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Montale Eugenio Montale nasce come ultimo di cinque fratelli da una famiglia piccolo borghese dedita al commercio (il padre Domenico era un rivenditore di prodotti chimici) nel 1896 a Genova. Ha trascorso infanzia e giovinezza a Monterosso (Cinque Terre) e ha frequentato dapprima un istituto di istruzione gestito da padri barnabiti. Prosegue i suoi studi da ragioniere tra vari problemi di salute. Dopo il periodo adolescenziale segue un periodo di dubbi esistenziali e religiosi in cui si interessa alla letteratura sia di classici che di opere più recenti, soprattutto francesi. C’è in lui una vocazione alla scrittura e un’opera improvvisa di coagulazione di una serie di temi che aveva cominciato a mettere su carta a cominciare dal 1916/1917 (sue prime opere sicure) che per molti anni però erano rimaste vaghe e indecise. In quegli anni prova tante vie, segue molti autori, ha modelli chiari, come un certo tipo di simbolismo francese o la vicinanza che sente nei confronti di Verlaine (un autore più moderato e con sfumature che portano verso il tardivo simbolismo belga). Sfrutta Verlaine per immagini e espressioni come il suo “male di vivere” che era anche il titolo di un testo di un simbolista belga. Egli fin dall’inizio concepisce la poesia come una forte valenza conoscitiva e non accetta mai il versante di constatazione dello scacco, dell’autoironia e della debolezza. Egli si occupa molto in questo periodo di riflessioni filosofiche e in particolare legge gli esistenzialisti russi che riflettono su temi paraesistenziali e si rifanno anche alla grande cultura francese a cavallo tra ‘800 e ‘900 con filosofi come Bergson che pongono

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Montale

Eugenio Montale nasce come ultimo di cinque fratelli da una famiglia piccolo borghese dedita al commercio (il padre Domenico era un rivenditore di prodotti chimici) nel 1896 a Genova.Ha trascorso infanzia e giovinezza a Monterosso (Cinque Terre) e ha frequentato dapprima un istituto di istruzione gestito da padri barnabiti. Prosegue i suoi studi da ragioniere tra vari problemi di salute.Dopo il periodo adolescenziale segue un periodo di dubbi esistenziali e religiosi in cui si interessa alla letteratura sia di classici che di opere più recenti, soprattutto francesi. C’è in lui una vocazione alla scrittura e un’opera improvvisa di coagulazione di una serie di temi che aveva cominciato a mettere su carta a cominciare dal 1916/1917 (sue prime opere sicure) che per molti anni però erano rimaste vaghe e indecise. In quegli anni prova tante vie, segue molti autori, ha modelli chiari, come un certo tipo di simbolismo francese o la vicinanza che sente nei confronti di Verlaine (un autore più moderato e con sfumature che portano verso il tardivo simbolismo belga). Sfrutta Verlaine per immagini e espressioni come il suo “male di vivere” che era anche il titolo di un testo di un simbolista belga.Egli fin dall’inizio concepisce la poesia come una forte valenza conoscitiva e non accetta mai il versante di constatazione dello scacco, dell’autoironia e della debolezza. Egli si occupa molto in questo periodo di riflessioni filosofiche e in particolare legge gli esistenzialisti russi che riflettono su temi paraesistenziali e si rifanno anche alla grande cultura francese a cavallo tra ‘800 e ‘900 con filosofi come Bergson che pongono problemi forti tra l’esistenza così come appare nella vita quotidiana e il suo senso profondoInizialmente egli tiene una sorta di diario dal febbraio all’agosto 1917 che viene chiamato “diario genovese” (e in seguito venne pubblicato) in cui annota vari tipi di appunti: da rapidi giudizi su libri letti a osservazioni estetiche fino al ruolo della poesia e dell’arte. Montale mostra un interesse per la musica e prese lezioni di canto come baritono che interruppe definitivamente nel ’23 per la morte del suo maestro. La sua competenza però gli sarà molto utile sia in poesia sia perché farà anche attività di critico musicale. Segue anche l’ambito delle belle arti.Partecipa alla Prima guerra mondiale in Trentino e durante il periodo di addestramento a Parma conobbe il critico e scrittore Sergio Solmi che fece anche l’introduzione ad alcune sue opere e gli sarà sempre amico consigliere. Le rievocazioni della Grande Guerra nelle poesie di Montale saranno abbastanza limitate. Nel 1919 tornò a Genova e proseguì la sua formazione letteraria. Collabora

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saltuariamente all’attività del padre ma vuole sfuggire alla condizione di commerciante borghese e si rivela insicuro sul suo futuro.e’ soggetto in questo periodo a malattie di forma psicosomatica e soffrirà molto di insonnia.Egli si autorappresenterà come un “separato dalla vita” perciò votato all’arte nelle “Intenzioni” (Intervista Immaginaria). In questo periodo strinse rapporti con giovani artisti e intellettuali di Genova (in particolare con Sbarbaro) e della Liguria e nel ’24 divennero intensi i contatti con Emilio Cecchi, critico già affermato. Il periodo fra il ’20 e il ’24 fui molto intenso anche sotto il profilo sentimentale: fu in contatto con Anna degli Uberti (figlia dell’ammiraglio), Bianca Clerici e Paola Nicoli. Mottetto è un termine musicale corale polifonico legato al periodo antico ed è molto usato da Montale. Egli sarà un ottimo intenditore di musica e sarà anche il critico musicale del Corriere della Sera. Le sue sono rivelazioni profondamente laiche ed anche in un canzoniere d’amore pubblicato poco prima che l’Italia entrasse in guerra, nel 1839, usa dettagli che sono occasioni della vita quotidiana che poi si elevano a valore metafisico. Montale considera il simbolismo come un fenomeno già storicizzabile, ed è convinto che la forza delle avanguardie si sia esaurita: ciò lascia spazio a un bisogno di ritornare a forme tradizionali. Il problema che si pone è come ricollegarsi alla tradizione senza essere tradizionalista. Già dal 1923/24 individua una linea adatta a sé quando entra in contatto con forme di rielaborazione della tradizione che lasciano spazio a temi attuali, personali e, insieme, tipici della condizione umana contemporanea. Di fatto non si può, secondo Montale, fare affidamento su un confronto diretto con la realtà esterna, la Natura, alla maniera del primo Ungaretti. Il suo tema principale sarà la certezza del “male di vivere” e il far emergere un’interrogazione sul senso dell’esistere. Non basta più alla maniera dei vari poeti neoclassici “fare versi antichi su pensieri nuovi” e nemmeno di rinnovare incessantemente, alla maniera delle avanguardie. Si deve, invece, evidenziare lo stato di corrosione in cui si trova il poeta- uomo che scrive dopo la fine delle certezze di lunga durata, a cominciare da quelle religiose. Montale ha accettato le riflessioni di Leopardi e Schopenhauer, ma la sua poesia non diventa mai filosofia e non propone una possibile soluzione. Si può affermare che egli sarà sempre un autore senza classici: non a caso, nella sua ampia produzione critica, una volta sola si dedicherà a scrivere un saggio ampio su un classico, ossia quella commemorazione di Dante per il settimo centenario della nascita. Un saggio fondamentale che Montale scrive nel 1925 e che viene pubblicato

