"viva l'italia" mille uomini, due soli battelli a vapore
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Viva l’Italia!
Mille uomini, due soli battelli a vapore
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Lezioni narrate daFranca Forgeschi e
Giovanna Forgeschi
VIVA L’ITALIAcentocinquanta anni Unità d’Italia
1861-2011
PROVINCIA di GROSSETO
Viva l’Italia! Mille uomini due soli battelli a vapore© Provincia di Grosseto 2011a cura Servizio Comunicazione Provincia Grossetoprogetto grafi co Michele Guidarini - www.micheleguidarini.comwww.provincia.grosseto.it
Illustrazioni Giovanni GroppiHa contribuito Vincenzo Orfi no
VIVA L’ITALIAcentocinquanta anni Unità d’Italia
1861-2011
Lezioni narrate daFranca Forgeschi e Giovanna Forgeschi
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Cari ragazzi e ragazze,succede spesso a noi tutti di vivere in una condizione non percepita.
È così per le cose grandi come la pace, la libertà, la democrazia.
Quelle elencate sono tutte conquiste della civiltà umana così come è
stato per la costruzione del nostro paese, l’Italia.
In questo piccolo libro si ricorda, e ricordare serve a comprendere in-
nanzitutto le cose meravigliose e grandiose che può fare l’uomo.
“Sognate” vi dice Garibaldi, e se il sogno sarà condiviso e buono, anche
se vi sembrerà impossibile o troppo grande, con la vostra fatica si rea-
lizzerà.
La storia in gran parte è questo: un elenco di conquiste umane spesso
raggiunte con dolore e vittime. La storia è un modello per capire non
come sarà il vostro futuro, ma per testimoniare che il futuro potrete
costruirlo, trasformarlo, non semplicemente attenderlo.
Sfogliando queste pagine, insieme alla narrazione della spedizione dei
Mille, incontrerete notizie che vi faranno capire che il Risorgimento
non fu soltanto guerra, battaglie. Fu un periodo di vivacità e di stimoli,
come ricorrentemente l’uomo sa creare. Ci sono scoperte come il tele-
fono, grandi pagine di letteratura, furono dipinti straordinari quadri.
Ogni uomo cercava il futuro a suo modo. Anche io faccio così.
Il nostro è uno straordinario Paese. Ma ogni epoca ha bisogno dei suoi
Mille che sanno guardare oltre il presente. Certamente fra voi ci sarà
un “garibaldino” del secondo millennio che, però, avrà bisogno di tutti.
Anche nel 1860 senza i “picciotti” siciliani e calabresi, senza l’aiuto dei
maremmani di allora, dei napoletani e dei piemontesi, non sarebbe sta-
to possibile fare l’Italia unita.
È per questo che abbiamo scelto di caratterizzare anche questo libro
con la parola UNITI. L’unità, la solidarietà, la condivisione non è solo
un’eredità, ma un valore che un popolo deve custodire e difendere, ren-
dere viva e attuale.
Leonardo Marras, presidente della Provincia di Grosseto
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Garibaldino
Il 2011 è l’anniversario dell’Unità d’Italia e la Provincia di Grosseto ha
deciso di ricordarlo realizzando una serie di iniziative dedicate a tutti
gli studenti di ogni ordine e grado: un libro per le scuole dell’infanzia,
ricerche e mostre per gli studenti delle superiori.
L’obiettivo è la costruzione di un grande ponte di conoscenza raccon-
tando un simbolo del Risorgimento, Giuseppe Garibaldi, e quanto suc-
cesse nelle nostre terre, solo apparentemente poco signifi cativo.
Il progetto Uniti è nel nostro obiettivo un esempio di “didattica socia-
le” e non meramente un’elencazione di nozioni e informazioni stori-
che. Vorremmo che alla fi ne del percorso ai nostri ragazzi fossero più
facilmente riconoscibili i “garibaldini” di ieri e di oggi.
La Maremma e l’Amiata hanno nelle loro origini lo spirito della fron-
tiera, il sogno di costruire una terra promessa. Abbiamo tanti Garibaldi
che hanno dedicato la vita per inseguire un modello di vita. Don Zeno,
a pochi passi da Grosseto, creò il popolo di Nomadelfi a, negli anni del
Risorgimento David Lazzaretti fu il Cristo dell’Amiata e morì per di-
fendere la sua idea, padre Ernesto Balducci ci ha parlato dell’Uomo Pla-
netario. E poi, sono stati garibaldini i padri e i nonni che hanno saputo
far rinascere la nostra terra dopo il 1945 e dopo l’alluvione del 1966.
Renato Pollini, Sindaco di Grosseto, recentemente scomparso, era un
garibaldino moderno.
Riconoscere, dunque, nel passato e nel presente i segni che producono
il cambiamento e la crescita, è un punto di partenza per tutti noi. Rico-
noscere senza pregiudizi o barriere precostituite e comprendere ciò che
di positivo esprimono le persone con cui viviamo.
Sergio Martini, presidente del Consiglio Provinciale
Scoglio di Quarto: Quarto dei Mille è oggi un quartiere residenziale di Genova compreso tra i quartieri Sturla e Quinto. Fino al 1861 – prima quindi dell’Unità d’Italia - si chiamava Quarto al Mare; il nome venne poi sostituito in onore della spedizione dei Mille. L’origine del nome è di epoca romana: il Quartum Milium dal centro di Genova lungo la via Aurelia.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
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Prima LezioneLA PARTENZA
Oggi lezione di storia, ma non vi spaventate ragazzi, né lunga né noiosa.
Parleremo di Giuseppe Garibaldi in modo diverso. Niente date - la sua
vita fi no al 1860 non ci interessa - abbiamo scelto di raccontare solo la
”Spedizione dei Mille”.
150 anni fa vicino a Genova, presso lo scoglio di Quarto, c’era una co-
struzione chiamata il Casone Bianco. La sera del
15 aprile 1860 bussò alla porta di un certo patrio-
ta Candido Augusto, Giuseppe Garibaldi scuro
in volto e vestito di nero, in cerca di conforto e
di ospitalità, dopo tante avventure tra cui una
brutta caduta da cavallo, ma col pensiero fi sso
di partire per la Sicilia per aiutare il popolo si-
ciliano a liberarsi dall’oppressione dei Borboni,
in nome del re di casa Savoia.
Società RubattinoRaffaele Rubattino è stato un imprenditore e armatore italiano, industriale e padre stori-co dell’armamento navale commerciale italiano che prese le mosse dal porto di Genova. A Rubattino è dedicata una statua in bronzo a piazza Caricamento, nel quartiere di Sottoripa, accanto a Palazzo San Giorgio. Rubattino fu un patriota dell’unità d’Italia, amico personale di Cavour, di Nino Bixio. Fornì prima a Carlo Pisacane e poi a Giuseppe Garibaldi le navi per le spedizioni nel Mezzogiorno d’Italia, fra cui la storica spedizione dei Mille. Il suo contributo alla causa dei Mille fu mantenuto segreto per non indebolire la sua attività industriale, pertanto si fi nse un furto di nave.
Per voi ragazzi è facile conoscere l’Italia e il mondo intero stando como-
damente seduti davanti al televisore o al computer, ma per le persone di
allora erano mondi lontani e completamente sconosciuti.
Perfi no il grande Camillo Benso Conte di Cavour aveva
viaggiato nell’Italia del nord e anche in Francia, ma non
era mai sceso fi no a Roma; Napoli per lui era una città
straniera e misteriosa, la Sicilia poi geografi camente era
quasi Africa.
L’impresa della spedizione in Sicilia incontrò molte
diffi coltà rendendo incerti i preparativi e lo stesso Giu-
seppe Garibaldi. Soprattutto il conte di Cavour, allora
membro importante del governo piemontese, fi ngeva
di essere d’accordo, ma in realtà si augurava che i volontari fi nissero
presto in bocca ai pesci.
Per trovare i volontari non ci furono problemi, poiché si presentavano
spontaneamente e con entusiasmo, avendo per lo più già conosciuto
Garibaldi per le sue imprese; e se ne presentarono così tanti, tutti dal
nord Italia, che una parte rimase a terra perché era impossibile armarli
e imbarcarli tutti.
Per reperire le armi invece ci furono diffi coltà: a Milano c’era un grosso
deposito, ma il governatore della città si oppose al suo utilizzo. Alla fi ne,
fucili e pistole furono trovate a Modena anche se mancavano le muni-
zioni. Oltre alle armi per la spedizione, per raggiungere la Sicilia occor-
revano i piroscafi . Glieli concesse l’amministratore della società Rubat-
tino all’insaputa del padrone che lo licenziò in tronco riducendolo in
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
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Battello a vapore È un mezzo di trasporto usato nel 1800 per navigare utilizzando la propulsione a vapore. Il primo modello funzionante fu varato da Claude de Jouffroy nel 1783. Si trattava però di un prototipo ancora sperimentale, poiché il primo vero battello a vapore applicò l’apparato mo-tore inventato da James Watt e fu fatto navigare da Robert Fulton lungo il fi ume Hudson nel 1807. Si chiamava Clermont, aveva una potenza di 18 cavalli e fu demolito quasi subito dai barcaioli del fi ume per paura di restare senza lavoro.
Cosa succedeva in quel periodo
1850 viene inventata la siringa ipodermica
1850 Foucault prova la rotazione terrestre col suo famoso pendolo
1853 il cuoco George Crum inventa le patatine fritte
1855 nasce il latte in polvere
1856 viene ritrovato l’uomo di Neanderthal
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
1856 v
al
miseria; al contrario, il signor Rubattino ha avuto un bel monumento
da ammirare anche oggi sullo scoglio di Quarto.
Ma da quell’isola così lontana che notizie arrivavano? (considerate che
una lettera impiegava circa quindici giorni per arrivare a destinazione).
