciò che Elia aveva fatto e che aveva ucciso di spada tutti i profeti.
Gezabele inviò un messaggero a Elia per dirgli: “Gli dei mi facciano questo e anche di
peggio, se domani a quest'ora non avrò reso te come uno di quelli”. Elia, impaurito, si
alzò e se ne andò per salvarsi. Giunse a Bersabea di Giuda. Là fece sostare il suo
ragazzo. Egli si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un
ginepro. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io
non sono migliore dei miei padri”. Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco
un angelo lo toccò e gli disse: “Alzati e mangia!”. Egli guardò e vide vicino alla sua testa
una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d'acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a
coricarsi. Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: “Su mangia, perché è
troppo lungo per te il cammino”. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel
cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino, al monte di Dio, l'Oreb. Là
entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: “Che fai qui,
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Elia”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti
hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i
tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”. Gli fu detto: “Esci e
fermati sul monte alla presenza del Signore”. Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento
impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il
Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel
terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il
fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il
mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco sentì una voce che gli
diceva: “Che fai qui, Elia?”. Egli rispose: “Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli
eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi
altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano do
togliermi la vita”. Il Signore gli disse: “Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di
Damasco; giunto là, ungerai Cazael come re di Aram. Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsi,
come re di Israele e ungerai Eliseo figlio di Safat, di Abel-Mecola, come profeta al tuo
posto. Se uno scamperà dalla spada di Cazael, lo ucciderà Ieu; se uno scamperà dalla
spada di Ieu, lo ucciderà Eliseo. Io poi mi sono risparmiato in Israele settemila persone,
quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non l’hanno baciato con la bocca”
(1 Re 19, 1 – 18).
La vedova di Zarepta
Dopo alcuni giorni il torrente si seccò, perché non pioveva sulla regione. Il Signore parlò
a lui e disse: “Alzati, va' a stabilirti in Zarepta di Sidone. Ecco, io ho dato ordine a una
vedova di là per il tuo cibo”. Egli si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città,
ecco una vedova raccoglieva legna. La chiamò e le disse: “Prendimi un po' d'acqua in un
vaso perché io possa bere”. Mentre quella andava a prenderla, le gridò: “Prendimi anche
un pezzo di pane”. Quella rispose: “Per la vita del Signore tuo Dio, non ho nulla di cotto,
ma solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di
legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo”.
Elia le disse: “Non temere; su, fa' come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia
per me e portamela; quindi ne preparerai per, te e per tuo figlio, poiché dice il Signore:
La farina della giara non si esaurirà e l'orcio dell'olio non si svuoterà finché il Signore,
non farà piovere sulla terra”. Quella andò e fece come aveva detto Elia. Mangiarono Elia,
la vedova e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l'orcio
dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziato per mezzo di
Elia. In seguito il figlio della padrona di casa si ammalò. La sua malattia era molto,
grave, tanto che cessò di respirare. Essa allora disse a Elia: “Che c'è fra me e te, uomo
Bibbia 14
di Dio? Sei venuto da me per rinnovare il ricordo della mia iniquità e per uccidermi il
figlio?”. Elia le disse: “Dammi tuo figlio”. Glielo prese dal seno, lo portò al piano di sopra,
dove abitava, e lo stese sul letto. Quindi invocò il Signore: “Signore mio Dio, forse farai
del male a questa vedova che mi ospita, tanto da farle morire il figlio?”. Si distese tre
volte sul bambino e invocò il Signore: “Signore Dio mio, l'anima del fanciullo torni nel
suo corpo”. Il Signore ascoltò il grido di Elia; l'anima del bambino tornò nel suo corpo e,
quegli riprese a vivere. Elia prese il bambino, lo portò al piano terreno e lo consegnò alla
madre, Elia disse: “Guarda! Tuo figlio vive!”. La donna disse a Elia: “Ora so che tu sei
uomo di Dio e che la vera parola del Signore è sulla tua bocca” (1 Re 17, 7 – 24).
La “scomparsa” di Elia
Poi, volendo Dio rapire in cielo in un turbine Elia, questi partì da Galgala con Eliseo. Elia
disse a Eliseo: “Rimani qui, perché il Signore mi manda fino a Betel”. Eliseo rispose: “Per
la vita del Signore e per la tua stessa vita non ti lascerò”. Scesero fino a Betel. I figli dei
profeti che erano a Betel andarono incontro a Eliseo e gli dissero: “Non sai tu che oggi il
Signore ti toglierà il tuo padrone?”. Ed egli rispose: “Lo so anch'io, ma non lo dite”. Elia
gli disse: “Eliseo, rimani qui, perché il Signore mi manda a Gerico”. Quegli rispose: “Per
la vita del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò”. Andarono a Gerico. I figli dei
profeti che erano in Gerico si avvicinarono a Eliseo e gli dissero: “Non sai tu che oggi il
Signore ti toglierà il tuo padrone?”. Rispose: “Lo so anch'io, ma non lo dite”. Elia gli
disse: “Rimani qui, perché il Signore mi manda al Giordano”. Quegli rispose: “Per la vita
del Signore e per la tua stessa vita, non ti lascerò”. E tutti e due si incamminarono.
Cinquanta uomini, tra i figli dei profeti, li seguirono e si fermarono a distanza; loro due si
fermarono sul Giordano. Elia prese il mantello, l'avvolse e percosse con esso le acque,
che si divisero di qua e di là; i due passarono sull’asciutto. Mentre passavano, Elia disse
a Eliseo: “Domanda che cosa io debba fare per te prima che sia rapito lontano da te”.
Eliseo rispose: “Due terzi del tuo spirito diventino miei”. Quegli soggiunse: “Sei stato
esigente nel domandare. Tuttavia, se mi vedrai quando sarò rapito lontano da te, ciò ti
sarà concesso; in caso contrario non ti sarà concesso”. Mentre camminavano
conversando, ecco un carro di fuoco e i cavalli di fuoco si interposero fra loro due. Elia
salì nel turbine verso il cielo. Eliseo guardava e gridava: “Padre mio, padre mio, cocchio
d'Israele e suo cocchiere”. E non lo vide più. Allora afferrò le proprie vesti e le lacerò in
due pezzi. Quindi raccolse il mantello, che era caduto a Elia, e tornò indietro, fermandosi
sulla riva del Giordano (2 Re 2, 1 – 13).
Bibbia 15
Elia nella tradizione ebraica
La figura di Elia accompagna la storia e la fede dell’Ebraismo post –
biblico, che trasforma Elia nel profeta che visita, difende e consola il
popolo ebraico. Elia ha lasciato un segno così profondo nella coscienza
ebraica che ogni anno, quando si celebra la Pasqua e si prepara in ogni
casa la tavola, si mette una sedia in più per Elia, nella speranza che visiti
quella famiglia.
Ci affidiamo alle parole di E. Wiesel, Cinque figure bibliche, Giuntina,
Firenze 1998, pp. 49 – 51. 55 – 56:
“E così era tempo per lui di partire e di ascendere al cielo. Solo per ritornare dopo che gli
era stata assegnata una parte del tutto diversa. L'Elia postbiblico del dopo-ascensione ha
subito una straordinaria trasformazione. La leggenda talmudica adesso lo rappresenta
come l'amico e il compagno di tutti coloro che mancano di amicizia, di conforto e di
speranza. Al cinico egli porta certezza; al vagabondo una scintilla di luce e di calore. Al
saggio porta un maestro; al sognatore un sogno: questo è Elia. Le sue visite - o le sue
rivelazioni - sono ricompense in se stesse. Bisogna meritarsele. Questo vale anche per i
suoi miracoli: devono essere meritati. Ma Elia è degno di fiducia, mantiene le sue
promesse, porta a termine i suoi impegni. E quando non è capace di aiutare, almeno
soffre con noi e piange su di noi. Il predicatore castigatore è diventato il profeta della
consolazione. Come angelo e protettore di Israele, egli domina il tempo e lo spazio: è
dappertutto allo stesso tempo. Non può essere descritto, perché i suoi travestimenti
sono numerosi. A volte appare sotto le spoglie di un arabo, di un persiano, di un
cavaliere, di un soldato, e perfino di una donna di malaffare. Un giorno doveva salvare
Rabbi Meir. I soldati romani lo inseguirono e stavano per prenderlo quando lo videro
rimorchiato da una passeggiatrice! No, impossibile. Fecero dietrofront e cessarono
l'inseguimento. Erano chiaramente investigatori di scarso valore. Come fecero a non
rendersi conto che la donna era il profeta Elia che camminava con Rabbi Meir per
salvarlo? Un'altra storia: un certo Rabbi Nahum di Gamzu andò in missione a Roma,
portando dell'oro ebraico per indurre l'imperatore a un atteggiamento più benevolo nei
confronti della Giudea. Durante il viaggio si fermò in una locanda dove i ladri gli
rubarono l'oro e misero della sabbia al suo posto. Immaginate la rabbia dell'imperatore
quando aprì la scatola e trovò la sabbia. Rabbi Nahum fu condannato a morte per lesa
maestà. Gam zu letovà, disse Rabbi Nahum, ripetendo la sua espressione favorita,
“qualunque cosa venga fatta è per il meglio”. Questa volta aveva ragione, perché
Bibbia 16
apparve Elia travestito da cortigiana (alcuni dicono da consigliere) e disse all'imperatore:
“Aspetta, quest'uomo ti ha portato un regalo prezioso! Più prezioso dell'oro! La sua
sabbia ha dei poteri; è un'arma potente, provala!”. Lui lo fece, e la sabbia si trasformò
miracolosamente in un'arma capace di distruggere le mura nemiche. L'imperatore
ricompensò Rabbi Nahum offrendogli una scatola piena d'oro e di pietre preziose. Sulla
via del ritorno si fermò alla stessa locanda e incontrò gli stessi ladri, che erano stupefatti
di vederlo vivo, e ricco. Essi vollero sapere cosa era successo a Roma. Lui glielo disse.