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dalla rivista di Gobetti è “Stile e Tradizione” in cui i mette in evidenza il suo rapporto con la tradizione che è al di là del tradizionalismo di stampo ottocentesco di Carducci, Pascoli e D’Annunzio. E’ una tradizione come modo di leggere attraverso la classicità. La sua è una classicità di tipo paradossale in cui tra la realtà e la poesia il poeta diventa una sorta di poeta – vate, poeta – civile (vate perché riesce a leggere e interpretare il suo tempo e, nella propria angoscia personale, parla dell’angoscia di tutta la generazione che si avvia verso il fascismo). Nel 1925 scrisse “Ossi di Seppia” il cui primo titolo doveva essere appunto “Rottami”(la cui seconda edizione è del 1928).Montale dal ‘27 si trasferisce a Firenze e si inserisce nella grande cultura italiana dove si decidono i destini dei più grandi scrittori del ‘900 italiano (in particolare al caffè delle Giubbe Rosse che raccoglieva molti tra i più grandi scrittori). Montale prende anche il ruolo di direttore del Gabinetto Vieusseux e fino al 1938 mantiene sempre questo suo ruolo perché riesce a convivere col fascismo. Poiché non era tesserato poi venne estromesso e comincia per lui un periodo buio in cui sopravvive essenzialmente facendo traduzioni.Conobbe anche Drusilla Tanzi (all’epoca sposata con il critico Marangoni), soprannominata Mosca, che divenne in futuro moglie del poeta (nel 1962). Nel 1932 con la vittoria al premio dell’Antico Fattore pubblica un plaquette “La casa dei doganieri”, testo in cui i procedimenti di recupero della memoria diventano più variegati e saranno abbastanza in sintonia con lo sviluppo della lirica di matrice baudelairiana. Gli scritti di questi anni confermano la propensione verso una poesia che nasconda o elimini i passaggi troppo espliciti lasciando al lettore il compito di intuirli. Nel 1933 incontra la giovane statunitense Irma Brandeis (che diventerà la sua Clizia) con cui intreccia una relazione proprio alla vigilia del rientro di lei negli Stati Uniti. Questa storia durerà “da lontano” e metterà il poeta nell’incertezza di trasferirsi anch’esso in America Cosa che non farà sia per la difficoltà di tagliare i ponti con Drusilla Tanzi (che sembra tentò anche il suicidio) sia per la sua scarsa popolarità negli Stati Uniti. Montale vede in Clizia la possibilità di realizzare quello che per lui è solo un’ipotesi di occasione di salvezza divina (la visione per lui però rimarrà sempre e solo un’ipotesi). In questo periodo pubblicò “Le occasioni” (1939 e seguenti). Nel 1943 esce a Lugano “Finisterre” che sarà poi l’incipit della futura “Bufera”. Superati gli anni critici del 1944 e 1945 in cui Drusilla si ammalò gravemente, Montale si dedicò alla politica (essendo uno dei pochi non compromessi con il fascismo) aderendo al Partito d’Azione. Nel 1946 scriverà “Intervista Immaginaria” (in Intenzioni) in cui dichiara di partire sempre dal vero e di non saper inventare nulla. Egli ribadì sempre la sua stima per D’Annunzio (al contrario di Pascoli), la

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simpatia per i vociani e al contrario il rifiuto verso i futuristi. Il suo impegno diretto durerà poco (cesserà nel 1947) dopo che eseguì il compito di “defascistizzare” il Gabinetto “Vieusseaux”.Nel 1948 viene assunto come redattore al Corriere della Sera e si trasferisce a Milano dove scriverà il “Quaderno di traduzioni” (versioni poetiche). Inizia un’attività giornalistica di tipo professionale con numerosi viaggi all’estero che gli offrono anche spunti per nuovi componimenti. Questo si evidenzia maggiormente dopo il 1949 quando il poeta incontra la giovane scrittrice Maria Luisa Spaziani con cui comincia una relazione. Nel 1956 escono “La Bufera e altro” e “Farfalla di Dinard”.ci sarà un periodo di silenzio interrotto solo da pubblicazioni sporadiche come nel 1966 la raccolta Xenia dedicata alla moglie Drusilla Tanzi morta dopo un anno di nozze (nel 1963).Nel 1967 il presidente della Repubblica gli conferisce il titolo di senatore a vita e dal 1962 si avrà per Montale una nuova fase poetica. Nel 1971 pubblicherà Satura e il primo dei due Diari. In seguito tutte le altre opere che conosciamo fino ad ottenere il Premio Nobel nel 1975. La metrica montaliana è dominata da settenario e endecasillabo eventualmente alternato con ipermetria (“Portami il girasole, ch’io lo trapianti”) o con misure più lunghe caratterizzate da rime, assonanze e su di uno stile basato sul contrasto tra violenza espressiva e tendenza alla moltiplicazione plurilinguistica.

In lui è particolarmente forte il tema del “male di vivere” come del “delirio d’immobilità” (passività e automatismo dell’io già in parte presenti in Sbarbaro).

Vi è anche il tema “dell’attesa del miracolo” e della salvezza delegata ad altri (di solito l’interlocutrice femminile). L’influenza di Montale sui poeti italiani successivi è stata enorme così come anche su alcuni poeti più anziani (come Saba e Cardarelli). La poesia di Montale, dice Caproni, non è solo capace di attrarre il lettore ”nell’atmosfera anche fisica dei versi” ma ha la virtù di coinvolgerlo “nel senso vivo e bruciante della Storia…”. Teniamo dunque fermi i due punti essenziali della capacità della poesia di Montale di creare un paesaggio visibile, di identificare oggetti fisici, suscitando con essi idee sostenute da un’emozione profonda, e la sua presa sulla storia indiretta. E’ giusta la definizione che Caproni attribuisce a Montale, di essere un poeta – vate, ma l’idea del poeta che sia un punto di riferimento che sappia interpretare nel proprio dramma personale quello di un’intera società e di un’epoca che resta viva e ha un senso nella misura in cui si attribuisce alla poesia una funzione nella società.Nel ‘900 si può parlare di una vera e propria “funzione Montale” cioè il poeta Montale si può considerare un autore che riesce a sintetizzare quanto di

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importante la lingua esprime in quel determinato momento storico.

Montale - Ossi di Seppia

Gli “Ossi di Seppia” rappresentano in primo luogo un controcanto all’Alcyone di D’Annunzio, l’opera che, pure a livello di complessità compositiva, risulta con essi meglio confrontabile. Abbiamo un registro alto – tragico e Montale vi ripropone situazioni già vissute dall’io dannunziano secondo moduli che affiancavano il sentimento della caducità, ma mai il dubbio dell’ignoranza. Sono connotati da un conservatorismo formale in accordo con la tradizione che si lascia alle spalle ogni tentazione di avanguardia mirando a sistemare la novità etica e psicologica in una forma “già signata”Un’ulteriore grande innovazione è l’immissione di oggetti quotidiani e concreti, assunti per il loro valore di realtà e connotati di valori di tipo “salvifico”. Il fatto è che la presenza del “tu” sembra soprattutto indicare all’io la strada per quella piena accettazione della realtà e della vita che resta invece un fattore inattingibile. In altri termini, il rapporto “io/tu” nella seconda e nella terza raccolta montaliana è in apparenza incentrato sul secondo termine, ma invece riporta costantemente al primo: attraverso l’uso di allegorie viene indirettamente riproposta la questione dell’io con la realtà che, da fisica si dovrebbe finalmente rivelare metafisica, conducendo a una rivelazione religiosa e divina. La poesia metafisica è, dunque, quella capace di mettere a contatto poesia e prosa, capace di essere filosofica senza diventare pura filosofia, amorosa senza risultare sentimentale, religiosa senza bisogno di esplicite confessioni. Questo si cala in una serie di immagini legate al valore di evidenza simbolica ( vedere pag. 33) come “cavallo stramazzato”, “accartocciarsi della foglia”, ecc.Questo viene messo a confronto con chi coglie almeno una divina indifferenza della condizione umana che può essere anche l’indifferenza divina nei confronti dei mali dell’uomo (la “statua” ad esempio). Abbiamo una serie di immagini che lasciano comprendere come non ci sia una possibile felicità per l’uomo ma al massimo una indifferenza verso il male di vivere. Questo tema entra nel novero dei tempi universali della poesia.Egli risponde ai temi antropologici che la poesia ha sempre manifestato. Da un certo momento in poi la poesia diventa un equivalente a una possibilità di trovare un rimedio al dolore della vita umana (come già Petrarca ci fa notare). Condizione che viene poi, o mischiata con le idee romantiche e quelle avanguardistiche, o, per Montale, con l’idea di una poesia che scava nella condizione in cui il poeta vive ( e non ha parole decisive “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”) ma, tuttavia, centra gli obbiettivi di fondo del perché ci sia un male di vivere e perché non è possibile pensare ad una certezza religiosa o