Le notizie erano buone: in una lettera recapitata a Garibaldi si diceva
che le città erano insorte e che c’erano trentamila uomini in attesa sulle
alture intorno a Palermo.
Che si aspettava, perdio?
Garibaldi era ancora incerto quando giunse un telegramma in codice
che diceva: “Completo insuccesso, non vi muovete”.
Che fare allora? Partire o no? Bisognava comunque prendere una deci-
sione.
Dopo alcune esitazioni, fu decisa la partenza. Finalmente i volontari
s’imbarcarono, notte tempo, su due piroscafi : il Piemonte,
fabbricato in Inghilterra, e il Lom-
bardo a Livorno.
Garibaldi uscì
dal Casone Bian-
co fra gli applau-
si dei volontari e
dei curiosi, vestito
come il suo soli-
to: pantaloni di
fl anella grigia, camicia rossa con due grandi taschini uniti dalla catena
dell’orologio, fazzolettone di seta variopinta al collo. Sopra portava il
poncho, una coperta con un buco al centro per infi larci il capo, secondo
l’usanza messicana.
Scaldate le macchine, i due piroscafi cominciarono la navigazione. Gli
uomini a bordo erano pieni di entusiasmo e fi duciosi che le munizioni
e le armi mancanti le avrebbero imbarcate al largo secondo gli accordi
presi con un certo Celle di professione contrabbandiere, ma questo non
avvenne.
Era la sera del cinque maggio 1860.
Le navi si diressero verso il canale di Piombino.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Gli scrittori di quel periodoGiovanni VergaNato a Catania nel 1840, fu il massimo esponente del Verismo. La
sua prima formazione romantico-risorgimentale si svolse a Catania,
dove, abbandonando gli studi giuridici, decise di dedicarsi esclusi-
vamente alla letteratura. Trasferitosi a Firenze nel 1865, Giovanni
Verga compose i suoi primi romanzi. Successivamente, a
Milano frequentò l’ambiente degli Scapigliati, rappresen-
tando in modo fortemente critico il mondo aristocratico-
borghese. Il suo capolavoro porta il titolo di I Malavoglia.
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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Il viaggio fu tranquillo, il mare poco mosso, nessuna nave nemica
all’orizzonte. All’improvviso, ecco apparire all’orizzonte il villaggio di
Talamone; un manipolo di casette, una chiesetta spoglia, un campanile
sottile, un forte e un’unica osteria. La terra era poco ospitale a causa
della malaria e ci abitavano meno di trecento persone, in maggioranza
famiglie di carbonai e pescatori.
Sul porto c’era un gran viavai di persone: chi era atteso?
Da almeno un mese si era sparsa la notizia dell’arrivo nientemeno che
del principe di Carignano; quindi all’avvicinarsi dei due vapori che is-
savano bandiera tricolore con al centro lo scudo sabaudo, tutti erano
convinti che si trattasse del principe in visita.
Ma quale fu lo sbigottimento quando videro, alzando gli occhi verso il
ponte, tanti uomini in camicia rossa.
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Ragazzi, siete curiosi di conoscere il seguito del racconto? Bene! Oggi parleremo della navigazione e della sosta a Talamone, in provincia di Grosseto
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“Sono abiti da viaggio. Il signor generale vi attende”, disse un tenen-
te per tranquillizzare le due persone salite sulla nave per accogliere gli
ospiti illustri.
Garibaldi, con i gradi da tenente-generale dell’esercito regio, salutò e
tranquillizzò i presenti spiegando che la
missione gli era stata affi data dal re in per-
sona e chiedeva loro armi e munizioni. Il
comandante del forte soddisfece subito la
richiesta senza consultarsi con nessuno; in
seguito, però, pagò con il carcere questa
sua decisione.
Dopo lo sbarco, Garibaldi si recò a cena
nell’unica trattoria “La frasca” e mangiò
minestra di cavolo, lesso con fagioli e frit-
tata di cipolle. Anche i volontari, dopo
un giorno e una notte di navigazione col
mare mosso, scesero a terra aff amati a cer-
care del cibo.
Le munizioni arrivarono presto anche da
Orbetello: la gente del posto - che già anni
prima aveva salvato la vita al generale fa-
cendolo imbarcare a Calamartina, vicino
a Follonica - si fece in quattro per dare ai
volontari tutto quello che avevano. Pur-
troppo le munizioni non andavano bene
per quei fucilacci modenesi: pensarono,
così, di rimediare a questo inconveniente
avvolgendo ogni proiettile con la stoppa.
Prima di ripartire sui battelli furono cari-
cate centinaia di libbre di carne, riso, sego
e pane.
La Rocca di TalamoneÈ una fortifi cazione medievale sorta verso la metà del Duecento per volontà degli Aldobrandeschi, con funzioni di avvistamento e di difesa sul porto sottostante. Nella prima metà del Cinquecento, la rocca subì una serie di devasta-zioni piratesche. La fortifi cazione fu defi nitivamente recuperata quando la località entrò a far par-te dello Stato dei Presidii. In epo-ca moderna, la rocca fu il punto di raccolta per i volontari che si imbarcarono a Talamone per la Spedizione dei Mille. Durante la Seconda guerra mondiale, la for-tifi cazione ha subito alcuni dan-neggiamenti a cui seguirono ope-re di restauro che hanno riportato la rocca agli antichi splendori.
Compagnia militareÈ un’unità militare monoarma, cioè composta da personale con specializzazione ed equipaggia-mento omogenei, che raggruppa più plotoni ed è costituita da un numero variabile di persone, da 100 a 200. La creazione della compagnia risale al periodo in cui alle milizie feudali si sostituirono gradatamente le truppe mercena-rie. In Piemonte, Carlo Emanuele I creò il reggimento, composto da sette a dieci compagnie.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
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Francesco CrispiÈ stato un politico italiano che ha ricoperto la carica di Presidente del Consiglio. Ex-mazziniano dal temperamento fortemente indi-vidualistico, nel 1859 aveva or-ganizzato la rivoluzione siciliana preparando così il terreno alla Spedizione dei Mille; nel 1865 aveva aderito alla monarchia. Benché fosse giunto alla presi-denza del consiglio ormai settan-tenne dimostrò subito di non aver perso nulla del proprio carattere aspro e autoritario: si orientò su-bito verso una profonda riforma dello stato, una connotazione in senso aggressivo delle alleanze internazionali e una decisa espan-sione coloniale in Africa.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Prima di risalire a bordo, era necessario però dividere in reparti tutta
quella gente e bisognava contarla. Anche se in realtà non si è mai saputo
con esattezza quanti fossero, l’attributo dei Mille nacque più tardi.
Si è sempre pensato che tutti avessero la camicia rossa e che fossero gio-
vani e sani (c’era addirittura chi era senza un braccio o senza una gam-
ba), in realtà fi no a Palermo gli uomini non ebbero né una divisa né
gradi: ognuno vestiva a suo piacimento.
I più eleganti di tutti erano i Milanesi vestiti all’ultima moda e uno di
loro fu messo a capo della cavalleria ma cavalli non ce n’erano; altri in-
dossavano la divisa dei Cacciatori delle Alpi, altri dell’esercito regio,
altri vestivano panni borghesi. Comunque, indipen-
dentemente da come erano vestiti, si formarono otto
compagnie.
Pensate un po’, c’era anche una donna: la signora Rosa-
lia Montmasson, moglie di Francesco Crispi.C’erano anche tre sacerdoti, uno dei quali aveva la-
sciato la parrocchia e la tonaca e da allora stette sem-
pre con Garibaldi senza
però sparare nemmeno un colpo. Ter-
minata l’organizzazione dell’esercito ed
imbarcati le armi e i viveri, ai volontari
fu dato il comando di rompere le righe;
così chi andò a farsi un bagno, chi subito
si recò in paese in cerca di cibo e di vino,
chi invece andò a cercare le ragazze.
Quando però fu il momento di risalire a
bordo, non tutti lo fecero perché, convin-
ti repubblicani com’erano, non voleva-
no sottostare agli ordini di casa Savoia in
quanto Garibaldi portava avanti la missio-
ne nel nome del re di Savoia. Si organizza-
rono quindi in un piccolo gruppo con lo
scopo di entrare nello Stato Pontifi cio per
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liberarlo dal dominio del Papa.
Questa spedizione fallì.
I due piroscafi ripresero il mare ma subito dopo dovettero fermarsi a
Santo Stefano, sull’Argentario, per rifornirsi di carbone indispensabile
per i motori dei piroscafi e di acqua.
Appena calate le ancore, Garibaldi scese a terra indossando la camicia
rossa e raccomandando ad alcuni militari toscani di presentarsi al re-
sponsabile del deposito di carbone e di chiederlo con le buone senza
usare violenza.
Il custode del deposito disse che non poteva consegnare il carbone se
non a chi aveva il diritto di chiederlo.
Bixio perse la pazienza, con una spinta lo cacciò da parte e il carbone fu
preso e portato trionfalmente a bordo.
Anche i barili pieni d’acqua, pagati 20 franchi l’uno, furono portati ai
piroscafi con due barche spinte dalla forza delle braccia di due barcaio-
li.
Durante la breve sosta a Porto Santo Stefano, Garibaldi stette a contat-
to con la gente del luogo e ad uno stuolo di ragazzini che gli ronzavano
intorno e che volevano salire a bordo disse: “ora siete piccini, quando
sarete grandi e forti ci sarà da combattere anche per voi”.
Seconda Lezione BREVE SOSTA A TALAMONE
Cosa succedeva in quel periodo1856 nasce il quotidiano La Nazione1858 Darwin elabora la teoria dell’evoluzione della specie1858 viene inventato l’apriscatole 1860 nasce la benzina1860 ridotto l’orario di lavoro: non più di diciotto ore al giorno
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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
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Gli scrittori di quel periodo
Edmondo De Amicis
È il celebre autore di Cuore, libro in cui voleva dimostrare come le classi
sociali potessero e dovessero cimentarsi tra loro nella scuola pubblica.