Allora riempirono dieci scatole con la stessa sabbia e la portarono all'imperatore, che la
usò in battaglia e vide che era priva di valore. E ovviamente i ladri furono imprigionati,
condannati e impiccati. Perché Elia non intercedette anche per loro? Egli era un giusto
dopotutto. Avrebbe potuto farlo, ma non lo fece. Egli salvò un altro saggio, Rabbi
Kahana, in un modo più diretto. Questo saggio era così povero che viveva vendendo
cestini porta a porta. I suoi clienti principali erano le donne. Una di esse, una matrona
romana, rimase così impressionata dalla sua bellezza che fece tutto il possibile per
sedurlo. Lui resistette e resistette, ma lei era più forte. Alla fine le disse: “Lasciami
andare e preparati”. Invece, salì sul tetto e si gettò di sotto. Elia lo acchiappò al volo,
dicendogli con aria di rimprovero: “A causa tua ho dovuto fare una corsa, perché ero
molto lontano”. “Non avevo scelta” spiegò Rabbi Kahana. “lo sono povero, sono un
venditore ambulante, sono esposto a tutti i tipi di donne, a ogni genere di pericolo”. E
così, per salvarlo da simili futuri pericoli, Elia gli dette un sacchetto di monete, in modo
che egli potesse metter fine alla sua carriera di venditore ambulante”.
[…] “Ma i saggi e i santi non sono gli unici che sono visitati da Elia. Soltanto loro hanno il
privilegio di andarlo a trovare, ma lui va a trovare tutti. Ama la gente povera, la gente
pia, la gente semplice. “Dio esaminò tutte le qualità da concedere a Israele e non trovò
niente di meglio che la... povertà” dichiarò una volta. Egli visita tutte le case ebraiche
almeno una volta all'anno - durante il seder di Pasqua - ed è presente a tutte le
circoncisioni. Ogni ebreo che entra nella società ebraica deve essere accolto da lui; egli è
con noi nella nostra gioia, come noi siamo con lui. Ma raggiunge l'apogeo nella
letteratura mistica e chassidica, dove è sia maestro che messaggero, sorgente e vaso di
elezione, forma e sostanza. Ghilui Eliyahu è più che un concetto; è un'avventura vicina a
quella messianica. Gli studiosi della Cabbalà lo evocano in estasi. I compagni del Besht
gli dedicano i loro sogni. Di tutti i profeti, è Elia che incendia l'immaginazione. Perché?
Per il fatto che Malachia lo collega irrevocabilmente al Messia? Per l'espressione veheshiv
lev avot al banim, “egli riconcilierà i figli e i genitori”? Per il fatto di aver mandato una
lettera a Yehoram ben Yehoshafat sette anni dopo la sua morte? Perché, fra tutti i
profeti, è lui che è diventato il simbolo della consolazione? Perché Elia e non Geremia, e
Bibbia 17
non Isaia? Perché la sua leggenda ha lasciato un tale segno sulla nostra ricerca mistica
in tutte le generazioni dall'esilio e nell'esilio, da Gerusalemme e verso Gerusalemme?
Elia: il grande eroe, il salvatore romantico, la personificazione della nobiltà, della fede e
del coraggio, soprattutto nei racconti midrashici e chassidici. In questa letteratura siamo
colpiti da uno strano fatto: ogni qual volta appare uno straniero, egli assume l'identità di
Elia. Dapprima Elia è sconosciuto, poi lo sconosciuto diventa Elia. Uno straniero
pronuncia una frase vera, compie un atto vero: deve essere Elia. Un uomo senza nome o
senza mestiere emerge da non si sa dove per compiere una missione segreta: deve
essere Elia. La migliore prova è che scompare appena il lavoro è compiuto. La sua
scomparsa è misteriosa quanto la sua apparizione. Egli risponde al nostro bisogno
interiore: è il decimo uomo per il minyan, l'emissario segreto che consiglia al principe di
revocare il suo infame decreto, il non ebreo compassionevole che ferma il boia all'ultimo
minuto, il viaggiatore misterioso che arriva al momento giusto, al posto giusto, per
dimostrare a una persona disperata o a una comunità disperata che la speranza è
sempre possibile e che ha un volto mutevole. Ma un giorno verrà e resterà. Quel giorno
accompagnerà il Messia, al cui destino egli è legato. Uno non può realizzare la sua
missione senza l'altro. Perché giunga il Messia, deve essere preceduto, e annunciato, da
Elia. Nel frattempo, egli consola e occasionalmente cura i malati. Incoraggia i deboli.
Corre dei rischi e sfida i nemici per salvaguardare la sopravvivenza ebraica: non
abbiamo nessun miglior difensore in cielo di Elia. Egli è legato al dolore ebraico e parla di
esso a Dio. In realtà, egli è il cronista, lo storico del dolore ebraico. Prende nota di ogni
evento tragico, di ogni massacro, di ogni pogrom, di ogni agonia, di ogni lacrima; grazie
a lui, nulla va perduto. Il suo ruolo più importante è quello di testimone; egli è la
memoria del popolo ebraico. Dice la leggenda che alla fine dei tempi il suo libro diverrà
la nuova Toràh che il Messia studierà e insegnerà perché l'umanità ricordi per sempre il
dolore ebraico, l'attesa ebraica, il desiderio ebraico”.
Amos il ruggito del leone “Parole di Amos, che era pecoraio di Tekoa, il quale ebbe visioni riguardo a Israele, al
tempo di Ozia re della Giudea, e al tempo di Geroboamo figlio di Ioas, re di Israele, due
anni prima del terremoto. Egli disse: “Il Signore ruggisce da Sion e da Gerusalemme fa
udire la sua voce; sono desolate le steppe dei pastori, è inaridita la cima del Carmelo”
(Am 1, 1 – 2).
È l’esordio tratto dal libro del profeta Amos che irrompe sulla scena del
Regno del Nord nell’VIII secolo a. c.. Egli è la voce potente di Jhwh, è il
ruggito di Dio che si scaglia contro il suo popolo. In quel tempo instabile
Bibbia 18
politicamente (cinque dinastie in due secoli ovvero frequenti colpi di stato
ad opera dei militari, divisi tra filo-egiziani e filo-assiri) e pervaso dal
benessere economico, aveva preso piede l’ingiustizia sociale, il lassismo
etico e una pratica cultuale ipocrita e vuota. Amos dice di se stesso: “Non
ero profeta né figlio di profeta; ero un pastore e un raccoglitore di sicomori; il Signore mi
prese di dietro il bestiame e il Signore mi disse: “Va’, profetizza al mio popolo Israele””
(Am 7, 14 – 15).
E Amos, chiamato da Jhwh, ruggisce per la giustizia, per la fede, per il
giorno di Jhwh, per la speranza.
Per la giustizia:
“Fatelo udire nei palazzi di Asdòd e nei palazzi del paese d’Egitto e dite: Adunatevi sui
monti di Samaria e osservate quanti disordini sono in essa e quali violenze sono nel suo
seno. Non sanno agire con rettitudine, dice il Signore, violenza e rapina accumulano nei
loro palazzi. Perciò, così dice il Signore Dio: Il nemico circonderà il paese, sarà abbattuta
la tua potenza e i tuoi palazzi saranno saccheggiati” (Am 3, 9 – 11).
“Ascoltate queste parole, o vacche di Basàn, che siete sul monte Samaria, che opprimete
i deboli, schiacciate i poveri e dite ai vostri mariti: Porta qua, beviamo! Il Signore Dio ha
giurato per la sua santità: Ecco, verranno per voi giorni in cui sarete prese con ami e le
rimanenti di voi con arpioni da pesca. Uscirete per le brecce, una dopo l’altra e sarete
cacciate oltre l’Ermon, oracolo del Signore” (Am 4, 1 – 3).