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nell’operare.Non è possibile perché questo è un male intrinseco alla condizione del singolo secondo Montale. Questo è l’elemento esistenziale della poesia. Per Leopardi il colpevole di questa negatività è la natura mentre per Montale è l’uomo stesso detentore e responsabile del suo male. La poesia di Montale, più di quella di Pascoli, è in grado di rappresentare il male di vivere come condizione del poeta ma lo fa con una serie di immagini che negli Ossi di Seppia diventano decisive per la comprensione simbolica di quella società (la maglia rotta nella rete, il fantasma liberatore che non verrà mai, ecc.). Egli arriva a questo punto a disegnare una raccolta tra le più compatte di quegli anni (un vero libro di poesia e non un insieme di testi – a tale scopo vedere pag. 26/27).Gli “Ossi di Seppia” nel 1925 presentavano una prima sezione dal titolo “Movimenti” (con testi abbastanza antichi), poi quella detta degli “Ossi brevi” (caratterizzata da 22 componimenti divisi in due o tre gruppi di versi di andamento endecasillabico anche se quasi mai regolari e più compatta, con testi brevi e di semantica densa), poi “Mediterraneo” (che è che comprende nove testi collegati a formare una sorta di poemetto autonomo), quindi “Meriggi” modificato nel ’28 in “Meriggi e ombre” (che presenta testi abbastanza lunghi accentrati su temi o situazioni già esposte negli “Ossi brevi” e rielaborati in senso narrativo. Chiude la raccolta “Riviere”, testo piuttosto antico scelto per il finale in quanto caratterizzato da una speranza e da un “tono di guarigione”. Nei vari regni della Natura, l’io non riesce a scorgere se non la sofferenza che la vita porta con sé. Tuttavia resta pur sempre la possibilità di conoscere la divina indifferenza, l’atarassia propria degli Dei; Montale, a differenza di Leopardi, non considera la sofferenza come una condizione diversa. E’ chiaro però che si tratta più che altro di ipotesi. Il rapporto con la natura, intesa come entità che presenta fenomeni assoluti, non interpretabili direttamente dall’io. Una situazione tipica è l’ora meridiana: in uno dei componimenti più apprezzati dall’autore stesso si parla di “Gloria del disteso Mezzogiorno” quando ogni cosa sembra bloccata e scarnificata. Come in un quadro metafisico si delineano solo “un secco greto”, “un muretto”, un martin pescatore” che “volteggia s’una reliquia di vita”. Una condizione mortuaria, o quanto meno di accidia, d’impossibilità di agire: solo nell’”attendere” un’ora migliore resiste la speranza.La terza sezione degli “Ossi di Seppia” è Mediterraneo ed è divisa in nove parti, molto strette tra loro al punto che spesso si è parlato di movimenti di un poemetto o di una suite. L’io si rivolge direttamente al mare che a lungo era sembrato una sorta di mediatore rispetto alla realtà più profonda e nascosta della natura.

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si potrebbe parlare di un tema simbolista interpretato dal lato del distacco dovuto all’instaurarsi del dubbio. I momenti cruciali di Mediterraneo sono quelli che testimoniano la volontà dell’adolescente di avvicinarsi ai movimenti e alle leggi della Natura, e nel contempo il desiderio di riconoscersi come essere individuale e autonomo. L’individualità come male di essere o sofferenza viene percepito come “informe rottame”. La quarta e ultima sezione degli “Ossi di Seppia” nella versione del 1925 è “Meriggi” che sin dal titolo riprende il momento tipico molte volte evocato nei testi precedenti.Le poesie qui raccolte sviluppano con un andamento in genere discorsivo – narrativo temi presenti negli “Ossi brevi” e in alcune parti di “Mediterraneo”, aggiungendo molte connotazioni importanti. Così avviene con il testo più lungo degli “Ossi di Seppia” che è Fine dell’infanzia che è diviso in otto strofe a metrica varia. E’ una reinterpretazione della canzone libera leopardiana e anche il tema sembrerebbe essere derivato dai Canti: la mitizzazione dell’età fanciullesca rispetto a quella adulta nella quale si consuma la perdita del rapporto diretto con la natura. Lo stesso tema verrà trattato anche nella poesia “Flussi” in cui la fine dell’infanzia viene descritta con due scene di giochi di fanciulli che si movimentano sempre di più fino a rendere lo scorrere vorticoso delle cose. La figura di Paola Nicoli è presente in più testi in questa raccolta e appare come funzione precisa dell’io di delega delle azioni che l’io stesso vorrebbe compiere ma di cui non si sente in grado. Le interlocutrici femminili, anche quando saranno meglio delineate, svolgeranno la funzione di entità rivelatrici aspetti dell’io non esplicitabili direttamente. Nel 1928 la raccolta venne ripubblicata con alcuni forti cambiamenti e vengono innanzi tutto aggiunte due liriche sotto il titolo “Altri versi” legate al tema del tempo e inserite nella sezione Movimenti. Nell’ultima sezione vengono inclusi quattro nuovi componimenti e il titolo cambia in “Meriggi e ombre”. Le ombre sono create da tre testi che introducono il tema della morte e addirittura la presenza esplicita dei morti vicino ai vivi. Comincia a emergere il personaggio di Arletta: un’entità presente nella memoria, ma la cui realtà biografica rimane piuttosto incerta. Si immagina che sia l’amica adolescenziale Anna degli Uberti che viene immaginata come defunta (ma che in realtà era solo lontana poiché morì nel 1959). Anna, tuttavia, potrebbe anche non corrispondere ad un unico personaggio ispiratore come spesso succede nella poesia di Montale. L’ultimo testo aggiunto nella seconda edizione della raccolta è Arsenio.

Montale – “In limine” ( Movimenti – Ossi di Seppia)

La poesia introduttiva della raccolta è “In limine” in cui la metrica risulta

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abbastanza regolare in cui sono impiegati endecasillabi e settenari, con una scansione in quattro strofe di cinque versi (la prima e la terza) o di quattro (la seconda e la quarta), queste ultime rispettivamente con rime incrociate o alternate. Anche nelle altre due strofe le rime sono frequenti e per di più si intrecciano con rime nascoste o interne o con assonanze o consonanze secondo moduli tradizionali. Siamo lontanissimi da una poesia d’avanguardia: endecasillabi, rime perfette, giochi fonici ma nonostante questo una poesia non compiuta fino in fondo, che non è perfettamente classica come la voluta classicità di Saba. Montale introduce forme che impediscono di vedere nelle sue poesie qualcosa di subito compiuto usando vari accorgimenti come rima ipermetra cioè quella che dovrebbe chiudere il componimento e che, invece, non è una rima perfetta. Si trova sempre qualcosa che rende questa classicità come qualcosa di rotto e non compiuto fino in fondo. E’ l’unione dello stile del male di vivere che nello stesso tempo è perentorio e mai conclusivo e decisivo a far sì che ci ricordiamo delle sue immagini e lo innalziamo a grande poeta. La stratificazione del suo libro non è tale da farne un libro amorfo anche se nella seconda versione vengono introdotti testi bellissimi come Arsenio. Arsenio è l’alter ego del poeta, un personaggio che in un momento di turbine scende al porto di Genova e si aspetta un’epifania di divino (il fantasma) ma poi questo non accade e non c’è questo reale cambiamento. C’è comunque stato un cambiamento più forte rispetto alla vecchia edizione perché non c’era solo un’aspettativa ma anche i segnali di questa aspettativa. Quello che veramente conta per Montale in questa tempesta (che potrebbe essere della corrente romantica se vista da sola) è l’occasione e l’elemento che manifesta l’ordine superiore e va oltre la quotidianità; è il canto dantesco. L’attacco con un imperativo rimanda a Leopardi (Sabato del villaggio “Godi fanciullo mio”) e anche ad un “tu” interlocutore del quale, però, ben poco si viene a sapere in questo testo. Il “tu” sembra non essere generico, dato che assiste insieme all’”io” – poeta alla rinascita della natura: la primavera. Assume quasi subito un valore simbolico dato che il “pomario” (l’orto) era stato a lungo un “reliquiario” per le “memorie” morte dell’”io”. Si delinea, insomma, una situazione di progressiva divaricazione fra due letture della realtà: quella attiva e positiva del “tu” e quella non totalmente pessimista, ma certo passiva dell’io, forse incapace di prendere una decisione netta persino di fronte ai segnali di pieno rigoglio mostrati dalla natura. La divaricazione dei due destini è infine esplicitata nella strofa conclusiva che torna a impiegare imperativi e che giustifica il titolo dato in un primo tempo a questo testo cioè “Libertà”. Lo scopo finale di ogni esistenza sembrerebbe dunque essere sfuggire all’insensatezza dell’esistenza che però può solo essere fatta dal “tu” e non dall’”io” che si accontenta di pregare per l’altro.

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Il tema del “muro” ricorrerà molte volte negli “ossi di Seppia” a significare una separazione da una condizione finalmente felice. Il tema della “maglia rotta” costituisce la prima di una lunga serie di immagini che indicano le possibili vie di fuga.Altro tema ancora è quello del “fantasma” cioè dell’entità astratta che corrisponde a qualunque tipo di miracolo in grado di condurre a una fuga di salvezza. Nella seconda strofa del testo di apertura si ritrova la stessa situazione di “Crisalide” , scritta nel medesimo periodo, dove pure si parla di un Aprile che fa rinascere le piante e ridona la vita a un estremo angolo dell’orto. Solo che, all’improvviso, dopo un “grido”, i pensieri che rischiano di travolgere la positività della rinascita scompaiono lasciando spazio al solare avvenimento. Il “tu” viene a connotarsi più chiaramente con la figura di Paola Nicoli alla quale sono dedicati gli “Ossi di Seppia”.