Nasce ad Oneglia nel 1846, vive a Torino ed è il settimo inviato speciale
della stampa italiana. Fu scrittore storicamente signifi cativo dell’epoca
umbertina. Compose sull’onda del manzonismo degli autori “medi” del
secondo Ottocento: con grande intento pedagogico dà vita a prose edu-
cative e ben cinque libri di viaggio.
Gli artisti di quel periodo
Claude Monet
Nasce a Parigi nel 1840, ma trascorre l’infanzia a Le Havre. È il pittore
che, forse più di tutti, rappresenta l’impressionismo. Nel 1859 s’iscrive
all’Académie Suisse di Paris e inizia a frequentare la Brasserie
des Martyrs, luogo d’incontro di artisti e intellettuali. Nel
1860 parte per l’Algeria come soldato. Nel 1862, tornato
a Parigi, conosce Sisley, Renoir e Bazille. Celebre il dipin-
to “Impressione, sole nascente”: realizzato sul momento,
all’aria aperta, rappresenta il porto di Le Havre all’alba e
darà il nome a tutta la corrente impressionista.
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Terza LezioneVIAGGIO VERSO
LA SICILIAOggi parleremo del viaggio in mare verso la Sicilia.
Certamente, ragazzi, questo viaggio non è da parago-narsi alle crociere di oggi. Però tutti, anche in mezzo a mille diffi coltà, erano entusiasti senza sapere bene
che cosa li aspettasse e dove sarebbero sbarcati.
Scomparso l’Argentario, il viaggio procedette tranquillamente: il mare
era calmo, il cielo sereno e in vista nessuna isoletta o costa. Gli uffi -
ciali badavano che nessuno restasse inoperoso: c’era infatti chi versava
piombo fuso negli stampi per fare le palle, chi arrotolava le cartucce e
tutti oliavano il proprio fucilaccio per renderlo effi ciente.
Tutto procedeva ordinatamente.
”Qui sul mio bordo (il Piroscafo Piemonte) non deve udirsi altra voce
che la mia; e il primo che ardisse disobbedirmi si prepari ad essere but-
tato in mare”. Queste parole di Garibaldi erano bastate per mantenere
la disciplina ed evitare ogni discussione. Il Generale era sempre allegro
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
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e nei ritagli di tempo componeva dei versi da cantarsi come un inno
sull’aria della Norma, un’opera di Vincenzo Bellini. Ma quei versi non
piacquero a nessuno e nei momenti importanti i volontari si facevano
coraggio cantando “La bella Gigogin” - diminutivo, in dialetto piemon-
tese, di Teresina – che era un’allegra marcetta molto in voga in quel
periodo.
Riportiamo qui alcuni versi di questa canzone suonata per la prima
volta la sera del 31 dicembre 1858 in un teatro di Milano. Pensate che
ancora oggi i Bersaglieri la cantano durante le esercitazioni e i giura-
menti. Forse qualche nonno potrebbe ricordarsela e farvi sentire come
è il motivetto?
Di quindici anni facevo all’amore.
Daghela avanti un passo, delizia del mio core!
A sedici anni ho preso marito.
Daghela avanti un passo, delizia del mio core!
A diciassette mi sono spartita.
Daghela avanti un passo, delizia del mio core!
La ven, la ven, la ven alla fi niestra.
l’è tutta, l’è tutta, l’è tutta insipriada.
la dis, la dis, la dis che l’è malada
per non, per non, per non mangiar polenta,
Bisogna, bisogna, bisogna avè pazienza,
lassala, lassala, lassala maridà.
Sul Lombardo, invece, il clima era diverso perché Nino Bixio era un vero dittatore e quando un volontario si
lamentò del rancio (pane e cacio), gli tirò un piatto di
riso e fagioli - che era la cena degli uffi ciali - in faccia,
aggiungendo: ”Quando saremo a terra impiccatemi al
primo albero che trovate, ma qui comando io!”
Ad un certo punto i due piroscafi si persero di vista e,
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
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Isole EgadiSono un arcipelago di tre isole principali e due minori, posto a circa 7 chilometri dalla costa oc-cidentale della Sicilia, fra Marsala e Trapani. Nel 241 a.C. i Romani conquistarono le isole dopo la battaglia navale fi nale della Prima Guerra Punica, nella quale venne sbaragliata la fl otta cartaginese. Dopo il crollo dell’impero romano le isole caddero in mano dei Van-dali e dei Goti ed in seguito dei Saraceni. Nel 1081 vennero oc-cupate e fortifi cate dai Norman-ni. Seguirono poi il destino della Sicilia.
appena si ritrovarono, scorsero più vicine
le isole Egadi ed in lontananza la costa
della Sicilia.
Ma dove sarebbero sbarcati? Mistero,
nessuno lo sapeva e forse nemmeno il ge-
nerale lo aveva ancora deciso.
Garibaldi passeggiava avanti e indietro
sul ponte, guardava il mare con il bino-
colo quando fi nalmente all’orizzonte si
profi lò la cupola del duomo di Marsala,
il suo porto e due navi da guerra all’or-
meggio. Una barca di pescatori andò loro
incontro e fortunatamente portò due no-
tizie fondamentali: la prima che le navi
erano inglesi e quindi amiche; la seconda
che le truppe borboniche avevano lascia-
to Marsala per dirigersi verso Trapani.
Era il momento giusto per sbarcare: i no-
stri volontari toccarono terra tra lo stu-
pore degli uffi ciali inglesi nel vedere una
turba di gente così variamente vestita. In
fretta si avviarono tutti verso la piazza
principale di Marsala.
Tutti raggiunsero la meta tranquillamen-
te, compreso Garibaldi che per ultimo
aveva lasciato il piroscafo. Così, due navi
borboniche giunte in
r i t a r d o
spararo -
no alcune
cannonate
che non eb-
bero nessun
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Nino BixioÈ stato un militare, politico e patriota italiano, tra i più noti e importanti protagonisti del Risor-gimento. Rimasto orfano giova-nissimo, si imbarcò come mozzo su un brigantino che partiva per l’America. Rientrato in Italia, si arruolò nella marina sarda, ma vi rimase per poco tempo, dato il suo carattere. Il suo desiderio di avventura fu più forte tanto che con due compagni si imbarcò su una nave americana diretta a Sumatra. Dopo molte avventure rientrò in Europa e nel 1847 era a Parigi dove conobbe Mazzini e le novità in vista per la rivoluzio-ne italiana. Nel 1859 comandò un battaglione dei Cacciatori del-le Alpi, a fi anco di Garibaldi che, l’anno seguente, lo chiamò per la spedizione dei Mille e ne fece il suo braccio destro.
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Il vino di MarsalaÈ un vino Doc liquoroso prodotto in Sicilia, nel co-mune di Marsala e nell’intera provincia di Trapani. La versione più accreditata sulla nascita del Marsa-la come vino liquoroso è incentrata sulla fi gura del commerciante inglese John Woodhouse il quale nel 1773 approdò con la nave su cui viaggiava nel porto di Marsala. Secondo la tradizione, durante la sosta lui ed il resto dell’equipaggio ebbero modo di gusta-re il vino prodotto nella zona, che veniva invecchiato in botti di legno assumendo un gusto analogo ai vini spagnoli e portoghesi molto diffusi in quel periodo in Inghilterra.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Il telegrafo
È un sistema di comunicazione a distanza basato
su codici convenzionali per trasmettere lettere, nu-
meri e segni di punteggiatura. Dopo varie sperimentazioni, negli
anni quaranta del 1800 il successo arriva fi nalmente per Samuel Morse, che
inventa un sistema telegrafi co elettrico impiegante un unico fi lo, ed inventa uno speciale co-
dice, il Codice Morse, che permette di codifi care le lettere alfabetiche in sequenze di impulsi
di diversa durata (punti e linee).
eff etto.
Il Generale, con la sciabola
sulla spalla - come i contadi-
ni portavano la zappa - salì
sulla torre campanaria per
guardarsi intorno mentre
alcuni volontari si recarono
in municipio, prelevarono
890 ducati che trovarono
in cassa e dettero 85 cente-
simi di lire ad ogni soldato
che quasi tutti spesero per comprare pane, salame, frutta e cacio, senza
rinunciare però a bere un po’ del buon vino di Marsala. Nella notte, per
le strade della città, si udivano solo canti e risate.
Un soldato toscano prese con sé i due volontari più giovani e consegnò
loro due taglierini e, facendo segno di stare zitti, li portò in gran fretta
all’uffi cio postale. L’impiegato, in quel momento seduto davanti al tele-
grafo, stava trasmettendo un telegramma a Palermo e a Trapani: ”Gente
arrivata con due navi è sbarcata nella nostra città”. Il soldato toscano
mise a terra il povero impiegato e trasmise: ”Mi ero sbagliato, sono due
vapori nostri” e la risposta da Palermo fu “Imbecille!”. Poi ordinò ai due
giovani di tagliare i fi li del telegrafo.
Il giorno dopo lo sbarco, i volontari ri-
cevettero una pagnotta di pane a testa e
si misero in marcia nella campagna si-
ciliana, arsa, piena di
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fi chi d’india e sotto un sole cocente. Durante questo viaggio fi nalmente
incontrarono gruppi di volontari che si unirono a loro e tutti furono
bene accolti dagli abitanti dei piccoli paesi che attraversavano, al grido
di “morte ai borbonici”.