Violenza, rapina, oppressione del debole e del povero, corruzione,
depravazione…Jhwh vede, Jhwh sa e parla per bocca del profeta, che
proferisce la condanna e il castigo.
Per la fede:
“Io detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se voi mi
offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io
non le guardo. Lontano da me il frastuono de i tuoi canti: il suono delle arpe non posso
sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente in perenne”
(Am 5, 21 – 24).
Bibbia 19
Il culto ufficiale si è snaturato in una pratica formalmente ineccepibile, ma
ipocrita e vuota perché non rispecchia la santità della vita: si è rotto il
nesso inscindibile tra fede e vita, tra culto ed esistenza.
Per il giorno di Jhwh:
“Guai a coloro che attendono il giorno del Signore! Che sarà per voi il giorno del
Signore? Sarà tenebre e non luce. Come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte
in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde. Non sarà
forse tenebra e non luce il giorno del Signore; e oscurità senza splendore alcuno?” (Am
5, 18 – 20).
Giorno di Jhwh è espressione introdotta da Amos e in seguito diverrà una
categoria teologica fondamentale per designare l’intervento e l’evento
decisivo e risolutivo di Dio nella storia umana, dove Dio stesso instaurerà
il suo regno di giustizia e di pace in un mondo rinnovato. Giorno di Jhwh
dice la salvezza che viene da Dio. Questo significato ultimo trova qui la
sua radice: Amos mette in guardia coloro che attendono la festa liturgica
(il giorno di Jhwh) come giorno di salvezza o che attendono il giorno
dell’intervento vittorioso e salvatore di Dio nella storia, perché in realtà
sarà un giorno di condanna e di castigo, di tenebre e non di luce.
Per la speranza:
“In quel giorno rialzerò la capanna di Davide, che è caduta; ne riparerò le brecce, ne
rialzerò le rovine, la ricostruirò come ai tempi antichi, perché conquistino il resto di Edom
e tutte le nazioni sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che farà tutto
questo. Ecco, verranno giorni – dice il Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e
chi pigia l’uva con chi getta il seme; dai moti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le
colline. Farò tornare gli esuli del mio popolo Israele, e ricostruiranno le città devastate e
vi abiteranno; pianteranno vigne e ne berranno il vino; coltiveranno giardini e ne
mangeranno il frutto. Li pianterò nella loro terra e non saranno mai divelti da quel suolo
che io ho concesso loro, dice il Signore” (Am 9, 11 – 15).
Il libro di Amos si conclude con queste espressioni di speranza che
abbracciano l’universo della storia e della vita di Israele: sarà restaurato il
Bibbia 20
regno davidico; sarà benedetta la terra; terminerà l’esilio e, finalmente, il
popolo abiterà per sempre la terra che Jhwh diede ad Abramo.
Osea il profeta dell’amore
Poco dopo l’espulsione di Amos dal territorio del Regno del Nord, Osea
entra in scena e svolge la sua missione tra il 750 e il 722 a. c., anno in cui
il re assiro Salmanassar V conquista Samaria e pone fine al Regno del
Nord. Lo sfondo storico e religioso è, quindi, lo stesso di Amos, anzi si è
aggravato perché condurrà alla fine del Regno del Nord e perché la crisi
religiosa è divenuta un fenomeno radicato e diffuso in tutto il regno. I
santuari del Nord diventano centri cultuali cananaei, dove fiorisce la
prostituzione sacra con i suoi riti orgiastici, segno della sacralizzazione
della sessualità. Accanto alla condanna dell’idolatria cultuale, Osea
stigmatizza anche l’idolatria politica ovvero il ritenere che il futuro di
Israele dipenda da abili alleanze politiche con l’Egitto o l’Assiria, le
“divinità politiche” del tempo. La novità del messaggio di Osea, tuttavia,
risplende laddove egli descrive la relazione tra Jhwh e il popolo nei termini
di una relazione d’amore tra sposo e sposa, tra genitore e figlio.
La vocazione
“Parola del Signore rivolta a Osea figlio di Beerì, durante il regno di Ozia, Iotam, Acaz, ed
Ezechia su Giuda e quello di Geroboamo, figlio di Iosa, su Israele. Quando il Signore
cominciò a parlare a Osea, gli disse: “Va’, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di
prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore”. Egli
andò a prendere Gomer, figlia di Diblàim: essa concepì e gli partorì un figlio. E il Signore
disse a Osea: “Chiamalo Izreèl, perché tra poco vendicherò il sangue di Izreèl sulla casa
di Ieu e porrò fine al regno della casa di Israele. In quel giorno io spezzerò l’arco
d’Israele nella valle di Izreèl”. La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore
disse a Osea: “Chiamale Non-amata, perché non amerò più la casa di Israele, non ne
avrò più compassione. Invece io amerò la casa di Giuda e saranno salvati dal Signore
loro Dio; non li salverò con l’arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri”.
Dopo aver divezzato Non-amata, Gomer concepì e partorì un figlio. E il Signore disse a
Osea: “Chiamalo Non-mio-popolo, perché voi non siete mio popolo e io non esisto per
voi” (Os 1, 1 – 9).
Bibbia 21
La parola di Jhwh giunge al suo popolo attraverso le parole e la vita stessa
del profeta. Osea sposa una prostituta e diventa padre. Ai figli impone un
nome simbolico: Izreèl, per ricordare il massacro seguito al colpo di stato
di Ieu; Non-amata, per annunciare che da ora in poi Jhwh non amerà più
e abbandonerà Israele al proprio destino; Non-mio-popolo, per sanzionare
la rottura dell’alleanza tra Jhwh e il popolo.
L’amore dello sposo per la sposa infedele
“Accusate vostra madre, accusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più
suo marito! Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio
dal suo petto; altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò come quando nacque e la
ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete. I suoi figli non li
amerò, perché sono figli di prostituzione. La loro madre si è prostituita, la loro genitrice si
è coperta di vergogna. Essa ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e
la mia acqua, la mia lana e il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. Perciò ecco, ti
sbarrerò la strada di spine e ne cingerò il recinto di barriere e non ritroverà i suoi
sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora
dirà: “Ritornerò al mio marito di prima perché ero più felice di ora”. Non capì che io le
davo grano, vino nuovo e olio e le prodigavo l'argento e l'oro che hanno usato per Baal.
Perciò anch'io tornerò a riprendere il mio grano, a suo tempo, il mio vino nuovo nella sua
stagione; ritirerò la lana e il lino che dovevano coprire le sue nudità. Scoprirò allora le
sue vergogne agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani. Farò
cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue solennità. Devasterò le
sue viti e i suoi fichi, di cui essa diceva: “Ecco il dono che mi han dato i miei amanti”. La
ridurrò a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici. Le farò scontare i giorni dei
Baal, quando bruciava loro i profumi, si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi
amanti mentre dimenticava me! - Oracolo del Signore. Perciò, ecco, la attirerò a me, la
condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la
valle di Acor in porta di speranza. Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come
quando uscì dal paese d'Egitto. E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - mi
chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: Mio padrone. Le toglierò dalla bocca i
nomi dei Baal, che non saranno più ricordati. In quel tempo farò per loro un'alleanza con
le bestie della terra e gli uccelli del cielo e con i rettili del suolo; arco e spada e guerra
eliminerò dal paese; e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia
sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me
nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà in quel giorno - oracolo del Signore - io
Bibbia 22
risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà con il grano, il vino
nuovo e l'olio e questi risponderanno a Izreèl. Io li seminerò di nuovo per me nel paese e
amerò Non-amata; e a Non-mio-popolo dirò; Popolo mio, ed egli mi dirà: Mio Dio” (Os 2,
4 – 25).
Il testo ci conduce dal rifiuto di questa moglie infedele che si è concessa ai
suoi amanti (il peccato di Israele come adulterio), alla sua riconquista
perché Jhwh è sposo innamorato del suo popolo. Jhwh non viene meno
alle sua promesse, all’alleanza che ha stretto con Israele, all’amore, libero
e viscerale, che prova per il suo popolo. E mentre il suo popolo è ancora
nel peccato, Jhwh perdona e sogna il giorno in cui la riconquisterà di
nuovo, la riprenderà in casa e la terra sarà un nuovo Eden.
L’amore del genitore per il proprio bimbo
“Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più
li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano
incensi. Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non
compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore;
ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da
mangiare. Ritornerà al paese d'Egitto, Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto
convertirsi. La spada farà strage nelle loro città, sterminerà i loro figli, demolirà le loro
fortezze. Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa
sollevare lo sguardo. Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri,
Israele? Come potrei trattarti al pari di Adma, ridurti allo stato di Zeboim? Il mio cuore si
commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all'ardore
della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il
Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira. Seguiranno il Signore ed egli ruggirà come
un leone: quando ruggirà, accorreranno i suoi figli dall'occidente, accorreranno come
uccelli dall'Egitto, come colombe dall'Assiria e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del
Signore” (Os 11, 1 – 11).