Montale – Limoni (Movimenti – Ossi di Seppia)

Questa poesia apre i “Movimenti” e, dopo “In liminare” è di fatto la prima poesia dell’opera. L’”io” vuole instaurare subito un rapporto di confidenza con un “tu” e l’incipit è ancora un imperativo “Ascoltami”. Ancora una volta il referente è implicito ed è il lettore. Si concentra su due aspetti: la poesia così come è intesa dai “poeti laureati”, votata al sublime e all’eccezionalità (aperta polemica contro D’Annunzio) e la poesia fatta di realtà umili, di “orti” nei quali si trovano “alberi dei limoni”. Torna il tema conclusivo di “In limine” e i limoni assumono la valenza di possibile fantasma liberatore. Sono però troppo deboli perché presto torna tutto alla banalità di sempre almeno fino a quando di nuovo “i gialli dei limoni” appaiono all’improvviso a far immaginare le “trombe d’oro della solarità”. Quest’ultima metafora sottolinea l’elevazione conclusiva ad un mondo ultraterreno.

Montale – altri testi (Movimenti - Ossi di Seppia)

I testi successivi della parte “Movimenti” presentano spesso situazioni in cui l’”io” si definisce separata dalla Natura o dagli altri: è il caso di “Il Corno inglese”, unico testo recuperato dalla serie intitolata Accordi nel quale il cuore rappresenta il solo “scordato strumento” che un vero musicista non riesce a suonare. In “Falsetto” compare l’unica figura femminile nominata esplicitamente negli “Ossi di Seppia” ovvero Esterina Rossi abile nuotatrice che instaura con il sole, il mare, la luce e l’acqua un rapporto di sintonia al contrario di coloro che, come il poeta, sono “della razza/ di chi rimane a terra”. Compaiono poi due poesie dedicate a Camillo Sbarbaro che sono rimaste le uniche con dedica esplicita e introducono mondi fanciulleschi o fiabeschi (come

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ad esempio il gruppo di bambini in maschera ispirato probabilmente al secondo atto di Boheme).

Montale - Arremba su la strinata proda (Ossi di Seppia sezione centrale)

La poesia si compone di tre quartine fittamente percorse da richiami, anche interni, di rima, assonanza e consonanza. La serie più notevole è quella che porta al finale: la rima “pesi – mesi” si associa in assonanza alla preziosa rima “strepito – siepi”, allitterante e ipermetra. Arremba è un imperativo che significa “appoggia”. La voce fuori campo mima allo stesso tempo la serietà infantile e quella della dizione aulica: non possiamo insomma evitare un’associazione dei “malevoli spiriti che veleggiano a stormi” con il proverbiale orco cattivo dei bambini. I due versi successivi abbassano ulteriormente il tono (specie il diminutivo “ortino”). C’è l’idea dell’infanzia come età felice ma anche della fine dell’infanzia e quindi l’idea di un distacco e di un segno di angoscia per l’età adulta. Abbiamo termini del lessico versiliese che creano delle turbative linguistiche all’interno della poesia e cozzano con alcuni versi di tipo aulico come “tu i malevoli spiriti che veleggiano/ stormi (verso martelliano, cioè formato da due settenari, con scelta di parole auliche). “Malevoli – spiriti – veleggiano” sono tre parole sdrucciole che rallentano moltissimo l’andamento. C’è una turbativa quindi all’interno del gioco del fanciulletto. Si ritrova dopo una meditazione improvvisa, un brivido, uno scrollo nella strofe centrale dove abbiamo una dimensione attimale che rovina l’atmosfera lunga di mesi. C’è l’improvvisa visione negativa dei cedimenti, della silenziosa frustrazione che è legata ad un attimo mentre il lavoro è legato ad un tempo lungo di mesi. Tutto questo crea una disvalenza tra l’essere e il dover essere, tra il fanciullo libero e l’adulto ingabbiato in un tempo diverso con uno spacco senza strepito tra la vita che è e quella che l’io lirico vorrebbe che fosse, cioè tra la gabbia dell’esistenza storica del tormento quotidiano.Si costruisce in silenzio la propria condanna attraverso questi improvvisi scrolli dovuti agli eventi storici e si può solo appoggiare la flotta di cartone (simbolo dell’immaginazione e del gioco) e aspettare in silenzio che gli eventi si possano risolvere. C’è anche il ricordo dell’ultimo viaggio di Ulisse di Pascoli (che trova che i miti siano fasulli). Pascoli viene ripreso anche ritmicamente oltre che nella scelta del bambino che è un po’ con un piccolo moderno Ulisse. Ci si ricollega in parte a Gozzano senza però la parte parodica di shock tra aulico e prosaico.

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Abbiamo un’assonanza – consonanza come “svolacchia – fumacchia” o l’aggettivo toscano “pesi” che sta per pesanti. La struttura portante del testo è tutta ricavata da un passo dell’Ultimo viaggio di Pascoli dei Poemi conviviali. E’ il canto delle “gru nocchiere” che persuadono Ulisse, ormai vecchio, al sonno. Nel poema di Pascoli l’eroe è a Itaca, tornato dal suo largo peregrinare. Dopo nove anni d’inerzia deciderà di ripartire per toccare ancora una volta le tappe del viaggio descritto nell’Odissea. I miti antichi gli appariranno svuotati di senso e morirà naufragando senza conoscere il vero ne’ veramente sé stesso. Montale non sembra volersi confrontare, punto per punto, coi contenuti del lungo poema pascoliano, ma adombrare nel suo fanciullo un moderno Ulisse a cui bastano poche navi di cartone, un sobrio equipaggiamento di lingua marinaresca, per esprimere le linee di una configurazione esistenziale. Con il termine “fanciulletto padrone”, come Montale stesso spiegò, si intende colui che può esercitare piccolo cabotaggio, cioè un “piccolo lupo di mare”. Chinato sul gioco del bambino, il pensiero “adulto” ritrova evidenza e pienezza di significati.

Montale – La farandola dei fanciulli sul greto

La poesia centra due grandi temi del libro: l’aridità del paesaggio quale equivalente esistenziale, la rottura dolorosa tra l’adulto e l’armonia naturale.La farandola è una vivace danza provenzale che si balla in fila tenendosi per mano e con l’accompagnamento di pifferi e tamburelli. Spesso Montale ricorre a nomi di danze d’area francese o spagnola, parole che danno l’immagine visiva e sonora di un movimento a volte con connotazioni quasi diaboliche (si pensi allo scalpicciare del “fandango” nei versi terribili della Bufera del 1941). Può intervenire la mediazione del ricordo che allontana i momenti di felicità con l’effetto di rilevare il senso più critico e consapevole della presente povertà dell’esistenza. Questa poesia in due strofe concentra i topos di tutti gli Ossi di Seppia: il gioco del bambino e lo sguardo razionale dell’adulto. Il punto di vista è una terza persona cioè il passante e non l’io lirico. La parola farandola (una danza provenzale) fa parte dei vari nomi di balli molto usati nel linguaggio di Montale. Qui con questa danza vuole indicare l’esuberanza della fanciullezza, l’esplosione di vita.Altro topos è l’estate (“l’arsura estiva”) e poi abbiamo una dimensione panica che potrebbe riportare a D’Annunzio. C’è una flora povera (il cespo umano è l’identificazione dell’io con la natura, identificazione panica con voglia di purezza che non si risolve). Questa inquietudine continua nel punto di vista del passante che percepisce la

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distanza dalle antiche radici della fanciullezza, immagina ancora l’età d’oro, florida (ricordiamo l’età florida di Paolo e Virginia, poesia di Gozzano).Questa regressione infantile ha qualcosa di perturbante. Abbiamo, dunque, il topos della natura arsa e il dodecasillabo (classicismo paradossale perché endecasillabo ipermetro e cioè con una sillaba in più), mentre l’ultimo è un decasillabo (endecasillabo ipometro cioè con una sillaba in meno). Nel verso che ricorda Gozzano si può notare un doppio settenario proprio in omaggio a lui che usava sempre i settenari. I temi toccati sono da una parte l’aridità naturale (un paesaggio aspro che è lettura dell’anima) e dall’altra una lettura dolorosa della distanza tra bambino e adulto nonché la frattura tra natura e adulto. Una frattura non lineare ma violenta. Le rime invece sono rime perfette.