Cosa succedeva in quel periodo1860 Giosuè Carducci ottiene la cattedra
di letteratura italiana all’Università di Bologna1860 Abraham Lincoln diventa presidente degli Stati Uniti1861 nasce la prima rotativa per stampare i giornali
1862 viene inventata la mungitrice
Terza lezione VIAGGIO VERSO LA SICILIA
g ornane inventata la mungitrice
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Gli scrittori di quel periodo
Carlo Collodi
All’anagrafe Carlo Lorenzini, nacque a Firenze nel 1826 e fu
uno scrittore e giornalista italiano. È divenuto celebre come
autore del romanzo Le avventure di Pinocchio. Carlo Lo-
renzini era affi liato alla massoneria: l’intera avventura del
burattino è costellata di simboli e metafore che rinviano
all’iniziazione massonica.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
fu
me
o-el
o
Gli artisti di quel periodo
Giovanni Fattori
Nasce a Livorno il 6 settembre 1825. Nel 1848 Fattori è coinvolto nei
moti risorgimentali, con il compito, modesto ma pericoloso, di fattorino
del Partito d’Azione, ossia di distributore di fogli “incendiari”. Le
battaglie risorgimentali, che saranno spesso oggetto delle sue
pitture, sono per lui la strada per raggiungere non solo
l’unità d’Italia, ma soprattutto un mondo sociale nuo-
vo, libero, onesto e giusto. È stato il maggior pittore
della “macchia” e forse di tutto l’Ottocento italiano.
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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Quarta LezionePRIME
BATTAGLIEQuesta volta ragazzi seguiremo l’esercito di Garibaldi
alla conquista della Sicilia e i primi scontri con l’esercito nemico.
Non erano battaglie virtuali a cui siete abituati ma veri e propri scon-
tri corpo a corpo. Ieri, come oggi, molti soldati perdevano la vita nelle
guerre.
Abbandonata Marsala, dopo un viaggio estenuante sotto il sole i vo-
lontari giunsero alla città di Salemi accolti
da tutta la gente e da un ricco feudatario
del luogo. Le donne domandavano curio-
se: ”Qual è Garibaldi? È quello?” Quando
arrivò veramente il generale, poco mancò
che cadessero in ginocchio come di fronte
ad un santo “Bello come il sole! Siti ’u fra-
te di santa Rosalia” gridavano.
Strategia militareÈ l’arte di impiegare nella manie-ra migliore le risorse disponibili ai fi ni della guerra; è quindi quella branca dell’arte militare che stu-dia i principi generali delle ope-razioni militari ed imposta e co-ordina nelle grandi linee il piano generale della guerra, non soltan-to sotto gli aspetti militari.
39
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Camicie rosseGaribaldi e i suoi volontari scelsero la camicia rossa, come loro segno distintivo, fi n dal 1843, quando Garibaldi radunò 500 italiani volontari a Montevideo per difendere la Repubblica Uruguayana dal dittatore argentino Rosas che voleva conquistarla. Garibaldi, potendo contare su pochi fi nanziamenti per la sua impresa, trovò del panno di lana rosso, in genere usato per i camici dei macellai, per rivestire le sue truppe.
Cosa succedeva
in quel periodo
1863 primo viaggio della metropolitana a Londra
1864 viene effettuato il primo vaccino
1866 posato il primo cavo telegrafi co transatlantico
1866 viene inventata la dinamite
1867 istallato a Londra il primo semaforo
1864
1866 posa
186
Nel frattempo i garibaldini non erano più mille ma
tremila perché molti picciotti, armati solo di falci e di coltelli,
si erano uniti a loro. La gioia e l’euforia dell’incontro durarono poco
perché li aspettava la battaglia di Calatafi mi. Questa però non avvenne
proprio a Calatafi mi ma su un colle vicino chiamato Pianto Romano
(si chiamava così dal nome della famiglia che vi aveva piantato la vigna)
ma per i garibaldini più colti il nome era di buon auspicio e dicevano.
”Dove piansero i Romani tiranni del mondo, è giusto che ridiamo noi,
nemici dei tiranni!”
I due eserciti erano schierati uno di fronte all’altro, ma nessuno dava
ordine di attaccare. Il Generale, che mantenne sempre la calma, sapeva
benissimo che le armi che avevano erano inadatte a colpire da lontano
e aspettava pazientemente che i nemici si avvicinassero. Quando i bor-
boni stanchi di aspettare iniziarono ad avvicinarsi e a sparare contro la
prima fi la, arrivò per i volontari l’ordine di innestare le baionette. La
battaglia fu corpo a corpo e i nemici furono messi in fuga dalla
sorpresa per l’improvviso assalto, ma anche per-
ché la famosa frase di Garibaldi
”Qui si fa l’Italia
o si muore” ave-
va rincuorato le
truppe. La batta-
glia fi nì con la vit-
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toria dei garibaldini anche se sul campo si contarono 21 morti e 182 fe-
riti che furono curati insieme a quelli dell’esercito nemico con umanità
nel convento di San Michele scelto come ospedale.
Dopo la battaglia, entrarono a Calatafi mi e quindi ad Alcamo, nel duo-
mo per ricevere la benedizione. Il frate nel suo discorso, pieno di entu-
siasmo per la vittoria dei Mille, arrivò a dire che Garibaldi chiamandosi
Giuseppe (come il padre putativo di Gesù) e il re Vittorio Emanuele
(Emanuele vuol dire mandato da Dio) erano come padre e fi glio. Non
solo: Garibaldi era parente anche di Santa Rosalia (patrona di Palermo)
che di cognome faceva Sinibaldi e le due parole, Garibaldi e Sinibaldi,
venivano pronunciate allo stesso modo dai siciliani.
Ad Alcamo si costituì il governo dittatoriale e fu abolita la tassa sul ma-
cinato che aff amava soprattutto i poveri.
Garibaldi e i suoi, dopo una breve sosta, cominciarono a marciare verso
Palermo attraverso il passo di Renda dove si fermarono per trascorrere
la notte. Accesero i fuochi e mentre cenavano, guardavano le luci lonta-
ne della città con grande preoccupazione perché i Borboni vi avevano
concentrato 20 mila soldati, cannoni e navi da guerra.
I due eserciti nemici così diversi per numero di soldati si studiarono a
lungo: venirsi incontro e combattere o cercare un’altra via?
Alla fi ne Garibaldi spedì un gruppetto di volontari verso Palermo fa-
cendo credere di avvicinarsi alla città per tenere desta l’attenzione del
nemico, ma appena fu notte fonda ordinò ai suoi di andarsene via e
cominciò così sotto una pioggia battente, la parte più diffi cile della spe-
dizione. Marciarono nel fango, attraversarono torrenti in piena e do-
vettero sopportare anche il nervosismo di Bixio che ammazzò il cavallo
perché nitriva troppo, mentre il generale, che guadò per primo il torren-
Quarta lezione PRIME BATTAGLIE
Tassa sul macinatoÈ l’imposta sulla macinazione del grano e dei cereali in genere, ideata, tra gli altri, da Quin-tino Sella, per contribuire al risanamento delle fi nanze pubbliche. Come effetto più diretto, la tassa sul macinato causò un forte incremento del prezzo del pane e, in generale, dei derivati del grano e degli altri cereali; prezzo che non scese dopo l’abrogazione della tassa. A seguito dell’introduzione della tassa, scoppiarono in tutta Italia violente rivolte, che furono represse duramente, a volte nel sangue.
te, mantenne sempre la calma.
Nel primo paese che trovarono si tolsero
gli abiti infangati, li fecero lavare alle don-
ne e nell’attesa che si asciugassero, gira-
rono per le strade in mutande. Indossati
di nuovo i loro abiti, ripresero la marcia;
Garibaldi evitò due volte lo scontro con
l’esercito borbonico che era molto più ar-
mato e numeroso e decise di assalire Paler-
mo solo quando fu sicuro di non doverlo
aff rontare apertamente evitando così una
strage inutile.
Tra l’aiuto dei volontari, colpi di fortuna,
una buona strategia e il coraggio dei sol-
dati arrivarono in città quasi senza perdite
ma mal ridotti tanto che Ippolito Nievo
in una sua lettera scrive: ”Io ero vestito
come quando ero partito da Milano ma
col sedere di fuori, ma in compenso una
pagnotta infi lzata nella baionetta, un fi ore
di aloe sul cappello e una coperta da letto
sulle spalle”. Tanto meglio non era messo nemmeno Garibal-
di che aveva i calzoni tutti rattoppati.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
b l
BaionettaÈ una punta montata sulla canna di un fucile che, nelle guerre tra il 1600 ed 1800, consentiva alle formazioni di fanteria di attacca-re il nemico dopo aver scaricato le armi. Il nome deriva dalla città francese di Bayonne dove venne fabbricata la prima volta. Inizial-mente le baionette erano lunghe 90 centimetri circa e, assieme alla lunghezza del fucile, servivano per respingere la cavalleria. Il calcio del fucile veniva “piantato” a terra e l’inte-ra arma piegata in avanti in modo da creare una barriera di “lance” in grado da fermare la cavalleria. Una se-conda versione di baio-netta, più corta, lunga circa 45–50 cm serviva per il combattimento corpo a corpo.
valleria. veniva l’inte-vanti una
o-gaao
Hai delle domande?____________________________________________________
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PicciottiDeriva dalla lingua siciliana Picciottu, che letteralmente signifi ca “piccolo”, ma che corri-sponde a “ragazzo”. È il corrispondente soldato semplice in campo militare delle criminalità organizzate italiane. Furono anche i componenti di bande siciliane che si unirono a Giuseppe Garibaldi nel 1860, i cosiddetti picciotti siciliani. In alcune località siciliane è comunemente utilizzato per riferirsi a un ragazzo.
Quinta LezioneFINALMENTE
PALERMORagazzi, eccoci fi nalmente alle porte di Palermo, anche allora la città più importante della Sicilia:
qui successero alcuni fatti assai divertenti.