Osea descrive l’intimità e la tenerezza di un padre o di una madre verso il
proprio bimbo. Questa età dell’amore paterno o materno è esperienza
indimenticabile e incancellabile: il figlio adulto rimane sempre bimbo per i
propri genitori. Il messaggio di Osea circa la relazione tra Jhwh e Israele
raggiunge il culmine in questa trascrizione dell’alleanza nei termini
Bibbia 23
dell’amore paterno o materno. Nella celebrazione di Jhwh come Dio
d’amore sta il cuore e la verità dell’alleanza, che un giorno Jhwh strinse
sul Monte Sinai con Mosè. E all’amore si può solo rispondere con amore,
con una vita santa e un culto santo, non con l’idolatria e l’ingiustizia, come
Amos e lo stesso Osea altrove ci ricordano.
Isaia
Il libro del profeta Isaia consta di 66 capitoli, che gli studiosi attribuiscono
almeno a tre mani diverse (1–39 Isaia, 40–55 Deuteroisaia, 56–66
Tritoisaia). Il libro, pertanto, copre un arco di tempo racchiuso tra il 740 e
la fine del VI secolo. La cosa non deve stupire più di tanto perché
nell’antichità, e non solo, era costume assodato l’attribuire ad un grande e
autorevole personaggio testi scritti da altri, che si consideravano suoi
discepoli, interpreti e continuatori, ma, soprattutto, si voleva affermare
una chiave di lettura teologica: è solamente riferendosi alla persona ed
alla sua rappresentatività per la storia ebraica che è possibile recepire in
pienezza i singoli testi. La cosa, inoltre, non è affatto isolata nella
tradizione biblica se si pensa a Mosè per il Pentateuco, a Davide per i
Salmi, a Salomone per Proverbi, Qohelet e Sapienza. In questa sede
presenteremo il primo Isaia o l’Isaia tout court.
Il fatto politico fondamentale lungo l’VIII secolo è costituito dall’avvento e
dalla discesa in campo nello scacchiere mediorientale della potenza assira:
nel 745 sale al trono Tiglatpileser III, cui seguirà nel 727 Salmanassàr V,
nel 722 Sargon II e nel 705 Sennacherib (fino al 681). Il popolo ebraico
dovrà fare i conti con la nuova superpotenza assira, che dilaga in
medioriente e il saldo sarà negativo: nel 721 Sargon II conquista Samaria
deportando, nel 720, più di 20000 samaritani, ovvero scompare il Regno
di Israele; il sopravvissuto Regno di Giuda tenterà di ribellarsi, con l’avallo
babilonese, all’Assiria appoggiandosi all’Egitto e alle città-stato di Accaron
e di Ascalon, ma Sennacherib scende in Palestina e assedia Gerusalemme,
che nel 701 evita la caduta e la conquista per il precipitoso ritorno in
Bibbia 24
patria di Sennacherib, probabilmente dovuto alla pressione dell’Egitto, a
difficoltà interne all’Assiria e forse anche all’improvvisa peste narrata da
Erodoto. Nel mezzo, degna di nota, ci sta la guerra mossa da Damasco e
da Samaria contro Acaz, re di Giuda (736 – 627), i cui motivi sono ancora
oggetto di dibattito tra gli studiosi.
La vocazione del profeta
Nell'anno in cui mori il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i
lembi del suo manto riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno
aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava.
Proclamavano l'uno all'altro: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra
è piena della sua gloria”. Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava,
mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: “Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo
dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i
miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti”. Allora uno dei serafini volò verso di
me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall'altare. Egli mi
toccò la bocca e mi disse: “Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la
tua iniquità e il tuo peccato è espiato”. Poi io udii la voce del Signore che diceva: “Chi
manderò e chi andrà per noi?”. E io risposi: “Eccomi, manda me!”. Egli disse: “Va' e
riferisci a questo popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma
senza conoscere. Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d'orecchio e
acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il
cuore né si converta in modo da esser guarito”. Io dissi: “Fino a quando, Signore?”. Egli
rispose: “Finché non siano devastate le città, senza abitanti, le case senza uomini e la
campagna resti deserta e desolata”. Il Signore scaccerà la gente e grande sarà
l'abbandono nel paese. Ne rimarrà una decima parte, ma di nuovo sarà preda della
distruzione come una quercia e come un terebinto; di cui alla caduta resta il ceppo.
Progenie santa sarà il suo ceppo (Is 6, 1 – 13).
Abbiamo di fronte una pagina autobiografica che ci narra la vocazione di
Isaia avvenuta nell’anno 740 e nel tempio di Gerusalemme. Il testo ci offe
la teofania, la consacrazione e la missione del profeta. Jhwh si rivela come
il Dio trascendente e retto, mentre il profeta riconosce la sua condizione
umana e di peccatore. La distanza tra il Dio santo e glorioso viene sanata
attraverso un rito purificatore che abilita Isaia ad ascoltare e a rispondere
Bibbia 25
alla chiamata di Jhwh. Isaia riceve la missione di tornare presso il suo
popolo e di pronunciare il giudizio di Jhwh: Israele deve convertirsi perché
ha peccato. Israele, tuttavia, non ascolterà l’appello profetico e per questo
giungerà devastazione e desolazione. La catastrofe non sarà totale perché
da un ceppo verrà un seme ovvero il resto di Israele purificato diverrà
seme di un popolo santo, consacrato a Jhwh.
Per una fede vera
Udite la parola del Signore, voi capi di Sodoma; ascoltate la dottrina del nostro Dio,
popolo di Gomorra! “Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?” dice il Signore.
“Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di
agnelli e di capri io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi
che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l'incenso è un
abominio per me; non posso sopportare noviluni, sabati, assemblee sacre, delitto e
solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco
di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicate
le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi,
togliete dalla mia vista il male delle vostre azioni. Cessate di fare il male, imparate a fare
il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l'oppresso, rendete giustizia all'orfano, difendete
la causa della vedova”. “Su, venite e discutiamo” dice il Signore. “Anche se i vostri
peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come
porpora, diventeranno come lana. Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della
terra. Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del
Signore ha parlato” (Is, 1, 10 – 20).
Isaia, come Amos, condanna la separazione tra fede e vita, tra culto ed
esistenza: un culto formalmente perfetto è vuoto e ipocrita se non
comprende il prendersi cura degli oppressi, degli orfani e delle vedove
ovvero dei poveri.
Canterò per il mio diletto il mio cantico d'amore per la sua vigna. Il mio diletto
possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi e
vi aveva piantato scelte viti; vi aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un
tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica. Ora dunque, abitanti
di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa
dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che
Bibbia 26
producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per
fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo
muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi
cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. Ebbene, la
vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua
piantagione preferita. Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue,
attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi (Is 5, 1 – 7).
È una delle più celebri pagine di Isaia dove si canta l’amorevole cura che
Jhwh ha riservato al suo popolo. All’operosa attesa corrisponde, al
contrario, il peccato dell’uomo che rifiuta Jhwh e si autocondanna.
La speranza messianica
Visione di Isaia, figlio di Amoz, riguardo a Giuda e a Gerusalemme. Alla fine dei giorni, il
monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli;
ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul
monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo
camminare per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la
parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli.
Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la
spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra. Casa di
Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore (Is 2, 1 – 5).
Nel futuro del popolo ebraico c’è un centro e un fulcro: è la rocca di Sion.
Jhwh ha eletto Sion, la Città di David, come sua dimora e il Tempio di
Salomone ne è il segno. Alla dimensione verticale (= la Gloria di Jhwh è
discesa su Sion e abita nel Tempio) corrisponde una forza centripeta che
attrae fiumane di popoli al monte di Dio (dimensione orizzontale) perché
da lì viene e si irradia la legge e la parola ovvero un nuovo ordine umano
di giustizia e, grazie ad essa, di pace. È bene sottolineare che questa
visione di speranza non è riservata esclusivamente al popolo ebraico che,
al contrario, sarà il popolo apripista nel pellegrinaggio finale di tutte le
genti al monte di Sion. Isaia, infatti, sta parlando di un tempo oltre il
tempo storico, frutto dell’opera degli uomini. Egli sta descrivendo il tempo
di Dio, la sua opera a beneficio di Israele e di tutte le genti. Al presente
Bibbia 27
buio e drammatico Isaia risponde con una parola di luce e di pace, con
una parola buona che evoca la benedizione di Jhwh rivolta ad Abramo e,
attraverso Abramo, a tutte le genti. È il ribaltamento di quanto avvenne a
Babele (Gn 11): là una torre costruita dalle mani dell’uomo per
espugnare il cielo, là confusione e dispersione; qui un monte scelto e
abitato da Jhwh, qui comprensione e riunione, anzi, un nuovo mondo,
una nuova comunità umana all’insegna della giustizia e della pace. È il
futuro di Dio e che Dio riserva ad Israele e, attraverso esso, a tutti i
popoli della terra.