Montale – Fine dell’Infanzia (Ossi di Seppia)

Fine dell’infanzia” appartiene sempre agli Ossi di Seppia ed è il culmine del rapporto tra infanzia e fine dell’infanzia. Ha 109 versi in otto strofe ed è il più lungo componimento degli Ossi di Seppia. E’ un racconto non lineare perché è pieno di sussulti, interferenze ed è asciutto nel suo procedere. Tutto sommato ha anche, nel modo di procedere, una maniera di comunicare al lettore un senso di angoscia, di non finito, ne’ concluso. Ha, dunque, un incedere per frammenti. Una cosa che da l’idea del racconto è la presenza dell’imperfetto che è il tempo delle favole. Nelle ultime due strofe, invece, abbiamo il passato remoto (cioè quando abbiamo la conclusione del racconto che però non si conclude ma rimane aperto). Lo scenario naturale è sempre quello di Monterosso e ci sono le colline in lontananza, mentre l’interlocutore è sempre il mare. In questo caso il modello abbastanza scoperto è il Leopardi delle Ricordanze e il modello metrico è la canzone libera leopardiana dove ci sono endecasillabi, settenari e quinari. Abbiamo quindi versi e combinazioni tradizionali. Questa che troviamo sul libro è la penultima strofe che ha un andamento verticale (pur con qualche oscillazione orizzontale) e la poesia fa parte della prima sezione di Meriggi e ombre e pare sia stata scritta nel 1924. La poesia racconta del distacco dall’età mitica dell’infanzia e il passaggio all’età adulta. Abbiamo il sentimento del tempo, la sua cadenza per cui gli anni sono come giorni perché il tempo, quando è vissuto soggettivamente, si allunga e si accorcia a seconda dello stato d’animo. Se ne va il tempo delle certezze.

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Nella natura si ritrovano i dubbi e le angosce di colui che si avvia all’età adulta (tremanti tamerici da proprio l’idea del turbamento che è la proiezione della psiche del poeta). Il mare inghiotte invece qualsiasi certezza dell’io. Il tempo è anche quello del giorno, della notte e dell’alba che sorge. L’alba viene annunciata da un eccesso di luce: il filtrare della luce dalla soglia lustra che si annunziava come l’acqua del mare (effetto visivo). Si passa poi agli effetti uditivi e non abbiamo più l’io ma un noi (l’avventura è vissuta in maniera corale). Ghiaia con la “gh” forma una catena allitterante. La fine dell’infanzia è collegata alla caduta delle illusioni che si manifesta attraverso suoni e luci in modo epifanico: è dunque una rivelazione che avviene attraverso la modulazione ritmica del testo. Ritornano le turbative del paesaggio che sono qui le nubi pesanti che gravano sul mare intorbidito e tutto appare come inquietante. In questa inquietudine si ha la sospensione dell’attesa di un procelloso (burrascoso) evento.Abbiamo uno spazio strano e straniero nello stesso tempo (lo spazio dei giochi dell’infanzia) che è circoscritto perché lo spazio del gioco dei bambini è piccolo. Il primo segnale del “procelloso evento” è proprio la fine dell’infanzia. Arriva quindi l’ora che indaga, cioè quella della conoscenza razionale, della rivisitazione dei fatti attraverso la ragione e cioè quando la fanciullezza è morta attraverso un girotondo.In Montale la felicità leopardiana legata all’Infinito diviene una felicità legata agli oggetti, ad alcuni dettagli su cui si trasferiscono le angosce dell’io. C’è sempre la presenza del mare e delle vele colme di vento e poi la sospensione del tempo legato al sentimento (“guardammo muti nell’attesa …”) e al noi che accumuna l’io a tutti gli altri. La natura qui si trasfigura e riprende in sé questa idea del vuoto, dell’attesa, del baratro nel quale l’io e gli altri sono completamente assorbiti (il procelloso evento di ciò che dovrà avvenire).

Montale – Le occasioni

La raccolta “Le occasioni” presenta diverse analogie con gli “Ossi di Seppia” ed è anch’essa divisa in sezioni: la prima sezione è “Ouverture” (piuttosto eterogenea) a cui segue “Mottetti” (componimenti brevi), poi “Tempi di Bellosguardo (raccolta di tre componimenti che però sarebbero dovuti essere di più) e infine la quarta sezioni con testi più lunghi.Rispetto a “Ossi di Seppia” però cambia lo stile e la tecnica compositiva. Si manifesta il progressivo abbandono da parte dell’io di un’idea simbolico – metaforica della realtà a favore di uno scavo nell’interiorità.

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Venuto meno l’elemento unificatore costituito dal paesaggio ligure (che qui tende solo a riemergere come ricordo e in forme non più solari ma essenzialmente notturne), l’ambientazione si fa quasi casuale e la realtà esteriore diventa dubbio. All’insensatezza della Storia che si evita anche di nominare (siamo negli anni del fascismo) si contrappone la propria storia personale e interiore. Si approfondisce la dialettica caso – miracolo e il ruolo salvifico del fantasma femminile (visiting Angel) andando a connotare la figura femminile di due opposti caratteri. Da un lato la donna si distanzia dal mondo come essere celeste e angelico, ma ha anche vitalità terrestre, è dolce e luminosa ma come la Volpe è anche demoniaca, oscura e annientatrice. Questa duplicità deriva dal fatto che Montale trasferisce nella figura femminile anche il divino (il nume). Diversa è pure la percezione del tempo: infatti rispetto al presente dei Flashes che illumina di lampo l’eternità (degli Ossi) abbiamo l’alternarsi di fantasmi evocati da una memoria che opera per intermittenze e che disgrega il ricordo in frammenti arbitrari. “Le occasioni” sono anche le poesie degli oggetti poiché qui gli oggetti hanno un duplice significato: vengono delegati a rappresentare l’equivalente della condizione soggettiva e hanno la tendenza a fare di ogni singola lirica un oggetto autonomo e autosufficiente. Dedicataria dell’edizione del ’49 sarà I.B. (identificata in seguito come Irma Brandeis) anche se la critica più recente ha messo in luce che in realtà compaiono qui più donne ispiratrici. Nella prima sezione abbiamo componimenti di anni differenti e con differenti fasi stilistiche. L’ambientazione spesso si ha a Monterosso (nelle Cinque Terre) e la forma è essenzialmente narrativo –descrittiva. Si notano vari cambiamenti come l’evento che non si compie all’aperto ma in una stanza chiusa (nella quale in Vecchi versi) entra una farfalla (reminiscenza di Gozzano sia pure con le dovute differenze). Il tema della morte torna qui attraverso l’apparizione dell’insetto. Il termine mottetto indica una composizione musicale polifonica di origine medioevale – rinascimentale con voci che cantano simultaneamente testi sacri (spesso anche differenti). In letteratura può indicare un testo poetico breve polimetro del Duecento o Trecento.Nella sezione “Mottetti” usa schemi a due - tre strofe con partizioni più complesse in cui le voci musicali si sovrappongono (attraverso il rapporto tra metro e sintassi) e le immagini sono spesso ridotte a particolari ciascuno dei quali è una piccola parte da cui occorre ricavare il tutto. Il tutto in questo caso sarebbe interamente costituito dalla vicenda biografica tra Irma e Montale. La terza parte della suite “Tempi di Bellosguardo” è un componimento in tre

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parti che riguarda il rapporto tra l’io e la cultura ormai fusa con la natura nel luogo del colle di Bellosguardo (già cantato da Foscolo nelle Grazie e sul quale sorge la celebre Villa che ospitò Galileo). La quarta e ultima sezione delle “Occasioni” ci riporta a una fase più antica della poesia montaliana e reintroduce un “tu” (che in questo caso non può essere identificato con Clizia). Nel 1939 Gianfranco Contini, grande filologo amico di Montale, pubblica l’edizione delle Rime di Dante nel quale è compreso il sonetto di dubbia attribuzione che accenna al personaggio mitologico di Clizia derivatogli dal V libro delle Metamorfosi di Ovidio dove la figura comparativa della ninfa tramutata in girasole è condannata a guardare per sempre Apollo, di cui si era innamorata,.Comincia il romanzo dell’assente, dell’angelo che percorre l’Oceano ad alta quota per venire a salvare coloro che non potranno comunque seguirlo nel suo ritorno.

Abbiamo una premessa tratta dal quinto sonetto di Shakespeare che allude alla situazione esistenziale e storica del poeta alla fine degli anni Trenta (“… bellezza sommersa da neve e nudità…”). Il primo componimento è “La casa dei doganieri” ed è ambientato a Monterosso (anche se non viene mai nominato). Il refrain dell’intero testo è il tema del non ricordo e il fatto che l’unico modo per riuscire a ricongiungere due vite lontane sarebbe quello di trovare un “varco” segnalato dall’ “orizzonte in fuga”. La situazione va scivolando nel metafisico e il finale rimane incerto. Due sono gli aspetti rilevanti per l’evoluzione della poesia montaliana: da un lato le figure femminili che vengono rappresentate in rapporto ad un io – poeta che tenta di trovare un’identità attraverso di esse e dall’altro il processo tipico di rievocazione di Arletta (cioè la descrizione di un oggetto o una situazione che la riporta alla memoria) e che in questi ultimi componimenti viene da un montaggio di immagini (spesso tecnicamente metafore).