A mezzanotte, dopo aver disceso quasi a ruzzoloni un sentiero a stra-
piombo, che oggi si chiama ”discesa dei mille”, i garibaldini si raduna-
rono per ricomporre le fi le quando ad alcuni picciotti venne l’idea di
attingere l’acqua da un pozzo. Il secchio cadde giù facendo un gran
tonfo e un cavallo si imbizzarrì cominciando a correre a gran galoppo,
i picciotti cominciarono a gridare “Arriva la cavalleria!” disperdendosi
per ogni dove fi nché non si accorsero dell’errore. Bixio, come al solito,
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
45
perse subito la pazienza e se la rifece con loro.
Palermo a quell’epoca era un quadrilatero irregolare, circondato da
mura con quattro porte e attraversato a croce da due strade: via Toledo
e via Maqueda.
I volontari piano piano, attraverso le porte, riuscirono ad entrare tutti
in città. Garibaldi, con la sua caratteristica tenuta, arrivò sotto il palaz-
zo reale e per la grande stanchezza stese una coperta sotto il porticato,
mettendosi a dormire. I borboni, comandati dal generale Lanza, attac-
carono a cannonate la città per tre giorni di seguito e intanto anche le
campane suonarono ininterrottamente. Fu una vera apocalisse. Gari-
baldi non perse la sua tranquillità e trascorreva il tempo seduto sugli
scalini di una bella fontana agitando il frustino.
Le donne di Palermo dicevano che il parente di santa Rosalia ”scaccia-
va così le palle nemiche”. La confusione però regnava tra i soldati per-
ché erano senza munizioni e alcuni di loro addirittura se ne tornarono
a casa; per questo fatto il generale, che aveva aff rontato con calma ed
umanità tante diffi coltà, pianse di rabbia.
Se ai garibaldini mancavano le cartucce, ai soldati borbonici mancava-
no i viveri e quindi fu decisa una tregua, durante la quale i soldati delle
due parti cercarono di riorganizzarsi mentre un ambasciatore si recava
dal re a Napoli per riferire che questa guerra fratricida era inutile.
Il re, non sapendo cosa fare, chiese al Papa la benedizione, promise un
governo più liberale e l’autonomia per la Sicilia.
In Sicilia arrivò, mandato da Cavour, il si-
gnor La Farina, l’uomo dei
mille fucilac-
ci imbarcati
a Quarto, che
chiese subito
l ’a n n e s s i o n e
dell’isola al Pie-
monte, trovando
il consenso del
erale e l autonomia per la Sicilia.
mandato da Cavour, il si-
l’uomo dei
e
e-
do
del
Cosa succedeva
in quel periodo
1869 un tipografo di New York, John W. Hyatt, mescolando
insieme la Parkesina e la canfora, inventa la Celluloide
1869 viene aperto alla navigazione il Canale di Suez
1871 Antonio Meucci ottiene un brevetto provvisorio
sulla sua invenzione, il telettrofono
1871 viene inaugurato il traforo
ferroviario del Frejus
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
lluloide
di Suez
ovvisorio
o
BanditismoIl banditismo indica fenomeni di devianza e criminalità diffusa e ripetuta, talvolta con caratteri-stiche sociali o politiche. Il ban-dito è colui che si impossessa della proprietà altrui, usando o minacciando violenza, anche in gruppi, quasi sempre di maschi. Molti banditi sono oggetto di leggende: Robin Hood, i pistoleri del West, i briganti dell’Italia me-ridionale nel risorgimento e nei primi decenni del Regno, i banditi sardi del Novecento.
popolo siciliano che provava odio verso i
napoletani. Garibaldi si oppose perché nel
suo progetto c’era la liberazione dell’Italia
intera. Il governo provvisorio formatosi
nel frattempo a Palermo, confermò l’abo-
lizione della tassa sul macinato e assegnò
parte delle terre dei ricchi proprietari ai
nullatenenti, mentre alle vedove si garantì
la pensione e ai minori orfani il manteni-
mento. Per reperire nuovi soldati fu ema-
nata la legge della leva obbligatoria: ma i
siciliani non risposero all’appello. Non
risposero all’appello di donare parte delle
loro terre neppure i ricchi proprietari ter-
rieri e ai contadini delusi non restò altro
che ribellarsi tanto da essere accusati di
banditismo. Anche molte altre speranze
andarono deluse e si cominciò a dubitare
della bontà della spedizione: è vero che
prometteva l’unità d’Italia, un solo Paese,
un solo grande popolo, libertà e scuole, ma
l’urgenza della gente era la fame.
Leva obbligatoriaÈ un termine riferito all’obbligo che il cittadino ha in alcuni stati di prestare servizio, per un pe-riodo di tempo prestabilito, per le forze armate. In Italia, la leva obbligatoria è arrivata la prima volta ai tempi di Napoleone ed è poi stata in vigore dall’inizio del Regno d’Italia per 144 anni. La durata della coscrizione è andata progressivamente diminuendo ed era obbligatoria per tutti gli uomini di sana e robusta costi-tuzione. L’abolizione è avvenuta defi nitivamente a partire dal 1 gennaio 2005.
primi decenni del Regegsardi del NovecentntoGli artisti di quel periodoVincent Van Gogh
È stato un pittore olandese. Autore di quasi 900 tele e di più di
mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò
sull’esempio del realismo paesaggistico. Attraversata l’esperienza
dell’Impressionismo, ribadì la propria adesione a una concezione
romantica, nella quale l’immagine pittorica è l’oggettivazione
della coscienza dell’artista: identifi cando arte ed esistenza,
Van Gogh pose le basi dell’Espressionismo.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
sardi del Noveceento.
odo
e di più di ta, si formò
l’esperienza ncezione zione nza,
Che cosa si mangiava in Italia
nel 1860?Si mangiava pane di granoturco, minestre nelle quali si utilizzavano polenta, patate, castagne, legumi che costituivano la quasi totalità del menù. La carne era esclusa, eccetto quella da cortile, e una volta ogni tanto. Questo tipo di alimentazione comportava, specialmente al nord, gravi malattie come la pel-lagra.
La frutta era principalmente costituita da mele, pere e uva, che veniva trasfor-mata in vino e che più che bevanda era cibo. Al sud e nelle isole, il clima più mite consentiva una cucina a base d’olio, pomodoro e verdure, pane, pasta-sciutta nonché pesce e agrumi.
Il rancio dell’esercito sardo aveva alla base una robusta razione di pane, cui si aggiungeva un monotono susseguirsi di brodi di verdura e carni lessate, in cui si cuoceva cavolo, riso, pasta e legumi, con integrazioni di conforto come gli alcolici e il vino in speciali occasioni.
Gli animali pesanti da fattoria erano allevati principalmente per il lavoro, poi per il latte e la riproduzione. Ne conseguiva che solo in avanzatissima età veni-vano abbattuti o cadevano da soli.
Nel nord solo il maiale faceva eccezione dove, nei mesi invernali, le parti meno nobili e grasse della bestia costituivano l’integrazione alimentare più impor-tante. Col grasso, lardo, strutto poi si cucinava tutto l’anno. Essendo la carne di maiale un alimento deperibile, anche se insaccato (le principali norme igieniche usciranno dalla scienza alla fi ne del secolo), diffi cilmente trovava posto nell’ali-mentazione militare nella versione arrosti-braciole.
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Cosa ti piace mangiare?____________________________________________________
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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Sesta LezioneADDIOSICILIA
Oggi, ragazzi, vi parleremo del viaggio da Palermo allo stretto di Messina, sotto un sole cocente,
e di come si arrivò alle porte di Napoli.
La spedizione continuò via terra: si voleva raggiungere lo stretto di
Messina e sbarcare in Calabria. La marcia fu lunga e faticosa per i poveri
soldati a causa del caldo e della polvere. L’esercito, diviso in tre colonne
al comando di tre generali, avrebbe dovuto riunirsi di fronte a Messina
per decidere lo sbarco. Quando però arrivarono vicino a Milazzo,
Telegrafo otticoVerso la fi ne del 1700 Claude Chappe e il fratello lavorarono allo sviluppo di un sistema telegrafi co basato su una catena di segnalatori. Nel 1793 presentarono al pubblico il modello defi nitivo di telegrafo ad asta, così defi nito in quanto su una torre era in-stallato un braccio rotante che portava alle estremità due bracci minori; il tutto era manovrabile per assumere confi gurazioni standardizzate corrispondenti a lettere, numeri e ordini di servizio. Da una postazione successiva, distante diversi chilo-metri, un addetto dotato di cannocchiale riceveva il messaggio e contempora-neamente lo ripeteva in modo che lo si vedesse dalla stazione successiva.
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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
BrigantiIl brigantaggio è una forma d’in-surrezione politica e sociale sorta nel Mezzogiorno italiano durante il processo di unifi cazione dell’Ita-lia e il primo decennio del Regno. Gli autori della resistenza furono infatti defi niti, in senso dispregia-tivo, briganti dai sabaudi.
AnnessioneÈ l’atto mediante il quale uno Stato estende la propria sovranità sul territorio di un altro Stato o su parte di esso. Fra il 1859 e il 1870 si tennero vari plebisciti per ratifi -care l’annessione prima al Regno di Sardegna e poi al Regno d’Ita-lia, sancendo così l’unifi cazione italiana. Il plebiscito, che preve-deva forti limitazioni censitarie, si differenzia sostanzialmente dal referendum: in particolare le con-sultazioni plebiscitarie per l’unifi -cazione si svolsero senza tutela della segretezza del voto.
la colonna comandata dal generale Me-
dici si fermò perché sapeva che nella tor-
re del castello c’era un telegrafo ottico e,
conoscendo il cifrario segreto, sperava di
conoscere le mosse del nemico. Garibaldi,
che si trovava ancora a Palermo, decise di
raggiungere via mare con 1200 volontari
la penisola di Milazzo. I due eserciti nemi-
ci si trovarono a combattere in un terreno
piatto, senza protezioni, esclusi i canneti e
le piante di fi co d’India; Garibaldi rincuo-
rava i suoi e consigliava loro di sparare con
calma prima di tutto al bersaglio grosso,
cioè ai cavalli dei nemici. Nonostante lo
scontro non previsto e tante perdite (800
morti), la calma, il coraggio e la strategia
di Garibaldi furono vincenti. La battaglia
di Milazzo fu senz’altro la più sanguinosa
e diffi cile della campagna siciliana. Fu una
vera battaglia campale ma con la caduta di
Milazzo si poneva fi ne alla dominazione
borbonica in Sicilia. Garibaldi aveva rea-
lizzato il suo sogno: liberare la Sicilia in nome del re Vittorio Emanue-
le II. La notte fra il 18 e 19 agosto, quattro mesi dopo la partenza da
Quarto, lasciò fi nalmente l’isola.