Il Signore parlò ancora ad Acaz dicendo: “Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal
profondo degli inferi oppure lassù in alto”. Ma Acaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio
tentare il Signore”. Allora Isaia disse: “Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di
stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio
Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà
un figlio, che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a
rigettare il male e a scegliere il bene. Poiché prima ancora che il bimbo impari a
rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re. Il
Signore manderà su di te, sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non
vennero da quando Efraim si staccò da Giuda: manderà il re di Assiria” (Is 7, 10 – 17).
Lo sfondo storico è costituito dalla guerra siro-efraimitica (734) e
dall’alleanza che Acaz ha stretto con l’Assiria per opporsi a Damasco e a
Samaria. Isaia non è d’accordo: invita il re Acaz a resistere contro
Damasco e Samaria senza l’appoggio assiro. Per questo Isaia ricorda ad
Acaz, discendente del re Davide, la promessa che, per bocca del profeta
Natan, Jhwh fece a Davide ovvero la continuità nel tempo della dinastia
davidica (2 Sam 7) ed offre un segno: la nascita di un figlio da una
“giovane donna”, la moglie di Acaz non ancora diventata madre e perciò
“vergine” (come tradurranno i LXX e Mt 1, 23). Il figlio che nascerà
porterà un nome simbolico, Emanuele ovvero Dio-con-noi e inizierà
un’era nuova perché egli sceglierà il bene, ma non sarà indolore perché il
giudizio di Jhwh incombe sul popolo peccatore.
Bibbia 28
Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in
terra tenebrosa o una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia.
Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si
divide il bottino. Poiché tu, come al tempo di Madian, hai spezzato il giogo che
l'opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone dell'aguzzino. Poiché ogni calzatura
di soldato nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà bruciato, sarà esca del
fuoco. Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il
segno della sovranità ed è chiamato: “Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per
sempre, Principe della pace”; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul
trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la
giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti (Is 9, 1 – 6)..
Jhwh riserva al suo popolo un’era di luce e di gioia perché terminerà
l’oppressione e la guerra, e, soprattutto, nascerà un bimbo i cui titoli
regali ne proclamano e cantano la grandezza in politica interna
(consigliere), in politica estera (potente), verso i propri sudditi (padre) e
donerà pace e giustizia (principe).
Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di
lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio
e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del
Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire;
ma giudicherà con giustizia i poveri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese.
La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra
ucciderà l'empio. Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la
fedeltà. Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa
pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia,
come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide; il bambino metterà la mano
nel covo dei serpenti velenosi. Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in
tutto il mio santo monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque
ricoprono il mare (Is 11, 1 – 9).
La descrizione della speranza messianica raggiunge il culmine in questo
poema che, da un lato, annuncia e canta una nuova creazione e un nuovo
paradiso, e, dall’altro lato, approfondisce la missione del discendente
Bibbia 29
davidico: su di Lui riposerà la pienezza dello spirito di Jhwh e porterà,
finalmente!, giustizia.
* Una parola riassuntiva e conclusiva circa la speranza messianica
secondo Isaia. Essa riprende e riannoda la benedizione di Abramo e la
promessa di Natan a Davide ovvero dal popolo eletto e benedetto da
Jhwh, che ha fondato Sion - Gerusalemme eleggendola a sua dimora,
uscirà la salvezza per Israele e per l’umanità intera. È una nuova
creazione e un nuovo mondo che verrà grazie al dono di un bimbo, il
Messia.
La teologia della storia
Il Signore infatti avrà pietà di Giacobbe e si sceglierà ancora Israele e li ristabilirà nel loro
paese. A loro si uniranno gli stranieri, che saranno incorporati nella casa di Giacobbe. I
popoli li accoglieranno e li ricondurranno nel loro paese e se ne impossesserà la casa di
Israele nel paese del Signore, come schiavi e schiave; così faranno prigionieri coloro che
li avevano fatti schiavi e domineranno i loro avversari. In quel giorno il Signore ti libererà
dalle tue pene e dal tuo affanno e dalla dura schiavitù con la quale eri stato asservito.
Allora intonerai questa canzone sul re di Babilonia e dirai: “Ah, come è finito l'aguzzino, è
finita l'arroganza! Il Signore ha spezzato la verga degli iniqui, il bastone dei dominatori,
di colui che percuoteva i popoli nel suo furore, con colpi senza fine, che dominava con
furia le genti con una tirannia senza respiro. Riposa ora tranquilla tutta la terra ed
erompe in grida di gioia. Persino i cipressi gioiscono riguardo a te e anche i cedri del
Libano: Da quando tu sei prostrato, non salgono più i tagliaboschi contro di noi. Gli inferi
di sotto si agitano per te, per venirti incontro al tuo arrivo; per te essi svegliano le
ombre, tutti i dominatori della terra, e fanno sorgere dai loro troni tutti i re delle nazioni.
Tutti prendono la parola per dirti: Anche tu sei stato abbattuto come noi; sei diventato
uguale a noi. Negli inferi è precipitato il tuo fasto, la musica delle tue arpe; sotto di te c'è
uno strato di marciume, tua coltre sono i vermi. Come mai sei caduto dal cielo, Lucifero,
figlio dell'aurora? Come mai sei stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi:
Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò sul monte dell'assemblea,
nelle parti più remote del settentrione. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò
uguale all'Altissimo. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso!
Quanti ti vedono ti guardano fisso, ti osservano attentamente. È questo colui che
sconvolgeva la terra, che faceva tremare i regni, che riduceva il mondo a un deserto, che
ne distruggeva le città, che non apriva ai suoi prigionieri la prigione? Tutti i re dei popoli,
Bibbia 30
tutti riposano con onore, ognuno nella sua tomba. Tu, invece, sei stato gettato fuori del
tuo sepolcro, come un germoglio spregevole; sei circondato da uccisi trafitti da spada,
come una carogna calpestata. A coloro che sono scesi in una tomba di pietre tu non sarai
unito nella sepoltura, perché hai rovinato il tuo paese, hai assassinato il tuo popolo; non
sarà più nominata la discendenza dell'iniquo. Preparate il massacro dei suoi figli a causa
dell'iniquità del loro padre e non sorgano più a conquistare la terra, a riempire il mondo
di rovine”. Io insorgerò contro di loro - parola del Signore degli eserciti -, sterminerò il
nome di Babilonia e il resto; la prole e la stirpe - oracolo del Signore -. Io la ridurrò a
dominio dei ricci, a palude stagnante; la scoperò con la scopa della distruzione - oracolo
del Signore degli eserciti -. Il Signore degli eserciti ha giurato: “In verità come ho
pensato, accadrà e succederà come ho deciso. Io spezzerò l'Assiro nella mia terra e sui
miei monti lo calpesterò. Allora sparirà da loro il suo giogo, il suo peso dalle loro spalle”.
Questa è la decisione presa per tutta la terra e questa è la mano stesa su tutte le genti.
Poiché il Signore degli eserciti lo ha deciso; chi potrà renderlo vano? La sua mano è
stesa, chi gliela farà ritirare? Nell'anno in cui morì il re Acaz fu comunicato questo
oracolo, “Non gioire, Filistea tutta, perché si è spezzata la verga di chi ti percuoteva.
Poiché dalla radice del serpe uscirà una vipera e il suo frutto sarà un drago alato. I poveri
pascoleranno sui miei prati e i miseri vi riposeranno tranquilli; ma farò morire di fame la
tua stirpe e ucciderò il tuo resto. Urla, porta; grida, città; trema, Filistea tutta, perché dal
settentrione si alza il fumo e nessuno si sbanda dalle sue schiere”. Che si risponderà ai
messaggeri delle nazioni? “Il Signore ha fondato Sion e in essa si rifugiano gli oppressi
del suo popolo” (Is 14).
La sezione isaiana racchiusa tra il cap. 13 e il cap. 23 è nota come oracoli
contro le nazioni. Il presente capitolo 14 celebra il ritorno di Israele
dall’esilio babilonese, il castigo definitivo di Babilonia e la potenza di Jhwh
contro l’Assiria e la Filistea. La parola del profeta risuona chiara e forte: la
storia non è guidata dalle superpotenze di turno, che non sono arbitri del
destino del mondo, ma semplici “strumenti” nelle mani di Jhwh. È Jhwh
stesso, infatti, che tesse la sua trama di giudizio e di salvezza, verso
Israele e tutte le genti. Jhwh è l’unico giudice e salvatore della storia e
nessuno può pensare di sostituirsi a lui, peccando d’orgoglio, senza, prima
o poi, venir ricondotto alla sua natura di mero “strumento” di Dio.