Montale – Il balcone (Occasioni – Ouverture)

Il testo di apertura delle “Occasioni” con il titolo “Il balcone” (titolo ripreso da Baudelaire) mette di nuovo in scena un io e un tu strettamente legati ma opposti per carattere e atteggiamenti vitali.Il poeta si concentra sull’interiorità e la posizione esistenziale incrinata dal dubbio,; stavolta però, rispetto agli “Ossi di Seppia”, il poeta deve puntare ogni ragione di vita sul “nulla” che gli è rimasto quando si è allontanato dalla donna portatrice di “fuoco” della quale attende un possibile ritorno. E’ una poesia di tipo “ellittico” in ottonari con rime e assonanze che si concentra su dettagli rivelatori legati appunto alle occasioni, ai momenti epifanici, dei quali sarà interprete la donna – nume.

Montale – Nuove stanze

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Qui non si nomina ancora il personaggio ma si rappresenta nei suoi particolari a partire da un ritratto di femme fatale impegnata in una partita a scacchi. La scena si svolge a Firenze: la Martinella è la campana di Palazzo Vecchio. Firenze è il luogo dal quale la donna è destinata a partire. Tutto il testo sembra giocarsi su fenomeni di rarefazione visiva.Il Dio di cui si parla qui è comunque un “Dio del caso” e la morgana è il miraggio di una realtà sempre sul punto di dissolversi.

Montale – Mottetto dodicesimo (Occasioni - Mottetti )

Qui abbiamo una trasposizione quasi allegorica del rapporto io – donna in cui quest’ultima è diventata un angelo, ma dopo il suo lungo viaggio celeste è debole, quasi bisognosa dell’aiuto dell’io. E’ un’entità soprannaturale salvifica e da salvare. Metricamente abbiamo due quartine di endecasillabi legati da rime, assonanze e forti enjambements. La parola conclusiva “qui” (tronca) conferisce certezza in un mondo ormai stravolto con un “sole freddoloso” persino a mezzogiorno e composto da ombre che si contrappongono all’”ombra nera” che invade il riquadro della finestra ed è un richiamo all’ombra della seconda guerra mondiale che è appena iniziata (siamo nel ’40 e la guerra è iniziata anche se l’Italia non vi è ancora entrata).

Montale – Finisterre (volumetto)

Finisterre è l’ultimo orizzonte visibile dal promontorio portoghese che dà il nome alla raccolta.Nel 1943 Montale pubblicò fuori Italia il volumetto Finisterre (perché aveva forti connotati anti – fascisti) che era una piccola raccolta poetica ricavata da un poema in quartine del poeta francese T. A. D’Aubigné (che visse tra i 1500 e il 1600). E’ un gruppo di poesie in cui compare più volte la figura dell’amata che diventa sempre più oggetto di culto fino ad essere trasformata in Cristofora cioè portatrice di salvezza disposta al sacrificio. La donna assumerà il nome evocativo di Clizia e si segnalerà per aver sostenuto il poeta durante la grande prova della Bufera (cioè della Guerra storica).

Montale - La bufera e altro

“La bufera e altro” (1956) è una raccolta il cui primo nucleo, l’incipit, è Finisterre pubblicato da solo come plaquette nel 1943 a Lugano (cioè nel momento maggiore della guerra) che ha una vicenda simile alla raccolta di Saba pubblicata nello stesso anno e dalla stessa casa editrice. Saba era vittima razziale (ebreo) e questa raccolta venne quindi pubblicata a Lugano perché in Italia il fascismo discriminatorio era troppo forte.

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La raccolta è scritta in uno stile “alto”, tendente al sublime e a un’oscurità in parte voluta che accentua la poesia metafisica delle Occasioni aumentandone gli elementi allegorici. Qui il “male di vivere” prende corpo in figure della realtà storica che lo realizzano compiutamente più che in vicende private del dramma presente. Clizia viene connotata di una natura redentrice e vittima insieme, chiamata a scontare e a salvarsi per tutti secondo connotati cristologici. L’altro grande tema della raccolta è l’abolizione della barriera fra vita e morte come “rottura di frontiere fra dentro e fuori”, tra io e non – io. E’ divisa in sette sezioni alcune delle quali però sono molto brevi e sono: Finisterre, Dopo (dedicata al periodo dopo la sparizione di Clizia), Intermezzo (che propone brevi testi di ricordi liguri in prosa lirica), “Flashes” e dediche (15 liriche basate sulla sintesi, sull’illuminazione lirica e di cui ben 9 composte da una strofa unica), Silvae (con testi lunghi per lo più dedicati ancora a Clizia), Madrigali privati (testi brevi caratterizzati dalla presenza delle donna Volpe, un’anti – Clizia identificabile con Maria Luisa Spaziani) e Conclusioni provvisorie costituite da due soli testi (che preannunciano una nuova fase della poesia montaliana). Qui ritrova un legame profondo con Dante e, in parte, con Petrarca attraverso continue mediazioni. La raccolta di Montale è dedicata a Clizia, personaggio classico trasversale: ninfa innamorata del sole che Apollo non ricambia e viene trasformata in girasole e infatti volge sempre gli occhi verso il sole. Questi occhi hanno la stessa dimensione cristofora (cioè portatrice di salvezza) che hanno quelli di Beatrice per Dante. Clizia tuttavia adesso è ormai lontana e sullo sfondo di una Seconda guerra mondiale.Il primo titolo nella “Bufera e altro” è Romanzo (parola con cui inizialmente voleva intitolare la raccolta) e questa è un’idea narrativa che la guida completamente in un linguaggio composito di poesie (poesie invettiva, poesie racconto, e altri tipi di poesie tutte senza una linearità). C’è l’idea della poesia che si fa prosa senza essere però prosa vera e propria e c’è una commistione di registri linguistici (il linguaggio del quotidiano e un’immissione forte di linguaggio giornalistico). “La bufera e altro” è l’allegoria della guerra che non è solo fisica e storica ma anche cosmica, apolittica.E’ anche un baratro legato alla durezza del periodo storico della guerra e del periodo complesso e confuso del dopo guerra che è ancora molto più complicato per l’uomo del Novecento che deve ritrovare delle certezze dopo la distruzione di tutto. Nei suoi scritti del durante e dopo Seconda guerra mondiale, si coglie spesso l’angoscia di non poter ottenere mai quella vicinanza con il tu – divinità in terra (però a volte inquietante), che sola finalmente consentirebbe all’io di esistere

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davvero. Una volta terminata la mitizzazione del rapporto con Clizia – Cristofora, che doveva condurre oltre gli inganni del mondo l’io è pronto a nuove esperienze: di esse la più forte fu la conoscenza di una sorta di anti – Clizia, la sensuale Volpe, che compare in alcune delle ultime poesie raccolte nella “Bufera e altro”. Questa figura di donna ha tratti in parte angelici e in parte demoniaci ed è astuta e sensuale come un volpe.Si può parlare di un progressivo ritorno a una realtà priva di grandiose trasfigurazioni, di un’accettazione dell’essere qui.Anche nella struttura c’è un’idea di romanzo o di struttura da romanzo. I testi sono vicini al barocco inglese (a Shakespeare), al Petrarca sublimato, al Dante illuminato.

Montale- Primavera hitleriana (La Bufera e altro)

Nella poesia “Primavera hitleriana”, una delle più alte della raccolta, si arriva a dare il primo compimento al ciclo cliziano (cominciato con Occasioni) e ci si riferisce all’incontro fra Hitler e Mussolini svoltosi a Firenze nel Maggio 1938 con una accurata descrizione degli esterni come i Lungarni e le vetrine dei negozi in cui i “giocattoli di guerra” o i “capretti uccisi” precludono alle imminenti stragi. Lega qui il dramma passato allo sconforto del presente.La storia che sembra di altri con uno scenario drammatico di crudeltà si trasforma nella storia umile di chi ha vissuto in quel periodo e non ha saputo dire di no. Anche questa storia è parte integrante di una storia dove nessuno è incolpevole. Qui si fa la domanda: “Tutto per nulla, dunque?”. Qui l’allegoria della Firenze del 1938 prelude a tutta la guerra che verrà e nella fine viene sostituita dall’immagine di Clizia che viene ad identificarsi con la Beatrice dantesca quando si volge verso Dio. Questo è uno dei momenti più alti della poesia di Montale con una vicinanza al divino che però non è fatta dal suo io ma da Clizia.

Montale - L’ombra della magnolia

“L’ombra della magnolia” è una delle ultime poesie della parte “Silve” che è il momento del commiato definitivo con Clizia. E’ un addio. La poesia non ha titolo ma il titolo corrisponde al primo verso della poesia stessa. Lo scenario naturale è dato da alcuni dettagli come l’ombra della magnolia giapponese (non pianta popolare ma pianta aulica) ed è un effetto visivo che si contrappone all’effetto fonico della cicala che vibra con suono intermittente come gli attimi del tempo. Entrambe queste immagini ci suggeriscono un’indicazione diretta della stagione: una tarda estate.