Abbandonare la Sicilia non fu semplice perché nei paesini lungo le pen-
dici dell’Etna la povera gente era in rivolta contro i signori (i ducali) e
per ristabilire l’ordine fu dato il comando al generale Nino Bixio, fa-
moso per il suo brutto carattere. Fu così che, come a Palermo, molti dei
rivoltosi e qualche volontario siciliano riuscirono a fuggire nelle campa-
gne diventando dei briganti.
E Garibaldi? Le navi borboniche vigilavano la costa mentre lui non aveva
navi da guerra e poche da trasporto. I primi volontari che attraversarono
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Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Cosa succedeva
in quel periodo
1876 nasce il primo motore a scoppio
1876 nasce il quotidiano
Il Corriere della Sera
1886 nasce la Coca Cola
1899 nasce la Fiat
a
1
lo stretto lo fecero su 170 piccole barche comandate da un certo Muso-
lino, un calabrese famoso combattente il quale sapeva con certezza che
i soldati del forte Alta Fiumara sulla riva opposta, gli avrebbero spalan-
cate le porte senza opporre resistenza. Ma non fu così e i pochi uomini
che riuscirono a salvarsi si riunirono in una breve spianata aspettando
l’aiuto di Garibaldi. Il Generale sbarcò in Calabria con 3500 uomini
non attraversando lo stretto nel punto dove lo aspettavano i borbonici
ma più a sud, verso Reggio Calabria, dove era diretto anche Bixio con
i suoi soldati. Dopo qualche breve scaramuccia, i borbonici si arresero
e alzarono bandiera bianca. Le condizioni della resa furono: sgombero
delle truppe, consegna dei cannoni, delle polveri, dei cavalli e delle vet-
tovaglie contenuti nel forte. Garibaldi fu infl essibile e volle disarmare
tutti i soldati nemici che spedì a Napoli con le navi, mentre altri presero
la via dei boschi ingrossando le fi la dei briganti e alcuni si unirono ai
garibaldini con la speranza di far carriera nell’esercito.
Ormai l’avanzata di Garibaldi era una corsa via terra verso Napoli sen-
za incontrare quasi ostacoli. Bixio invece voleva raggiungere Napoli via
mare nonostante i sei vapori fermi in porto fossero già pieni di militari.
Innervosito, cominciò a picchiare con la carabina i soldati addormenta-
ti sul ponte delle navi: avrebbe fatto una brutta fi ne se non lo avessero
portato via.
La notizia dell’avanzata dei garibaldini provocò lo scompiglio a Napoli:
il re Francesco II invocava San Gennaro e lo nominava simbolicamente
re della città, ormai invasa da oltre sei mila ritratti di Garibaldi. Cosa
fare? Fermare Garibaldi a Salerno o addirittura mandargli
dei messaggeri per farselo amico?
In questa incertezza France-
sco II fece spostare tutto
l’esercito a nord del fi ume
Volturno e si rifugiò a Gaeta
con la consorte Maria Sofi a.
A Garibaldi, giunto ai confi -
ni della Campania, arrivarono
brutte notizie da Palermo: disordini, mancanza di soldi e la volontà dei
capitalisti di annettere la Sicilia al Piemonte, ma tutto questo non gli inte-
ressò: pensava solo di arrivare a Napoli, ultima tappa prima di conquistare
Roma.
Quando entrò a Salerno la sera del 6 settembre, fu accolto come un
trionfatore e avrebbe potuto trattenersi un po’ se non gli fosse giunta la
notizia che a Napoli si stava formando un governo provvisorio. Bisogna-
va partire immediatamente: lui e il suo seguito presero il treno a Vietri e
quel viaggio di due ore fu un vero trionfo. Gente che si accalcava lungo
la ferrovia agitando bandiere, gente issata sul tetto del treno speciale,
folla straripante alla stazione di Napoli. Si formò un lunghissimo corteo
e quando giunsero alle fortifi cazioni occupate dai soldati regi, questi si
arresero. Garibaldi parlò alla folla dal balcone della foresteria e poi di
corsa si recò in duomo dove i canonici misero subito in mostra le reli-
quie di San Gennaro e, incredibile, la gente trovò una nuova parentela
per il generale: sì, Garibaldi discendeva direttamente dal Santo. Per le
strade di Napoli sfi lavano carri addobbati e bandiere, la musica usciva
dalle fi nestre delle case e nei negozi si vendevano le camicie rosse. Gari-
baldi era l’uomo più famoso d’Europa: in quattro mesi aveva sconfi tto
l’esercito più forte d’Italia e aveva conquistato il cuore di tutti i napole-
tani: in 600 mila ora lo acclamavano davanti alla chiesa.
Sesta lezione ADDIO SICILIA
Hai delle domande?____________________________________________________
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I giochi di quel periodoNella società ottocentesca il giocattolo diventò sempre più impor-tante; soprattutto in Germania, Inghilterra e Francia nacquero fab-briche per la produzione in serie di materiale ludico, che incominciò ad essere suddiviso a seconda dei ceti, delle età e del sesso dei bambini. Vennero costruiti i primi giocattoli meccanici e si cominciò a diffondere la prima produzione di massa, concepita come attività industriale.
L’industria del giocattolo visse la sua stagione d’oro tra il 1850 e il 1914, un periodo segnato da grandi mutamenti storici, sociali e culturali. Particolare successo riscossero i giocattoli in latta tra i bambini dell’epoca, perché, oltre alla precisione nella fattura e nella ricerca di eleganza nelle forme e nei colori, riproducevano le grandi invenzioni avvenute nel campo della meccanica.L’industria del giocattolo incise in modo preponderante sull’economia del paesi produttori, ma l’Italia iniziò tardi la produ-zione di balocchi: per i giocattoli in legno la prima industria sem-bra essere nata ad Asiago nel 1885 ad opera di Giovanni Lobbia, mentre la prima industria di giocattoli e di bambole è stata la Furga di Canneto sull’Oglio (Mantova) fondata nel 1872 da Luigi Furga Gomini.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
gini.
I giochi di Nella società ottocentesca il giotante; soprattutto in Germania, Ibriche per la produzione i i d
mpor-fab-
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Settima LezioneL'ULTIMABATTAGLIA
Ragazzi, siamo quasi arrivati alla fi ne di questa av-ventura, manca solo l’ultima battaglia ma per il no-stro generale Giuseppe Garibaldi non ci saranno né
trionfo né onori: solo amare delusioni.
Garibaldi, felice del successo ottenuto, pensava che la conquista di
Roma fosse semplice, ma non aveva fatto i conti con la politica intri-
gante del conte di Cavour.
La politica di allora era così complessa, fatta di complotti, colloqui
segreti, promesse non mantenute…che forse è meglio tralasciare tutto
questo per continuare a seguire con simpatia il nostro generale. Lui si
trovava a Napoli circondato dai suoi giovani uffi ciali i quali fi nalmen-
te poterono cambiarsi gli abiti e nelle botteghe di Napoli non ebbero
diffi coltà a trovare quanto occorreva per essere eleganti: camicie ros-
se nuove fi ammanti, pantaloni neri con la striscia verde, cappelli alla
calabrese e stivali. Cenavano tutti insieme, generale compreso, ad una
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
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CapreraÈ un’isola che fa parte dell’arcipelago della Maddalena nella costa nord-orientale della Sar-degna. È nota soprattutto per essere stata, per oltre vent’anni, l’ultima dimora e il luogo di morte di Giuseppe Garibaldi che acquistò la metà settentrionale di Caprera fi n dal 1856, vivendo inizialmente in una casupola. Qualche anno più tardi Garibaldi si fece costruire, nello stile delle fazendas sudamericane, la famosa “casa bianca”, oggi museo; pochi anni dopo, una colletta dei fi gli e degli ammiratori gli permise di comprare anche l’altra metà dell’isola, fi no a quel momento appartenuta ad un inglese bizzarro di nome Collins.
lunga tavola. Durante il pranzo del 13 settembre, arrivarono notizie che
Palermo subito voleva annettersi al Piemonte onde evitare sommosse e
caos. Garibaldi partì immediatamente dicendo che si sarebbe fermato
pochissimi giorni. L’accoglienza della gente in Sicilia fu entusiasta; le
campane si misero a suonare e il popolo non pareva per niente sconten-
to del governo provvisorio. Tutto andava bene; le notizie ricevute era-
no false, quindi sei giorni dopo, salutata la folla, ritornò a Napoli. Nei
giorni di assenza di Garibaldi, il numeroso esercito borbonico di circa
50 mila uomini si era schierato lungo il Volturno nei pressi di Capua.