Bibbia 31
3. I Ketuvim (= scritti) sono il terzo gruppo di libri canonici,
comprendente testi abbastanza recenti rispetto all’era cristiana, anche se
le loro radici affondano a volte in un passato molto antico e di diversa
natura. Gli scritti comprendono Salmi, Giobbe, Proverbi, Cantico dei
Cantici, Rut, Qohelet, Lamentazioni, Ester, Daniele, Esdra, Neemia,
Cronache 1 e 2. Come per i Neviim anche per i Ketuvim la loro canonicità
presuppone la Torah. I Ketuvim testimoniano la ricerca e la presenza della
parola di Jhwh nell’esistenza vista a 360°: nell’esperienza dell’amore che
lega un uomo ad una donna (Cantico dei cantici), nell’esperienza del
giusto innocente che ingiustamente soffre (Giobbe), nella ricerca di un
senso al tutto che sembra imprigionato da un eterno ritorno inconcludente
(Qohelet), in quel tutto che è la vita, la cui esperienza diventa un tesoro
ed un bagaglio da consegnare alle generazioni future (Proverbi)….
“Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la
morte è l’amore, tenace come gli inferi è la gelosia: le sue vampe sono vampe di fuoco,
una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi
travolgerlo” (Cantico 8, 6 – 7).
“Stanco io sono della mia vita! Darò libero sfogo al mio lamento, parlerò nell’amarezza
del mio cuore. Dirò a Dio: Non condannarmi! Fammi sapere perché mi sei avversario. È
forse bene per te opprimermi, disprezzare l’opera delle tue mani e favorire i progetti dei
malvagi? Hai tu forse occhi di carne o anche tu vedi come l’uomo? sono forse i tuoi giorni
come i giorni di un uomo, i tuoi anni come i giorni di un mortale, perché tu debba
scrutare la mia colpa e frugare il mio peccato, pur sapendo che io non sono colpevole e
che nessuno mi può liberare dalla tua mano? (Gb 10, 1 – 7).
“Allora Giobbe rispose al Signore e disse: Comprendo che puoi tutto e che nessuna cosa
è impossibile per te. Chi è colui che, senza aver scienza, può oscurare il tuo consiglio? Ho
esposto, dunque, senza discernimento cose troppo superiori a me, che io non
comprendo. “Ascoltami e io ti parlerò, io t’interrogherò e tu istruiscimi”. Io ti conoscevo
per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento
su polvere e cenere” (Gb 42, 1 – 6)
Bibbia 32
“Vanità delle vanità, dice Qohelet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava
l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? Una generazione va, una generazione
viene, ma la terra resta sempre la stessa. Il sole sorge e il sole tramonta, si affretta
verso il luogo da dove risorgerà. Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira e sopra i suoi giri il vento ritorna. Tutti i fiumi vanno al mare eppure il mare
non è mai pieno: raggiunta la loro meta, i fiumi riprendono la loro marcia. Tutte le cose
sono in travaglio e nessuno potrebbe spiegarne il motivo. Non si sazia l’occhio di
guardare, ne mai l’orecchio è sazio d’udire. Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si
rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Ql 1, 2 – 9)
“Conclusione del discorso, dopo che si è ascoltato ogni cosa: Temi Dio e osserva i suoi
comandamenti, perché questo per l’uomo è tutto. Infatti, Dio citerà in giudizio ogni
azione, tutto ciò che è occulto, bene o male” (Ql 12, 13 – 14).
“Il figlio saggio rende lieto il padre; il figlio stolto contrista la madre.
Non giovano i tesori male acquistati, mentre la giustizia libera dalla morte.
Il Signore non lascia patire la fame al giusto, ma delude la cupidigia degli empi.
La mano pigra fa impoverire, la mano operosa arricchisce.
Chi raccoglie d’estate è previdente; chi dorme al tempo della mietitura si disonora.
Le benedizioni del Signore sul capo del giusto, la bocca degli empi nasconde il sopruso.
La memoria del giusto è in benedizione, il nome degli empi va in rovina.
Chi cammina nell’integrità va sicuro, chi rende tortuose le sue vie sarà scoperto.
Chi chiude un occhio causa dolore, chi riprende a viso aperto procura pace.
Fonte di vita è la bocca del giusto, la bocca degli empi nasconde violenza.
L’odio suscita litigi, l’amore ricopre ogni cosa.
Sulle labbra dell’assennato si trova la sapienza, per la schiena di chi è privo di senno il
bastone.
I saggi fanno tesoro della scienza, ma la bocca dello stolto è un pericolo imminente.
I beni del ricco sono la sua roccaforte, la rovina dei poveri è la loro miseria.
Il salario del giusto serve per la vita, il guadagno dell’empio è per i vizi” (Pr 10, 1 – 16).
Bibbia 33
Oltre TaNaK: il Giudaismo
Con la distruzione del Tempio di Gerusalemme (587 a. c.) termina la
Religione ebraica ed inizia il Giudaismo, le cui radici storiche e teologiche
sono attestate nei libri di Esdra e Neemia e, più in generale, nei Ketuvim.
Il Giudaismo gravita attorno alla Torah, celebrata e studiata con acribia,
alla sinagoga, e ovviamente al Tempio finché non venne distrutto da Tito
nel 70 d.c.. L’atmosfera è quella del ritorno per la ricostruzione del
Tempio, simbolo di una nuova era che vedrà l’avvento di un nuovo “stato
ebraico”, di un nuovo e definitivo regno d’Israele, che, finalmente!,
sorgerà grazie alla venuta del messia. Questi secoli sono animati dallo
sforzo di plasmare e ricostruire l’identità ebraica a partire dallo studio
scrupoloso dell’insegnamento di Mosè, e sostenuti dalla speranza
messianica in un nuovo e definitivo intervento diretto di Jhwh,
diversamente descritto con toni e colori di un messia nazionale, politico e
terreno, o di un messia sovramondano e universale (apocalittico), che
avrebbe trasformato il cosmo intero, premessa e segno dell’inizio del
regno di Dio: nuovi cieli e nuova terra per il nuovo regno di Israele.
L’inizio simbolico del Giudaismo è ben descritto in Neemia 8, 1 – 12:
“Allora il popolo si radunò come un solo uomo sulla piazza davanti alla porta delle Acque
e disse ad Esdra lo scriba di portare il libro della legge di Mosè che il Signore aveva dato
a Israele. Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la legge davanti
all'assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Lesse il
libro sulla piazza davanti alla porta delle Acque, dallo spuntar della luce fino a
mezzogiorno, in presenza degli uomini, delle donne e di quelli che erano capaci di
intendere; tutto il popolo porgeva l'orecchio a sentire il libro della legge. Esdra, lo scriba,
stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l'occorrenza, e accanto a lui
stavano, a destra Mattitia, Sema, Anaia, Uria, Chelkia e Maaseia; a sinistra Pedaia,
Misael, Malchia, Casum, Casbaddana, Zaccaria e Mesullam. Esdra aprì il libro in presenza
di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutto il popolo; come ebbe aperto il libro,
tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore Dio grande e tutto il popolo
rispose: “Amen, amen”, alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia
a terra dinanzi al Signore Giosuè, Bani, Serebia, Iamin, Akkub, Sabbetai, Odia, Maaseia,
Bibbia 34
Kelita, Azaria, Iozabad, Canan, Pelaia, leviti, spiegavano la legge al popolo e il
popolo stava in piedi al suo posto. Essi leggevano il libro della legge di Dio a
brani distinti e con spiegazioni del senso e così facevano comprendere la
lettura. Neemia, che era il governatore, Esdra sacerdote e scriba e i leviti che
ammaestravano il popolo dissero a tutto il popolo: “Questo giorno è consacrato al
Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete!”. Perché tutto il popolo piangeva,
mentre ascoltava le parole della legge. Poi Neemia disse loro: “Andate, mangiate carni
grasse e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato,
perché questo giorno è consacrato al Signore nostro; non vi rattristate, perché la gioia
del Signore è la vostra forza. I leviti calmavano tutto il popolo dicendo: “Tacete, perché
questo giorno è santo; non vi rattristate!”. Tutto il popolo andò a mangiare, a bere, a
mandare porzioni ai poveri e a far festa, perché avevano compreso le parole che
erano state loro proclamate”.
È una vera e propria Liturgia della Parola con al centro la Torah di Mosè
che viene proclamata, interpretata e spiegata perché il popolo ascolti,
comprenda e faccia festa. Qui è posta la radice di quanto, dopo Esdra e
Neemia, sarà continuato e svolto dai soferim (= uomini del libro),
supportato dall’istituzione della sinagoga, e produrrà il Targum e il
Midrash.
Targum significa traduzione ed è la parafrasi aramaica del testo sacro,
letto in ebraico, perché sia compreso da tutti.
Midrash deriva dal verbo darash – ricercare ed indica lo sforzo di
attualizzare la Torah nelle diverse e mutate condizioni di vita dell’ebreo,
per il quale tutto deve essere radicato nella Torah. Il midrash si presenta
sotto due forme: l’haggadah (= raccontare) è il genere più narrativo a
carattere omiletico/edificante, mentre l’halakhah (= camminare) è il
genere più legislativo, che norma il comportamento, il camminare secondo
la legge.