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Dall’altro lato c’è l’idea della guerra che è finita. Clizia è un’apostrofe a questo “tu” femminile. Il “tempo dell’unisono vocale”, “tempo del nume illimitato” si riferiscono a questa divinità negativa (la guerra) per la quale era più facile sacrificarsi, morire d’un tratto e come per gioco (il “trastullo” del bambino).La via più dura è quella della ricostruzione dopo la guerra, quindi per i sopravvissuti e per quelli che non sono morti c’è l’idea della fatica del dover ricominciare; anche se Clizia, pur essendo consumata dal sole, rimane nella sua leggerezza come una “cesena” (un uccello forte che continua sempre il suo volo), e sorvola un fiume che ha in sé qualcosa di infernale. Clizia è una salvatrice fragile che ha anch’essa necessità di essere salvata: ha un doppio ruolo. Ciascun di noi può, dunque, essere salvatore ma fragile nello stesso tempo ed essere in balia delle varie stagioni (indicate anche dallo Zenit e dal Nadir, dal cancro e dal Capricorno). Questa sua fragilità è dovuta al fatto che la guerra, la violenza e il dolore (le stimmate) gli sono entrati dentro. Abbiamo, dunque, come una visione evangelica. Questa realtà di dolore è attraversata da un brivido, in una dimensione di sospensione, preparato dalle fredde banchine del fiume (il freddo della solitudine). Qui c’è tutta l’umanità di Clizia. In questo freddo emanato da Clizia c’è quasi un senso di paura da parte di tutti gli altri che cercano quasi di discostarsi da lei e nello stesso tempo però hanno bisogno di lei. C’è l’effetto fonico della “lima” e poi l’idea di canto che diventa silenzio perché la colonna sonora del dolore è solo il silenzio. L’ombra è livida per l’idea di solitudine e silenzio. Lei è balia delle stagioni, del tempo ciclico che diventa uno spazio oltremondano poiché lei diventa sempre più lontana: è una Beatrice che ha raggiunto l’oltre cielo ed è andata al di là del mondo degli uomini. Il poeta umano si identifica con un pesce (“cefalo saltato in secco”) che esce dall’acqua per raggiungere l’oltrecielo di Clizia e muore sperimentando la sua finitezza e rendendo la distanza tra lei e lui sempre più grande. Vuole essere, dunque, allegorico: come Clizia è un uccello leggero, il poeta è il pesce che muore e crea una distanza incolmabile. E’ molto più evidente pensare alla non – vita del pesce che dà nello stesso tempo un’idea di maggior leggerezza in questo salto dell’uomo.Notare il finale con lo scalino tipografico dell’addio finale (“Addio” – isolato nello spazio della pagina) tra chi è e chi non è più, a sancire per la prima volta una separazione voluta e non subita. Ricostruendo lo scalino, si ha un endecasillabo di tipo classico: quindi da un lato l’isolamento e dall’altro il ricongiungimento, la salita verso il classico. La bufera è il baratro, è il vuoto di ciò che c’è dopo la guerra; la guerra a

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paragone è come un trastullo, cioè un’inezia.

Montale – La bufera

Poesia importante è anche quella che apre “La bufera e altro” e che fa parte di Finisterre (che una volta ampliata sarà di 21 testi). Anche qui il titolo coincide con l’incipit della poesia stessa. Ha una sintassi sospesa che da l’idea del non finito, del provvisorio, un po’ come i puntini di sospensione del “brivido del gelo”. E’ il lettore che deve ricostruire le proprie conclusioni (infatti la raccolta si conclude con il la serie intitolata “Conclusioni provvisorie”). Si traduce sintatticamente in una struttura aperta, non logicamente conclusa e c’è un solo periodo lungo incompiuto con un elenco di elementi che sono gli oggetti, i correlativi oggettivi montaliani su cui egli carica tutto il peso del senso gnoseologico della sua vita e della sua poesia. La forma dell’elenco era già una struttura tipica dei crepuscolari ma quelli erano elenchi più che altro fini a sé stessi (come le buone cose di cattivo gusto), qui, invece, sono caricati di un loro peso semantico e gnoseologico come una forma di trasposizione di ciò che è nell’io per renderlo oggettivo e distanziarsene. Si traduce in una contrapposizione, un gioco tra dentro e fuori. La trasposizione e il correlativo con gli oggetti su cui pesa la realtà del soggetto avviene negli interni. Il fuori viene dunque influenzato dal dentro per cui la tempesta fuori è la tempesta dentro l’animo. Gli oggetti più importanti sono i dettagli e più sembrano inezie più hanno un peso specifico forte. Si ritrovano addirittura in parentesi per dargli una maggiore valenza e metterli in maggiore evidenza.La poesia è sigillata solo da un addio e da un incamminarsi verso l’indeterminatezza.C’è anche un’epigrafe (da Agrippa D’Aubignè) della seconda metà del 1500 che dice che i dittatori non possono capire ciò che è eloquente perché spiega che i dittatori sanno solo esercitare la persecuzione e non riescono a vedere nella vita cosa c’è di meraviglioso. Egli dunque ci indica una delle chiavi di lettura per interpretare la raccolta. Si inizia con uno scenario naturale: la bufera che ha anche una funzione allegorica e che sgronda sulle foglie della magnolia (che ritorna qui come in altre sue poesie). Si percepisce una tempesta con tuoni marzolini e grandine (i suoni di cristallo è la grandine) che turbano la quiete della natura. Un effetto acustico è anche quello dei suoni di cristallo, in questo grido notturno, che da un senso di sorpresa e meraviglia, mentre l’oro che non splende più sul taglio dei libri rilegati è un effetto ottico come “una grana di zucchero” (messa a fuoco di un dettaglio piccolissimo) che si trova all’interno delle palpebre della

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donna. Il buio rappresenta tante cose: distanza, separazione, la non certezza che lei fosse ancora viva. La “fossa buia” è in realtà un sintagma dannunziano, appartenente alla visione apocalittica di una didascalia del dramma “La Nave” dove fa da recinto per una moltitudine di prigionieri affamati e sorvegliati da arcieri, mentre si aspetta l’arrivo di una tempesta.“Fuia” è un dantismo che significa ladro o disonesto. Lo schianto blocca gli oggetti come in una fotografia. Il lampo è un’epifania che addolcisce, è una specie di fotogramma che fa vedere i muri. L’eternità e l’istante creano un ossimoro. L’epifania avviene in un attimo d’improvvisa illuminazione e questa eternità nell’istante è la chiave di volta della poesia. Tra due lineette mette in evidenza le parole “marno” e “manna” che hanno in comune dal punto di vista fonico l’assonanza. Abbiamo una vicenda di tragedia storica ed escatologica che ci rende fratelli perché ci fa condividere questa esperienza che è pure di tipo metafisico.Lo “schianto rude” è una violenta immagine di guerra che ha una connotazione anche fonica e onomatopeica e i ”sistri” sono strumenti egiziani a percussione legati ai riti funebri che ci danno l’idea delle danze diaboliche dantesche dei gironi infernali nonché ci danno una dimensione di morte in una situazione oltre mondana di dolore. Lo scalpiccio (sensazione fonica) è legato anch’essa alla danza (il fandango) che da una dimensione di scenario infernale legato alla tragedia storica e metastorica e, al di là di tutto, c’è questo annaspare del personaggio, in un gesto che ci fa percepire il senso dello smarrimento, dell’oscillazione, della ricerca della certezza (uno annaspa quando sta per affogare e cerca ossigeno).Abbiamo poi i puntini di sospensione. Tutti annaspiamo nella vita e attraverso questo costruiamo la nostra insicurezza di tutti i giorni. Ciascun gesto anche quello più stupido ha un significato proprio come lo sgombrare la fronte dalla “ nube dei capelli” (una sorta di ablativo assoluto). Anche quel gesto ha un senso. Nube qui è una metafora e il “cenno di saluto” è un gesto definitivo che porta nel buio, nel vuoto, nel baratro, nel non senso. Il buio di chi vuole ricostruire ma non sa se ce la farà.

Montale – Satura

Satura è il titolo della raccolta che instaura nuovamente un nodo dialettico (come la Bufera) tra il pubblico e il privato ma in forma più schematica.E’ diviso in quattro sezioni: Xenia I, Xenia II, Satura I, Satura II (origine del moderno termine satira che indica una sorta di vassoio da portata pieno di cibi differenti).