I pochi garibaldini che furono mandati contro, subirono una grande
sconfi tta. Garibaldi accorse in loro aiuto ma non poté far nulla: capì
che era stato di proposito mandato in Sicilia e che anche il re di Savoia,
che più o meno apertamente lo aveva sostenuto, gli
era adesso diventato ostile. Garibaldi non riusciva
più a ragionare e come, diceva il Mazzini, era ab-
battuto, scoraggiato e parlava di Caprera. Aveva
voglia di abbandonare tutto e arrivò addirittura a
dire ai suoi volontari di accogliere bene i fratelli
dell’esercito italiano che stava scendendo verso
Napoli. Il generale però non poteva accettare pas-
sivamente la sconfi tta subita sul fi ume Volturno,
ma anche Francesco II, Re di Napoli, rifugiatosi a Gaeta, voleva giocare
la sua ultima carta.
Ambedue prepararono i loro eserciti per uno scontro fi nale. I due eser-
citi si aff rontarono diverse volte: a Santa Maria, Caiazzo, Sant’Angelo.
Sul campo, rimasero i corpi di 3500 soldati regi e 2000 garibaldini.
Settima lezione L’ULTIMA BATTAGLIA
61
Alla fi ne, vincitore fu l’esercito di Garibaldi per merito dei suoi uffi ciali,
ma soprattutto per la genialità del generale presente in ogni momento,
pronto ad accorrere dove era più necessario portando i suoi uomini nel
punto minacciato con perfetta scelta di tempo.
Era il primo ottobre 1860. Nonostante le perdite subite e la stanchezza,
la truppa era euforica per la vittoria e cantava appassionatamente “Ca-
micia rossa”, un canto popolare nato in quell’anno di cui vi trascriviamo
alcune strofe.
Quando la tromba sonava all’armi
con Garibaldi corsi a arruolarmi:
la man mi strinse con forte scossa
e mi diè questa camicia rossa!
E dall’istante che t’indossai,
le braccia d’oro ti ricamai!
Quando a Milazzo passai sergente,
Camicia rossa, camicia ardente!...
Porti l’impronta di mia ferita,
Sei tutta lacera, tutta scucita:
Per questo appunto mi sei più cara,
Camicia rossa, camicia rara!
Tu sei l’emblema dell’ardimento,
Il tuo colore mette spavento:
Fra poco uniti saremo a Roma,
Camicia rossa, camicia indoma!
Giuseppe MazziniÈ stato un patriota, politico e fi losofo italiano. Le sue idee e la sua azione politica contribuiro-no in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano; la polizia italiana lo costrinse però alla latitanza fi no alla morte. Le teorie mazziniane furono di grande importanza nella defi nizione dei moderni movimenti europei per l’affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato. Giuseppe Mazzini viene considerato, con Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Camillo Benso di Cavour, uno dei padri della patria.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
62
Fida compagna del mio valore,
Par che tu intenda la mia favella,
S’io ti contemplo mi batte il core;
Camicia rossa, camicia bella.
Là sul Volturno, di te vestito,
tu sei la stessa che allor vestia,
camicia rossa, camicia mia.
Con te sul petto farò la guerra
ai prepotenti di questa terra
mentre l’Italia d’eroi si vanta,
camicia rossa, camicia santa
Ed all’appello di Garibaldi
e di quei mille suoi prodi e baldi,
daremo insieme fuoco alla mina,
camicia rossa garibaldina!
Se dei Tedeschi nei fi eri scontri
vien che la morte da prode incontri,
chi sa qual sorte ti sia serbata,
camicia rossa, camicia amata!
C’erano due grandi eserciti in movimento lungo la penisola italiana:
quello piemontese comandato dal re Vittorio Emanuele II, che dal Pie-
monte scendeva verso Napoli, e quello di Garibaldi che, oltrepassato
il fi ume Volturno, risaliva verso nord. I due eserciti si incontrarono a
Teano. La sera prima dello storico incontro, Garibaldi, arrivato con il
Guardia NazionaleÈ una forza armata sorta subito dopo l’Unità d’Italia e utilizzata per reprimere il brigantaggio e la resistenza degli ultimi nostalgici del regno borbonico, con vario successo. Come forza di sicurezza interna, i suoi metodi, benché normalmente brutali, illegali e criminosi, furono in genere estremamente effi caci nel loro scopo primario di reprimere e poi debellare defi nitiva-mente il fenomeno del brigantaggio meridionale. Per altri sei anni la Guardia Nazionale pro-seguì da sola e completò la “guerra sporca” già condotta per un decennio nel Mezzogiorno dall’esercito regolare.
Settima lezione L’ULTIMA BATTAGLIA
buio al villaggio di Calvi, non volle disturbare nessuno e passò la notte
su una poltrona sgangherata in una stanzuccia della Guardia Naziona-
le; il re invece, accompagnato dalla signora Rosina fi glia di un maestro
d’armi, dormì nel castello di Presenzano, vicino a Caserta. La mattina
dopo Garibaldi con il suo esercito si fermò all’imbocco della strada che
portava al paese di Teano.
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
Hai delle domande?____________________________________________________
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Ottava LezioneLO STORICOINCONTRORagazzi, ancora un po’ di pazienza.
Dopo un viaggio estenuante, dopo aver sopportato tanti disagi e dopo aver veduto tanti compagni morti,
fi nalmente Garibaldi ed il re d’Italia, due grandi personaggi del Risorgimento italiano, si incontrarono.
In fondo alla stessa strada si udirono rulli di tamburi e squillar di trom-
be e si vide un gran polverone: arrivava il re. Garibaldi si tolse il berretto
e gli andò incontro con la mano tesa dicendo: “Salute al re d’Italia”.
La scena fu molto diversa da come di solito si vede illustrata sui libri di
scuola.
Il re impacciato non sapeva cosa rispondere. I due si misero fi anco a
fi anco in testa al corteo: al loro passaggio alcuni contadini tendendo
il dito verso il re gridavano ”viva Garibaldi” convinti che il generale tra
i due fosse quello meglio vestito. Il re si sentì off eso e spronò il cavallo
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
67
Viva l’Italia! Mille uomini, due soli battelli a vapore
TeanoÈ un comune della provincia di Caserta, noto per aver dato il nome allo storico in-contro. La città si trova in posizione stra-tegica, infatti anticamente era considerata la “porta della Campania”. Teano riveste particolare importanza anche per quanto riguarda la nascita della lingua italiana: nella curia vennero redatti due dei quattro Placiti cassinesi, il Placito di Teano dell’an-no 963 e il Memoratorio, documenti che, insieme al Placito di Capua e al Placito di Sessa, rappresentano la primissima te-stimonianza della lingua volgare italiana. Sono oggi conservati nell’archivio storico di Montecassino e riguardano contenziosi territoriali nella città.
Camillo Benso Conte di CavourÈ stato un politico italiano. Fu ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, Capo del governo dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Lo stesso 1861, con la pro-clamazione del Regno d’Italia, divenne il primo Presidente del Consiglio del nuovo Stato e con tale carica morì. Fu protago-nista del Risorgimento come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, dell’anticlericalismo, dei mo-vimenti nazionali e dell’espansionismo del Regno di Sardegna ai danni dell’Au-stria e dello Stato Pontifi cio.
al galoppo verso Teano mentre Ga-
ribaldi si fermò ad una piccola oste-
ria, sedette sotto il portico davanti
ad un barile ritto dove l’oste gli
portò del pane, una fetta di cacio ed
un boccale di acqua, ma non toccò
niente. Il giorno dopo, 6 novembre,
scrisse al re supplicandolo di acco-
gliere i suoi soldati nell’esercito re-
gio; questa supplica più volte ripe-
tuta non fu mai accolta, anzi il re si
rifi utò anche di passare in rassegna i
volontari tutti schierati.
Il 7 dello stesso mese ambedue do-
vevano entrare solennemente a Na-
poli ma il re viaggiò in carrozza e
Garibaldi prese il treno. Arrivarono
in anticipo sicché non c’era nessuno
ad accoglierli, in più pioveva a dirot-
to e la pioggia aveva rovinato tutti
gli addobbi. Comunque la cerimo-
nia si svolse nel duomo, il pranzo a
palazzo reale e la serata si concluse
al teatro San Carlo. Un altro favore
chiese Garibaldi al re: di poter re-
stare ancora un anno a Napoli come
luogotenente, ma ancora una volta ricevette un rifi uto. Dopo tanti no
ricevuti, il generale declinò le off erte che il conte Cavour gli fece: un
castello, una dote per la fi glia, incarichi per i fi gli.
Dopo una notte trascorsa in un alberguccio, Garibaldi si fece accom-
pagnare col fi glio e pochi altri al porto, salì su una nave inglese dove gli
furono resi gli onori con le salve dei cannoni.
Compagni del suo ultimo viaggio furono il fi glio Menotti, il segretario
68
e l’ex parroco che l’aveva sempre seguito: ma dove erano diretti? Anda-
vano all’isola di Caprera portando con sé un sacco di sementi, qualche
libbra di caff è e di zucchero, una balla di stoccafi sso, una cassa di mac-
cheroni e poche migliaia di lire, risparmiate a sua insaputa da chi gli
teneva i conti.
Garibaldi, ormai lontano, non poté assistere alla gran parata dell’eserci-
to regio e della guardia nazionale.
Meglio così perché ai suoi garibaldini presenti a Napoli fu impedito di
partecipare.
Ottava lezione LO STORICO INCONTRO
CONCLUSIONE
Ragazzi, ci eravamo proposte, noi due maestre in pen-
sione, di non annoiarvi con una vera e barbosa lezione
di storia, ma di incuriosirvi e di farvi scoprire la fi gura
di Garibaldi che niente ha da invidiare agli eroi di altre
nazioni.
Da questo racconto risulta che Garibaldi era una per-
sona profondamente umana. Si manteneva tranquillo
anche nelle situazioni più diffi cili, non si tirava indietro
di fronte al pericolo, era capace di infondere coraggio ai
soldati e di suscitare entusiasmo nelle folle che incon-
trava, umile e generoso perché anteponeva alla fama e al
bene personale, quello dell’Italia.