Per molto tempo il targum e il midrash, che avevano il compito di
tradurre, spiegare e adattare la legge scritta di Mosè alle situazioni
concrete della vita quotidiana, visse come tradizione orale, la cui autorità
e autorevolezza era fatta risalire a quell’insegnamento orale (Torah orale)
Bibbia 35
ricevuto da Mosè sul Sinai, parallelamente alla legge scritta. I dottori della
legge, giuristi, rabbini e interpreti della Torah scritta si consideravano,
infatti, l’ultimo anello della Torah orale, la lunga catena che da Mosè era
passata a Giosuè, agli anziani, ai profeti, ai capi dei farisei e da questi,
infine, ai rabbini, che redassero il Talmud.
Talmud
Secondo una tradizione assai diffusa il rabbi Johanan ben Zakkai, fariseo,
riuscì a scampare alla distruzione di Gerusalemme del 70 d. c. e fondò a
Jamnia il primo centro importante di studi rabbinici, che iniziò a
raccogliere e a mettere per iscritto le antiche tradizioni orali producendo,
dopo secoli e grazie all’apporto di altri centri, il Talmud (= studio). Esso è
composto dalla Mishnah, dalla Ghemarah e dalle Baraitoth.
La Mishnah (= ripetizione) è la classica compilazione sistematica delle
tradizioni orali composta per iniziativa del grande rabbi Giuda ha-Nasi
verso la fine del II secolo d. c.. Essa è in lingua ebraica e copre tutta la
legislazione (norme per l’agricoltura, per le feste, diritto matrimoniale,
penale e civile, norme alimentari, prescrizioni cultuali e igieniche).
L’autorità della Mishnah si fonda non direttamente sulla Torah, ma
sull’autorità dei tannaiti (= ripetitori, studiosi) ovvero dei rabbini che
l’hanno compilata.
La Ghemarah (= completamento) raccoglie le discussioni, le
interpretazioni e i commenti in aramaico fioriti a partire dallo studio della
Mishnah durante i secoli III e IV d. c.. I rabbini qui citati si nominano
amorei (= i dicenti) per distinguerli dai tannaiti, che hanno compilato la
Mishnah.
Le Baraitoth (= ciò che è esterno) raccolgono parzialmente il materiale
halakhico che i compilatori della Mishnah non vi hanno incorporato. Una
raccolta più ampia di ciò che è rimasto fuori dalla Mishnah è detta
Bibbia 36
Toseftah (= aggiunta). Il rapporto tra Mishnah e Toseftah è tuttora una
questione aperta.
La Mishnah ebraica e la Ghemarah aramaica formano sostanzialmente il
Talmud, di cui possediamo due edizioni: il Talmud palestinese è più
breve, perché breve è la sua Ghemarah e venne redatto tra il III e l’inizio
del V secolo d. c., mentre il Talmud babilonese, molto più lungo perché
ampia è la sua Ghemarah, è considerato il Talmud per antonomasia e
venne redatto tra il III e la fine del VI secolo d. c..
È bene sottolineare, infine, che l’universo della tradizione orale, poi messa
per iscritto, non è confluito completamente nel Talmud: i testi e le raccolte
dei targumin e dei midrashim sono numerosi, come testimonia la
Toseftah.
Tre considerazioni conclusive.
Il Talmud, il rabbino e la sinagoga ben rappresentano il Giudaismo ovvero
un ebraismo che, ponendo al centro la Torah, si struttura come religione
della legge codificando il giusto e corretto comportamento in 365 divieti e
in 248 prescrizioni positive. Questo trionfo della legge senza compromessi,
che rischia di sfociare nel legalismo, ha plasmato il Giudaismo
distinguendolo dai goiim, i non ebrei, e lo ha preservato da millenni di
storia, spesso tragica. Ciò non vuol dire che lo studio e la venerazione
della Torah sia divenuto, anzi non lo è mai stato!, un arido lavoro di
giuristi segregati dal mondo. Non si deve dimenticare il testo di Neemia 8,
1 – 12, dove l’ascolto e la comprensione della Torah smuovono gli animi e
inducono lacrime, ma il lutto e la tristezza perché si era perduto
l’insegnamento di Mosè devono lasciare il posto alla festa perché Jhwh
parla ancora, e qui ed ora, al suo popolo. In questa commozione dello
spirito per la Torah sta la radice della futura mistica ebraica ovvero della
Qabbalah e del Chassidismo.
Bibbia 37
Per il Giudaismo il vocabolo Torah indica la tradizione scritta (la Legge di
Mosè), la sua tradizione orale, il Talmud e tutto quanto in seguito sarà
frutto dello sforzo di attualizzare la rivelazione sinaitica nell’oggi: tutto può
dirsi a buon diritto Torah se si immette nel gran fiume della tradizione, se
dimostra di non essere che l’ultimo anello di un’unica e lunga catena che
lega l’oggi alla Rivelazione del Sinai:
“La rivelazione al Sinai era ritenuta si come un evento storico unico, il quale però poteva
essere attualizzato e reso presente in ogni tempo. “Chi insegna al proprio figlio la Torah
viene considerato come se l'avesse egli stesso ricevuta al Sinai” (b. Kilajim 30a). Chi
s'occupa della Torah e la osserva viene ritenuto come se l'avesse ricevuta di persona al
Sinai (Tanh. R. I). Così la Torah e la dottrina orale si svilupparono fino a costituire il
complesso globale della tradizione, come mostra anche un racconto su Rabbi
Aqiba.Secondo questo racconto Dio mostrò a Mosè sul Sinai qual era la sua volontà
riguardo al futuro della Torah: Mosè trova Dio che sta adornando le lettere del testo della
Torah con uncini e le sta “coronando”, com'è il caso per i rotoli della Torah scritti per
l'uso liturgico. Mosè chiede il perché di queste coroncine, uncinetti e adornamenti, e Dio
risponde che un giorno verrà un grande esperto in grado di derivare da ciascun segno a
uncino un gran numero di prescrizioni. Quando Mosè chiede di poter veder ciò, Dio lo
conduce nella scuola del Rabbi Aqiba, dove Mosè si siede dietro agli scolari, nell'ultima
fila. Egli ascolta ma non capisce nulla di quanto dice Rabbi Aqiba, finché improvvisamente
uno scolaro chiede al maestro quale sia l'autorità e la fonte di una determinata direttiva
che non si trova nella Torah scritta. Rabbi Aqiba risponde pacatamente: è la direttiva
orale di Mosè. Ciò insospettisce Mosè, che protesta presso Dio: Come può questo rabbi
citare nel suo nome qualcosa di cui egli stesso non ha alcuna idea? Dio risponde: Taci, è
questa la mia volontà. È volontà di Dio che la Torah si rinnovi di continuo, subendo
un'interpretazione sempre nuova. Quello che viene creato di nuovo in base a una
interpretazione autoritativa e autentica proviene da Mosè al Sinai. Ma la risposta
semplice e maestosa di Dio: Taci, è questa la mia volontà, acquista il suo pieno senso
solo quando viene ripetuta nel prosieguo del racconto. Mosè, infatti, chiede a Dio quale
sarà la ricompensa per questo grande maestro della Torah, e Dio gli mostra la fine di
Rabbi Aqiba, il quale per aver favorito la seconda sommossa giudaica contro Roma viene
scorticato e scuoiato vivo dai soldati romani. Mosè interroga inorridito: Signore del
mondo, è questa la Torah ed è questa la ricompensa? E Dio risponde per la seconda
volta: Taci, è questa la mia volontà. All'osservanza della Torah può corrispondere una
morte tormentosa invece di una ricompensa: questa è la volontà di Dio. La Torah orale,
Bibbia 38
quindi, è implicitamente contenuta nella Torah scritta. Ne segue che anch'essa fu ritenuta
a poco a poco come rivelazione divina, come la Torah scritta; vale a dire, tutte le
concezioni e interpretazioni, i comandamenti e le prescrizioni, e tutte le leggi derivate
dalla Torah scritta vennero ad avere lo stesso rango di questa. Persino direttive
rabbiniche che non erano state dedotte dalla Torah scritta poterono essere dichiarate alla
fine di provenienza divina. In verità la derivazione della Torah orale da quella scritta a
volte era fondata debolmente e la prova scritturistica per la Mishnah e la Ghemarah
risultava carente: poca Bibbia e molte halakot (Mishnah Hag. 1, 8). Tuttavia il Talmud
dichiara che anche queste dottrine sono una parte costitutiva della Torah, allo stesso
titolo delle direttive che possono rifarsi a una dimostrazione scritturistica convincente (b.
Hag. II b).