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La raccolta “Satura” del 1971 si apre con il componimento “Tu” in corsivo e quindi a mo’ di prologo in cui il poeta si autorappresenta come istituzionale ed esaminato ormai da uno stuolo di critici che hanno appunto creato per lui formule come quella del “tu” al quale si rivolge la sua poesia. Contro questa figura Montale comincia un’opera di demistificazione che lo porterà a fornire particolari inediti, spiazzanti e spesso fasulli e fuorvianti. tipici di questa raccolta sono i colloqui con l’al di là, le epifanie di essere salvifici, le meditazioni distese sul senso dell’esistenza, come pure le registrazioni della quotidianità e l’ironia sull’insensatezza del mondo contemporaneo. Nella nuova stagione poetica lo scontro con la realtà diventerà sempre più evidente e saranno altre le forme di evasione. L’identità stessa dell’io viene messa in discussione assieme a quella del tu perché anche “l’uccello – poeta” avvolto nella rete potrebbe essere solo un duplicato di sé stesso. L’accettazione di un’esistenza priva di aperture al sublime, tuttavia, non implica nessuna passività. Il ritmo cede spesso e volutamente alla banale filastrocca e al “non – sense” mentre il linguaggio tende a smorzare la raffinatezza formale del poeta.

Montale – Xenia

La raccolta Xenia è costituta da due serie di poesie ciascuna di 14 componimenti in cui l’io si confronta con l’interlocutrice che in questo caso è Drusilla Tanzi (ormai morta) che veniva detta Mosca per via dei suoi occhiali spessi. Lo xenion nella cultura greca è il dono fatto all’ospite da intendersi anche in senso funebre ma Xenia erano pure altri componimenti scritti da Goethe e Schiller alla fine del 1700. Gli Xenia montaliani hanno pochi toni elegiaci, ma introducono numerosi toni umoristici che riguardano la visione del mondo della Mosca. Questi sono per lo più episodi singolari o strani e anche riguardo a temi come la morte, l’al di là e Dio si arriva ad una sorta di compromesso fra ironia e scaramanzia. In una di queste poesie si ricorda anche l’alluvione di Firenze del 1966 che ha distrutto mobili e oggetti di casa Montale facendo materialmente scomparire il passato con le sue occasioni ed epifanie.Il cambiamento si coglie anche nell’uso di frasi “non – sense” ed irrisorie e con una tonalità generalmente ludico – grottesca.Compare comunque anche il senso della Storia, oggetto di un’apposita poesia, che è avversa ad ogni forma di storicismo e in particolare di tipo marxista. Qui trova il modo di distanziarsi anche da Pasolini sostenendo che la storia non è una “devastante ruspa” ma lascia vari nascondigli e qualcuno è ancora in grado di sfuggirle. Questo qualcuno, però, si ritrova poi solo.La storia è dunque un’illusione, una serie di eventi sostanzialmente casuale che non consente una vera liberazione.

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La raccolta detiene una doppia fisionomia della realtà presente: parodica e mimetica. Duplice è infatti l’atteggiamento del vecchio poeta di fronte alla realtà che sente come appiattimento e nella quale è impossibile sia il “miracolo” che lo stesso manifestarsi del “tragico” (“Drammi non se ne vedono…”). Il distacco viene reso talvolta con la satira, talvolta invece con un coinvolgimento che porta alla perdita stessa della propria identità.

Montale - Diari e Quaderni

Nelle raccolte che seguono Satura abbiamo la tendenza al diarismo ovvero ad una poesia che segue gli spunti offerti dalla quotidianità e con polemiche verso la società dei consumi. Questi sono i Diari del ’71 e del ’72 in cui la riflessione sul linguaggio contribuisce a accentuare quella sulla poesia in sé tanto che spesso si è parlato di funzione metapoetica individuabile in queste raccolte. Il Quaderno dei Quattro anni (1977), manifesta, con la continuità delle raccolte precedenti, qualche tratto differente specie nella diminuzione dei testi di polemica e nell’aumento di quelli legati ai ricordi e aumentando il tasso di fluidità discorsiva con un minor uso di punteggiatura e con periodi più lunghi ma poco complessi e più compatti.

Montale- Altri Versi

“Altri Versi” è l’ultimo volume poetico pubblicato da Montale nel 1980 con testi piuttosto brevi ai limiti dell’epigramma nei quali abbiamo ancora polemica e un umorismo di tipo noir. si continua a riflettere sul tempo, su Dio e sulla genesi, ma abbiamo anche poesie incentrate su ricordi di persone o eventi (in particolare nella seconda parte). questa raccolta è nata mentre Montale curava la stesura dell’Opera in Versi cioè la revisione di tutta la sua produzione artistica. Egli ha voluto qui riproporre i temi fondamentali di tutta la sua produzione come facevano i compositori operistici nelle loro opere dell’ottocento e settecento.

Montale – Diario Postumo

Questo diario è stato pubblicato nel 1991 in modo parziale e nel 1996 in forma completa già dopo la morte del poeta e accompagnato dall’apparato critico di Rosanna Bettarini che già aveva curato con Montale la stesura dell’Opera in versi. Ci sono stati diversi dibattiti sull’autenticità degli scritti che non è ancora sicura anche se è abbastanza uniformemente accettata. In questi scritti abbiamo una poesia di tono minore con epigrammi o brevi componimenti dedicati ad amici e ricchi di impressioni immediate e di delicatezze.

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Montale – Caratteri dell’ultima fase montaliana e Opera in Prosa

Dal 1956 sino al 1971 circa Montale pubblica pochissime poesie mentre si dedica essenzialmente all’attività di prosatore e giornalista. Rispetto alla massificazione, la risposta di Montale è l’umiliazione di una forma di poesia che risulta, nonostante le dichiarazioni dell’autore, appena distinta dalla prosa, al massimo per una musicalità sommessa e per una serie di corrispondenze interne. Nel 1975 Montale giunge ad affermare di aver scritto “un solo libro” del quale ha prima offerto la fronte e poi il rovescio. L’ultimo Montale tenta di sfuggire a qualunque definizione. In questa prospettiva è evidente che la seconda maniera , quella che è tesa a minare le convenzioni, costituisce una risposta tutto sommato facile alla crisi della lirica in quanto genere fondato su un’elaborazione individualizzata.La sua scelta è quella della “comicità” ovvero dell’inclusione di ogni aspetto della realtà che possa essere illustrato in modi ironicamente capovolti. E’ un’”arte povera” che trova nelle ossessioni personali il vero collante. Qui bisogna distinguere tra i tanti pezzi scritti come giornalista e spesso con l’aiuto di altre persone da quelli che lo stesso autore ha voluto raccogliere in volumi omogenei come la “Farfalla di Dinard” del 1956 che ospita brevi racconti e prose artistiche e “Auto da fè” del 1966 che ripropone pezzi di polemica socio- culturale, abbiamo poi “Fuori di Casa” del 1969 che contiene principalmente resoconti di viaggi all’estero e “Prime alla Scala” del 1981 in cui abbiamo una scelta delle numerose recensioni di argomento musicale. Le argomentazioni che Montale sviluppa riguardo all’arte e le analisi del destino della musica e della poesia sono parallele. Egli critica la perdita di forma sia in musica (dodecafonia) che in poesia dissoluzione di forme tradizionali e inclusione in poesia di ogni argomento). Secondo lui prevale nell’insieme del tempo un implodere delle arti. con la Farfalla il poeta ribadisce la tendenza all’auotesplicazione (anche se con leggera allusività) e infatti i primi racconti della raccolta narrano della Liguria e di personaggi della biografia montaliana. Abbiamo tuttavia anche raccontini di fantasia con personaggi intenti a compiere azioni stravaganti all’insegna di una visione umoristica della vita e testi nei quali emergono forme di ossessione come lo spettrale e la scaramanzia. Nella raccolta fuori di casa ci sono 49 prose scritte per lo più come inviato di viaggio e divise in undici sezioni. I testi pubblicati nella prima parte di “Auto da fé” sono di natura politica e attinenti al periodo della sua attività all’interno del Partito d’Azione, mentre quelli della seconda parte sono degli anni ’50 e ’60 e toccano problemi della società civile e dell’arte spesso già affrontati sul Corriere della Sera. La critica d’arte fu abbastanza sporadica anche se Montale si dedicò persino in prima persona alla pittura dopo il secondo dopo guerra.

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Egli è contro gli avanguardismi più arditi sia nell’arte che nella musica e nella poesia.Il discorso tenuto per il conferimento del premio nobel ricevuto nel 1975 “E’ ancora possibile la poesia?” ribadisce alcuni punti per lui essenziali come l’irriducibilità della poesia a produzione o merce, la necessità di opporsi alla massificazione delle arti e le conseguenze della rottura delle barriere tra lirica e prosa.