E poi, ragazzi, non dimenticate che anche da questa av-
ventura nasceva l’Italia unita che viene commemorata
quest’anno, ricorrendo il suo centocinquantesimo.
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INNI E CANZONI
Inno di GaribaldiScritto da Luigi MercantiniMusiche di Alessio Olivieri1858
All’armi! All’armi!
Si scopron le tombe, si levano i morti,
I martiri nostri son tutti risorti,
Le spade nel pugno, gli allori alle chiome,
La fi amma ed il nome d’Italia sul cor.
Corriamo! Corriamo! su O giovani schiere,
Su al vento per tutto nostre bandiere
Su tutti col ferro, su tutti col fuoco,
Su tutti col fuoco d’Italia nel cor.
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!
La terra dei fi ori, dei suoni, dei carmi,
Ritorni qual’era la terra dell’armi;
Di cento catene ci avvinser la mano,
Ma ancor di Legnano sa i ferri brandir.
Bastone Tedesco l’Italia non doma;
Non crescon al gioco le stirpe di Roma:
Più Italia non vuole stranieri e tiranni,
Già troppo son gli anni che dura il servir.
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!
71
Le case d’Italia son fatte per noi,
E là sul Danubio le case de’ tuoi;
Tu i campi ci guasti; tu il pane c’involi;
I nostri fi gliuoli per noi li vogliam.
Son l’Alpi e i due mari d’Italia i confi ni,
Col carro di fuoco rompiam gli Appennini,
Distrutto ogni sogno di vecchia frontiera
La nostra bandiera per tutto innalziam.
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!
Sien mute le lingue, sien pronte le braccia,
Soltanto al nemico volgiamo la faccia.
E tosto oltre i monti n’andrà lo straniero,
Se tutto un pensiero l’Italia sarà.
Non basta il trionfo di barbare spoglie,
Si chiudan ai ladri d’Italia le soglie;
Le genti d’Italia son tutte una sola,
Son tutte una sola le cento Città.
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori ch’è l’ora!
Va’ fuori d’Italia! va’ fuori, stranier!
72
La bandiera tricolorescritto da Francesco Dall’OngaroMusiche di Cordigliani 1848
E la bandiera di tre colori
sempre è stata la più bella:
noi vogliamo sempre quella,
noi vogliam la libertà!
E la bandiera gialla e nera
qui ha fi nito di regnare,
la bandiera gialla e nera
qui ha fi nito di regnare
Tutti uniti in un sol patto,
stretti intorno alla bandiera,
griderem mattina e sera:
viva, viva i tre color!
73
bandiera tricolore versione popolare
scritto da anonimoMusiche di Cordigliani
La bandiera tricolore
sempre è stata la più bella
noi vogliamo sempre quella
per goder la libertà
Noi andremo a Roma santa
per vedere il Campidoglio
pianteremo su quel soglio
la bandiera tricolor
Noi andremo alla Venezia
a scacciare lo straniero
stracceremo il giallo e nero
pianteremo il tricolor
Sempre fuoco noi faremo
per difendere la bandiera
e dall’alba insino a sera
noi da prodi pugnerem
Noi andremo sempre avanti
fi nché vita di rimane
e pensando alla dimane
sempre allegri poi si sta
Viva sempre Garibaldi
che sa farci guadagnare
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sia per terra sia per mare
la vittoria è nostra già
Se si muore per la patria
è la morte gloriosa
né la rende dolorosa
un rimorso di viltà
Noi siamo Italiani
vogliam l’Italia unita
fi nché restaci la vita
sempre questo grideremo
75
Mameli ed il Canto degli ItalianiDobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio cono-
sciuto come Inno di Mameli. Scritto nell’autunno del 1847 dall’allora
ventenne studente e patriota Goff redo Mameli, musicato poco dopo
a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani
nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra
contro l’Austria.
L’immediatezza dei versi e l’impeto della melodia ne fecero il più amato
canto dell’unifi cazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma
anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Ver-
di, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affi dò proprio
al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il
compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendo-
lo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.
Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre
1946 l’Inno di Mameli divenisse
l’inno nazionale della Repubblica
Italiana.
76
Fratelli d’ItaliaScritto da Goff redo MameliMusiche di Michele Novaro1847
Fratelli d’Italia
L’Italia s’é desta;
dell’elmo di Scipio
S’é cinta la testa.
Dov’é la Vittoria?
le porga la chioma,
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò, sì!
L’Italia ha ripreso l’atteggiamento combattivo che
fu dei guerrieri romani: l’elmo di Scipio è l’elmo
del generale romano Publio Scipione l’africano che
sconfi sse Annibale nella battaglia di Zama, di cui si
cinge fi gurativamente la testa l’Italia per entrare in
guerra contro l’Austria.
La Vittoria è la dea della vittoria, che da antica tra-
dizione è destinata ad essere schiava di Roma e deve
porger la chioma per tagliarla poiché le schiave, a
diff erenza delle donne libere, erano solite portare
i capelli corti.
La coorte in cui stringersi è un’unità di combatti-
mento dell’esercito romano che rappresentava la
decima parte della legione. L’Italia ha chiamato a
raccolta tutto il suo popolo perché l’unione fa la
forza.
77
Noi siamo da secoli
Calpesti e derisi,
perché non siam popolo,
perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
bandiera, una speme:
di fonderci insieme
già l’ora suonò.
Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Uniamoci, uniamoci!
L’Unione e l’amore
riivelano ai popoli le vie
del Signore;
Giuriamo far libero
il Suolo natio:
uniti, per Dio,
chi vincer ci può?
Stringiamoci a coorte,
Siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Gli italiani non sono un popolo (etnico e politico)
perché non sono uniti. Il testo è stato scritto nel
1848 quando ancora l’Italia non esisteva poiché
divisa in 7 stati: Stato pontifi cio, Regno delle Due
Sicilie, Regno lombardo-veneto, Regno di Sarde-
gna, Granducato di Toscana, Ducato di Modena e
Ducato di Parma.
La speranza (la speme) degli italiani ora è quella di
unirsi sotto un’unica bandiera; è suonata l’ora per
unirsi.
Questi sono gli obiettivi mazziniani della rivoluzio-
ne nazionale: l’unità e l’amore guidano i popoli.
Gli italiani devono giurare di liberare il proprio
suolo dal nemico che lo occupa.
78
Dall’Alpe a Sicilia
dovunque é Legnano:
Ogn’uom di Ferruccio
ha il cuore e la mano;
i bimbi d’Italia
si chiaman Balilla;
il suon d’ogni squilla
i vespri sonò.
Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Son giunchi che piegano
le spade vendute:
già l’Aquila d’Austria
le penne ha perdute;
il sangue d’Italia
e il sangue polacco,
bevé, col cosacco,
ma il cuor le bruciò.
Dopo il richiamo alla mitologia della Roma repub-
blicana, il richiamo a quella comunale: la battaglia
di Legnano del 1176 segnò la vittoria della Lega dei
Comuni Lombardi contro le milizie dell’imperato-
re Federico Barbarossa. Anche da questo episodio
gli italiani devono trarre auspici per la loro lotta di
liberazione e trasformare tutta l’Italia in un campo
di battaglia.
Francesco Ferrucci morì difendendo la repubblica
fi orentina nel 1530 dall’assedio delle truppe impe-
riali di Carlo V.
Tutti i bambini italiani possono ripetere il gesto di
Giovan Battista Perasso detto Balilla, l’adolescente
genovese che nel 1746, lanciando un sasso contro
alcuni soldati austriaci, fece scattare la rivolta che
condusse alla liberazione.
I Vespri siciliani furono come uno squillo di trom-
ba quando a Palermo nel 1282 iniziò la rivolta con-
tro gli occupanti francesi.
Le spade vendute, ovvero le armi dei soldati mer-
cenari si piegano fl essibili come giunchi. L’aquila è
il simbolo dell’impero austro-ungarico; l’aquila au-
striaca ha bevuto il sangue degli italiani, e insieme
ai russi, ha bevuto anche quello dei Polacchi, ma
questo sangue le ha bruciato il cuore. La Polonia fu
spartita tra Austria, Prussia e Russia.
INDICE
Introduzione Marras 5
Introduzione Martini 7
Prima Lezione - La Partenza 9
Seconda Lezione - Breve sosta a Talamone 17
Terza Lezione - Viaggio verso la Sicilia 25
Quarta Lezione - Prime battaglie 35
Quinta Lezione - Finalmente Palermo 41
Sesta Lezione - Addio Sicilia 49
Settima Lezione - L’ultima battaglia 57
Ottava Lezione - Lo storico incontro 63
Conclusione 67
Inni e Canzoni 68
Provincia di GrossetoQuesto volume è stato stampato presso Lito Terrazzi - Cascine del Riccio FI
Stampato in Italia - Printed in Italynel mese di gennaio 2011
Questo libro viene distribuito secondo i termini della licenza Creative Commons
Attribuzione 3.0 Italia. Pertanto l’utente può riprodurre, distribuire, comunicare al pubbli-co, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire, recitare e modifi care quest’opera – purché ogni volta ne vengano esplicitamente indicati autori ed editore, e ogni volta che si usa o distribuisce ulteriormente l’opera va fatto secondo i termini di questa stessa licenza, che va comunicata con chiarezza.
Per maggiori dettagli e per il testo completo della licenza, si veda:http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/deed.it
http://creativecommons.org/licenses/by/3.0/legalcode
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Un moderno sussidiario, dedicato ai ragazzi delle elementari, che si sviluppa come un ipertesto.
Otto lezioni conducono, in forma narrativa, attraverso le vicende dei Mille, da Quarto a Teano, accompagnate da illustrazioni che sottolineano gli episodi salienti dell’impresa.
Approfondimenti e curiosità sul periodo storico arricchiscono il racconto.
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