“Allorché il Santo, sia egli benedetto, diede la Torah, la insegnò a Mosè nell'ordine
usuale: Bibbia e Mishnah, haggadah e Talmud, come si dice: E Dio disse tutte queste
parole (Es 20,1) e persino quello che uno scolaro fedele chiederà al suo maestro (Tanh.,
Buber, 2, 58b)” (tratto da G. Fohrer, Fede e vita nel giudaismo, Paideia, Brescia 1984,
pp.56 – 59).
La nozione di memoriale (zikkaron), infine, esprime l’essenza della
Religione ebraica e del Giudaismo. Il fare memoria reale ovvero il
ricordare effettivamente nell’oggi, indica sia l’agire di Jhwh verso Israele
sia la risposta di Israele che vive nella memoria della rivelazione salvifica
di Jhwh. Quando Jhwh decide di inviare Mosè per liberare Israele dalla
schiavitù d’Egitto, rivela il suo Nome consegnandoli una sorta di biglietto
da visita: Dio aggiunse a Mosè: “Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il
Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio
nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione”
(Es 3, 15). In questa autopresentazione di Jhwh, Jhwh stesso ricorda che
quanto già ha fatto per Israele è pegno e promessa del suo intervenire
ancora oggi e nei secoli futuri a favore di Israele, che potrà affermare e
dovrà testimoniare che Jhwh si ricordato. E questo non è niente meno che
il Nome di Dio. Dal canto suo Israele è un popolo che è memoria e fa
memoria dell’opera di Jhwh, di Jhwh stesso!, nel culto e in tutta
l’esistenza, mettendo in pratica, per esempio, i 613 mizwot (precetti)
perché così Jhwh ha voluto.
Bibbia 39
* Antologia di testi tratti dal Talmud babilonese e proposti da L. Sestieri,
La spiritualità ebraica, Studium, Roma 1987, pp. 176 – 190.
Una volta un pagano andò da Shammaj e gli disse: “Mi converto al giudaismo a
condizione che tu mi insegni tutta la Torah mentre io sto su un piede solo”. Con un
bastone in mano Shammaj lo cacciò subito. Il pagano andò da Hillel e di nuovo espresse
il suo desiderio: “Mi converto al giudaismo a condizione che tu mi insegni tutta la Torah
mentre io sto su un piede solo”. Hillel lo accolse nel giudaismo e lo istruì in questo modo:
“Quello che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri. Questa è tutta la Torah. Il resto è
commento. Va' e studia!” (TB, Shabbath, 31a).
Rabbi Simlaj spiegò: Seicentotredici comandamenti furono rivelati da Mosè. Poi venne
Davide e trovò il loro fondamento in undici comandamenti, come sta scritto nel Sal 15:
Salmo di Davide.
Signore, chi abiterà nella Tua tenda? Chi dimorerà sul Tuo monte santo?
1 Chi cammina da perfetto e
2 opera giustizia e
3 parla verità nel suo cuore;
4 chi non calunnia con la sua lingua,
5 non fa male al suo prossimo,
6 insulto non lancia contro il suo vicino;
7 chi non tiene in nessun conto l'empio,
8 ma onora coloro che temono Dio;
9 chi giura a suo svantaggio e mantiene il giuramento;
10 chi non dà a usura il suo denaro
11 e dono contro l'innocente non riceve.
Chi si comporta così non vacillerà in eterno.
Poi venne Isaia e trovò il fondamento in sei comandamenti, come si legge in Is 33, 15-
16:
1 Colui che cammina nella giustizia e
2 parla con lealtà,
3 chi rigetta un guadagno frutto di angherie,
Bibbia 40
4 chi scuote le mani per non prendere regali,
5 chi si tura le orecchie per non udire fatti di sangue,
6 e chiude gli occhi per non vedere il male; costui abita in alto.
Poi venne Michea e trovò il fondamento in tre comandamenti, come sta scritto in Mi 6,8:
Ti è stato detto, o uomo, che cosa sia il bene, e che cosa esiga da te il Signore: null'altro
se non:
1 che tu agisca rettamente,
2 metta in pratica l'amore
3 e cammini umilmente davanti al tuo Dio.
Di nuovo venne Isaia e trovò il fondamento in due comandamenti, come si legge in Is
56,1:
Cosi dice il Signore:
1 Osservate il diritto e
2 praticate la giustizia.
Poi venne Amos e trovò il fondamento in un unico comandamento, come si legge in Am
5, 4:
Cosi dice il Signore alla casa di Israele:
Cercate me e vivrete!
Rav Nachman bar ]izchak protestò: “Si potrebbe intendere il versetto di Am 5, 4 come se
Dio fosse da cercare osservando tutta la Torah! No, il profeta che trovò il comandamento
in un solo comandamento, fu Abacuc, che disse (2, 4): “Il giusto vive attraverso la sua
fede”” (TB, Makkoth, 23b, 24a).
Rabbi Jochanan ben Sakkaj disse: “Se hai studiato molto bene la Torah, non vantartene,
perché per questo sei stato creato” (Mishnah Avoth, 2, 8).
Chi applica la Torah e la realizza veramente ha diritto di credere di averla redatta lui
stesso e promulgata sul monte Sinai (TB, Sanh., 99a).
Bibbia 41
I nostri maestri insegnavano: Adamo fu l'ultima creatura che fu creata la vigilia del
sabato. Perché? Perché gli eretici non dicano: “Il Santo, benedetto sia, aveva chi lo
aiutava nell'opera della creazione”. Un'altra risposta suona cosi: Ciò avvenne affinché,
quando l'uomo diventi troppo orgoglioso, si possa ricordargli che nell'ordine della
creazione i moscerini ebbero la precedenza nei suoi confronti. Un'ulteriore risposta suona
cosi: Perché egli possa adempiere subito a un precetto, quello di santificare il sabato. E
ancora un'altra risposta suona cosi: La creazione compiuta era il convito che Dio gli
aveva preparato, ed egli doveva recarsi subito al banchetto. Ciò è simile a un re di carne
e sangue che costruì dei palazzi e li arredò. Solo dopo averli arredati, invitò gli ospiti.
Perciò sta scritto anche (Pr 9, 1 - 3): “La sapienza si è edificata la casa, vi ha intagliato le
sue sette colonne. Ha ammazzato gli animali grassi, ha preparato il vino e ha imbandito
la mensa. Poi ha mandato fuori le ancelle per l'invito, sui più alti punti della città” (TB,
Sanh. 38a).
Tutto ciò che è stato creato nei primi sei giorni ha bisogno di un'opera di completamento.
[Ber. Rabbà XI, 6]
Come Egli è benigno sii anche tu benigno, come Egli è misericordioso, sii anche tu
misericordioso, come Egli è giusto, sii anche tu giusto. [Sifra a Lev. 19,2]
Se desideri di glorificare Dio cerca di somigliare a Lui, sii sempre come Lui giusto,
caritatevole, misericordioso e pio. [Shabat 133]
Chi leva la mano contro il simile, pur senza colpirlo è un malvagio. [Sanhedrin 58b]
Chi odia un uomo, chiunque egli sia, odia Colui che ha parlato ed ha creato alla vita il
mondo. [Sifra Zuta Num, 18]
Se qualcuno accoglie il suo prossimo con rispetto è come se avesse accolto bene la
Divina Provvidenza. [Shir hashirim rabba, 2,5]
Anche se il tuo nemico si è levato presto al mattino per ucciderti, e arriva affamato a
casa tua, dagli da mangiare o da bere. [Midrash Prov. 25,21]
Rendere giustizia a uno straniero, è come renderla al proprio Dio. [Hagiga, 5]
Il Santo Benedetto ha creato due impulsi, l'uno buono, l'altro cattivo. [Berahot, 61a]
Se Dio creò le inclinazioni malvagie, creò anche la Torah come suo antidoto. [Baba Batra
16a]
Bibbia 42
Un giorno Rabbi Joshua ben Levi interrogò il profeta Elia: “Quando verrà il Messia?” Elia
rispose: “Va' a chiederglielo”. Rabbi Joshua disse: “Ma dov'è?” Elia rispose: “Alla porta di
Roma”. “E come lo riconoscerò?” “Siede fra i lebbrosi mendicanti. Ma mentre questi si
tolgono e si rimettono le bende tutte in una volta, il Messia si toglie le bende a una a una
e se le rimette una alla volta. Egli pensa che Dio lo può chiamare in ogni momento a
portare la redenzione e si tiene sempre pronto”. Rabbi Joshua andò da lui e lo salutò:
“Pace a te, maestro!” “Pace a te, figlio di Levi!” “Quando verrai, maestro?” “Oggi”. Più
tardi Rabbi Joshua ben Levi si lamentò con Elia: “Il Messia mi ha mentito. Ha detto che
sarebbe venuto oggi, e non è venuto”. Ma Elia disse: “Non l'hai capito bene. Egli ti ha
citato il Salmo 95,7: Oggi, se ascolterete la Sua voce!” (TB, Sanh. 98a).